ebook img

Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA CULTURE CIVILTÀ PDF

341 Pages·2017·8.64 MB·Italian
by  
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA CULTURE CIVILTÀ

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA CULTURE CIVILTÀ Ciclo XXIX Settore Concorsuale di afferenza: 14/B1 (Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche) Settore Scientifico disciplinare: SPS/02 (Storia delle dottrine politiche) GENEALOGIA DEL RADICALISMO NERO: IL PENSIERO POLITICO DELL’ABOLIZIONISMO NERO Presentata da: Lorenzo Ravano Coordinatore Dottorato Relatore Prof. Massimo Montanari Prof. Raffaele Laudani Esame finale 2017 2 INDICE Introduzione 5 Capitolo I Fondamenti teorici e concettuali del radicalismo nero 1. Introduzione: una critica della modernità 12 2. Modernità coloniale 19 3. Soggetto 29 4. Soggettività 43 5. Nazione 59 6. Tempo e Storia 65 7. Universalismo 69 Capitolo II La formazione dell’abolizionismo nero 1. Schiavitù e resistenza 72 2. Dentro la rivoluzione americana 95 3. Il movimento abolizionista inglese e la critica nera 125 Capitolo III Haiti: una rivoluzione abolizionista 1. La svolta di Haiti: discontinuità storiche e teorico-concettuali 161 2. L’aristocrazia della pelle 167 3. La costruzione della soggettività nera 186 4. L’impossibilità dello Stato postcoloniale 205 5. Indipendenza e sovranità 216 Capitolo IV Il movimento abolizionista afroamericano 1. Il modello ‘Haiti’ e le specificità dell’abolizionismo afroamericano 236 2. Soggettività e autonomia 239 3. Integrazione/separazione 267 4. Fuga 284 Conclusioni 292 Bibliografia 296 3 4 INTRODUZIONE Questa ricerca ricostruisce in chiave genealogica i fondamenti teorici e concettuali della cosiddetta tradizione radicale nera del XX secolo attraverso uno studio dell’abolizionismo nero. Più precisamente, proponiamo un’analisi del pensiero politico nato dalle lotte contro la schiavitù e il razzismo condotte da schiavi e neri liberi nello spazio transnazionale dell’Atlantico tra la seconda metà del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Intendiamo così dimostrare che i tratti fondamentali del pensiero radicale nero, che conosce la sua fase di maggiore elaborazione teoretica nel corso del Novecento, iniziano a emergere durante la stagione dell’abolizionismo nero. In particolare, la tradizione radicale nera è qui concepita come una critica straniante della modernità occidentale, che si pone cioè allo stesso tempo all’interno e all’esterno del discorso politico moderno. L’abolizionismo nero si articola infatti secondo un’appropriazione sovversiva del lessico e dei concetti politici moderni. La sua dimensione critica agisce così attraverso due linee costanti: lo sdoppiamento dei concetti, cioè il movimento di appropriazione e trasformazione del concetto, e la sovversione degli assetti spaziali della modernità, che si dà tramite la rottura della distinzione tra Stato e colonia, ossia tra lo spazio teoricamente uniforme e ordinato dello Stato moderno e gli spazi dominati dal potere coloniale, caratterizzati dall’istituzione della schiavitù e dalle gerarchie razziali. Sul piano metodologico, il lavoro si colloca nelle linee di ricerca inaugurate da Cedric J. Robinson e Paul Gilroy, tra i primi a interpretare la cultura politica dell’Atlantico nero come una critica della modernità occidentale1. Assumiamo specialmente lo sviluppo di 1 C.J. Robinson, Black Marxism: The Making of the Black Radical Tradition (1983), Chapel Hill, University of North Carolina Press, 2000; P. Gilroy, The Black Atlantic. L’identità nera tra modernità e doppia coscienza (1993), Roma, Meltemi, 2004. Come ha sottolineato Robin D.G. Kelley (Forward, in C.J. Robinson, Black Marxism, cit., pp. XIX e ss.), pur essendo partiti da diverse prospettive – il primo da una revisione critica del marxismo europeo, il secondo dal dibattito sul postmoderno e dalla specifica declinazione da esso assunta in Gran Bretagna all’interno dei cosiddetti studi culturali e postcoloniali –, Robinson e Gilroy hanno infatti posto il medesimo problema teorico e metodologico. Sull’influenza storiografica della categoria di «Atlantico nero» cfr. L. Di Fiore, M. Meriggi, World History. Le nuove rotte della storia, Roma-Bari, Laterza, 2011; M. Battistini, Un mondo in disordine: le diverse storie dell’Atlantico, in «Ricerche di storia politica», n. 2, 2012, pp. 173-188. Più in generale sulla storia atlantica come disciplina cfr. invece B. Bailyn, Storia dell’Atlantico (2005), Torino, Bollati Boringhieri, 2007; J.P. Greene, P.D. Morgan (eds), Atlantic History: A Critical Appraisal, Oxford-New York, Oxford University, 2009. 