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Siamo fottuti PDF

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471 Titolo originale: Everything Is F*cked Copyright © 2019 by Mark Manson Traduzione dall’inglese di Sofia Buccaro Prima edizione ebook: settembre 2019 © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma ISBN 978-88-227-3666-6 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Librofficina Mark Manson Siamo fottuti Ma forse c’è ancora una speranza Indice Parte prima. La speranza Capitolo 1. La Scomoda Verità Capitolo 2. L’illusione dell’autocontrollo Capitolo 3. Le leggi dell’emozione di Newton Capitolo 4. Come realizzare tutti i tuoi sogni Capitolo 5. La speranza fa schifo Parte seconda. Siamo fottuti Capitolo 6. La formula dell’umanità Capitolo 7. La costante universale è il dolore Capitolo 8. L’economia delle sensazioni Capitolo 9. La religione finale Note Ringraziamenti Per Fernanda, ovviamente Parte prima LA SPERANZA Capitolo 1 La Scomoda Verità Su un fazzoletto di terra nella monotona campagna dell’Europa centrale, tra i depositi di un’ex caserma militare, sarebbe sorto il centro di un male geograficamente concentrato, il più cupo e feroce che il mondo avesse mai visto. Nell’arco di quattro anni vi saranno smistate, schiavizzate, sistematicamente torturate oltre 1,3 milioni di persone, il tutto in un’area poco più grande di Central Park. E nessuno muoverà un dito per impedirlo. A parte un uomo. È materia per favole e fumetti: un eroe si getta a capofitto nella bocca dell’inferno per affrontare una potente manifestazione del male. Le probabilità che vinca sono pari a zero. Le motivazioni risibili. Eppure il nostro eroe fantastico non vacilla mai, non tentenna mai. A testa alta ammazza il drago, sgomina i demoni invasori, salva il pianeta e magari pure una o due principesse. E per un po’ si accende la speranza. Questa però non è una storia di speranza. In questa storia va tutto a puttane. A un livello che oggigiorno, con il comfort del nostro Wi-Fi gratuito e dei plaid con le maniche, non possiamo neanche immaginare. Witold Pilecki era un eroe di guerra già prima di infiltrarsi ad Auschwitz. Da giovane era stato decorato al valor militare per il servizio svolto nella guerra sovietico-polacca del 1918. Aveva preso i comunisti a calci nelle palle prima ancora che gran parte della gente scoprisse chi erano quei bastardi dei rossi. Dopo la guerra, Pilecki si era trasferito nella campagna polacca, aveva sposato una maestra e ci aveva fatto due figli. Gli piaceva andare a cavallo, indossare cappelli stravaganti e fumare il sigaro. Una bella vita semplice. Poi arrivò Hitler, e prima che la Polonia riuscisse a infilarsi tutti e due gli scarponi, i nazisti avevano già invaso metà del Paese. In poco più di un mese la Polonia perse le sue terre. Non fu esattamente una lotta ad armi pari: mentre i nazisti invadevano a occidente, a est arrivava l’invasione sovietica. Era come trovarsi tra due fuochi… da un lato c’era uno sterminatore megalomane che voleva conquistare il mondo e dall’altro un implacabile eccidio senza senso. Ancora non ho ben capito cosa era peggio, tra i due. In effetti all’inizio i sovietici erano ancora più brutali dei nazisti. Ormai erano esperti in questa storia del “rovesciamo un governo e sottomettiamo la popolazione alla nostra ideologia scriteriata”. Quanto ad ambizioni imperialistiche, i nazisti invece erano ancora degli sbarbatelli (se si pensa ai baffetti di Hitler, non è difficile da immaginare). Si calcola che nei primi mesi del conflitto i soviet abbiano rastrellato oltre un milione di cittadini polacchi per spedirli a est. Pensaci un attimo. Un milione di persone sparito nel giro di qualche mese. Alcuni camminarono senza sosta fino ai gulag siberiani, altri furono rinvenuti a decenni di distanza in fosse comuni. Alcuni corpi non sono ancora stati ritrovati. Pilecki combatté sia contro i tedeschi sia contro i sovietici. E dopo aver perso, assieme ad altri ufficiali polacchi organizzò a Varsavia un gruppo di resistenza clandestina. Si autoproclamarono l’Esercito segreto