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Philologus: Band 119, Heft 2 PDF

126 Pages·1976·12.136 MB·Italian
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P H I L O L O G US Z E I T S C H R I FT FÜR KLASSISCHE PHILOLOGIE Herausgegeben vom Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie der Akademie der Wissenschaften der DDR Heft 2 1975 Band 119 AKADEMIE-VERLAG • BERLIN EVP 18,— M 32912 REDAKTIONSBEIRAT: Robert Browning (London), William M. Calder III (New York), Aristid I. Dovatur (Leningrad), Tlarlimir Georgiev (Sofija), Istvän Hahn (Budapest), Jacques Heurgon (Paris), Karel JanäCek Traha), Kazimierz Kumaniecki (Warszawa), Benedetto Marzullo (Bologna), Haralambie Mihäescu (Bucure?ti), Wolfgang Schmid (Bonn), Rolf Westman (Abo) REDAKTIONSKOLLEGIUM: Walter Hofmann, Johannes Irmscher, Fritz Jürß, Friedmar Kühnert, Ernst Günther Schmidt, Wolfgang Seyfarth VERANTWORTLICHER REDAKTEUR: Ernst Günther Schmidt Stellvertretender verantwortlicher Redakteur: Fritz Jürß Redaktionssekretärin: Dietlind Schieferdecker HINWEISE FÜR AUTOREN: Die Mitarbeiter werden gebeten, die Manuskripte, Korrekturen und sonstige geschäftliche Post an das Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie, Redaktion „Philologus", Akademie der Wissenschaften der DDR, 108 Berlin, leipziger 3tr. 3—4, zu senden und am Schluß der Manuskripte ihre Adresse stets genau anzugeben. Der Verlag liefert den Ver- fassern 30 Sonderdrucke eines jeden Beitrages unentgeltlich. Bestellungen auf weitere Sonderdrucke gegen Berechnung bitten wir spätestens bei der Übersendung der Korrektur aufzugeben; ihre Bezahlung erfolgt durch Abzug vom Honorar. BEZUGSMÖGLICHKEITEN: Bestellungen sind zu richten — in der DDR an eine Buchhandlung oder an den Akademie-Verlag, DDR -108 Berlin, Leipziger Straße 3—4 — im sozialistischen Ausland an eine Buchhandlung für fremdsprachige Literatur oder an den zuständigen Postzeitungsvertrieb — in der BBD und Westberlin an eine Buchhandlung oder an die Auslieferungsstelle KUNST UND WISSEN, Erich Bieber, 7 Stuttgart 1, Wilhelmstraße 4-6 — in Österreich an den Globus-Buchvertrieb, 1201 Wien, Höchstädtplatz 3 — im übrigen Ausland an den Internationalen Buch- und Zeitschriftenhandel; den Buchexport, Volkseigener Außenhandelsbetrieb der Deutschen Demokratischen Republik, DDR-701 Leipzig, Postfach 160, oder an den Akademie-Verlag, DDR-108 Berlin, Leipziger Straße 3—4. ZEITSCHRIFT „PHILOLOGUS" Herausgeber: Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie der Akademie der Wissenschaften der DDR Verlag: Akademie-Verlag, DDR-108 Berlin, Leipzigor Straße 3 — 4; Fernruf 2200441; Telex-Nr.: 114420; Postscheckkonto: Berlin 35021. Bank: Staatsbank der DDR, Berlin, Kto.-Nr.: 6836-26-20712. Verantwortlicher Redakteur: Ernst Günther Schmidt. Anschrift der Redaktion: Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie, Redaktion „Philologus", Akademie der Wissenschaften der DDR, 108 Berlin, Leipziger Str. 3 — 4, Fernruf 2200441, App. 267. Veröffentlicht unter der Lizeuzriummer 1297 des Presseamtes beim Vorsitzenden des Ministerrates der Deutschen Demokratischen Republik. Gesamtherstellung: VEB Druckhaus „Maxim Gorki", DDR-74 Altenburg. Erscheinungsweise: Die Zeitschrift „Philologus" erscheint jährlich in einem Band zu zwei Heften. Bezugspreis