5 quelle prospettive proposto da Anthony Bogues, che mira a leggere la tradizione radicale nera da un punto di vista più strettamente teorico-concettuale2. Infatti, sebbene stia crescendo la letteratura sul pensiero politico prodotto da schiavi e neri liberi3, manca ancora uno studio sistematico dell’abolizionismo nero come momento di formazione del pensiero radicale nero, e della sua peculiare dimensione critica. Coniugando le innovazioni storiografiche degli studi atlantici e degli studi post-coloniali con il metodo della storia dei concetti, la nostra ricerca intende appunto fornire un contributo in quella direzione. Mostreremo così che il pensiero politico dell’abolizionismo nero costituisce un archivio particolarmente produttivo per ridefinire i fondamenti concettuali della modernità oltre la dimensione eurocentrica che ancora caratterizza la Storia delle dottrine politiche, tradizionalmente concentrata sullo studio dei classici del pensiero occidentale. Oltre a ridefinire le coordinate spaziali del pensiero politico moderno, l’oggetto della nostra ricerca implica anche il confronto con diverse tipologie di fonti, solitamente considerate come minori o del tutto ininfluenti sul piano della teoria politica. Specialmente nella fase abolizionista, il pensiero nero non si dà, infatti, nella forma del trattato politico o dell’opera più marcatamente filosofica, ma attraverso diversi strumenti: dalle petizioni alle autobiografie, dai proclami militari ai regolamenti amministrativi, dai pamphlet di protesta ai discorsi rilasciati durante i comizi e le assemblee abolizioniste, dai manifesti più propriamente politici alla stampa, dalla letteratura (romanzi, racconti brevi, poesie) alle canzoni degli schiavi. Essendo il prodotto diretto della lotta politica, queste fonti non manifestano sempre un immediato obiettivo teorico. Chi scrive o parla intende piuttosto influenzare scelte e convinzioni politiche, mobilitare un soggetto all’azione o governare una comunità. Tuttavia, queste fonti comunicano un pensiero politico, tanto in modo implicito quanto esplicito. 2 A. Bogues, Black Heretics and Black Prophets, New York, Routledge, 2003; Id., And What About the Human? Freedom, Human Emancipation, and the Radical Imagination, in «Boundary2», vo. 39, n. 3, 2012, pp. 29-46; Id., La tradizione del radicalismo nero e la politica dell’umano: riflessioni su una politica radicale per il nostro tempo, in «Acoma», n. 9, 2015, pp. 124-135. Su questa linea metodologica cfr. anche L.R. Gordon, Existentia Africana: Understanding Africana Existential Thought, New York, Routledge, 2000; P. Henry, Caliban’s Reason: Introducing Afro-Caribbean Philosophy, New York, Routledge, 2000; D. Scott, Conscripts of Modernity: The Tragedy of Colonial Enlightenment, Durham, Duke University Press, 2004. 3S. Fisher, Modernity Disavowed. Haiti and the Cultures of Slavery in the Age of Revolution, Durham, Duke University Press, 2004; L. Dubois, A Colony of Citizens. Revolution and Slave Emancipation in the French Caribbean, 1787-1804, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 2004; M. Sinha, The Slave’s Cause. A History of Abolition, New Haven, Yale University Press, 2016; J. Gaffield (ed. by), The Haitian Declaration of Independence. Creation, Context, and Legacy, Charlottesville-London, University of Virginia Press, 2016. Sulla necessità d’integrare il pensiero politico nero nella storiografia sul mondo atlantico cfr. L. Dubois, An Enslaved Enlightenment: Rethinking the Intellectual History of the French Atlantic, in «Social History», vol. 31, n. 1, 2006, pp. 1-14. 