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Un mondo di tutti e di nessuno. Pirati, rischi e reti nel nuovo disordine globale PDF

237 Pages·2016·28.986 MB·Italian
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® ---- •• , , , , , TI ' I • ' I ' ' , ' -, ' ' ........ ___ , I Darùcl lnnerarity Uri di tutti e di nessuno 111011<10 Pirati. risehi <' l'l'li 11vl 1111ovo disordine glohalr IIISet11BBOLETH 9 Introduzione all'edizione italiana di Leonardo Mattana Il volume di Daniel Innerarity non deve trarci in inganno circa la sua natura. Potrebbe farlo, certamente, a causa della sua ve ste ibrida, della trasversalità degli autori citati e dei riferimen ti, a causa di quella fona propositiva che insiste per trovare un posto nelle agende politiche internazionali e che potrebbe far insospettire coloro che sono diffidenti nei confronti di una fìlosofìa che offre soluzioni troppo dirette, sen7.a passare dalla rarefazione speculativa. Quindi, il libro di Innerarity, nonostante questa apparenza, è un libro di fìlosofìa. E aggiungerei che eventuali genitivi risul tano superflui: non è un libro di fìlosofìa politica o di fìlosofìa della società, è un volume che propone un'ontologia e, quindi, se tratta di politica o di società, lo fa proprio per dare un'im pronta fìlosofìca a tali campi. Ritengo che alcune parole debbano essere dette proprio sulla funzione della fìlosofìa nei confronti della riflessione politica e del suo rapporto con il senso comune. Come ci insegna an che questo volume, nel mondo di oggi viviamo pervasi dall'i dea della tecniciz:r.azione della conoscenza, della necessità di un'accessibilità comune dei codici comunicativi, del fatto 10 che dobbiamo essere in grado di fruire concretamente tutto ciò che viene prodotto, indifferentemente che si tratti di un hamburger o di un libro (quasi come se dovessero avere gli stessi tempi di digestione). Detto in maniera molto sintetica: sembra che ogni proposta debba far perno sul senso comune, come se esso coincidesse con il buon senso e valesse come un certifìcato di riuscita delle proposte. All'interno di questo paradigma, la filosofia rischia di vedersi confinata nello spazio ristretto e un po' disdegnato della divulgazione, quasi ama toriale, contro i "veri" saperi scientifici: l'economia, il diritto, l'ingegneria, la ricerca medica e farmaceutica, la Statistica, e, infine, giusto per apportare un po' di spirito critico (ma non troppo), le scienze politiche. Tradizionalmente, però, la filo sofìa ha sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale con il senso comune, o per dirla un po' gergalmente, con il farsi capire da tutti (e tuttavia non ci si sofferma mai abbastanza sul fatto che i "veri" saperi appena citati risultino spesso oscuri ai più e restino limitati agli esperti). Il libro di lnnerarity è tuttavia accessibile, usa un linguaggio comprensibile, rinuncia all'oscurità delle metafore, delle om bre e della decostruzione linguistica che pervade una certa tradizione della filosofia contemporanea, rinuncia persino ali'e ffetto e alla suggestione: si fa capire. Se volessimo dare una struttura sillogistica al ragionamento che stiamo portando avanti, e date queste premesse, la conse guen7.a dovrebbe essere che il volume del nostro autore non è un libro di filosofia. Esattamente l'opposto di quanto affer mato qualche riga prima. Cosa abbiamo sbagliato? A mio avvi so, non ci siamo soffermati abbastanza su una delle premesse: owero abbiamo ritenuto che usare un linguaggio accessibile sia sinonimo di cadere nel senso comune e nella banalità, e che quindi non sia filosofia. Probabilmente, in quanto lettori dei filosofi più ostici, siamo Stati abituati diversamente e ci 11 portiamo dietro una diffiden7.a verso la chiarez.za espositiva e la volontà dell'autore di farsi capire. Tuttavia si può fare una proposta che conservi la radicalità della filosofia e che tut tavia si dispieghi in campi diversi da essa, sen7.a limitarsi ad essere una proposta timidamente riformista: infatti, la spinta progressista del XX secolo si è esaurita, la socialdemocra7.ia è stanca, il suo sguardo disincantato, rinunciatario, eppure ai tempi della glohalizzazinne, nel momento in cui non c'è più il paracadute dello Stato nazionale, le sfide richiedono un nuovo vigore e nuova immaginazione politica. Abbiamo bisogno di una filosofia che aiuti a decidere, che sia in grado di fornire chiavi di interpretazione del mondo e che contribuisca a stabi lire i temi prioritari delle agende internazionali. Ora, Un mondo di tutti e di nessuno può essere letto su più li velli: come abbiamo detto, risulta comprensibile