je Band 48,— M zuzüglich Versandspesen (Preis für die DDR 36,— M). Bestellnummer dieses Heftes: 1031/119/2. © 1975 by Akademie-Verlag Berlin • Printed in the German Demoeratio Republic. CARLO GALLAVOTTI I GIAMBI DI P. OXY. 2310 ATTRIBUITI AD ARCHILOCO Il POxy 2310, dopo la pubblicazione del Lobel (1954), è stato recepito senza sospetto nelle edizioni di Archiloco, fino all'ultima di M. L. West (Iambi, 1971), frr. 23—29. Il Lobel, Oxyrh. Pap. XXII p. 6, aveva addotto come prova per l'attribuzione la coincidenza dell'emistichio 25, 2 xapJSfyv ìaiv[e]Tat con un verso noto di Archiloco (fr. 41 Diehl); ma tale coincidenza ha soltanto il valore di un indizio, e non di una prova, secondo il giusto rilievo di Davide Giordano (Aegyptus 1957 p. 210). Quindi, se viene a mancare la prova, perde valore anche l'altro indizio desunto dalla possibile ma non obiettiva coincidenza di 26, 5—6 con gli inizi di un distico noto (fr. 30 D.). Il Giordano ha capovolto ij problema dell'autore: occorrono argomenti di forma e di contenuto, desunti dal testo del papiro, per potere restituire qualche peso alle probabili o possibili coincidenze verbali1. La metrica non presenta anomalie rispetto alle norme dei giambografi antichi (come del resto non ne presenta il libro dei Giambi di Callimaco), tranne un punto solo, ma rilevante. Se si ammette la lezione aù 8[è in 23, 18 alla fine del trimetro, non si può fare a meno di sottolineare la stranezza della pausa sintattica in clausola, al decimo elemento del trimetro; l'interpunzione è anche segnata nel papiro (-uav ero-). Non abbiamo molto dei giambografi antichi e di Archiloco in particolare; ma una pausa del genere è difficile ammettere in teoria nella metrica arcaica, siano trimetri giambici od esametri dattilici. Nei trimetri dialogici e discorsivi della commedia una pausa al decimo elemento è normale, e passa inavvertita; ma già nel trimetro tragico ha un valore espressivo. In Eschilo ricorre più volte un RI yàp o TI fi.-/] interrogativo oppure cppàaov, alla fine del tri- metro e della frase; ma più ancora un aù 8è alle fine del trimetro, nella frase che continua, decisamente spezza l'unità metrica (contro una delle sagge norme di Knox2), ed ubbidisce ad un modulo retorico. Questo è l'effetto perseguito nello stile teatrale di Eschilo, quando un aù 8è si pone alla fine del trimetro: Suppl. 772, Prom. 961 e 1033 (ved. Agam. 556). La spinta a tale strutturazione del verso proviene forse dai vocativi bisillabici, come TOxrep o cpiAot, che sono frequenti alla fine dei trimetri nel dialogo della tragedia. Qualcosa di simile si riscontra nei 1 Per altra via, anche Aristide Colonna (BPEC VII 1959 pp. 51—53) ha sottratto ad Archiloco il testo dei frr. 23—24, ravvisando nel POxy 2310 un'antologia di autori vari (con ciò si spie- gherebbe l'inserimento di un titolo, o di una annotazione, che nel papiro era scritta in testa al carme del fr. 25). 2 The Early Iambus, Philologus LXXXVII 1932 p. 22; si veda poi il commento di G. Morelli, Studi sul trimetro giambico, in Maia XIII 1961, specialmente alle pp. 152 e 155, 160. 