6 Specialmente le autobiografie, i manifesti politici e le opere più letterarie sono intenzionalmente adottate per sviluppare un ragionamento teorico. Dal punto di vista della periodizzazione, sebbene la resistenza alla schiavitù sia antica quanto l’istituzione stessa, è solo dalla seconda metà del Settecento che inizia a formarsi ciò che qui definiamo come abolizionismo nero. Gran parte della storiografia contemporanea, anche se da posizioni differenti, tende a distinguere due lunghe fasi dei movimenti antischiavisti: una prima fase, dalla metà del Cinquecento alla metà del Settecento, che ha visto la nascita in Europa e nelle Americhe di varie critiche morali alla schiavitù, diversamente ispirate dall’universalismo cristiano (cattolico e protestante) o illuministico; e una seconda fase, più propriamente abolizionista, iniziata con la cosiddetta età delle rivoluzioni (1770-1848) e terminata con la guerra civile americana e la fine della schiavitù a Cuba (1886) e in Brasile (1888). Durante questo periodo, diversi movimenti abolizionisti transatlantici, grazie a determinate congiunture economiche e politiche e sulla spinta delle continue rivolte degli schiavi, hanno contribuito a determinare la fine della tratta atlantica e dell’istituzione della schiavitù4. La scelta di proporre una genealogia della tradizione radicale nera dalla fine del Settecento si basa solo in parte su questa periodizzazione. Come ha scritto Robin Blackburn, una distinzione netta tra un generale antischiavismo morale e un abolizionismo politico ha senso solo in relazione alle élite europee e americane, spesso orientate da convinzioni religiose e filosofiche o da interessi economici e politici parzialmente o totalmente estranei alle motivazioni e alle finalità degli schiavi e dei neri liberi5. Non vogliamo con ciò negare né la natura interrazziale dei movimenti abolizionisti6 né il fatto che solo una 4 D. Brion Davis, Il problema della schiavitù nella cultura occidentale (1966), Torino, Società Editrice Internazionale, 1971; Id., The Problem of Slavery in the Age of Revolution, 1770-1823 (1975), Ithaca, Cornell University Press, 1999; R. Blackburn, The Overthrow of Colonial Slavery 1776-1848, New York, London, Verso, 1988; Id., The American Crucible. Slavery, Emancipation and Human Rights, New York, London, Verso, 2011. Cfr. anche N. Schmidt, L’abolition de l’esclavage. Cinq siècles de combats XVIe- XXe siècle, Paris, Fayard, 2005; C.L. Brown, Moral Capital. Foundations of British Abolitionism, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 2006. Per una ricostruzione del dibattito storiografico su schiavitù e abolizionismo cfr. anche O. Prété-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 205-252; P. Delpiano, La schiavitù in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2008; G. Turi, Schiavi in un mondo libero. Storia dell’emancipazione dall’età moderna a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2012. Sulla dimensione internazionale dell’abolizionismo anglo-americano e francese cfr. J.R. Oldfield, Transatlantic Abolitionism in the Age of Revolution. An International History of Anti-slavery, c. 1787-1820, Cambridge, Cambridge University Press, 2013. 5 R. Blackburn, The Overthrow, cit., pp. 35-36. Sulla scorta del lavoro pionieristico di C.L.R James (I giacobini neri. La prima rivolta contro l’uomo bianco, 1938, Roma, DeriveApprodi, 2006) e seguendo le indicazioni già presenti nel lavoro di Eugene Genovese (From Rebellion to Revolution: Afro-American Slave Revolts in the Making of the Modern World, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1979), Blackburn ha in particolare posto l’accento sulla centralità della rivoluzione di Haiti nel processo di abolizione in tutto l’Atlantico. 6 M. Sinha, The Slave’s Cause, cit., p. 9. 7 complessità di fattori di ordine economico, culturale e politico hanno reso concepibile e realizzabile l’eliminazione di un’istituzione esistita nella maggior parte delle civiltà7. Piuttosto, è necessario stabilire altri criteri per definire la categoria di ‘abolizionismo nero’ che, appunto, vuole identificare un pensiero politico nato dal basso, cioè da chi ha fatto esperienza della schiavitù e del razzismo. Un pensiero che, rispetto alle diverse correnti dell’abolizionismo bianco, fa leva sulla razza per definire un soggetto politico unitario e si pone l’obiettivo principale dell’abolizione immediata della schiavitù e delle discriminazioni razziali da parte degli schiavi stessi. Anzitutto, come hanno suggerito Peter Linebaugh e Marcus Rediker, la nascita del progetto abolizionista deve essere collocata nei movimenti transatlantici e multirazziali di resistenza alle molteplici forme di lavoro non libero che hanno reso possibile la colonizzazione delle Americhe e lo sviluppo del capitalismo nella prima età moderna. La circolazione atlantica di merci, persone e idee è stata infatti costantemente accompagnata da scioperi, ammutinamenti, diserzioni, rivolte armate e cospirazioni messe in