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Un paradiso perduto PDF

312 Pages·1994·5.879 MB·Italian
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Campi del sapere/Feltrinelli Las er"iFei lossoifio ac"c updae foin damendteil slcei enpzrei vilegliaa ndo dimensione dcehletl r'oaevgsaip rree ssnieolnslepo e ttcrhoev ad alelp'i ste­ mologailalfi al osopfioal itica, Saigl ula'rendtoain ac llaafi. l osotfiraa diziona­ lem a qau elcloan temportaenneeanc doon tdoe lplreo popsrtoev enideanlt­i lep iùd iverasreed eic ultuIrlma o.n dod 'oghgair aggiuunnte os tregmroa ­ dod ic omplesesa intcàhl eec ategodreilel 'indfialgoisnosefio cnaoo b bligate ar idefinciornstii nuam"eCnatmep.di e ls apere/Filvousoolmfieea t"t ear e disposisztirounmee pnetrai p riurned ialotgrofia l ososficai,e nezs eo cietà. Marcello Cini è nato a Firenze nel 1923. È stato ordinario di Isti­ tuzioni di Fisica teorica e di Teorie quantistiche all'Università "La Sapienza" di Roma. Nella sua attività di ricerca si è occupato di particelle elementari, di fondamenti della meccanica quantistica e di processi stocastici. Il suo interesse per la storia della scienza e i temi epistemologici l'ha visto in prima linea nelle discussioni dell'ultimo ventennio. È stato vicedirettore della rivista interna­ zionale "Il Nuovo Cimento" Oltre ai testi di fisica per uso univer­ sitario e per la scuola secondaria, ha pubblicato L'ape e l'architet­ to (con G. Ciccotti, G. Jona-Lasino, M. De Maria, Feltrinelli 1976), Il gioco delle regole (con D. Mazzonis, Feltrinelli 1982), Trentatré variazioni su un tema (Editori Riuniti 1990), Quantum Theory without Reduction (con J.M. Lévy-Leblond, Adam Hilger 1991). Marrello Cini Un penluto Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei proressi evolutivi ~ Feltrinelli ©Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione in "Campi del Sapere" febbraio 1994 Quarta edizione gennaio 1999 ISBN 88-07-10169-6 Introduzione Il modo più diffuso di parlare di scienza, tralasciando da un lato la manualistica di ogni specie e dall'altro il genere letterario che va dalla storia romanzata alle biografie di scienziati illustri, è la "divulgazione". Il suo scopo è di informare il lettore, con un lin­ guaggio più o meno elementare a seconda del suo livello di cono­ scenze, sui risultati più recenti di una data disciplina. Sottolineo recenti, perché la conoscenza scientifica accumulata in passato non la interessa: rientra nell'ambito di quello che si insegna a scuola, e quindi, per definizione diventa noiosa e priva di interes­ se. Il ventaglio della qualità della divulgazione è, ovviamente, as­ sai ampio: ce ne può essere di ottima (rara) ma anche di pessima (assai più frequente). Essa è comunque caratterizzata da un atteg­ giamento non problematico, finalizzato alla enunciazione di dati di fatto, alla illustrazione di scoperte e alla valorizzazione di tra­ guardi raggiunti. Deve comunicare certezze, non sollevare inter­ rogativi. L'accento è perciò posto assai meno sulle domande che sulle risposte: contano poco le premesse, le motivazioni, le alter­ native di una questione aperta, l'importante è come va a finire. La divulgazione è infatti figlia di una concezione della scienza che la considera un processo di accumulazione di fatti veri e di sostituzione graduale di credenze errate con conoscenze accerta­ te. E soprattutto che la ritiene un'impresa del tutto autonoma nelle sue motivazioni e nei suoi fini, dedita all'investigazione di­ sinteressata della natura e delle sue leggi, suddivisa in settori di­ sciplinari indipendenti l'uno dall'altro e dal contesto sociale cir­ costante. La divulgazione è perciò per sua natura frammentaria: ogni articolo, ogni libro, ogni documentario descrive una tessera di un mosaico senza curarsi della scena complessiva rappresen­ tata. Ma soprattutto essa è un bene di consumo: l'attenzione del let­ tore deve perciò essere in genere attirata sul carattere inaspetta­ to e spettacolare della conclusione alla quale viene condotto per 7 mano. Di qui l'uso frequente, salvo eccezioni, di metafore ardite, analogie forzate e iperboli fantasiose tendenti a fornire un'imma­ gine di un oggetto misterioso per suscitare meraviglia. Che cosa resta dunque al consumatore di divulgazione, al ter­ mine della sua fatica? Ha incontrato occasioni di riflessione, rice­ vuto stimoli all'allargamento del suo orizzonte culturale, colto