11 Zeitschrift „Philologus", 2 154 CABLO GALLA VOTTI coliambi dei giambografi recenti. La pausa è poco sensibile in Cali. la. 4, 1 (eie, où yàp rj^éwv, nati XapiTocSew, xaì. cu;), perché il vocativo costituisce piuttosto un arco di raccordo per xaì aó, che va congiunto strettamente con eie, -/¡¡aéwv. Nella canzone dei Coronistae di Fenice di Colofone, fr. 2, 9 Diehl (Só?, & ava£, So? xaì aù itoXXà ¡JLOI, VUJJKPV)), la pausa è scarsamente rilevabile davanti al vocativo. Poco di più si concede il mimo di Eroda (I 65, IV 19 e 35, 37, 46, 73, ecc.); analoghe strutture ritmico-sintattiche sono introdotte anche in esametri dialogici, nell'età alessandrina, come fa Teocrito (ved. I, ,1 e XV, 1—2). Per evitare l'incaglio metrico di où 8[é nel fr. 23, bisognerebbe trascurare l'interpunzione segnata nel papiro, e leggere l'avverbio ouSfvjv alla fine del trimetro come in Aesch. Pers. 480; ma nel contesto la sintassi non ne guadagna. Per il frasario sono da rilevare le coincidenze con Archiloco, oltre xapSi-qv ìaiveTai. Si confronta 23, 19 elXe? aì^FO1- >'-«['• con il tetrametro epigrafico 96, 5 siXe^ aìyjxyi xaì; poi 24, 12 XU[A' àXòc; xaTÉxXuaev con l'elegia 13, 3—4 xaxà xì>[I,a ... sxXuaev; infine 25, 6 Zeù? 'OXupticov con il tetrametro 122, 2 (simile 98, 13). TOXTYJP Sono già forse troppe le ripetizioni che farebbe Archiloco di sé stesso, nei pochi versi superstiti del POxy 2310; ma direi che un'altra coincidenza si nasconde in 24, 6 dove il contesto può suggerire /oipàSa CTTo]X(xotCTiv è!;[aXeu|iivo]i<; rispetto al fr. 231 ^oipàS' è^auXeufxevoi;. Si veda inoltre, qui avanti, il testo di 25, 3—4 rispetto al fr. 43. D'altra parte, di fronte a 19, 3 Tupavvi&o? è sorprendente in 23, 20 la forma T[upav]yiir)v. Compare in Senofane fr. 3, 2 Diels per designare il dominio persiano su Colofone, TupavvÌT);, nel pentametro, dove la forma pare impiegata per la comodità di allungare, su modello del linguaggio epico, la vocale -i- nel suffisso -ITJ-. Note- vole, per il lessico, è àp7raX[i]£o[x[ai in 24, 4 nel senso di „afferrare una notizia", cpn la diatesi media; coincide con una glossa esichiana (¿cadevo? Sé^opu); pur- troppo la diatesi media risulta dall'integrazione, e a rigore si potrebbe ammettere un Kp7raX[i]£o(x[ev confrontando più direttamente Aesch. Eum. 983 e Sept. 243, sempre in rapporto a notizie che giungono: ¡AY) VUV ... XCOXUTOÌCIV àprtaXi^ETE. Nessun dubbio sussiste sulla scrittura di 23, 9 ¡j.yj Te-rpa^vy)? : eppure T£Tpe[xaivw è un atticismo lessicale secondo i grammatici antichi, e tale lo conosciamo dalle Nuvole di Aristofane (294 e 374) e più tardi, a prescindere dagli scritti ionici del Corpus Hippocraticum. Secondo l'uso che ne fa Aristofane, è un vocabolo buffo nel significato; e come termine medico significa il tremito (tstpqjj.0^). Pare anche strano, da un tale tema del presente, derivare un aoristo TETpafjnfivT)? su analogia di TSTpaÌvW. In 23, 10 è accentato Ti&eu nel papiro, con il valore di -ri&sco: si può confrontare con TÌSOU, se così si scrive in Aesch. Eum. 226; ma, con quell'accentazione, sembra una forma analogica sull'imperativo contratto in -oo, ion. -su, da -éou, in relazione alla forma dell'attivo (TÌ&EI: TI&EU come rotei: TCOIOU). Nel verso successivo la preposizione eì? risulta dall'inserzione di -i- nel papiro, e quindi apparsene al testo, anche se tale forma appare eccezionale in Archiloco davanti a consonante e si vuole correggere in ic, (93, 6 sii; ©OCCTOV). Nello stesso verso la scrittura avoX^eiy]? I