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Un'antica via a nord-est. Testimonianze epigrafiche e letterarie PDF

19 Pages·2008·0.11 MB·Italian
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Un’antica via a nord-est Testimonianze epigrafiche e letterarie di Maria Grazia Caenaro I. Mentre altre strade romane dell’Italia settentrionale – la via Postumia, la via Claudia Augusta e la via Annia – sono oggetto da tempo di studi specialisti e recentemente convegni internazionali e mostre le hanno imposte all’attenzione generale lanciandole anche come percorsi turistico-culturali ed eno-gastronomici, non gode di analoga attenzione la “via diretta per il Norico” convenzionalmente denominata Iulia Augusta, asse portante di un complesso sistema viario molto antico che attraversava le Alpi nel settore orientale e fu praticato per secoli ancora prima dei Romani per attività di scambio e commercio divenute con il tempo sempre più intense e continuate. Questi tracciati, utilizzati in origine come piste commerciali e vie armentarie e di transumanza attraverso i facili valichi delle Alpi Carniche e Giulie, furono ricalcati, stabilizzati, attrezzati fra la metà del primo secolo a.C. e la metà del successivo dai Romani ai quali va soprattutto il merito d’averli raccordati nel nodo di Aquileia ai grandi assi viari di pianura, Postumia e Annia, mettendo progressivamente in comunicazione la Gallia Cisalpina e la Transalpina, la Decima Regio e il Norico (= Austria), infine l’Adriatico con il medio corso del Danubio, attraverso il prolungamento dei percorsi stradali fino al limes settentrionale dell’impero. Per secoli, con alterne vicende di abbandono e di riadattamento, queste strade romane attraverso le Alpi Carniche e Giulie hanno costituito il vitale raccordo dell’Italia e del Mediterraneo con l’Europa centrale e tuttora strade, autostrade e ferrovie ne ricalcano i percorsi e si sono sovrapposte alle tracce antiche, cancellandole per gran parte (come sull’asse Venezia-Vienna la linea ferroviaria, la Statale 13, l’Autostrada 23 e i loro raccordi in territorio austriaco). Il tracciato materiale della “via diretta per il Norico” che partendo da Aquileia attraversava le Alpi per raggiungere a ovest la città di Aguntum (Lienz) e a est Virunum (Klagenfurt), la capitale della provincia, è identificabile sul terreno anche se su alcuni tratti i pareri degli studiosi restano discordanti; ma da molteplici testimonianze emerge con evidenza soprattutto la funzione di queste antiche strade attraverso le quali penetrarono e si diffusero un modo di vivere e una cultura (greco- romana) che si integrò proficuamente con quella preesistente (venetica e celtica). Documentano questa funzione di tramite fra popoli e culture materiali diverse iscrizioni ancora affioranti in loco o conservate con orgogliosa consapevolezza; tracce di questa cultura composita sono ben leggibili anche nei resti di monumenti architettonici e figurati che portano il segno del lento costituirsi di una civiltà omogenea nei due versanti alpini, irradiata in pochi decenni fino alle pianure danubiane, autentico fondamento dell’identità dell’Europa. 1 Le numerose testimonianze epigrafiche, in parte già studiate da Mommsen, contribuiscono a identificare il percorso, segnato da cippi miliari e scandito in tappe (stationes, mansiones e mutationes), ma anche le vicende che interessarono i due rami della via per il Norico orientale che, conformandosi nel tempo e nello spazio alle diverse necessità degli uomini come organismi viventi, conservano traccia di eventi grandi e piccoli. Lungo queste strade, secondo l’uso romano, si seppellivano i morti e dalle lapidi funerarie emergono squarci interessanti di microstoria, mentre nelle città dei vivi (vici e municipia che prendono il posto di antichi oppida e castella celtici), poste a controllo delle strade, le iscrizioni testimoniano la vita civile e religiosa, privata e pubblica delle comunità. Accanto ai manufatti, sono preziose le testimonianze letterarie perché illuminano le ragioni e gli interessi che determinarono la costruzione delle vie e perfino la scelta del tracciato, conservano memoria di percorsi e di relazioni anteriori alla sistemazione romana della