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Anatomia Di Un Delitto PDF

238 Pages·2007·1.16 MB·Italian
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JEFFERSON BASS ANATOMIA DI UN DELITTO (Flesh And Bone, 2007) In memoria dell'agente Ben Bohanan, 1976-2004 PARTE PRIMA 1 Nella pallida luce del mattino, il cancello di rete metallica della Fabbrica dei Corpi si aprì cigolando. Mentre un brivido mi correva lungo la schiena, presi mentalmente nota che i cardini andavano oliati. Ricordati, mi dissi in tono severo, come tutte le volte che avevo preso e poi smarrito lo stesso appunto mentale. Non era un problema di memoria, o almeno così mi piaceva credere. Semplicemente, ogni volta che raggiungevo l'Anthropology Research Facility - come la University of Tennessee preferiva chiamare la Fabbrica dei Corpi - per la testa avevo cose più interessanti dell'olio lubrificante; per esempio, l'esperimento che stavo per allestire col cadavere che si trovava nel pick-up guidato da Miranda. Era incredibile e insieme frustrante sapere che la Fabbrica dei Corpi era la sola struttura di ricerca al mondo dove si studiava in modo sistematico la decomposizione dei cadaveri. Come essere umano vanitoso e imperfetto, andavo abbastanza orgoglioso del fatto che la mia creazione fosse unica. Come antropologo forense, un «detective delle ossa» che aveva esteso il proprio campo d'azione per cercare indizi anche nella carne putrescente, aspettavo con ansia il giorno in cui sarebbe stato possibile confrontare i nostri dati sulla velocità di decomposizione nel clima temperato e piovoso del Tennessee con quelli raccolti da altre strutture di ricerca nel deserto basso di Palm Springs, nel deserto alto di Albuquerque, nella foresta pluviale dell'Olympic Peninsula o sui pendii alpini del Montana. Purtroppo, ogni volta che un collega stava per creare una Fabbrica dei Corpi in un ecosistema diverso, l'università coinvolta si tirava indietro; e così rimanevamo unici, isolati e scientificamente soli. In venticinque anni, i miei studenti e io avevamo sistemato centinaia di cadaveri per studiarne la decomposizione in tutte le situazioni possibili. Buche più o meno profonde, buche piene d'acqua, buche coperte di calcestruzzo. Edifici climatizzati, edifici riscaldati, verande. Autocarri, sedili posteriori, roulotte. Corpi nudi, corpi vestiti di cotone, corpi con indumenti di poliestere, corpi avvolti nella plastica. Ma non avrei mai pensato di allestire una scena raccapricciante come quella che Miranda e io stavamo per ricreare su richiesta di Jess Carter. Jess - la dottoressa Jessamine Carter - era il medico legale di Chattanooga, e da sei mesi esercitava la stessa funzione anche a Knoxville. Era stata promossa, se così si poteva dire, per un colossale errore commesso dal locale medico legale, il dottor Garland Hamilton. Durante un'autopsia indegna di essere definita tale, Hamilton aveva sbagliato completamente nel determinare la causa della morte, scambiando un taglio superficiale per una «ferita letale» e facendo accusare di omicidio un innocente. Quando il suo errore era venuto a galla, Hamilton era stato sospeso; con tutta probabilità, l'autorità competente gli avrebbe tolto anche l'abilitazione alla professione medica. Per il momento, nell'attesa di trovare un sostituto qualificato, le funzioni di Hamilton venivano svolte da Jess, che doveva percorrere centosessanta chilometri sulla I-75 da Chattanooga a Knoxville ogni volta che tra i boschi del Tennessee si verificava una morte violenta o misteriosa. Per lei, il tragitto non era poi una gran perdita di tempo. Con la sua Porsche Carrera rosso fiammante, di solito percorreva quei centosessanta chilometri in una cinquantina di minuti. Al primo agente della stradale che aveva osato fermarla aveva mostrato rapidamente il tesserino e fatto una bella ramanzina sull'urgenza della sua missione, poi era ripartita, lasciando l'uomo fermo sul bordo dell'interstatale. Una settimana dopo era stata fermata di nuovo e aveva vivisezionato verbalmente il povero agente, dopodiché aveva fatto una telefonata rovente al capo distrettuale della polizia stradale. Non c'era stata una terza volta. Jess aveva chiamato alle sei prima di partire, quindi, a meno che nell'ultima