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Verso la fine dell'economia: Apice e collasso del consumismo PDF

314 Pages·2013·2.44 MB·Italian
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Verso la fine dell'economia: apice e collasso del consumismo di Manuel Castelletti Pubblicato da Fuoco Edizioni in Smashwords * * * * * Copyright Fuoco Edizioni – http://www.fuoco-edizioni.it 1^ Edizione Giugno 2013 Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale. Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di tornare a Smashwords.com e acquistare la propria copia. Grazie per il rispetto al duro lavoro di questo editore. Indice Introduzione Parte I: “Lo stato dei fatti” I) L’ossessione per la crescita I I) La dipendenza dai combustibili fossili III) Il ruolo strategico delle materie prime minerarie IV) Pressione demografica, povertà ed urbanizzazione V) Un mondo da sfamare VI) La risorsa legno VII) L’acqua è sempre più scarsa VIII) La situazione ambientale non è più sostenibile IX) Riepilogando: undici “punti salienti” Parte II: “Verso la fine del sistema” I) Lotta per le risorse naturali II) Il potere del capitale III) L’economicizzazione del mondo IV) Collasso Parte III: “Decrescita, istruzioni per l’uso” Fonti dei dati e sitografia Bibliografia Pubblicazioni ed articoli scientifici Autore Introduzione Torna all’indice La recente crisi economica non sembra più avere fine. Tutto è iniziato nel luglio del 2007, quando negli Stati Uniti è scoppiata la bolla immobiliare dei mutui sub prime a causa di una scellerata corsa all’indebitamento dei cittadini americani che, sperando di ottenere facili guadagni dal continuo rialzo dei prezzi immobiliari, hanno contratto mutui per comprare la seconda o la terza casa. Nell’autunno del 2008 è fallito il colosso finanziario Lehman Borthers e quella che è seguita è una situazione di stallo a livello mondiale che, nonostante i massicci stimoli economici messi in campo dalle principali banche centrali, nessuno sa con precisione quando potrà dirsi superata. Ma questa crisi ha fatto emergere tutta la fragilità del nostro sistema economico e così ora dobbiamo fare i conti anche con la crisi del debito sovrano europeo e il rallentamento dell’economia cinese (che dipende fortemente dall’export in Europa e Nord America). Nel 2008 il prezzo di praticamente tutte le materie prime (dal petrolio alle derrate alimentari passando per le materie prime minerarie) si è impennato e nonostante il quadro macroeconomico sia fortemente peggiorato rispetto alla situazione pre-crisi, per molte materie prime siamo tornati ai massimi del 2008. E’ dai due grandi shock petroliferi degli anni Settanta che l’umanità si domanda se esiste una reale alternativa ai combustibili fossili, ormai destinati al totale esaurimento nel giro di qualche decennio, ma la risposta è che per ora tale alternativa non esiste. Petrolio, carbone e gas naturale contribuiscono alla produzione dell’87% dell’energia che viene prodotta sul nostro pianeta e le fonti rinnovabili difficilmente potranno far fronte alla crescente domanda di energia dovuta all’affacciarsi dei paesi emergenti sulla scenda mondiale (Cina, India, Brasile e Russia, ma anche Indonesia, Messico e Arabia Saudita). Le materie prime minerarie sono alla base dell’economia mondiale anche se esistono seri problemi legati alla sicurezza della loro fornitura perché i grandi produttori sono spesso paesi poco stabili dal punto di vista politico o intenzionati a massimizzare i vantaggi derivanti dalla posizione monopolistica per motivi geo- politici o per ottenere facili guadagni (come nel caso della Cina con le terre rare). L’acqua dolce è diventata una risorsa sovrasfruttata e in molte regioni del pianeta, nonostante la crescente domanda di acqua per irrigare i campi (il 70% dell’acqua viene destinata all’irrigazione), per usi industriali o civici, la quantità d’acqua pro- capite è destinata a calare, mentre sempre più persone non hanno accesso all’acqua