Giambi di P. Oxy. 2310 attribuiti ad Archiloco 155 forse non è un itacismo, ma è dovuta all'analogia morfologica di tipo inverso a quella di eùaefì-qc/. zùaifizia. ion. eòae(3tr) (in Empedocle); infatti è scritto àvoXfkiovTa. anche in un carme esametrico anonimo di POxy 1794, 13; forse è un modo semi- dotto di giustificare la productio di -i- in Hes. Op. 319 àvoXpiyi- Più grave appare la productio di -i- nell'apparente patronimico di 29, 2 'Ap^y-iocSsw. Nome fittizio è in 25, 8 Eupnea? (ved. K. Latte in Gnomon XXVII 1955 p. 493); per il nome del bovaro, al v. 4, si può inventare OaX[avS-]twi od altro (ved. anche W. Peek in Philologus IC 1955 p. 210). Notevole è in 24, 2 l'impiego del nome regionale èx rop-ruviv)? per designare il territorio di Gortina, o il porto; tracce di lettere sopra il rigo mi sembrano da leggere ISOCT, cioè Top-ruviScx; come scolio o variante. In Cali, hy. 3, 189 l'etnico femminile è appunto Top-am?, che vale anche per la regione. L'aggettivo TopTÓvioi; era per noi documentato in Thuc. II 85; sostantivato, come qui, in Strab. X 476. La forma più antica del toponimo non è ropTuvT), ma TópTUva, e prima ancora Tóp-ru?; Varrone dice Cortynia. In 23, 9—10 il Lobel osservò l'insolita costruzione di [xeXTjaet. con dcjxcpc ; a ciò rimedierebbe il West, introducendo un complemento di tempo (¿¡Acpì $' eò<g[pów)i, „quando è notte"). Ma con à[jupi è espresso un complemento di riferimento, e non il regime di ¡¿eX^asi; mi pare infatti che il contesto proponga la solita contrappo- sizione sociale o politica fra àya-9-oi e xaxoi; quindi nel v. 8 si leggerà àv&pa>7rco[v xaxwv (non xaxrjv), e nel v. 9 à[x<pl 8' eùcp[póvcov opp. eòepowv (cfr. G. Schiassi RFIC XXXV 1957 p. 160). C'è poi da notare una particolarità sintattica in 23, 16 dove è nominata la formica; secondo la mia interpretazione, non si deve punteggiare dopo (juiJppji-, all'inizio del verso; la parola non lega con la frase che precede, nei vv. 14—15. Il semplice zoonimo è qui usato in funzione comparativa, come in Herod. 6, 14 xucov ÙXAXTSW; si veda anche fr. iamb. adesp. 19 Diehl: p) rcpòi; XÉOVTOC Sopxà? à^cojxou [ià^'/)?- Gli esempi.più antichi sono in Alcm. 1, 86 rcocpcrévoi;... XéXaxa yXaùi;, e in Theogn. 347 èyw 8è xucov ÈJTÉPY]aa ^apàSpTJV, e sempre con il verbo in prima persona, come anche nelle laminette orfiche, epi<po<; èc, yak' énerov3. La frase ha invece un aspetto di proverbio quando il verbo è in terza persona (ved. il com- mento di Arist. Rhet. Ili 4 per Xéwv È7tópou(je). La maggiore audacia stilistica è in Theocr. 14, 51 ¡JLUÌ; ... yeu^e^a mooou;, ma costruita su un detto proverbiale (De- mosth. 50, 26 ¡AU? TCÌTTYJI; YSUS-RAT; cfr. Herod. 2, 62). Nel nostro carme il verbo potrebbe essere in seconda persona, T[SWS. Mi pare però che lo stato del testo e del papiro suggerisca di leggere in prima persona: ¡i.ù]pfi.7]i; Xóyoi vov T[sivojj.(ai), „procedo dunque con giudizio, come la formica", per la via diritta che mena allo scopo, l]&eÌ7)i 7tàp[a. Infine l'analisi linguistica suggerisce un paio di rilievi rispetto all'usus archi- locheo: anastrofe e articolo. L'anastrofe della preposizione qui si presenta alla fine di trimetro sia in 23, 13 oi'wv arco sia in 24, 13 yepcrìv atxpjTÉcov ureo sia in 27, 8 3 Lamellae aureae orphicae A 11, ed. A. Olivieri, Bonn 1915, con bibliografia a p. 3; la formula è volta alla seconda persona, imze<;, in altra laminetta (A2 5), ved. ibid. p. 16 e 20. 