spunti per risolvere dubbi o colmare lacune? Ha acquisito stru­ menti che in qualche modo possano servire a migliorare la sua ca­ pacità di orientarsi nel mondo? Mi sembra difficile rispondere af­ fermativamente. Data infatti la distanza, comunque grande, che separa il linguaggio della divulgazione da quelli utilizzati dagli scienziati nella loro attività reale, essa difficilmente può fornire, per quanto riguarda la possibilità di avvicinarsi alla scienza, qualcosa di più che nomi e nozioni da immagazzinare nella me­ moria. Ma non può nemmeno, proprio per l'esclusione a priori di ogni riferimento alle connessioni di questa attività scientifica con la cultura in senso lato, aprire la via alla comprensione della na­ tura della scienza, delle sue ragioni, dei problemi che il suo svi­ luppo solleva, sia al suo interno che all'esterno dei suoi confini. Ciò non vuol dire tuttavia che essa non comunichi nulla di in­ teressante. Altrimenti non si capirebbero le ragioni del suo suc­ cesso. La divulgazione comunica piuttosto sul piano della fanta­ sia, dell'estetica, del gusto per l'enigmistica o della curiosità per l'inaspettato. Paradossalmente dunque il tentativo di far parteci­ pare il pubblico a un'impresa considerata come razionale per ec­ cellenza produce un effetto opposto, perché trasmette un messag­ gio che viene recepito soprattutto a livello emozionale, e acquista dunque un significato completamente diverso. La concezione tra­ dizionale della scienza, che la identifica con il suo contenuto cri­ stallizzato di verità certe e assolute, conduce dunque a una con­ traddizione. La componente specialistica del discorso scientifico è infatti comunicabile pienamente soltanto a chi sia in grado di seguirne la concatenazione logica in tutti i suoi passaggi: se ne manca anche uno solo, e viene sostituito da una metafora o da un'analogia, la catena si spezza e il ragionamento diventa sugge­ stione, il pensiero procede per associazioni, si dilegua il confine tra il possibile e l'impossibile, fra scienza e fantascienza. Se il discorso scientifico fosse dunque riducibile completa­ mente all'intreccio fra fatti certi e deduzioni logicamente inecce­ pibili non ci sarebbe nulla da fare: la sua comprensione sarebbe preclusa a chiunque non facesse parte della ristretta cerchia de­ gli iniziati, e la sua divulgazione somiglierebbe molto allo spaccio di moneta falsa. Ma le cose non stanno così. Da ormai qualche de­ cennio gli studi storici, epistemologici e sociologici hanno mo­ strato che le regole dei linguaggi scientifici non sono rigide e im­ mutabili, ma cambiano a seconda del clima culturale e sociale del tempo e che i fatti non sono dati assoluti e a priori, ma a loro voi- 8 ta devono essere interpretati teoricamente. La pretesa di giustifi­ care la verità e il valore della conoscenza scientifica sulla base di regole metodologiche certe e assolute non regge più. Questo im­ plica che il suo processo di accrescimento non può essere com­ preso se non introducendo, oltre alle categorie concettuali del lin­ guaggio interno alle diverse discipline, anche categorie "esterne" che ne descrivono le interazioni con la società circostante e ne spiegano gli effetti. La scienza acquista dunque, per così dire, una terza dimensio­ ne, storica o se si preferisce evolutiva, in aggiunta alle due -quel­ la empirica e quella logica -che la caratterizzavano. Diventa per­ ciò possibile utilizzarne la rappresentazione in prospettiva, che la nuova dimensione permette di adottare, per illuminarne aspet­ ti non meno reali ed essenziali di quelli che si colgono collocando­ si soltanto nel tradizionale piano bidimensionale. A questo punto tutto il discorso sulla divulgazione cambia. Il riconoscimento di questa possibilità apre infatti la porta della cittadella della scienza anche ai non iniziati. L'attività degli scien­ ziati acquista infatti, oltre al significato direttamente espresso nel linguaggio tecnico della disciplina, un significato che può es­ sere descritto nel linguaggio comune-delle persone colte. La rico­ struzione dei processi storici ed evolutivi ricorre infatti a catego­ rie concettuali e a procedure metodologiche che sono in genere alla portata di una cerchia assai più ampia di quella degli specia­ listi. Alla luce del contesto nel quale sono collocate, le scelte dei problemi da affrontare, le scale di priorità, le controversie inter­ pretative, i