polacco. Nella primavera del 1940, l’Esercito segreto polacco venne a sapere che in un paesino remoto nel sud della Polonia i tedeschi stavano costruendo un imponente campo di prigionia che avevano chiamato Auschwitz. Entro l’estate dello stesso anno, migliaia di ufficiali e illustri cittadini polacchi sparirono dalla Polonia occidentale. All’interno della resistenza iniziò a farsi largo il timore che a ovest si stesse svolgendo lo stesso internamento di massa eseguito a est dai soviet. Pilecki e i suoi compagni sospettavano che le scomparse avessero qualche legame con Auschwitz, una prigione grande quanto un paesello, e che molto probabilmente vi fossero già recluse migliaia di ex soldati polacchi. Fu a quel punto che Pilecki si offrì di infiltrarsi ad Auschwitz. All’inizio si trattava di una missione di salvataggio: l’uomo si sarebbe fatto arrestare e, una volta arrivato laggiù, assieme ad altri soldati polacchi avrebbe organizzato e coordinato una rivolta per evadere dal campo di prigionia. Una missione talmente suicida che tanto valeva che chiedesse al suo comandante l’autorizzazione di bersi un secchio di candeggina. I superiori lo presero per pazzo, e glielo dissero senza mezzi termini. Ma col passare delle settimane la situazione non fece che aggravarsi: sparirono migliaia di eminenti polacchi, e per la rete di spionaggio degli Alleati Auschwitz restava un’enorme incognita. Non avevano idea di cosa succedesse là dentro e le possibilità di scoprirlo era ben poche. Alla fine i superiori di Pilecki cedettero. Una sera, a un controllo di routine a Varsavia, Pilecki si fece arrestare dalle SS per aver infranto il coprifuoco. Ben presto si ritrovò in viaggio per Auschwitz, l’unico uomo – che si sappia ‒ a essere entrato volontariamente in un campo di concentramento nazista. Una volta arrivato, scoprì che quanto accadeva ad Auschwitz andava ben oltre i peggiori sospetti di chiunque. I prigionieri venivano fucilati quotidianamente mentre stavano in fila per l’appello, per minime infrazioni come un fremito di dita o una postura non retta. Venivano sottoposti a estenuanti lavori forzati. Gli uomini si ammazzavano di lavoro nel vero senso della parola, svolgendo mansioni spesso inutili o senza senso. Nel solo primo mese che Pilecki trascorse ad Auschwitz un buon terzo degli uomini con i quali condivideva la camerata morì di stenti, polmonite o fucilata. Ciononostante, entro la fine del 1940, Pilecki, il nostro supereroe cazzuto, riuscì a mettere in piedi un’operazione di spionaggio. Oh, Pilecki – campione, colosso in volo sull’abisso – come hai fatto a creare una rete di spionaggio nascondendo bigliettini nelle ceste della biancheria? Come hai fatto a costruire una radio a transistor degna di MacGyver con batterie rubate e pezzi di scarto, per poi trasmettere all’Esercito segreto polacco a Varsavia i piani per assaltare il lager? Come hai fatto a creare delle reti per far arrivare di nascosto cibo, medicine e vestiti per i prigionieri, salvando così innumerevoli vite umane e infondendo speranza nella desolazione del cuore umano? Che cosa ha fatto questo mondo per meritarti? In due anni Pilecki creò un gruppo di resistenza all’interno di Auschwitz: mise insieme una gerarchia di comando con tanto di soldati semplici e ufficiali, una rete logistica e canali di comunicazione con il mondo esterno. Il tutto all’insaputa delle guardie, per quasi due anni. L’obiettivo finale di Pilecki era fomentare una rivolta all’interno del lager. Con l’aiuto e il coordinamento dall’esterno, era convinto di riuscire a evadere, superare le SS a corto di uomini e liberare decine di migliaia di combattenti polacchi ben addestrati. Inviò piani e relazioni a Varsavia. Aspettò per mesi. Tirò avanti per mesi. Poi, però, arrivarono gli ebrei. Inizialmente a bordo di camion. Dopodiché ammassati in convogli ferroviari. Ben presto iniziarono ad arrivarne decine di migliaia, un’ondeggiante fiumana di persone a galla in un mare di morte e disperazione. Spogliate della dignità e dei propri averi, sfilavano come

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