11* 156 CABLO GALLAVOTTI ]IG)V 8' uno, oltre ì]&eÌ7) 7ràp[a in 23, 16. Può essere un caso che non ne abbiamo un solo esempio nell' Archiloco noto, mentre è un modulo stilistico molto caro ad Eschilo (anche il 7ràpa ortotonico in fine di verso, come qui in 23, 16 se si legge con il Lobel à>a)]ateÌ7) roxpfa). Questa disposizione verbale è tipica del trimetro tragico, e fu rilevata come tale da Aristotele (Poet. 22, 5), perché conferisce distinzione al linguaggio ricercato; perciò era volta in caricatura dai comici ateniesi. Quindi è difficile in teoria attribuire tale modulo verbale al linguaggio di Archiloco, e proprio nei trimetri, che per la loro composizione ritmica sono il più vicino possibile alla prosa giornaliera e alla lingua comune (Poet. 4, 7). Quanto all'impiego dell'articolo, questo appare limitato a determinate strutture sintattiche in Archi- loco, oppure dimostra un preciso valore espressivo, quando non è un vero e proprio pronome. Alcune sue presenze nelle moderne edizioni sono dovute a citazioni corrotte della tradizione indiretta; invece i testi papiracei ed epigrafici di Archiloco ce ne dimostrano meglio il vero usus. Ma nei carmi di questo papiro la presenza dell'articolo mi sembra sovrabbondante, e solo in parte giustificabile nei modi che ho detto. Non bisogna, naturalmente, introdurne per congettura, come propone il West in 25, 3 (T[W]I MeXn)AÀ[v8p(O]I crà-9-Y), dove conviene supporre un pronome, diversamente immaginando la compagine della frase: T[U]I ¡I.SÀ7;AA[T.T' a]y eràib)). Ma si veda un brano conservato bene, in cui l'articolo chiaramente spesseggia: 23, 8 cpà-riv [xiv TTJV Trpò<; àvfrpciyrtwv, 11 eit; TOUTO SY] TOI TY)C; àvoX^EÌT)?, 14—15 TÒV cpiXfeuvTa] (aiv 9tXéeiv, [TÒ]V 8' è^frpòv è^aipetv. Anche in quest'ultimo caso, per cui si avrebbe in qualche modo da chiamare a confronto un verso di Archiloco (126, 2 TÒV xax«? epSovxa, dovuto a una ragione di chiarezza sintattica), il modello stilistico è da indicare in Esiodo, Op. 342: TÒV <ptXéovT' ini SOCLTOC xaXeìv, TÒV 8' èx&pòv èàaat. In Archiloco ci attenderemmo piuttosto una struttura asciutta, come è in Pindaro Pyth. 2, 83 cpiXov si'v) rpiXetv • totì 8' è^&pòv ... ÒTro&euaofi.au. Lo stile di Archiloco è essenziale e compatto, e non così verboso come parrebbe da questi carmi. Vero è che tale impressione potrebbe dipendere dall'incertezza testuale, e dallo stato del papiro bisognoso di molti supplementi; quindi la valuta- zione del linguaggio e dello stile di questi giambi sarà meglio condotta insieme all' analisi del contenuto, almeno nei frr. 23—25 (perché 26—29 sono brandelli). Specialmente nel fr. 23 si può seguire per un buon tratto lo sviluppo della com- posizione e del concetto. I primi versi leggibili del fr. 23 sono la risposta che il poeta dà a qualcuno (vv. 7—8): ... [à][xeipof4ai]' Y«va[i] ... Vuol dire „donnetta", in senso ironico verso un uomo indeciso, come appare dal seguito del discorso fino alla fine (vv. 8—21). E' un modulo già omerico (B 235, H 96 'AyMÌSet; OÙXÉT' 'Axouoi), che ritorna in Aesch. Agam. 1625, esattamente come qui, con un yuvai all'inizio del trimetro e del discorso, rivolto ad