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Winterreise. Viaggio invernale fra le rovine del moderno PDF

83 Pages·1984·2.665 MB·Italian
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AUGUSTO ILLUMINATI WINTERREISE VIAGGIO INVERNALE FRA LE ROVINE DEL MODERNO EDIZIONI DEDALO In copertina: Scena davanti al paese, di Paul Klee (1929). © 1984 Edizioni Dedalo spa, Bari Stampato in Bari dalla Dedalo litostampa spa A Veronica Il « viaggio invernale » 1 è gestione della per dita, percorre la zona di confine tra nostalgia ro mantica e fredda vertigine del moderno 2 I som • messi congedi liederistici 3 gravitano irresistibil mente sotto il segno nichilistico-messianico di Sa turno, signore dei viaggi e di produttivo inappaga mento 4• La dissoluzione del nesso fondamento-sog gettività è però passibile di differenti interpretazio ni e comporta alternative filosofiche piuttosto aguzze. Quella che intendiamo mostrare è ben differente, per esempio, dalla contemporanea edi zione ermeneutica della « pappa del cuore » di hegeliana memoria, pur nel comune presupposto della crisi irreversibile della compattezza sintetico narrativa delle grandi ideologie ottocentesche. La forma del passaggio è costitutiva dell'espe rienza del moderno, mentre l'ideologia del passaggio, con il suo accento sui legami « deboli», non fa che riproporre una sistemazione narrativa del sapere, conciliando le contraddizioni, le asperità del tra passare, in una canzone da organetto. La forma del passaggio è quella di un processo senza finalità e senza soggetto: su questo scarto dalle rappre sentazioni « classiche » del reale si affacciano va- 7 rianti ontologiche alternative, si confrontano solu zioni idealistiche e materialistiche. Il testo dei classici è così sottoponibile a mol teplici e contrastanti riscritture, in ottemperanza a una pressione della realtà che rende parimenti inefficaci la pietà antiquaria e la compiacenza ermeneutica. Emergenze marxiane 1. Non serve lamentare che - nella cultura della sinistra in cui scrivente e presumibili lettori sono cresciuti - il testo di Marx sia stato propo sto come «sacro». Vale piuttosto la pena di trattarlo effettivamente come tale, cioè secondo quella « tradizione » che ha sempre prediletto - fra i due significati del latino tradere - più il versante del « tradimento » che quello del « tramandamento ». Molte letture e interpola zioni, dunque, senza dimenticare che a ciò auto rizza, innanzi tutto, il fatto che ogni grande testo, ma « soprattutto quello sacro », contiene fra le righe la propria traduzione virtuale, che insom ma, per dirla con la conclusione del saggio benjami niano sul compito del traduttore, « la versione in terlineare del testo sacro è l'archetipo o l'ideale di ogni traduzione», cioè del sommovimento del la propria lingua per effetto dell'intrusione di un modello altro. L'intersezione fra Marx e contesti post-marxiani non produce integrazioni ma effet ti di dislocazione, scaturigine di nuova ricerca che forzi i limiti dei linguaggi rispettivi. 2. Una prima emergenza del discorso mar- 8 xiano è il termine « lavoro ». Possiamo prenderlo all'estremo della sua produzione, nella Critica del programma di Gotha, che apre proprio con la de nuncia di un abuso: « Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natu ra è altrettanto la fonte dei valori d'uso (e di tali va lori consta appunto la ricchezza reale!) quando il la voro, che di per sé è soltanto l'estrinsecazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti gli abbecedari ed è giusta solo se si presuppone che il lavoro si esplica con gli og getti e con i mezzi che gli convengono. Ma un pro gramma socialista non deve indulgere a siffatte lo cuzioni borghesi tacendo le condiztoni che sole gli conferiscono un significato. Solo in quanto l'uomo si rapporta, sin da principio, da proprietario alla na tura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro e li tratta come cose di appartenenza, il suo lavoro diventa fonte di valori d'uso, dunque anche di ric chezza. I borghesi hanno ottime ragioni per attribui re al lavoro una soprannaturale forza creativa, poiché proprio dalla determinatezza naturale del lavoro ri sulta che l'uomo, possessore della forza-lavoro come sua unica proprietà, deve essere, in tutte le condizioni so ciali e culturali, schiavo degli altri uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali di lavoro. Egli può lavorare soltanto con il loro permesso, quin di vivere soltanto con il loro permesso». Ovviamente questo concetto di lavoro utile si fa valere soltanto '« nella società e attraverso la società » e quindi il reddito del lavoro appartiene interamente con eguale diritto a tutti i membri della società. Banalità, osserva pertinentemente Marx, ma non ininfluenti. Infatti il prodotto so ciale viene così ad appartenere alla « società » 9 e « al singolo lavoratore ne spetta tanto quanto non è necessario per mantenere la ' condizione ' del lavoro, la società ». Questo tipo di frasi non è soltanto inutile tautologia, ma viene fatto vale re sistematicamente « dai campioni del regime so ciale di ogni tempo » per legittimare le pretese del governo, dei suoi parassiti e dei diversi tipi di proprietari privati, insomma di tutte le « fon damenta della società ». Abbiamo qui una messa in evidenza spettaco lare quanto enigmatica dello scarto fra il pensato di Marx e ciò che a lui è attribuibile. Se per cer ti aspetti si tratta di una precisazione contro evi denti deformazioni lassalliane, per altri è piut tosto uno strappo interno a Marx stesso, un far luce su se stesso e perfino contro se stesso. Proposizioni come quelle citate mal si conver rebbero alla nozione di lavoro presente nell'Ideo logia tedesca, all'interno della categoria storico-ge nerale di « produzione della vita materiale», per cui la natura è un fondo, che opera nel suo pro prio modo ( cioè vincolando gli uomini a rappor ti limitati fra di loro nella stessa misura in cui l'identità fra uomo e natura è stretta). La stessa divisione del lavoro ha così uno svolgimento na turalistico ( divisione sessuale poi spontanea del lavoro, ecc.) e il potere della cooperazione socia le, nella misura in cui è « naturale » e non volon taria, si pone come potenza estranea. La storia uni versale (e dunque la «vera» società) risulta dal superamento dell'estraniazione e insieme dallo svi luppo delle forze produttive. Si tratta di elementi durevolmente acquisiti in Marx, ma che qui si pre sentano nella loro estrema unilateralità: la massi ma accentuazione delle forze produttive si coniuga 10 a una riduzione naturalistica del lavoro, dotata di potenziale iibernatiirliche Schopfungskraft 5 . Nella tarda Critica, invece, Marx denuncia l'ambiguità delle categorie generiche di lavoro » e « società», ne marca la complementarità a una « produzione in generale » e a una « storia in gene rale » che nel Capitale sono state decisamente ab bandonate. Non si tratta soltanto della critica al- 1' astrazione indeterminata e all'interpolazione in essa di contenuti borghesi, ma di un meccanismo alternativo - appena abbozzato - per rappre sentare il tetn,po storico nella pluralità delle 3torie e dei livelli della realtà. La produttività « soprannaturale » del lavoro ha senso soltanto come elemento dinamico di una storia universale e di una produzione generale, il cui soggetto è l'uomo e il cui fine l'estinguersi del le contraddizioni nella società senza classi, al ter mine di un progresso identificabile con lo svilup po delle forze produttive che fa saltare i limiti del modo di produzione capitalistico. Questa è una lettura possibile del corpo testuale marxia no ed è stata infatti quella corrente nella Seconda e Terza Internazionale - una lettura ben fonda bile in citazioni e connessioni ( così da rendere im praticabile qualsiasi ingenuo « ritorno a