potabile a causa del crescente inquinamento. Molti dei paesi che già ora non sono autosufficienti dal punto di vista alimentare sono quelli che nei prossimi anni vedranno maggiormente crescere la popolazione e quindi la necessità di importare ulteriore cibo, in un mondo in cui la superficie destinata all’agricoltura, pari a circa 1/3 delle terre emerse, per aumentare dovrà necessariamente passare dall’abbattimento delle ultime foreste del pianeta. L’Asia è il continente più dipendente dalle importazioni estere di cibo e con il recente aumento del reddito medio dei suoi abitanti abbiamo assistito a un vero e proprio boom della domanda mondiale di prodotti di origine animale, con il risultato che è aumentata la superficie da destinare alla produzione di cereali e leguminose necessarie alla produzione di mangimi. Nel 2011 abbiamo raggiunto i 7 miliardi di abitanti e secondo i demografi, entro il 2025 il nostro pianeta dovrà fornire tutte le risorse naturali a mantenere lo stile di vita di un ulteriore miliardo di persone (mentre entro il 2050 avremo superato i 9 miliardi di abitanti). Ogni estate assistiamo al dramma dello scioglimento della banchisa dell’Artico, segno inequivocabile del fatto che ci stiamo avviando verso sconvolgimenti del clima che saranno epocali (l’avanzata della desertificazione, l’aumento dei fenomeni meteorologici estremi come siccità e inondazioni, lo scioglimento dei ghiacciai delle principali catene montuose e quindi la diminuzione della portata dei principali fiumi del pianeta fra le conseguenze più prevedibili). La principale causa di questo fenomeno è però da attribuirsi all’attività dell’uomo; infatti, ad ogni aumento del PIL mondiale si immettono nell’atmosfera ulteriori quantità di gas serra (anidride carbonica, metano, cluorofluorocarburi, eccetera), responsabili del riscaldamento del pianeta. Sempre a causa dell’attività dell’uomo stiamo assistendo alla repentina perdita della biodiversità, con l’allarmante esaurimento delle risorse ittiche degli oceani e i fragili ecosistemi tropicali sempre più a rischio. Infine, un altro effetto collaterale del nostro modello di sviluppo è rappresentato dagli inquinanti organici persistenti che – come nel caso delle diossine – si accumulano nella catena alimentare e comportano vere e proprie epidemie di tumori e altre gravi malattie. In un sistema economico basato sulla necessità di una costante crescita della produzione materiale è evidente che le sempre più acute crisi che si stanno abbattendo sull’umanità rischiano di portarci dritti verso il collasso. Oltre alla crisi economica, infatti, esiste anche una crisi agricola, energetica, delle materie prime minerarie, socio-demografica, delle risorse idriche e una crisi ambientale. Viviamo in un sistema socio-economico molto complesso e quindi tra le cause dell’attuale crisi economica c’è anche la crisi ambientale, perché l’eccessivo sfruttamento e il rapido deperimento delle risorse naturali ha portato all’aumento del prezzo degli input e quindi a un rallentamento della crescita della produzione materiale. Crisi ambientale che a sua volta dipende dal continuo aumento della popolazione e della povertà (in termini assoluti), che hanno aumentato le pressioni per l’accaparramento delle sempre più scarse risorse del pianeta. Esiste una forte interdipendenza tra le varie crisi che stiamo vivendo. Ma alla radice delle innumerevoli crisi che si stanno abbattendo sull’umanità sembra esserci il comportamento dell’homo oeconomicus, ovvero quella “razionale stupidità” che ha portato ogni singolo attore del sistema economico – individui, imprese e stati – ad agire nel proprio interesse secondo valori prettamente economici (legati alla massimizzazione dell’accumulo di ricchezza). Perché quando i valori economici diventano preponderanti, come già teorizzava Aristotele, si arriva alla disgregazione e quindi alla fine della società. La tragedia dei beni comuni (la natura è patrimonio dell’umanità) nasce dalle