Egisto dal coro tragico. Nel nostro papiro il discorso è indirizzato ad un uomo; perché non abbia esitazioni a man- tenere il governo dispotico della città, se vuole acquistare fama e ammirazione, come l'ha già ottenuta occupando la città a mano armata. E' da respingere assolutamente ogni esegesi allegorica (per cui la città conquistata con la spada sarebbe la virtù di una donna espugnata da un uomo, o viceversa). Si tratta invece I Giambi di P. Oxy. 2310 attribuiti ad Arohiloco 157 di un dispaccio di politica internazionale, in forma epistolare: lo scrivente assicura il proprio favore, e il favore della propria città, al capo militare e recente gover- natore dell'altra città; lo invita a non preoccuparsi delle voci che corrono e delle maligne dicerie. Per la costituzione del testo seguo naturalmente le letture del Lobel, rivedute in qualche punto dal West; e spettano al Lobel anche lezioni e supplementi che non siano annotati nell'apparato. yóva[I.], 9Ó.TI.V FI.èv TYJV —pòi; àv^PTÓ7TW[v y.axuv [X7] T£Tpa(j,Yiv7)i<; [iTjSév, ¿¡j.<pl S'eù<g[póvcov 10 èf/.oi [xeX^o'ef [-&]ojxòv EX[a]ov -u&su. zìe, TOUTO SYJ TOL TT^C, àvoX[Ì£t7]C; 8ox[écù •^xeiv àvrjp TOT SELXOC; àp' è9aivó(i.7)v, oujò 010? et,[A eyw [aJuTo? ouò oiwv arco. STr]IFJTA(I.ai TOI TOV <piX[sij]y[Ta] ¡xèv <pfi]Xéei.y, 15 xò]v 8' sy^pov èyjì«.ÌQeiy -ce [xa]i xaxo[cppovéet,v. ¡xu]p[I.7)^ Xóywi yuv T[SÌVOJJL' 7wp[a. 7tó]Xiv Ss TAUTY)[V, -f)v X]a[p<ì)v è]7riaTpé[cpsa]t, •8-EJTOÌ TTOT' àvSpe? è£e[7CÓP'9T)](TAV, AÙ S[è r]fjV eLXec; «^¡jLyjt. xa[l ¡¿éy' è]^pa[o] x[X]éo<; • 20 XSLVYJC; avaaae xaì F[opav]YÌ7]v zyz, Tc[o]X[Xot]a[i •9-]T)[V £]Y)XCOTÒ<; ¿[v-9-p]a>7ctùv easai. 8 ouor supra av&pojTc scr. P(apyrus) scil. àv9p<i)7cou<; / xaxSv suppl. G(allavotti): xaxìjv L(obel) 9 -(iTjvrj«; scr. P / eùcpfucùv vel. EÙ<p[póvcov suppl. G 10 xliteu notavit P: xfòeo scr. L 11 ei? scr. P adiecto -l- / avoX^cir)? scr. P: vid. Hes. op. 319 àvoXptf) vocali -t- producta, et POxy 1794, 13 àvoXfkioMTa 13 lege lyomòz: tamen [ojuxoi; suppl. W(est) 14 tptÀEuvxa scr. G: -sovra L / -eeiv hyperionicum scr. P, ut saepius traditur 15 supra xo]v litteram S scripsisse P videtur / xaxo- [9povéetv ex. gr. suppl. G, alii alia 16 cave ne ante XóyoH distinguas / X[EÌVO(J.' Ì]9-£Ì7)L con. G: T[£SV8' àÀT)]de[r] 7rap[a con L: ]S-ci7]Tcàp[ notavit P 17 Xa(3ùv ex. gr. con. G: .]a[ leg. W 18 tìejxoi vel xa]yoi con. G: oujxoi con. L / -oavauSf notavit P: OU8[YJV possis deleta distinctione 19 X]T)V con. L: v]Gv leg. W / vocalem -1- post w.yjxr) add. P / è]^pa[o suppl. Adrados scil. è^peo 21 TtoXXotai con. Peek / suppl. W: xoi supra lineam scr. P / 7) supra eccoti scr. P scil. 'é<rr\ 1 . . . (alle tue perplessità così) rispondo: Donnetta! le chiacchere dei cittadini (volgari) non devi temere, e quanto ai ben (pensanti) sarà cura mia. Sta tranquillo. Ma a tanta disgrazia sembro giunto: apparivo davvero un vigliacco, e non quello che sono proprio io e di quale progenie! So bene amare l'amico, ma odiare il nemico e (tramare). (Procedo) quindi con calcolo, come la formica, (per la via diritta). Questa città, (che tu occupi e) sorvegli, i caporioni di una volta la (rovinarono) ; ma tu l'hai presa con la spada, hai colto una (grande) gloria: comanda su di lei e mantieni (il dominio) ; certo sarai invidiato da (molta) gente. Il