2 Il libro T u(cid:308)i conoscono Michelle Hunziker per il senso dell’umorismo, l’autoironia, i lunghi capelli biondi e il sorriso sfolgorante. Eppure c’è stato un tempo in cui quel sorriso era la più luminosa delle maschere, indossato per nascondere le fragilità di una ragazza di poco più di vent’anni. Proprio nel momento più buio della sua esistenza avviene l’incontro destinato a cambiarla. Lei è una donna accogliente, materna, empatica, capace di intercettare negli altri le debolezze e le crepe di cui forse nemmeno sono consapevoli: proprio per questo, una formidabile manipolatrice. La mela rossa con la quale seduce Michelle ha il sapore dolce della comprensione profonda, dell’ascolto privo di giudizio. “La tua famiglia siamo noi” le ripeteva in continuazione. “Non hai nessun altro. Tua madre non ti vuole bene: non ti cerca mai. Tuo marito non ti amava, altrimenti non ti avrebbe lasciato. Senza di noi sei sola, solissima.” Dopo di che, la puniva abbandonandola, impedendole ogni tipo di contatto con lei e con gli altri membri della setta, “perché prima di tornare tra noi devi purificarti”. Con la speranza che condividere la sua esperienza possa aiutare chi ne sta vivendo una simile, Michelle racconta per la prima volta i quattro anni trascorsi in una setta: i ricatti, le privazioni, il controllo costante, la progressiva perdita dell’indipendenza, la paura di rimanervi invischiata per sempre e il terrore alla sola idea di venirne fuori. Fino a quando ha trovato la forza di uscirne. Grazie all’amore. 3 L’autrice Michelle Hunziker si può definire una professionista dello spettacolo con la risata negli occhi. È nata a Soregno il 24 gennaio 1977 da madre olandese e padre svizzero-tedesco. Nel 1993 lascia la Svizzera per l’Italia e viene scelta dalla Riccardo Gay per la storica campagna pubblicitaria “Roberta Intimo”. Dal 1996 inizia la sua carriera televisiva. È mamma di tre meravigliose figlie: Aurora e le piccole Sole e Celeste. 4 Michelle Hunziker UNA VITA APPARENTEMENTE PERFETTA 5 Una vita apparentemente perfetta A Franchino 6 «Ogni guru è una trappola. Ogni leader è un tiranno. Ogni maestro confonde. […] Se fossimo in contatto con il nostro cuore profondo, cioè il luogo reale dello spirito, non accetteremmo nessun leader, nessun maestro, nessun guru. Saremmo indipendenti. Svegli. Vigili. Autonomi, non automi. Il maestro sei tu. E dentro c’è anche tutto quel che serve.» JIDDU KRISHNAMURTI 7 La tempesta perfetta Sento il suo sguardo addosso. Sono ancora nel dormiveglia ma allungo una mano per accarezzarla. Capelli lunghi, Sole. Caschetto, Celeste. A quanto pare, gli occhi larghi che mi fissano nella penombra da un tempo imprecisato portano il caschetto. Socchiudo le palpebre e la inquadro, la mia ultima cucciola, acciambellata a pochi centimetri da me nel lettone: è bionda e rosa, con l’aspetto tenero di tutti i bebè, uscita dalla primissima infanzia quanto basta per riuscire ad attendere che mi svegli senza piangere. La attiro ancora più vicino e me la abbraccio, la sua testa nell’incavo del collo. Nessuna delle due dice una parola: io perché amo coccolare le mie figlie di notte, annusarle, guardarle in silenzio; lei perché ha troppo sonno, sebbene lo stia combattendo con tutte le sue forze. Quando sono certa che si sia riaddormentata scivolo fuori dal letto il più lentamente possibile, poi la sollevo con movimenti millimetrici. Attraverso il soggiorno a piccoli passi, nel tentativo di evitare quell’unico e pericolosissimo giocattolo che, ne sono certa, la sera prima deve essere sfuggito alla mia furia ordinatrice. Una volta nella camera delle bambine, adagio Celeste nel suo lettino. Le