mezz'ora non avessero richiesto la sua presenza sulla scena di un omicidio a Chattanooga, in quel momento la sua Carrera sfrecciava verso Knoxville. Speravo solo di riuscire a sistemare il corpo prima del suo arrivo. Mentre Miranda faceva lentamente retromarcia, le luci del pick-up mi aiutarono a inserire la chiave nel lucchetto del cancello interno. Il cancello faceva parte di una palizzata alta due metri e mezzo, eretta per i coyote e le persone deboli di stomaco o troppo curiose. All'inizio avevamo solo la recinzione di rete metallica, ma dopo un paio d'anni, diverse lamentele e qualche intruso in cerca di emozioni forti, avevamo sistemato del filo spinato in cima alla rete metallica e aggiunto la barriera di legno che correva per circa ottocento metri lungo tutto il perimetro della Fabbrica. I più agili e determinati potevano ancora arrampicarsi e dare un'occhiata all'interno, ma ci dovevano mettere un grande impegno. Il lucchetto si aprì con uno scatto. Liberai un'estremità della catena e cominciai ad aprire il cancello verso l'interno. La catena scorse rumorosamente attraverso il buco in cui era infilata, come uno spaghetto metallico risucchiato con gusto. Nelle fauci della morte, pensai. È una metafora bizzarra o solo un'immagine orribile che dovrei tenere per me? Mentre tenevo il cancello aperto, Miranda imboccò lo stretto passaggio con facilità, come se effettuasse tutti i giorni consegne all'ingresso di servizio della morte. In effetti era così. Grazie a diversi documentari televisivi e a un telefilm famoso come CSI - di cui avevo guardato, incredulo, solo una puntata - negli ultimi tre anni avevamo ricevuto una quantità di corpi donati alla scienza. La lista d'attesa, cioè la lista dei vivi che ci avevano già promesso le loro membra, conteneva ormai un centinaio di nomi: presto non avremmo più avuto posto. In realtà, era già difficile fare un passo senza inciampare in un corpo o posare il piede in un punto viscido per la decomposizione di qualche cadavere. Circa la metà dei corpi veniva sistemata all'aperto solo per ottenere lo scheletro; era molto più facile lasciare che il tempo, i batteri e soprattutto gli insetti facessero il lavoro sporco e separassero la carne dalle ossa. Grazie alla straordinaria capacità di riciclaggio della natura, alla fine noi della Fabbrica dovevamo solo raschiare e deodorare le ossa, effettuare misurazioni dettagliate, inserire i risultati nel database e aggiungere lo scheletro alla nostra raccolta. Ormai la University of Tennessee possedeva la collezione più importante del mondo di scheletri moderni di età, razza e sesso conosciuti; collezione che, oltre a essere motivo di vanto, rappresentava un'enorme fonte di dati per gli scienziati forensi che dovevano identificare lo scheletro di una persona assassinata. Il corpo nel cassone del pick-up, però, non avrebbe semplicemente fornito un nuovo scheletro per la collezione. Ci avrebbe aiutato a sciogliere un importante quesito. Ogni anno, circa cinquanta corpi venivano usati per i progetti di ricerca del dipartimento e degli studenti, progetti solitamente volti ad analizzare le variabili che influivano sulla velocità di decomposizione. Uno degli ultimi esperimenti, per esempio, aveva permesso di dimostrare che le persone morte subito dopo una chemioterapia si decompongono molto più lentamente dei corpi che avevo cominciato a considerare «biologici» o «naturali al cento per cento». In altre parole, la chemioterapia causa una specie di imbalsamazione ante mortem, il che non è confortante. Quando Miranda ebbe liberato il passaggio, richiusi il cancello e infilai di nuovo la catena, lasciando il lucchetto aperto in modo che, una volta arrivata, Jess potesse entrare. Miranda uscì dall'abitacolo, si spostò dietro il pick-up e aprì il cassone con movimenti lenti, quasi delicati, che si addicevano perfettamente alla pace mattutina. Era presto; quelli del turno di giorno dovevano ancora raggiungere il vicino parcheggio, quindi si sentiva solo il rumore lontano del traffico sulla Alcoa Highway, circa un chilometro e mezzo a ovest dell'ospedale. Il Tennessee si stava svegliando dolcemente. L'alito formava nuvolette bianche nell'aria frizzante di inizio marzo. Dai cadaveri più recenti esalavano strani