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Una società premoderna. Lavoro, morale, scrittura in Grecia PDF

312 Pages·1993·6.394 MB·Italian
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Luciano Canfora Una società premoderna Lavoro morale scrittura in Grecia edizioni Dedalo Il mondo greco ha rappresentato per le età successive un «banco di prova», sia per quel che riguarda i modelli di orga­ nizzazione sociale, sia per quel che ri­ guarda i valori che possono assicurarne la tenuta. Il che ha rischiato di offusca­ re la lontananza, la diversità degli anti­ chi da noi, in particolare della società greca «classica». Lo sforzo da compiersi è invece quello di capire i Greci per differenza: mettendo in luce il carattere arcaico, pre-moderno, della società gre­ ca di età classica (V e IV secolo a.C.), dal mondo della politica a quello della morale «popolare», dal fragile alfabeti­ smo alla circolazione elitaria del libro. Al centro dei saggi qui raccolti figura perciò il problema della «cittadinanza»: condizione di privilegio e oggetto di scontro, bene gelosamente difeso verso l’alto e verso il basso, per tener testa ai signori e al contempo per ricacciare i non-uomini, i non-liberi, nell’inferno della schiavitù. I valori morali di queste comunità chiuse di cittadini-guerrieri sono bene sintetizzati dall’inquietante vanto che Pericle esprime, nell’elogio di Atene, in quel genere cioè di orato­ ria che costituiva l’occasione di educa­ zione politica delle masse: la città – egli dice – ha disseminato per terra e per mare monumenti insigni di bene e di male. Una formula cruda, nella qua­ le Nietzsche non a torto ravvisava l’af­ fiorare – persino tra le parole dell’o­ limpio Pericle – dei tratti ferini della «bestia bionda», simbolo dell’istinto ra­ pinatore primevo. Solo quando si spez­ zerà, con l’ellenismo, quel legame quasi razziale del cittadino con la comunità e nasceranno, in una prospettiva di pen­ siero più alta, i «cittadini del mondo», sarà avviato il salto verso il moderno: e tornerà, illuminato di una luce positi­ va, il mito di Odisseo. In copertina: Cratere ateniese, inizio del V secolo a.C., Ganimede, Musée du Louvre, Paris. Storia e civiltà 26 Luciano Canfora Una società premoderna Lavoro morale scrittura in Grecia edizioni Dedalo © 1989 Edizioni Dedalo spa, Bari Stampato in Bari dalla Dedalo litostampa spa Premessa L’antichità classica è un terreno che può offrirsi facilmente alle idealizzazioni e ai corti-circuiti. Chi vi si è cimentato difficilmente si è sottratto al rischio: da Jaeger (Paideia) a Pohlenz (L’uomo greco) al ripensamento non ignaro di Freud cui Vernant e scolari hanno sottoposto la tragedia attica. Cer­ to, c’erano anche altre strade: la più importante delle quali era, credo, lo studio del diritto: sia del diritto positivo, sia dei concetti e pregiudizi che gli fanno da sfondo. Come non vede­ re l’intreccio che vi è tra pensiero e normativa giuridica da un lato, etica (come teoria e come prassi) dall’altro? Per il mondo romano questo piano di ricerca è stato a lungo fiorente ed ha anche avuto una particolare ramificazione negli studi sui «con­ cetti di valore» (Wertbegriffe). Per il mondo greco – così frantumato e disugualmente documentato – l’indagine è stata meno sistematica e meno influente: ma almeno il nome di Gernet e la sua importante prefazione alle Leggi di Platone dev’essere qui ricordato. Il mondo della prassi giudiziaria ha, d’altro canto, alle spalle un’etica diffusa – non codificata ma efficace, e non poco debitrice dei valori dei ceti dominanti –: per il mondo greco di V/IV secolo a.C. è stato Kenneth James Dover a tentare una descrizione sistematica nel bel libro sulla Morale popolare dei Greci (nel quale, non a caso, gli oratori attici costituiscono una parte rilevante della documentazione). Se c’è una trappola in cui gli antichisti filellèni cadono facilmente è quella che consiste nel far propria l’autorap­ 5 presentazione della polis dovuta ai «signori favorevoli al siste­ ma democratico». Uno che è caduto in pieno in tale trappola è Christian Meier, considerato – a causa del suo libro sulla Nasci­ ta del politico – il maggior interprete odierno delle categorie politiche greche. Scrive ad esempio Meier: «Il punto di vista che prevaleva nella concezione dell’ordine della polis non era quello dei governanti né quello dei governanti: era quello della totalità della comunità». Al contrario l’etica su cui la polis si regge è quella degli «uguali» aventi accesso alla politica. Ad Atene gli «uguali» sono i detentori della cittadinanza (coloro che Solone recuperò alla libertà stabilendo un baratro tra libertà e schiavitù). Nondimeno il funzionamento di questa relativamente vasta comunità di uguali (più vasta di quella spartana a base razziale) è garantito dalla opzione di alcune grandi famiglie – gli Alcmeonidi in primis – in favore della «democrazia» (cioè del sistema che garantiva il sorteggio tra tutti i cittadini di alcune cariche rilevanti). Quando Alcibiade descrive dinanzi agli Spartani il sistema ateniese arriva a dire che il comando, ad Atene, è tramandato per via ereditaria nell’ambito della famiglia, cui lo stesso Alcibiade appartiene, degli Alcmeonidi. I «signori» ostili a questo compromesso erano infatti ostili innanzi tutto alle grandi famiglie che aveva­ no accettato il sistema. Ma il patto era precario e si poteva andare incontro a serie crisi, come infatti accade più volte in Atene. È possibile affermare – non senza un qualche schema­ tismo – che pur tra repulse ed entusiasmi – è al sistema di valori di quei «signori» (distene, Pericle, Alcibiade nel V sec.) che si rapporta l’etica «democratica». Piuttosto presto questo equilibrio si è rotto, dando avvio per un verso al giusnaturalismo ‘selvaggio’ della sofistica, per l’altro alla ricerca platonica di una fuoriuscita dal circolo vizio­ so della città democratica: e la fuoriuscita era appunto, per Platone, nella formazione di un ceto selezionato per virtù e destinato al governo. A questa severa utopia, destinata a non sopirsi mai del tutto, tiene dietro la pacata sistemazione aristo­ telica: cui però non corrisponde nessuna città terrena. Dopo di lui la strada che masse assetate di salvezza e grandi saggi 6

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