viabilità, descrivono l’ambiente naturale con gli occhi degli uomini del passato, dando rilievo alle difficoltà di realizzazione e all’audacia dei progetti; registrano anche il mutamento di funzione delle strade nel tempo e permettono di immaginare la vita che vi scorreva: il passaggio di mercanti e pastori, di eserciti romani e torme di invasori, di gente comune, funzionari e imperatori, più tardi di evangelizzatori, vescovi e pellegrini. Lungo questi transiti alpini circolavano le idee e le credenze religiose, viaggiavano e si radicavano esperienze tecniche e costruttive che improntarono l’edilizia pubblica e privata, si diffusero forme d’arte, letteratura, gusto, abitudini di vita; e non solo gli uomini, ma anche le merci in transito lungo questi percorsi erano veicolo di cultura, anzi trasmettevano una loro identità culturale e contribuirono a formare la omogenea civilitas dell’impero. Proprio attraverso le fonti letterarie, soprattutto storiche, si può seguire la parabola di questa viabilità, da quando i Celti che erano passati al di qua delle Alpi dalla porta nordorientale “attraverso passi montani di una via prima sconosciuta” per insediarsi in regioni disabitate e incolte furono respinti per ordine del senato romano oltre quella barriera naturale che costituiva un invalicabile confine politico (in medio esse Alpes, finem inexsuperabilem) fino a quando, pacificate le Alpi debellando le popolazioni alpine che ostacolavano il passaggio dei mercanti con azioni di brigantaggio (patefactis bello Alpibus, come si legge in due miliari della via Claudia Augusta), furono tracciate le vie romane; attraverso queste strade alpine attrezzate in funzione militare sarebbero passate le legioni per estendere l’impero con le conquiste o per condurre operazioni difensive al confine del Danubio: pochi decenni dopo aver raggiunto, valicando le Alpi, la massima espansione, Roma fu infatti costretta a organizzare proprio nel settore orientale dell’Italia la difesa dalle irruzioni barbariche dopo che, sfondata la barriera delle Alpi (perruptis Alpibus), orde di 2 Marcomanni provenienti d’oltre-Danubio erano dilagate nelle pianure della Venetia; allora vennero bloccati i valichi e fu costituito il sistema dei claustra Alpium Iuliarum. II. Fra le testimonianze letterarie sono di particolare interesse quelle dell’età augustea, prima fra tutte l’opera storica del patavino Livio che ci informa (nella quarta e quinta decade) della situazione nel settore orientale della Cisalpina e dei rapporti di Roma con le popolazioni oltralpe all’inizio del II secolo a.C.: registra infatti lo sconfinamento di Galli transalpini in Venetiam transgressi (186 a.C.) per cercare terre da coltivare e abitare, la fondazione di un oppidum celtico sul colle di Medea alle foci del Natisone ad opera di dodicimila Galli costretti dai Romani a ripassare le Alpi (183 a.C.), la deduzione “nel territorio dei Carni” della colonia latina di Aquileia come baluardo contro i barbari (181 a.C.) e il suo rafforzamento, nonostante l’opposizione degli Istri. Livio accenna anche alla presenza di Galli come mercenari dei Romani nelle operazioni condotte pochi anni dopo dal console Marcello contro popolazioni illiriche; ma soprattutto dà notizia del riguardo con cui furono trattati legati del Norico che protestavano per la violazione dei loro territori e per i soprusi patiti ad opera delle truppe romane che transitavano dall’Illirico per la guerra macedonica, accennando all’organizzazione in regni delle tribù transalpine con cui Roma intratteneva relazioni (170 a.C.). Forse da quell’incidente ebbe avvio il ius commercii e proprio a quella data risale anche il ius hospitii, il diritto di risiedere in territorio norico accordato a mercanti italici. Livio riferisce anche dell’offerta ai Romani di un contingente ausiliario da parte di un regulus norico per la guerra in Macedonia. Inoltre, nel descrivere le operazioni della guerra condotta dal console Vulsone contro popolazioni illiriche partendo da Aquileia (178 a.C.) e cinquant’anni dopo dal console Tuditano (129 a.C.), sottolinea la funzione di avamposto militare esercitata dalla colonia fino dalla sua fondazione. Ad Aquileia, come è noto, facevano capo la via