testo mi pare chiaro nei concetti, ed anche nelle strutture sintattiche. Un dubbio può sussistere per il aù Sè del v. 18, come ho detto a principio; ma l'inter- puzione è assicurata dal papiro stesso. E' incerto per la sintassi l'inizio dell'ultimo verso ; la lezione 7toXXo?AI [V ha il vantaggio di impiegare un dativo di forma lunga, in "Oicri, che è consono alla grammatica archilochea; una congettura come izoXKolc, 158 CARLO GALLAVOTTI 8è S]Y)[V sarebbe intesa ad eliminare l'asindeto e quindi a smorzare un poco lo stile enfatico del finale. Ma non c'è dubbio che lo stile di questo brano è alquanto teatrale; potrebbe figurare come una rhesis tragica in un dramma di argomento politico. Presuppone almeno l'esperienza linguistica e oratoria del teatro nel quinto secolo; e come elementi specifici del linguaggio eschileo ho indicato l'iniziale yuvou al v. 8, il tipico attacco cri Sé al v. 18, inoltre l'anastrofe della preposizione in fine di verso (13 foro, e 16 irapa). Anche maggiori perplessità deve suscitare il contenuto: poco si attaglia ad Archiloco la figura del consigliere politico di un potente; e ancor meno conciliabile, con quel che sappiamo di lui, appare l'incita- mento che egli stesso darebbe a qualcuno, perché conservi il governo dispotico di una città (a parte i frr. 19 ou fioi ruyew e 115 vìiv Sè AeoxpiXo?). Non pare pos- sibile che la città qui nominata sia nell'isola di Paro o altrove, al tempo di Archi- loco; ma forse al tempo di Mnesiepe, nel terzo secolo. Non minori perplessità, per lo stile e il contenuto, fanno sorgere i frr. 24 e 25. Il primo di questi due carmi è un bigliettino di diciotto versi, scritto a un amico giovane, e socio in affari, appena è giunta la notizia del suo ritorno da un lungo viaggio in mare. L'amico proviene da Creta, dove era arrivato, nel porto di Gortina, „due giorni prima": 7rpò Tpi-nr)<; (cfr. Hom. I 363), se così posso risolvere, nel v. 3, la dubbia lezione del papiro descritta dal Lobel (xgoxTiT.ir:) e trascritta dal West (..oTY]T.y). E' necessario presentare un tentativo di ricostruzione anche dei versi più malandati, per vedere, almeno, ciò che il papiro effettivamente sug- gerisce circa la successione e la disposizione dei concetti. Mi giovo naturalmente di alcuni nessi già intuiti da altri (Adrados per il v. 2, Giordano per 8 àxoóaaq, Steffen per 11 8' av àXXov, Peek per 18 <X5TI<;). Comincia così4: riaXat, TCO-&7)TÒ<;] VY]Ì aùv g[[I.]txpyji fiéyav TTOVTOV 7TEPYIA]A<; fjX&Ec, èx ROPTUVIY]?, •5)1 Tckolov 7R]PÒ TQÌT[Y)]<; [S]TCEATAIB]. cpTjfiY) yàp ijxs], xat TÓ8' àp7raX[i]£o[i.[ai, 5 Saov te <pa>v% xp]Y)yu7)? à<pix[eTO, yoipàSa <TTo]X[i,oi<nv è£[aXeu[i.évo]i<; ÓOTavxa vuv irpóJxeipa, xaì 7r[ap]e<jT[à]$7)<;. Poi parla della merce, e dice: (Godo) dell'annuncio, e (poco) m'importa del carico, (se si è salvato) o perduto; (a questo) c'è rimedio; „ma non avrei potuto trovare un altro amico (simile, se) il flutto marino ti avesse inghiottito, (o se poi 1 Un tentativo di ricostruzione del carme è stato or ora pubblicato anche da M. L. West (Studies in Greek Elegy and Iambus, Berlin—New York 1974, p. 121 s.): riscontro al v. 11 tptXov, 12 TOIOUTOV, inoltre 15 ÀV]&ST (ma riferito alla giovinezza dell'amico). Al v. 5 il y.p]r(yu7]T; del Lasserre, che dovrebbe essere la „buona" novella, viene