Marx). L'attacco che si muove nella Critica (e nelle suc cessive Glosse a VI agner) contro le generalizzazio ni e l'inevitabilità constatata della loro utilizzazio ne da parte di tutti i V orfechtern des jedesmaligen Gesellschaftszustand parla in tutt'altro senso, ma a prenderlo sul serio bisogna rassegnarsi a perdere le bella unità del corpus marxiano, ad ascoltarlo nella sua contraddittorietà e apertura. In questo consiste la profonda « inattualità » e « non con- 11 temporaneità di Marx nel suo tempo e rispetto a se stesso 6 • Ma qual è, in fondo, il senso della limitazione della categoria « lavoro »? Andiamo a vedere le Randglossen del 1879-80 al manuale di Wagner 7 • Difendendosi dalla « fantasia » di aver costruito un « sistema socialista», Marx nega di aver mai par lato della « sostanza sociale comune del valore di scambio » e di averla fatta consistere nel « la voro». Questa operazione cancellerebbe tutta la trattazione della forma di valore o la ridurrebbe al substrato-lavoro, facendone una « teoria del co sto » post-ricardiana. La differenza invece fra Marx e Ricardo sta proprio nell'essersi quest'ultimo oc cupato del lavoro come misura della grande.zza del valore, senza coglier~ (in assenza di elaborazione della forma-valore) lo scarto fra valore e prezzo di produzione. Marx non ha mai voluto prendere a soggetto il « valore » o il « valore di scambio » ( che ne è manifestazione fenomenica), bensì la merce: non un concetto ma un concreto ( « la forma più sem plice in cui si presenta il prodotto del lavoro nel l'attuale società, il prodotto in quanto merce»). La merce è insieme valore d'uso prodotto dal la voro utile {concreto) e portatrice del valore di scambio, che rinvia ovviamente al valore e al la voro astratto, al lavoro come dispendio di forza lavoro. Nel mondo plurale delle merci il valore d'uso è soltanto materializzazione (Vergegenstan dlichung) di lavoro umano, Verausgabung gleicher menschlicher Arbeitskraft; dal momento che que sta oggettività non si manifesta naturalmente, oc corre una specifica forma di valore che esprima il carattere sociale del lavoro nel suo modo differen- 12 ziale, adeguato a una particolare società. L'acces so diretto, naturalistico, alle categorie di « società » e « lavoro sociale » non fa allora che legittimare la perpetuità dello sfruttamento. La riprova è nel passo in cui Marx bolla l'u so sconsiderato della categoria « uomo »: il suo metodo analitico non parte dall'uomo, ma da un periodo economicamente dato della società, l'uomo in quanto tale non ha bisogni (le categorie non mangiano), l'uomo di una data società è determi nato da un processo sociale specifico, mediante rapporti pratici e successivamente linguistici e teoretici 8 Siamo qui ben lontani dall'apologia del • l'individuo tracciata nell'Ideologia tedesca 9 che da , un lato definiva esattamente l'individuo moder no nel contesto dell'indifferenza sociale dei rap porti mercificati, dall'altro faceva coincidere l' emancipazione e la riappropriazione delle relazio ni universali con lo sviluppo delle forze produtti ve. Il proletario - nella definizione ancora incer ta del rapporto di produzione - tende qui a figurare come Uomo, anche se l'essenza è già risol ta in relazioni. Nelle Glosse invece lo spostamento d'accento sulla coppia merce/forma dei rapporti di produzione rispetto a quella lavoro/ società ( ov vero: valore/sostanza sociale comune) è ben av vertibile. Il carattere « sociale » del prodotto del lavoro non risiede più in uno sfondo genericamen te cooperativo della produzione, bensì possiede una forma specifica: immediatamente comunita ria nella comunità primitiva, fondata sulla produ zione di valore d'uso per altri nella produzione di merci. Il carattere oggettivo della socialità del lavoro si presenta sempre mediato da forme stori che diverse di società e sulla categoria ~< uomo » non 13

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