vapori; ovviamente non si trattava di fiato né di calore residuo: erano le migliaia di larve che stavano banchettando con la carne. Per qualche ragione, ero contento di sapere che organismi generalmente considerati a sangue freddo sviluppano calore quando si cibano. In campo scientifico, distinzioni nette come quella tra «animali a sangue caldo» e «animali a sangue freddo» raramente funzionano. Mi chiesi se lo sviluppo di calore fosse dovuto alle reazioni chimiche che avvengono nell'apparato digerente delle larve o ai processi per la produzione dell'energia necessaria ai muscoli. Forse un giorno avrei svolto una ricerca sull'argomento. Le querce e gli aceri che crescevano lungo il fianco della collina stavano mettendo le foglie. Tra i rami cinguettavano passeri e fringuelli; due scoiattoli giocavano su un pino alto una trentina di metri, rincorrendosi su e giù per il tronco. In effetti la vita abbondava nella Fabbrica dei Corpi. Bastava guardare oltre i cadaveri - un centinaio in tutto - sistemati qua e là in condizioni più o meno pietose. Per un attimo Miranda e io rimanemmo in silenzio, ascoltando il canto degli uccelli e godendoci la luce dorata del mattino. Quando uno scoiattolo cominciò a rimproverare l'altro per aver infranto qualche regola del gioco, Miranda sorrise e si girò verso di me. Il suo sorriso mi colse alla sprovvista e mi stordì come un inatteso colpo in testa. Miranda Lovelady era la mia assistente ormai da quattro anni. Lavoravamo bene insieme. In laboratorio, mentre esaminavamo le ossa di persone assassinate o morte in incidenti stradali, comunicavamo in silenzio, in modo quasi telepatico, e i nostri movimenti sembravano spesso parte di una coreografia. Da qualche tempo, però, temevo di aver superato un'invisibile linea di confine con lei, di averle permesso di affezionarsi troppo o forse di essermi affezionato troppo. Sebbene tecnicamente fosse ancora una studentessa, Miranda non era certo una ragazzina; ormai aveva ventisei anni ed era una donna intelligente e sicura di sé. L'università era piena di professori che frequentavano o avevano frequentato qualcuna delle loro protette. Ma io avevo trent'anni più di Miranda; al momento, forse, la differenza d'età le sembrava accettabile, ma prima o poi avrebbe sicuramente cambiato idea. No, io ero il suo mentore e forse anche un amico, ma niente di più. Era meglio così per entrambi. Mi avvicinai al cassone del pick-up e presi un paio di guanti in nitrile viola, sforzandomi di concentrare di nuovo il pensiero sull'esperimento che dovevamo allestire. «Jess - la dottoressa Carter - arriverà tra poco. Troviamo un albero adatto e cominciamo a legare il nostro amico.» «Ah, la dottoressa Carter.» Miranda fece un largo sorriso. «In effetti, lei mi sembrava un po' nervoso. È intimidito o infatuato?» Scoppiai a ridere. «Probabilmente tutt'e due le cose. È una tipa tosta e intelligente. E poi è simpatica e piacevole da guardare.» «Verissimo. Senza dubbio la terrebbe sveglio. È ora di trovare qualcuno che lo faccia.» Lo sapevo fin troppo bene. Dopo quasi tre decenni di matrimonio, mia moglie Kathleen se n'era andata per un cancro. Era stato un duro colpo, ma a più di due anni dalla sua morte stavo cominciando a riprendermi. In autunno, avevo provato di nuovo interesse e desiderio quando una studentessa, agendo in modo impulsivo, mi aveva baciato. Era un ricordo davvero imbarazzante. Per fortuna o purtroppo, mentre la ragazza mi baciava, sulla porta del mio ufficio era apparsa Miranda. Dopo quel bacio sconveniente ma memorabile avevo invitato a cena una donna più vicina alla mia età: la dottoressa Carter. Jess aveva accettato l'invito, ma all'ultimo momento era stata costretta ad annullare l'appuntamento per recarsi sulla scena di un omicidio a Chattanooga. Non avevo più trovato il coraggio d'invitarla a uscire, ma l'idea mi sfiorava ogni volta che i nostri casi - i suoi cadaveri freschi e i miei ormai stagionati - si sovrapponevano e ci mettevano in contatto. Miranda mi riportò al presente. «Lo dobbiamo legare a un albero particolare?» «Credo di no, comunque la vittima era legata a un pino e qui ne abbiamo parecchi. Possiamo ricostruire la scena in modo realistico. Non ci costa niente.» Indicai l'albero dove si rincorrevano