Postumia (condotta da Genova, nel 148 a.C.) e la via Annia (proveniente da Adria, stesa nel 133 a.C. e forse già in parte nel 154)1. Nella Geografia del greco Strabone, contemporaneo di Livio, leggiamo invece la più antica ed esplicita testimonianza sulle vie antiche nel settore alpino orientale e preziose annotazioni sulla loro natura e la loro funzione: il geografo riferisce infatti che, dopo le operazioni militari nella Cisalpina del 187 a.C., ai piedi delle Alpi fu prolungata la via Emilia aggirando le paludi (= la laguna): in realtà la via ricalcava probabilmente un antico tracciato venetico. Strabone descrive anche la funzione di attivo centro di scambi di Aquileia, dove i barbari – racconta – portano le loro 1 Sull’ invasione di Transalpini e la fondazione di Aquileia, cfr .Livio, XXXIX, 22; 45; 54-55. XL, 17; 26; 34. Sul presidio di Galli in appoggio ai Romani: LXII, 1-3. Sulle proteste dei popoli alpini per violazioni romane: XLIII, 1-5. Sull’aiuto offerto a Roma da Galli Carnici o Norici: XLIV, 14. 3 merci (pelli, bestiame, schiavi) e acquistano prodotti che trasferiscono ai loro villaggi su carri coperti (olio e vino in botti di legno, anziché in anfore) utilizzando un complesso sistema fluviale, in particolare una via d’acqua che trasportava le merci fino a Noreia, allora capitale del Norico (Neumarkt, a circa 60 Km. da Klagenfurt, capitale della Carinzia) con un percorso di 1200 stadi (= 220 km.), così come attraverso un percorso di 400 stadi affluivano le merci a Nauporto (Vhrnika): si trattava però probabilmente non di una via d’acqua, ma di un tracciato terrestre lungo valli fluviali. Strabone informa inoltre che nel Norico non solo si estraeva e si lavorava il ferro, ma c’erano sabbie aurifere e riporta dallo storico Polibio la notizia che molto tempo prima (II metà del II sec.) erano state scoperte ricchissime miniere d’oro ad Aquileia e fra i Taurisci del Norico, sfruttate assieme dagli abitanti del luogo e da Italici finché il crollo del prezzo del metallo portò alla rottura dell’accordo. Strabone accenna anche a vie di transumanza e a un modesto scambio di prodotti fra valligiani e abitatori delle cime dei monti (che barattavano miele, cera, legno per torce, resina, cacio) descrivendo una situazione ambientale in tutto simile all’aspro paesaggio montano (per aerias Alpes castella Norica) evocato da Virgilio nella descrizione della peste del Norico che aveva devastato i pascoli estivi (gli alpeggi) dove ora, dice il poeta, ci sono solo “i regni deserti di pastori e balze desolate in lungo e in largo”2. Strabone elogia le vie tracciate da Augusto dopo aver sconfitto, a conclusione di una guerra durata decenni, i popoli alpini che vivevano di brigantaggio e taglieggiamenti, ma sa bene che la lotta dei Romani contro i briganti (lo dice a proposito dei Salluvi) è stata spesso un pretesto e precisa che la conquista delle Alpi, “prima un pezzo per volta, poi con una guerra generale e totale, ad opera di Cesare e di Augusto”, fu ottima base per condurre le successive operazioni militari contro Germani e Daci3. Il geografo descrive le difficoltà immani superate per attrezzare percorsi tagliando la viva roccia, tra dirupi impressionanti e baratri inattesi, e pone in evidenza i pericoli per chi valica queste vie di passo sotto la minaccia dei lastroni di ghiaccio che si staccano al disgelo, rendendo necessario il ricorso a guide locali per far transitare incolumi i convogli. Una rappresentazione altrettanto pittoresca dei valichi montani “impervi per smisurati crepacci e rupi scoscese” si legge nello storico greco del III secolo Erodiano, il quale rende omaggio alla fatica degli antichi popoli italici che tracciarono sentieri attraverso le Alpi. Ancora un secolo dopo 2 Sulla funzione di emporio di Aquileia, cfr.Strabone, V, 1.8. Sulla via Aemilia, da Bologna ad Aquileia: V, 1.11. Sulle miniere d’oro dei Taurisci: IV, 6.12 (= Polibio 34, 10-14). 