atto da marinai, carcerati, soldati, pirati, servi europei, schiavi africani e nativi americani8. Assumendo queste indicazioni, è inoltre possibile leggere l’affermarsi della struttura concettuale e argomentativa del pensiero politico moderno europeo anche come il frutto dei conflitti che hanno animato lo spazio atlantico. Lo sforzo di ripensare l’ordine come una costruzione artificiale e razionale del soggetto emerge, infatti, tanto 7 La tesi classica sulle cause economiche si deve a Eric Williams (Capitalismo e schiavitù, 1944, Bari, Laterza, 1971). Egli sosteneva che il successo dell’abolizionismo inglese doveva essere rintracciato nella convergenza tra il declino delle piantagioni nelle Indie occidentali, l’inizio della rivoluzione industriale e l’affermazione dell’economia politica classica. Una tesi in parte superata dalla storiografia successiva. In particolare, secondo Roger Anstey (Capitalism and Slavery: a Critique, in «The Economic History Review», 21, n. 2, 1968, pp. 314-319; Id., The Atlantic Slave Trade and British Abolition, 1760-1810, London, Macmillan, 1975), Williams non aveva dimostrato efficacemente la relazione tra la diminuzione della produttività delle piantagioni e l’abolizione. La spiegazione risiedeva quindi nella capacità dell’umanitarismo delle Chiese del Grande Risveglio di influenzare le decisioni del Parlamento. Tale critica ha trovato poi conferma nei lavori di Seymour Drescher. Egli ha dimostrato che l’abolizione coincise col momento di massima produttività delle piantagioni di zucchero (cfr. S. Drescher, Econocide: British Slavery in the Era of Abolition, Pittsburgh, The University of Pittsburgh Press, 1977, Id., Capitalism and Antislavery: British Mobilization in Comparative Perspective, New York, Oxford University Press, 1987). Cfr. anche D. Eltis, Economic Growth and the Ending of the Transatlantic Slave Trade, New York, Oxford University Press, 1987. Altra letteratura ha continuato a muoversi, seppur criticamente, nel solco del lavoro inaugurato da Williams. Cfr. T. Bender (ed.), The Antislavery Debate: Capitalism and Abolitionism as a Problem in Historical Interpretation, Berkeley, California University Press, 1992; D.B. Ryden, West Indian Slavery and British Abolition 1783-1807, New York, Cambridge University Press, 2009; J.E. Inikori, Africans and the Industrial Revolution in England: A Study in International Trade and Economic Development, Cambridge, Cambridge University Press, 2002. Per un bilancio storiografico cfr. H. Cateau, S.H.H. Carrington (eds), Capitalism and Slavery Fifthy Years Later: Eric Williams a Reassessment of the Man and his Work, New York, Peter Lang, 2000. 8 P. Linebaugh, M. Rediker, I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria (2000), Milano, Feltrinelli, 2004. Su questa linea, John Donoghue ha mostrato come l’origine dell’abolizionismo politico risieda nelle correnti radicali della Rivoluzione inglese (J. Donoghue, Fire under the Ashes: An Atlantic History of the English Revolution, Chicago, University of Chicago Press, 2013). 8 dalla crisi della mediazione della Chiesa cattolica e dalle guerre civili di religione quanto dalla scoperta delle Americhe. Lo spazio atlantico nella prima età moderna era segnato da una negoziazione continua tra una molteplicità di attori pubblici e privati che si contendevano la sovranità sui territori delle Americhe e il controllo delle rotte marittime e che, allo stesso tempo, erano sfidati da chi era stato conquistato, ridotto in schiavitù, arruolato o messo al lavoro con la forza9. La dicotomia Stato/colonia opera così nel pensiero politico moderno anche come un criterio per stabilizzare, contenere e ordinare l’endemica conflittualità e instabilità del mondo atlantico, prodotta anche dalla resistenza di schiavi e neri liberi. Una strategia che si sviluppa in diversi modi ma che può essere generalmente interpretata come un tentativo di riorganizzazione del potere che, sotto il profilo spaziale, consiste nell’imposizione di una «visione terrocentrica e statica della politica» contro una concezione «marittima», cioè mobile e instabile, della politica10. Intendiamo quindi leggere l’abolizionismo nero anche come il prodotto di questi conflitti, ossia come un pensiero politico finalizzato a restituire potere e autonomia ai neri del mondo atlantico. La decisione di concentrare la ricerca tra il XVIII e il XIX secolo muove perciò da