rimbocco le coperte, e lei si accomoda: allarga le braccia, distende la testa sul cuscino. Sole si accorge che sta accadendo qualcosa, si muove per qualche istante, poi 8 sprofondano entrambe nel mondo dei sogni. Spengo le lucine notturne, esauste dopo ore di lavoro ininterrotto, e regolo le tende: non voglio che l’alba disturbi il loro sonno. Con la massima delicatezza, giro la maniglia della stanza accanto: sono sicura che Aurora si è dimenticata di chiudere gli scuri. A rischio di venire colta in flagrante e sgridata perché la tratto come una bimba, mi intrometto, non rispetto la sua privacy eccetera eccetera, mi avventuro verso la finestra, scavalcando vestiti e libri sparsi sul pavimento. Compiuta la mia missione, torno alla base. Sono le cinque e mezza del mattino. Troppo presto per tutto – a parte, forse, la gratitudine. Mai avrei pensato di poter essere benedetta da così tanto amore. Eppure è successo, e all’arrivo di ogni figlia il mio cuore si è aperto un po’ di più, e non accenna a fermarsi. Tutti mi dicono che con le mie bambine, quella grande inclusa, sono troppo presente: gioco, canto, leggo, suono, ballo, cucino, faccio fotografie, accarezzo, abbraccio, mi alzo troppe volte per notte e troppe le assecondo durante il giorno, ascolto troppo, mi immischio troppo, parlo troppo. Può darsi che sia così: in effetti, le due piccole si approfittano di me senza pudore, come farebbe qualsiasi coppia formata da una duenne e una quattrenne. D’altra parte, credo che il mio ruolo di mamma sia questo, alla fine: amarle tanto da farle sentire protette, dare loro una casa, radici profonde sulle quali costruire un’identità, saldi punti di riferimento. Preferisco fare troppo, che troppo poco. Poi, anche se lo volessi, non riuscirei a comportarmi diversamente. L’amore non lo so dosare, mai stata capace. Né da 9 figlia, né da moglie, né da madre. O da amica. Mi trovo a mio agio con una forma di amore assoluto, totale – quello che danno e che si aspettano i bambini: un sentimento tutto bianco, morbido e leggero come una nuvola, infinito come l’universo in espansione. Guardo Auri, abbandonata in uno stato di pace che pare perfetto. È così diversa da me alla sua età: è fragile nel modo in cui lo sono i giovani, convinti di essere adulti senza aver visto ancora niente del mondo, ma la percepisco più concreta, più forte, forse persino più saggia di come ero io. Di certo, ha nei confronti di suo padre e miei uno sguardo più maturo e benevolo di quello che a lungo ho avuto io nei confronti dei miei genitori: Auri conosce le mie debolezze, le mie paure, le mie ferite; io, a vent’anni compiuti, da mia madre continuavo a esigere un’idea indistinta di dolcezza e accoglienza, che lei purtroppo non poteva darmi. In questo periodo Sole ama giocare con quei cubi di legno in cui bisogna infilare solidi colorati: il prisma nella finestra a tre lati, il parallelepipedo in quella rettangolare e così via. È come se, per anni, avessi atteso da mia madre un amore rotondo, mentre lei poteva offrirmi solo quadrati. Con la mia finestra circolare perennemente vuota, dall’alto dell’intransigenza tipica dei mendicanti d’affetto – che si sentono depositari di chissà quale verità ultima sulla natura umana tutta –, mi sentivo sola, inascoltata, una reietta. Se mia madre non mi amava, evidentemente ero l’ultima persona sulla Terra meritevole di attenzioni. In verità, avevo i paraocchi. Pretendevo sentimenti assoluti, densi e senza spigoli, che non sarebbe stato umano dare, mentre l’amore ha infinite forme e colori. Quello di mia madre è cristallino, magari complicato da raggiungere, ma luminoso come una stella che guida. 10