3 Sulle strade attraverso le Alpi, cfr.Strabone, IV, 6.6; Erodiano,VIII, 1, 5-6; Ammiano Marcellino, XV,10. Sui valichi alpini, cfr. Polibio, XXXIV, 10 (cita i valichi alpini attraverso il territorio dei Liguri; attraverso i Taurini: Monginevro; i Salassi: Gran S. Bernardo; i Reti: Brennero). Sulla conquista della Celtica e dell’Illirico, basi per la guerra contro i Germani e i Daci, cfr. Strabone, VI, 4.2; VII, 5.2); ma Augusto si vanta di aver pacificato le Alpi e di non aver mosso a nessuno guerra senza giusta causa (Res gestae divi Aug., 26, 3) e gli fanno eco Seneca (de brev. vitae, 4, 5) e Svetonio (Aug., 21). Sulla Decima Regio, cfr.Plinio, III, 127- 133; nella trascrizione pliniana del Trophaeum Alpium, elenco delle popolazioni alpine vinte da Augusto (III, 136), non compaiono civitates di Galli carnici, che da un frammento dei Fasti trumphales risultano debellati nel 115. 4 Ammiano Marcellino rievoca con ammirazione la gigantesca fatica dei costruttori di strade in quota e descrive i pericoli cui sono esposti i convogli che transitano attraverso gli impervi passi alpini che immettono nelle Gallie, in inverno per il gelo e a primavera per le piogge dilavanti. Strabone descrive il settore orientale delle Alpi con particolare riguardo all’Ocra, la parte più bassa dell’intera catena montuosa, conosce (o almeno nomina) il Tullo (= Triglav, Tricorno) e i monti Fligadia (= Plezzo); in particolare coglie la peculiarità fisica delle Alpi Giulie: non barriera continua, ma serie di massicci montuosi isolati tra i quali si aprono valichi e sentieri naturali che rendono facili i passaggi, conformazione che Plinio attribuisce a provvidenziale disegno della natura. Se Polibio conosceva quattro valichi alpini, al tempo di Augusto i passaggi attraverso le Alpi si moltiplicarono, come afferma con orgoglio Strabone4. Ma già Cesare aveva manifestato interesse per questo settore alpino e proprio dai suoi Commentarii apprendiamo importanti notizie sul Norico, la vasta regione estesa dalle Alpi al Danubio: l’autore informa che i Boi ne assediarono la capitale Noreia durante la migrazione intrapresa per riunirsi agli Elvezi con cui volevano occupare nuove sedi nella Gallia meridionale (presso Noreia i Romani, evidentemente intervenendo in difesa dei loro interessi commerciali nella zona, si erano scontrati con i Cimbri già nel 113 a.C., secondo una notizia di Strabone); lascia intuire il pericolo corso da Roma per l’alleanza dei Norici con i Germani, fortunatamente sventato dalla sconfitta di Ariovisto nella battaglia presso il Reno e dalla morte della sua sposa norica, inviata in Gallia dal fratello, il potente re Vocceio, per un matrimonio che suggellava evidentemente il pegno di collaborazione delle tribù celtiche orientali con il capo svevo. Cesare strinse invece rapporti personali di ospitalità e di clientela con importanti famiglie della Cisalpina orientale e del Norico (tanto che trecento cavalieri furono inviati in suo aiuto da un regulus norico nella guerra contro Pompeo). Testimoniano le sue relazioni con importanti famiglie al di qua e al di là delle Alpi l’invio della legione XV a protezione delle colonie nella Cisalpina orientale, dopo l’incursione dei Giapidi contro Tergeste (53 a.C.) e le accoglienze festose degli abitanti quando il proconsole ritornò nella regione dopo la grande sollevazione nella Gallia, “desideroso di conoscere luoghi e popoli dell’Illirico”, come riferisce Irzio. Cesare, che all’inizio della guerra in Gallia “cercava vie attraverso le Alpi” e mandò una legione a svernare sul Gran San Bernardo per liberare il valico dai barbari che, annidati sui monti, taglieggiavano i mercanti (e secondo Cicerone con le sue imprese rese per sempre sicure le Alpi), certamente si prese cura di favorire e migliorare la 4 Strabone descrive accuratamente il settore sud-orientale delle Alpi (IV, 6. 8-10) e i collegamenti con la Pannonia attraverso fiumi e vie di terra (VII, 5.2). Plinio osserva che le Alpi superano le cento miglia di larghezza nel punto in cui separano l’Italia dalla Germania, mentre non raggiungono le settanta miglia in luoghi più sicuri, offrendo valichi di minore difficoltà (III, 132). Con tratti analoghi a quelli virgiliani (Georg.III, 470-566) anche Orazio evoca arces Alpibus impositas tremendis celebrando le vittorie dei principi imperiali (Carm. IV, 14, 11-12). 