mutamenti di punti di vista, che sono incomprensibili e ingiustificabili ricorrendo unicamente a categorie empiriche e logico-deduttive, diventano comunicabili e interpretabili, una volta che si disponga di una descrizione delle tesi a confronto che ne colga il carattere metateorico. In quest'ottica anche discipline come l'epistemologia, la sto­ ria e la sociologia della scienza perdono il loro carattere di setto­ rialità e di incomunicabilità, che si manifesta spesso nell'affer­ mazione di una pretesa supremazia concettuale di ognuna nei confronti delle altre, per diventare fonti complementari e indi­ spensabili di conoscenza che gettano luce da punti di vista diversi di un processo evolutivo che per essere compreso deve, appunto, essere "preso insieme" nei suoi molteplici aspetti. Mi preme sottolineare che il ricorso a questa terza dimensio­ ne evolutiva non è un éscamotage o un surrogato. Al contrario, è la concezione dominante della scienza che comporta il ricorso nella divulgazione a trucchi da prestigiatore. Soltanto se si pre­ tende di proiettare tutto lo spessore del processo di sviluppo del­ la scienza sul piano logico-empirico ci si trova infatti di fronte al problema, in realtà insolubile, di descriverlo traducendo il lin­ guaggio specialistico della disciplina nel linguaggio comune. Il ri- 9 sultato è, come ho cercato di argomentare, quello di travisare e banalizzare il contenuto logico-empirico dell'impresa scientifica e al tempo stesso di eliminarne quello storico-culturale. Voglio tuttavia, a scanso di equivoci, chiarire bene che entrambi questi contenuti sono essenziali, e dunque che sarebbe altrettanto arbi­ trario se si pretendesse di ridurre questo processo alla sua sola dimensione storica, con la riduzione della sua dinamica ai soli mutamenti del contesto sociale, perdendo in tal modo la specifici­ tà degli obiettivi conoscitiv_i che lo giustificano. Il punto essenziale da cogliere in questo modo di vedere il pro­ cesso di crescita della conoscenza scientifica in una prospettiva "tridimensionale" è il riconoscimento della differenza fra ciò che è avvenuto e ciò che deve ancora realizzarsi. Il fatto che un evento si sia verificato non implica che esso doveva necessariamente ve­ rificarsi, anche se, una volta che le cose sono andate in un modo, non si può più tornare indietro. È indubbiamente vero che Napo­ leone è stato sconfitto a Waterloo, ma questa sconfitta non era ineluttabile: è lecito domandarsi perché le cose non sono andate diversamente. Ora, ciò che caratterizza la storia scritta dai vinci­ tori e la distingue in negativo dalla critica storica è proprio l'at­ tribuzione del carattere di necessità a tutto ciò che è accaduto. La concezione tradizionale fa proprio questo: identifica la scienza quale essa è oggi come l'unica scienza che avremmo potuto avere. È un errore epistemologico grave: ma mentre è abbastanza scon­ tata l'affermazione che il processo evolutivo della specie avrebbe potuto avere infiniti altri sbocchi rispetto a quello rappresentato dalla varietà delle attuali forme viventi (anche se non possiamo verificarla perché è impossibile ricominciare da zero la storia dell'evoluzione della vita sulla Terra), è ancora considerata un'e­ resia sostenere che il complesso ed eterogeneo edificio della scienza contemporanea avrebbe anche potuto essere completa­ mente diverso. Da questo errore discende anche la mancanza di problematici­ tà che caratterizza in genere il resoconto di Ùn nuovo risultato scientifico. Se infatti la scienza di oggi discende ineluttabilmente da quella di ieri, ne segue che anche quella di domani sarà conse­ guenza necessaria di quella di oggi. In altri termini, che c'è una sola risposta giusta a qualunque domanda ci venga in mente di formulare sulla realtà circostante, e dunque che necessariamen­ te, se due scienziati non sono d'accordo, uno dei due ha sbagliato perché non ha rispettato le regole del metodo scientifico. Questa mancanza di problematicità si riscontra non soltanto, come ab­ biamo detto, a livello di divulgazione, ma anche, come avremo modo di vedere in dettaglio, a livello di letteratura specializzata. Questa premessa, forse eccessivamente lunga, mi sembra ne­ cessaria per cercare di spiegare le ragioni e i propositi di questo libro. È chiaro a questo punto che non vuole essere un testo di di- 10

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