motivazioni parzialmente diverse da quelle della più consolidata storiografia sull’abolizionismo. Ai fini del nostro discorso, l’età delle rivoluzioni segna una svolta decisiva a causa di due fenomeni che caratterizzano quel periodo e, specialmente, l’Atlantico anglofono e francofono. In primo luogo, la definitiva razzializzazione della schiavitù e la progressiva limitazione dei diritti dei neri liberi producono una politicizzazione della razza tale per cui è in quel momento che inizia a emergere una specifica soggettività nera. Anche se l’originaria appartenenza alle principali popolazioni dell’Africa occidentale e centrale maggiormente colpite dalla tratta atlantica – Kongo, Mande, Wolof, Yoruba, Igbo, Akan, Fula – continua a essere rilevante sul piano linguistico, culturale e politico, gli schiavi e i neri liberi iniziano ad autorappresentarsi come un unico ‘popolo’, il «popolo nero» o «africano»11. In secondo luogo, le rivoluzioni atlantiche segnano tanto l’affermazione delle logiche concettuali 9 L. Benton, A Search for Sovereignty: Law and Geography in European Empires, 1400-1900, Cambridge, Cambridge University Press, 2010; P. Stern, The Company-State. Corporate Sovereignty and the Early Modern Foundations of the British Empire in India, Oxford, Oxford University Press, 2011. 10 R. Laudani, Mare e terra. Sui fondamenti spaziali della sovranità moderna, in «Filosofia politica», n. 3, 2015, pp. 513-530. 11 D. Eltis, The Rise of African Slavery in the Americas, New York, Cambridge University Press, 2000, pp. 224-226; P. Manning, Slavery and African Life. Occidental, Oriental and African Slave Trades, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, p. 25; J. Sidbury, Becoming African in America. Race and Nation in the Early Black Atlantic, New York, Oxford University Press, 2007. 9 della politica moderna quanto l’emergere della critica nera: è tramite il confronto con il discorso politico delle rivoluzioni che si forma quel particolare movimento di appropriazione e trasformazione dei concetti politici moderni che contraddistingue l’abolizionismo nero. Nel primo capitolo proponiamo una ricostruzione per temi e concetti del radicalismo nero novecentesco. Funzionale alla ricostruzione genealogica, il capitolo si concentra sugli elementi che permettono di definire questa tradizione di pensiero come una critica della modernità. I tre capitoli successivi sono invece dedicati all’abolizionismo nero e sono strutturati secondo una scansione cronologica volta a individuare tre momenti di discontinuità. Nel secondo capitolo analizziamo la formazione dell’abolizionismo nero durante la Rivoluzione americana (1775-1783) e all’interno del movimento antischiavista britannico (1783-1793). Il pensiero prodotto dai neri coinvolti nella rivoluzione americana è letto soprattutto come un’appropriazione critica del contrattualismo liberale, mentre il contenuto delle prime Slave narratives pubblicate in seno al movimento abolizionista inglese è visto sotto il profilo della sovversione della spazialità moderna. Il terzo capitolo tratta invece la Rivoluzione di Haiti (c.1791-1804), interpretata come cesura fondamentale nella storia dell’abolizionismo nero. Anche in questo caso è analizzata l’appropriazione sovversiva del discorso politico della rivoluzione francese. Più precisamente, Haiti segna una cesura storica e teorico-politica per due questioni: l’affermazione della soggettività nera e il problema dello Stato postcoloniale. Nel quarto capitolo analizziamo invece il movimento abolizionista afroamericano (1827-1865). Negli Stati Uniti, l’abolizionismo nero diventa infatti un movimento politico organizzato. Più precisamente, in questa fase iniziano a emergere chiaramente i tratti specifici della tradizione radicale nera novecentesca. Si vedrà in particolare che, sulla scia della rivoluzione di Haiti, la lotta per l’autonomia della soggettività nera occupa un’assoluta centralità nel movimento. A differenza della vicenda di Haiti, l’abolizionismo afroamericano non mira però tanto alla presa diretta del potere e all’istituzione di uno Stato indipendente, ma tende piuttosto ad agire secondo una costante oscillazione tra integrazione e separazione. 10

Description:
dominio, esercitato da una minoranza straniera su una maggioranza South Africa: From Steve Biko to Abahlali baseMjondolo, New York, Palgrave.
See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.