5 viabilità anche nel settore orientale, dove relazioni commerciali erano attive già da molto tempo5. Dai Commentarii emerge anche la funzione di avamposto militare dell’antica colonia fondata nel territorio dei Carni: ad Aquileia (dove Cesare, proconsole della Cisalpina e dell’Illirico, trascorse più inverni durante la guerra) erano acquartierate tre legioni che, all’inizio delle operazioni contro gli Elvezi, il generale trasferì rapidamente in Gallia assieme ad altre due arruolate in tutta fretta. I municipi e le popolazioni della zona alpina dovevano inoltre fornire approvvigionamenti (come informa Vitruvio) durante la campagna militare in Gallia. Certamente durante la guerra ebbe un ruolo importante il bacino metallifero dell’alto Friuli e della Carinzia che forniva il famoso ferro norico, temprato come l’acciaio: se si considera che servivano da trentacinque a quaranta tonnellate di ferro per armare una legione, è evidente che a Cesare per le sue conquiste era indispensabile procurarsi la materia prima e lavorata in luoghi vicini alla Gallia. La toponomastica dei luoghi toccati dalla “via principale per il Norico” nel settore alpino orientale conserva appunto memoria della produzione o del transito del prezioso metallo: la vallata percorsa dal fiume Fella si chiama Canale del Ferro, a Cave del Predil si trovano miniere di piombo e zinco già sfruttate, pare, nell’antichità, a Fusine in Val Romana è tuttora attiva la lavorazione dell’acciaio; inoltre miniere di ferro sono ancora visitabili presso l’antica Noreia, città ormai scomparsa al tempo di Plinio, ma di cui si vedono ancora le rovine6. La fondazione dei municipi di Iulium Carnicum (= Zuglio) e di Forum Iulii (= Cividale) avvenne appunto intorno al 50 a.C. Non si sa invece con precisione quando fu fondata Iulia Scarbantia (= Sopron) nel Norico superiore (ora Ungheria). Tutta questa situazione di agevoli passaggi e scambi suppone una viabilità già consolidata che da metà del primo secolo a.C. venne attrezzata da Roma. Proprio nel 49 a.C. fu estesa la cittadinanza romana alla Cisalpina che nella riorganizzazione amministrativa dell’Italia voluta da Augusto costituì la Decima Regio, con capitale Aquileia. Il nome di Iulia Augusta convenzionalmente dato dagli studiosi alla via per il Norico trova dunque giustificazione nel fattivo intervento in questo settore di Giulio Cesare, di Ottaviano Augusto e dei suoi figliastri, Druso e Tiberio, i due giovani della famiglia imperiale celebrati da Orazio come Dioscuri che vinsero Reti e Vindelici, le bellicose popolazioni stanziate nell’attuale 5 Cfr. Cesare, de bello gall. I, 10, 1-3 (ad Aquileia Cesare sverna negli anni 59-58, 57-56, 55-54). Sui Boi alleati degli Elvezi e la morte delle due mogli, sveva e norica, di Ariovisto, cfr. I, 5; I, 53. Su Galba che con la XII legione sverna in alte zone alpine per aprire un cammino attraverso i monti e sul ritorno precipitoso di Cesare in Gallia dall’Illirico allo scoppio della guerra contro i Veneti dell’Armorica cfr. III,1-7. Su Labieno inviato con la XV legione nella Cisalpina per proteggerla da incursioni e su Cesare accolto con affetto da municipi e colonie alla fine della guerra, cfr VIII, 24, 3; VIII, 51. Nel de bello civ. (I,18) Cesare accenna ai 300 cavalieri norici venuti in suo aiuto nella guerra contro Pompeo. 6 La qualità delle spade forgiate nel Norico era proverbiale: Orazio (Carm. I, 16, 5-12) descrive la sua ira che non teme neppure il noricus ensis, il mare in tempesta, i fulmini di Giove, il cielo scosso da tuoni (cfr anche Epod. XVII,71); in Ovidio (Metam., XIV,712) al ferro temprato nel Norico è paragonata la durezza di cuore di una donna inaccessibile alle suppliche dell’innamorato. Plinio conosce differenti tipi di ferro e accenna a vari procedimenti impiegati per temprare il metallo (XXXIV, 41). 