dal West riferito alla nave. La notizia „buona" è detta nei vv. 6—7, ed è preannunciata dal pronome dittico róSe nel v. 4; invece il West riferisce TÓSE a ciò che precede, come se fosse TOÙTO. I Giambi di P. Oxy. 2310 attribuiti ad Archiloco 159 catturato) da bande di (predoni) armati tu avessi perduto la giovinezza splendida". Quindi l'ultima quartina: „(Ma ora tutto rifiorisce), e un dio ti ha salvato, (perché nessuno vedesse te cadavere), e veda me derelitto; (così sono risorto), e mentre giacevo nelle tenebre, (ecco che di nuovo) alla luce (smagliante) mi ritrovo". /«ipcù 8' àxjouaac;" cg[o]priwv Sé [xoi [ii[X]si, eÌt' oùv èacj&yj, ^óv8p]oc; e'ót' à7ra>XsTO. ¡j.aXXó]v • 10 to'jtwv yàp icrih ècm ¡i.r^/avTj tpiXov 8' àv aX]Xoy oìmv' eupoi^Tqv iyòì toioutov, el a]è xu;jl' i'Aoc, xaTÉxXuaev, 1]mira. Xv)ict]ò>v /epaiv aìyjj.rjxéoyj (Sto Xy]<p&si? 7Cot' TjJpTjv àyX[a]riv a7i:[&>]Xsg[a<;. 15 vuv 7CÓ.VT' ÈTrav]^!, xai ce •9-e[ò<; è]pu<r<xTO l±-q •zie; ah vexpóv], xà(i.è fiouvM&évr' Ì8y)[l]. aÙTÒt; S' ¿v£ctt"/]]v, sv £ócpwi Sè xeifievo(<;) ì) Xeuxòv aÙTi?] 9a[oc, xJaTeaTa-STjV. Un giudizio completo non si può formulare sulla qualità del carme, perché, mancando tutta la parte sinistra dei versi, la composizione viene da noi rico- struita all'ingrosso. Ma la sostanza e la successione dei concetti risultano abba- stanza evidenti; sembra una lettera d'affari, che vuole essere carica di passione. Il motivo principale della lettera (v. 2 èx ... v. 18 è? cpàoc; xotTeaTààtojv) sembra che mescoli insieme il benvenuto di Alceo per il fratello (Z 27: ^X&e? èx TCptxTwv yà<;) con l'erotismo di Saffo (fr. 48 L.-P. : ... ov 8' e^u^a? £ji.av <ppéva xaiofiévav to&cùi). E' una poesia di parole, e non di affetti; la cosa più bella è il vocabolo del v. 4 àp7taXi£o}i[ai, se non si legge àpmxXiCofi.[ev, come ho detto. Il resto sono motivi, ridotti a moduli verbali, che divennero banali nella tradizione poetica: il flutto marino, il pericolo dei pirati, la giovinezza splendida (per àyXa7]v cfr. specialmente Bacch. 5, 154 e Simon. 105, già citati dal Lobel insieme a IG I suppl. 446a; ma si noti come l'espressione risulti qui caricata retoricamente mediante l'inversione dell'aggettivo, ancor più di àyXarjv wXeaav r^v in Simonide). Di ben altra passione vive il bigliettino di Catullo c. 9 per l'amico che ritorna (e anche Orazio carm. II 7). Del resto, la povertà linguistica della composizione, o peggio, il suo gusto decadente, mi sembrano documentati in maniera obiettiva dalle ripetizioni verbali alla fine dei versi: non solo 9 àitcóXexo e 14 inùikzac/.c,, ma si notino specialmente le ripetizioni di èaTa-ibjv a fine di verso, variate nel composto e nella persona, in riferimento alla nave, all'amico, e a sé stesso: 3 È7ts<TTàib), 7 7rape<7Taìb)<;, 18 xaTs<rrdcib]v. Dell'anastrofe nel v. 13 ho già detto; ma ancor più risalta, se si mette a confronto con la formula omerica, che è Suafievécov Ù7tò Xspaiv (T 62) o magari yzpah uno Tpwwv (A 827): qui c'è invece il preziosismo di un yspaìv aixji.7)TÉwv u7to, che ha il genitivo inserito fra preposizione e regime; ed anche qui il suggerimento sembra offerto da Aesch. Cho. 86: twvSe aù(i|3ouXoi rapi.. E' stucchevole persino la frequenza di xolì (vv. 4, 7, 15, 16).

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