scelte razionali dei singoli che per il proprio interesse arrecano danno alla collettività. Ma le perverse logiche del sistema consumista hanno finito per soggiogare anche l’uomo che, trovandosi in un perenne stato di insoddisfazione perché costretto a rincorrere le illusorie promesse della pubblicità – la più efficace delle leve del sistema produttivo –, è costretto svendere il proprio tempo e le proprie energie in cambio di una vacua felicità che durerà giusto il tempo in cui la prossima moda o trovata tecnologica avrà superato ciò che ci è costato così tanta fatica. Forse non tutto è perduto, anche se il cambiamento non potrà che venire da un radicale rovesciamento dei valori correnti in grado di fermare la folle corsa alla sempre più efficiente e rapida razzia delle risorse naturali in nome dell’altrettanto sempre più veloce ed efficiente distruzione di esse. PARTE I “La stato dei fatti” Torna all’indice I L’ossessione per la crescita A) Rallenta la crescita mondiale ed aumenta il peso degli emergenti Il PIL – acronimo di Prodotto Interno Lordo –, occupa il posto d’onore di tutto il discorso economico in quanto essenza stessa dell’economia, ed è quindi la principale preoccupazione di governanti ed economisti. Si tratta di una misura, di un indicatore, che è stato messo appunto a metà del XX secolo dall’economista ed esperto di contabilità nazionale Simon Kuznets per poter valutare in modo preciso la ricchezza materiale di una nazione, ovvero il suo benessere. Dal punto di vista dell’offerta, il PIL è la somma algebrica del valore aggiunto in un dato periodo di tempo, ovvero una misura di ciò che viene prodotto (beni e servizi) al netto del costo dei materiali impiegati. Dal punto di vista della domanda, il PIL è una misura della spesa finale, ovvero della spesa per i consumi delle famiglie, per gli investimenti delle imprese e per la spesa pubblica (per consumi ed investimenti) dello stato. Infine, dal lato della distribuzione funzionale del reddito, il PIL è l’insieme di tutti i redditi, ovvero la remunerazione dei fattori produttivi che hanno concorso alla produzione materiale di beni e servizi. L’intera nostra società, attraverso le sue istituzioni (i governi centrali e gli enti locali, le banche centrali, le authority, i tribunali, le camere di commercio, eccetera) è progettata per favorire e stimolare la crescita, cioè lo sviluppo dell’economia. Da quando il termine PIL è diventato sinonimo di economia, è emerso chiaramente quale fosse lo scopo, il fine della nostra società (una società dominata dall’economia e dai suoi valori): ovvero la crescita del PIL – cioè una sempre maggiore produzione di beni e servizi. Nel 2009 abbiamo assistito ad una contrazione del PIL mondiale pari al 2,33%, ovvero alla prima battuta d’arresto del treno della crescita economica dal secondo dopoguerra ad oggi. A luglio del 2007, gli Stati Uniti, ovvero il paese più ricco al mondo, sono stati colpiti da quella che forse è stata la più grave crisi finanziaria di sempre, culminata con il fallimento a fine 2008 del gigante della finanza Lehman Brothers e tamponata dalle massicce iniezioni di liquidità delle banche centrali di tutto il mondo. Ma è importante notare come la recessione mondiale del 2009 ben si intersechi in un processo di lungo termine, ovvero nel graduale rallentamento della crescita economica mondiale, fenomeno iniziato con le tensioni legate al prezzo del petrolio degli anni Settanta (con i due shock petroliferi del 1973 e del 1979), ma sintomo anche di un’economia che sembra aver esaurito lo slancio iniziale legato all’applicazione su larga scala delle

Description:
Un sistema economico fondato sulla crescita illimitata della produzione sta spingendo l’intera umanità verso il collasso a causa dell’esaurimento delle risorse naturali del pianeta. A peggiorare l’attuale crisi economica concorrono tutta una serie di ulteriori crisi (energetica, agricola, del
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