6 Tirolo, contigue ai Carni e ai Taurisci e confinanti con i Norici. Assetto definitivo al territorio al di là delle Alpi Giulie venne dato invece senza guerre o conquiste militari e senza deportazione degli abitanti, com’era avvenuto invece nella contigua Rezia, dall’imperatore Claudio che istituì la provincia del Norico; Plinio, elencando le città noriche di Virunum (la capitale), Aguntum, Celeia, Iuvavum, le dice tutte fondate da Claudio, come Savaria, mentre Iulia Scarbantia è evidentemente fondazione cesariana e Flavia Solva (= Leibnitz) di Vespasiano. Claudio con il suo intervento nel Norico Occidentale (= Tirolo) – attraverso il quale condusse la via Claudia Augusta – e nel Norico Orientale (= Carinzia) rendeva omaggio al padre Druso e al fratello Germanico, riscattandone la memoria offuscata dall’appropriazione da parte di Tiberio di tutto il merito delle conquiste nel settore alpino7. In questa situazione storica e nel quadro di questi rapporti tra popolazioni si colloca la stesura della strada romana per il Norico di cui si possono identificare tracciato e tappe attraverso due preziose guide antiche, l’Itinerarium Antonini, una descrizione del percorso risalente al III sec. d.C., e la Tabula Peutingeriana, una mappa figurata del secolo successivo che utilizza però dati più antichi (conservata a Vienna in una copia medievale). III.1. Da Aquileia la via romana raggiungeva l’attuale Tricesimo (Ad tricesimum lapidem: 30 miglia = 45 km.), dove un’epigrafe della metà del I sec. a.C. attesta il rifacimento delle mura e opere di fortificazione; saliva quindi attraverso la pianura friulana fino alla statio Ad Silanos (“presso le acque zampillanti”) tra Gemona e Ospedaletto, quindi procedendo lungo la valle del Tagliamento, nei pressi dell’attuale Stazione per la Carnia, prendeva due direttrici: un tratto saliva verso Tolmezzo e, seguendo la valle del But, giungeva a Iulium Carnicum e fino al passo di Monte Croce Carnico (1360 m.), poi superato il valico toccava Loncium (= Mauthen) e quindi attraverso la vallata del fiume Gail raggiungeva il corso della Drava ad Aguntum (= Dolsach, presso Lienz), dove un imponente parco archeologico testimonia l’importanza del centro romano e la sua funzione soprattutto militare: sono visibili resti di una sontuosa casa ad atrio di tipico impianto romano, di molti edifici privati e pubblici, di terme, di templi e di un mitreo (a Mitra, come è noto, erano particolarmente devoti i soldati delle legioni). 7 Strabone distingue Reti e Vindelici, feroci predoni, da Norici e Carni (IV, 6. 8). Orazio nomina tra i popoli selvaggi che infestano le Alpi Reti, Vindelici, Genauni, Breuni (Carm. IV, 4 e 14). Cassio Dione annota che Camuni e Venni furono sconfitti da Publio Silio nel 16 a.C. e che l’anno successivo Augusto mandò Druso e Tiberio a concludere la guerra contro i popoli alpini (LIV, 20, 1; LIV, 22 ); Velleio Patercolo (II, 95, 2) precisa che i Romani subirono poche perdite. Sulle incursioni dei Norici sconfitti e costretti a venire a patti con i Romani, cfr. Cassio Dione, LIV, 20, 1; Vell. II, 39,3; Floro, II 22, 4-5. Plinio descrive la provincia del Norico sotto Claudio e i Flavi (III, 146; su Raetia et Noricum cfr. anche IV, 98). Cfr. Theodor Mommsen, Le provincie romane. Da Cesare a Diocleziano, trad. it., Firenze 1991. 7 Sul versante italiano sono di straordinario interesse storico tre iscrizioni collocate a diverse quote che testimoniano interventi di rifacimento e consolidamento della strada nel II, III e IV secolo ad opera di curatores. Proprio sul valico è ancora parzialmente visibile la lapide di Hermias (III d.C.) in onore di Giove Ottimo Massimo (il dio principale del pantheon romano) e delle divinità protettrici dei trivi e quadrivi; l’iscrizione ricorda l’autorizzazione concessa dal questore e dai decurioni di Iulium Carnicum a stendere una via nuova in vicinanza di un ponte ormai pericoloso per i viandanti. In un masso inciso rinvenuto poco più in basso (II d.C.) leggiamo che Respectus, servus conductor publici portorii et vectigalis Illyrici stationis Temaviensis (quindi un dipendente della città con incarichi amministrativi, appaltatore della dogana e del dazio illirico) ha restaurato la strada e ristabilito condizioni di sicurezza per i viaggiatori. La statio Temaviensis (= Timau) svolgeva dunque, sul versante italiano, funzione corrispondente a quella di Loncium (ora Mauthen = muda, dazio, dogana) nel Norico8. La terza iscrizione (373 d.C.) ricorda il ripristino a cura di Apinius Programmaticus della strada dove prima passavano con pericolo uomini e animali, grazie alla munificenza degli Augusti (= imperatori) Valente e Valentiniano e del Cesare (= imperatore designato) Graziano. Questa lapide è collocata nei pressi di una località (poco sopra Zuglio) chiamata ancora Mercatovecchio: la toponomastica conserva dunque memoria dell’antica funzione di questo spiazzo in prossimità del crinale, punto di incontro e di commerci aperto agli abitanti dei due versanti del monte. Ma la strada nel IV sec. aveva ormai importanza più militare che commerciale. Di grandissimo interesse sono le testimonianze di Zuglio, Forum Iulii Carnorum, un insediamento frequentato già dal II secolo a.C. dai Romani posto a controllo di una antica via per il Norico: un preesistente castellum dei Carni (Segeste, secondo la testimonianza di Plinio, che la annovera tra le città al suo tempo scomparse; forse il toponimo sopravvive nell’attuale Sezza), che sorgeva probabilmente sull’attuale colle di San Pietro, fu progressivamente abbandonato a favore del nuovo vicus, successivamente elevato a municipium, dove venne organizzato o ampliato un mercato; gli scavi hanno riportato alla luce resti imponenti del foro quadrangolare cinto di colonne di calcare grigio locale, della basilica civile dove si trattavano gli affari e si amministrava la giustizia, di templi; nelle vicinanze del foro (a più riprese ampliato e riorganizzato a partire dal II sec. a.C.) sorgevano altri edifici pubblici (la curia e le terme) e residenze private con locali di rappresentanza anche lussuosi; delle terme, risalenti al primo sec. d.C. e progressivamente ampliate, si sono conservate decorazioni a stucco e affreschi con raffinatissimi motivi vegetali, mentre gli 8 Procurator è il termine impiegato nel tempo in cui singoli impresari appaltavano le dogane (affidando a schiavi actores la riscossione dei tributi), mentre vectigal indica la gestione diretta da parte dello stato, in vigore a partire da Marco Aurelio; nell’iscrizione di Respectus figurano entrambi i termini: testimonianza della transizione fra i due sistemi. 8 edifici privati vicini al foro, abitati dalle famiglie più ragguardevoli, hanno restituito suppellettile di pregio: anche questi oggetti, appartenenti a una élite romana o a ricche famiglie locali che la emulavano, contribuivano a diffondere un gusto e una cultura. I materiali di scavo documentano le fasi dell’insediamento nella zona e in particolare le vicende dell’economia: iscrizioni venetiche in cui sono leggibili alcuni nomi propri attestano che dapprima i Veneti attivarono commerci e scambi in questa zona; seguì un periodo di forte celtizzazione (quando giunsero da Nord i Galli Carni), quindi si insediò la città romana, il centro di commerci e scambi più settentrionale in zona alpina. Da Zuglio erano esportati legno, pietra, ovini e i prodotti derivati, mentre si importavano vasellame anche di pregio e prodotti alimentari mediterranei dall’Africa, dalla Gallia, dalla Spagna; ma Forum Iulii era soprattutto luogo di scambi e contrattazioni, come testimonia il rinvenimento di molte tesserae nummulariae, di monete romane e di monete del Norico. Di questa nuova realtà economica e sociale danno testimonianza numerose iscrizioni latine a partire dal I sec. a.C., tra le quali un’epigrafe che ricorda la costruzione di un tempio in onore di Ercole a cura e spese di dieci liberti e l’istituzione di un sacerdozio in onore del dio, significativa sia per l’onomastica dei dedicanti (spiccatamente greca) sia per il dedicatario: una divinità assimilata ad Ercole era venerata infatti dai pastori dalle zone montane fino in pianura (un recinto consacrato al suo culto rinvenuto presso Udine era evidentemente collegato ad antiche vie di transumanza), ma anche associata alle acque medicamentose (non lontano da Zuglio, ad Arta Terme, sgorga la famosa Acqua Pudia: anche qui probabilmente il culto dell’eroe guaritore era connesso con le acque solforose come presso il Timavo e nei colli Euganei, ad Abano); l’Ercole greco-latino allevato dai pastori e difensore delle mandrie, patrono delle fonti, protettore dei commerci e dei transiti (al suo mito sono collegate le vie ‘Ercule’ e gli viene attribuito il merito d’aver reso sicuro il passaggio delle Alpi) per la sua natura multiforme si prestava ad essere identificato con divinità epicorie ed è probabile che corporazioni di liberti in relazione con Aquileia (dove fortissimo era l’elemento greco) abbiano