i due scoiattoli. «Che ne dici di quello?» Miranda scosse la testa, poi aggrottò la fronte. «No, non va bene. Mi sembra troppo... esposto. Entrando, le guardie del campus e i ricercatori ospiti vedrebbero subito quest'esperimento e potrebbero non sopportare un simile spettacolo.» Giusta osservazione: un punto a favore. «E poi, se non sbaglio, la vittima è stata trovata nel folto del bosco.» Un altro punto a suo favore. «Sì, è stata trovata nella Prentice Cooper State Forest. Si estende lungo la gola del fiume Tennessee, subito a valle di Chattanooga. È una zona selvaggia.» Indicai un pino che cresceva più in alto sul fianco della collina, vicino al confine della Fabbrica. «Quello ti sembra abbastanza isolato?» «Sì, direi che va meglio. Dovremo faticare un po' per trasportarlo fin lassù. Ma l'esercizio fisico fa bene.» «Quello che non uccide fortifica?» «Già», replicò Miranda, poi tirò fuori la lingua. Ci piegammo in avanti all'unisono, afferrammo le cinghie cucite ai lati del sacco nero per cadaveri e tirammo sino a farlo sporgere di circa trenta centimetri dal cassone del pick-up. «Pronta?» chiesi. «Pronta.» Afferrammo anche le cinghie fissate a circa due terzi del sacco e lo tirammo fuori lentamente. Il cadavere non era leggero: pesava un'ottantina di chili, come la vittima dell'omicidio che ci apprestavamo a ricreare. Riproducendo fedelmente il crimine - cadavere dello stesso peso, stesse ferite, stessi indumenti e stessa posizione - avremmo potuto stabilire con una certa precisione quanto tempo era trascorso dalla morte e facilitare le indagini della polizia. Dopo una quindicina di metri su per il fianco della collina stavo già sudando nell'aria fredda del mattino. Trasportare il corpo era faticoso anche per Miranda, ma sapevo che avrebbe preferito cadere stecchita piuttosto che lamentarsi. Nessun problema, l'avrei fatto io per entrambi. «Per caso ci hai ripensato? Vuoi cambiare albero?» domandai. «Forse sarebbe meglio.» «No», grugnì lei, stringendo i denti e scuotendo la testa. «Okay», mormorai col fiato corto. «Sei tu il capo. Se tiro le cuoia prima di arrivare in cima, usa il mio corpo per qualche esperimento eccezionale.» «Con piacere.» Ci fermammo due volte per riprendere fiato e asciugarci la fronte, ma non servì a molto. Quando arrivammo in cima, stavamo praticamente trascinando il cadavere. Mentre aprivo la cerniera che correva su tre lati del sacco, però, mi resi conto che in effetti quel pino isolato era il più adatto per l'esperimento. Avevamo preparato il corpo all'obitorio, quindi sapevo cosa aspettarmi, eppure ebbi un leggero sobbalzo quando aprii il sacco, scoprendo il cadavere. La parrucca bionda era scivolata sul volto, nascondendo gran parte del trauma che io stesso avevo provocato, ma ciò che si vedeva era impressionante. Secondo Jess, la vittima aveva riportato numerose fratture dovute a un violento trauma facciale. Probabilmente l'arma era una mazza da baseball, un tubo di metallo o qualcosa di simile; un oggetto più piccolo, per esempio una chiave inglese, avrebbe lasciato segni più netti e distintivi sull'osso. Non riuscendo a colpire con tanta violenza il cadavere scelto per l'esperimento, avevo tagliato gli archi zigomatici e la mascella inferiore in diversi punti con una sega per autopsia, poi avevo distribuito una generosa quantità di sangue sulla pelle del viso per simulare l'emorragia causata da un simile trauma peri mortem. Miranda, che nell'arte del trucco era senz'altro più brava di me, aveva applicato una base, poi il fard, un ombretto viola e un paio di lunghe ciglia finte. Probabilmente il trucco non avrebbe influito in nessun modo sulla velocità di decomposizione, ma non volevo inserire variabili superflue nell'equazione. Trovare un corsetto di pelle da stringere intorno al busto del cadavere era stato molto più facile del previsto. Meno di ventiquattr'ore prima, Miranda aveva effettuato qualche ricerca con Google e navigato in rete per cinque minuti, poi aveva chiesto la mia carta di credito dell'università. «Fatto», aveva annunciato poco dopo. «Grazie a Naughty&Nice.com e all'efficiente servizio First Overnight di FedEx, domani mattina alle sei avremo un bel bustier extralarge.» I

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