Andreas Egger non ha mai gridato né esultato da bambino. Fino al suo primo anno di scuola non ha mai neppure davvero parlato. Quando nell’estate del 1902, ancora bimbo, lo tirano giú dal carro con cui giunge tra le montagne diventate poi sue, resta semplicemente muto a guardare in alto con grandi occhi stupiti le cime splendenti di bianco. Ha quattro anni all’epoca, e non interessa a nessuno. Men che meno a Hubert Kranzstocker, il contadino che lo accoglie controvoglia. Il bimbo è l’unico figlio di una cognata che ha condotto una vita leggera ed è stata perciò punita dal buon Dio con una tisi che se l’è portata via. Kranzstocker non lo manda al diavolo unicamente perché reca al collo un sacchetto di cuoio con delle banconote. In compenso non esita a picchiarlo per un pane lasciato ammuffire, una vacca persa o un balbettio durante la preghiera della sera. Un giorno lo bastona a tal punto che nella gamba destra di Andreas ogni cosa va fuori posto. L’aggiustaossa di un paese vicino gliela sistema alla bell’e meglio, ma la gamba da allora spunta sbieca dall’anca, irrimediabilmente storta. Andreas Egger non grida né esulta nemmeno quando, trent’anni dopo, fa la sua comparsa nella valle, tra le urla di gioia del paese, la squadra del cantiere della ditta Bittermann & Figli: duecentosessanta operai, dodici macchinisti, quattro ingegneri, sette cuoche e un drappello di aiutanti, l’avanguardia di una colonna incaricata di costruire una funivia e mutare per sempre il volto della valle. Andreas Egger ubbidisce semplicemente in silenzio al suo destino: vivere tra la quiete e la bellezza dei monti e la crudeltà degli uomini. Impara cosí dapprima il mestiere di bracciante e poi di contadino, e alla fine entra a far parte della Bittermann & Figli. È «la gigantesca macchina chiamata Progresso», gli dicono. Ma a lui queste cose non interessano. Soltanto una cosa gli sta a cuore: mettere piede nell’osteria del paese e incrociare lo sguardo di Marie Reisenbacher, la ragazza dai capelli biondi e la pelle rosea che lavora lí ai tavoli, e che un giorno gli ha procurato «un dolore sottile vicino al cuore» sfiorandogli appena il braccio. Perciò quando, un pomeriggio di fine agosto, riesce a strappare un bacio a Marie e a stringerla a sé e lei gli dice «Ohi. Quanta forza, che hai!», gli sembra di capire che, oltre alla crudeltà, esiste anche la possibilità del bene e della felicità tra gli esseri umani. Nominato «libro dell’anno» dai librai tedeschi, selezionato da Der Spiegel come uno dei romanzi piú importanti del 2014, accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico in Germania, Una vita intera si segnala, nella narrativa contemporanea, per la bellezza della sua scrittura e l’originalità della sua narrazione: l’unicità di un’esistenza qualunque.