precocemente avviato una pratica religiosa accetta anche ai locali9. Di grande interesse è pure l’iscrizione che attesta il rifacimento di un tempio in onore di Beleno e l’offerta di due statue e cinque scudi dorati per ornare il coronamento dell’edificio. Beleno, antica divinità di origine venetica o celtica, era particolarmente venerato dai Norici, secondo la testimonianza di Tertulliano; identificato dai Romani con Apollo e il Sole (il nome significa infatti “il Luminoso”), era considerato protettore e risanatore, onorato sulle vette dei monti 9 Cfr. Diodoro Siculo, Bibl. IV, 19 (= Posid. Fr.163a). Anche nella tradizione latina Ercole avrebbe attraversato le Alpi per primo: cfr. Livio, V, 34; Cornelio Nepote, Hannib.3,4; Silio Italico III, 496-499; per Plinio (III, 123; 134) le Alpi Graie e Pennine conservano memoria del passaggio rispettivamente di Ercole e di Annibale, le Lepontine dei compagni feriti lasciati dall’eroe greco su questi monti. Anche Ammiano Marcellino (XV,10, 9) riporta tradizioni analoghe. 9 e presso le acque termali; il suo culto è ben attestato da iscrizioni anche in Gallia e soprattutto ad Aquileia. Forse è da ricondurre a questo dio dei Carni e dei Norici la denominazione secondaria della statio Ad Tricesimum, attestata dalla Tabula peutingeriana: viam Belloio (che Bosio giudica improbabile indichi una diramazione per Belluno). Due iscrizioni latine incise su lastre bronzee erano collocate nel foro di Zuglio in onore di Caio Bebio Attico, un municipalis che aveva ricoperto importanti incarichi lontano dalla sua città; una di esse elenca tutte le tappe della carriera militare e civile del personaggio, fino all’acquisizione del censo di cavaliere; significativo esempio di integrazione e di convinta adesione ai valori romani, Gaio Bebio era stato prefetto delle Alpi Marittime (una delle quattro sezioni in cui Augusto divise le Alpi) e procuratore del Norico per l’imperatore Claudio: A Caio Bebio Attico, figlio di Publio, iscritto alla tribù Claudia, duoviro giurisdicente, primopilo della legione V Macedonica, prefetto delle popolazioni della Mesia e della Treballia, prefetto delle popolazioni delle Alpi Marittime, tribuno militare dell’VIII coorte pretoria, primopilo per la seconda volta, procuratore dell’imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico nel Norico, le popolazioni dei Sevati e dei Laianci dedicarono. In passato si era avanzata la suggestiva ipotesi che una splendida testa virile in bronzo, rinvenuta in un vano sotto la basilica civile a Zuglio ma attualmente conservata nel Museo di Cividale, raffigurasse il personaggio dell’iscrizione; a giudizio degli studiosi recenti potrebbe però essere piuttosto il ritratto di un imperatore (forse Traiano) o addirittura opera di età tardo repubblicana, data l’affinità con un tipo di statuaria diffuso nell’Italia settentrionale in quel periodo. Si tratta comunque di un pezzo di eccezionale qualità artistica, come un altro reperto pure collocato originariamente in un edificio pubblico e rinvenuto sotto la basilica: uno scudo bronzeo di grandi dimensioni (m. 1,84 di diametro) con cornice a tre fasce finemente lavorata che include al centro, a metà figura e in grandezza naturale, un personaggio togato, probabilmente un giovane della famiglia imperiale. Uno spirito molto diverso da quello dell’epigrafe di Bebio esprime una lapide funeraria più tarda (II d.C.), collocata in ricordo di un decurione morto giovanissimo e sepolto lungo la via romana, trovata a Imponzo (= Inter Pontes), non lontano da Zuglio ma sull’altra sponda del fiume But. L’iscrizione è importante per l’onomastica (l’etnico Gallo diventato cognomen) e per gli evidenti echi virgiliani, che si colgono non solo nel motivo dei mortui ante diem, ma anche più sottilmente per l’allusione al pianto della madre di Eurialo e a situazioni delle Bucoliche: se la metrica è imprecisa, suscita commozione questo impegno, probabilmente di un poeta locale, di 10

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convenzionalmente denominata Iulia Augusta, asse portante di un . laguna): in realtà la via ricalcava probabilmente un antico tracciato venetico.
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