ad un pubbli co vasto, è utile peri politici e i politologi e si rivela addirittura necessario per i filosofi. Proprio perché comprensibile ai più, letto, invece, su un altro piano, implica un'analisi del discorso e un confronto con la tradizione filosofica, presente ma spesso implicita. Inoltre, ricordando il compito della filosofia appena richiamato, questo testo ci aiuta a rulettere e a decidere. Ho voluto fare questa premessa (q uasi un'a vverten7.a) non per sdoganare o giustificare libro e autore come abitanti con pieni diritti nel mondo della filosofia (cosa di cui non c'è assoluta mente bisogno e che comunque non spetterebbe a me farlo), quanto piuttosto per risaltare il valore di questo carattere di confine, proficuamente ambiguo, capace di tracciare trasver salmente linee che si congiungono in proposte innovative. Solo un lettore disattento non avvertirebbe la radicalità delle questioni poste: sicurezza globale, cambio climatico, asimme tria dello sviluppo nei vari Stati, per dirne alcuni. Ma ciò che altrettanto colpisce (e ancora un po' insospettisce qualcuno) è la pacatezza e la lucidità delle proposte, sino al punto di chie- 12 derci se esse siano all'altezza dei problemi. Difficile dirlo, per ché è richiesto l'onere della prova. Tuttavia un tono allarmista o disfattista non sarebbe Stato più utile e, d'altronde, è vero che l'autore si mostra cautamente ottimista, ma non in modo ingenuo. Infatti non ritiene che vi sia un progresso necessa rio, seppure sia convinto di non dover rinunciare a fare delle proposte: la 6losofìa ha il dovere di farlo, proprio per richia mare quell'incessante domandare che le appartiene sin dalla sua origine. Cercheremo ora di entrare nel merito di alcune questioni esposte nel volume. Tuttavia per evitare di limitarci ad un ri assunto o ad un elenco dei temi, vorrei mantenere sempre sotto traccia alcuni problemi con cui individuare un dialogo: assieme alla già citata questione del compito della 6losofìa, dovremmo indagare l'idea di comunità (Comunità Europea, Comunità globale) e l'idea di egemonia, in particolare per quanto riguarda il ruolo dell'Occidente nel progetto di una gooemance globale. Partiamo da una domanda fondamentale che costituisce l'e pi logo del volume: chi siamo noi? Di fronte a questa domanda, Innerarityrisponde così: noi siamo coloro che apparteniamo a11a medesima classe, noi che ridiamo delle stesse cose, noi che siamo uniti daJla paura, noi i compatrio ti, i cosmopoliti, i rivolu7.lonari, i civilir.,.ati, i na7.lonali, noi il popolo, noi che condividiamo gli stessi va1ori, che abbiamo il medesimo interesse, i contemporanei, i nostri, quelli della stessa generazione, i complici e i solidari, quelli di qui e quelli di sempre, le vittime di una tragedia o di un'ingiustizia, gli indignati, i minacciati, gli esperti, noi che abbiamo ragione, i maschi, i norma1i, gli ortodossi, i sani di mente. .. Si tratta evidentemente di una risposta provocatoria, di un lungo elenco che potrebbe essere ancora prolungato indefi nitamente, e che però ci fa riffettere proprio perché ci mostra 13 come l'attribuzione di ciascuno di noi ad un gruppo piuttosto che ad un altro sia del tutto arbitraria: persino quando ci rico nosciamo in un ideale universale (c ome lo Stato, per esempio) lo facciamo attraverso la percezione di noi stessi; è a partire dal avvertirmi come me, in un contesto, che traccio reti re lazionali, che stabiliscono un rapporto con l'altro, delineando distinzioni socio-culturali che ci uniscono oppure ci separano. Il problema, come una lunga tradizione fìlosofìca insegna, è che passare dall'io al noi implica un cambio di statuto onto logico. Quanto è ancora presente quell'io nel noi? Quanto lo condiziona, sino al punto di rendere impossibile la coinciden- del noi con se stesso, in quanto tale? Eppure, noi dobbia 7.a mo chiederci: chi siamo noi? Una domanda su un io isolato e indefinito non ci aiuta a sgrovigliare la complessità del mondo attuale. Le difficoltà della domanda sul noi aumentano ancora se ci interroghiamo sugli altri: indipendentemente dalla posi zione che si voglia occupare nello scacchiere ideologico, la lo gica bipolare non funziona più. Noi non siamo più i buoni, ma nemmeno, se lo volessimo, potremmo essere i cattivi. Il mon do non si divide in due ma in parti potenzialmente inlìnite, che pero sono inevitabilmente legate perché ci sono problemi globali che sono irreversibilmente comuni. In questo periodo sembra di rivivere ostilità assolute di sch mittiana memoria. Voglio citare due esempi (non citati nel volume perché ancora più recenti del libro stesso) per poi ap plicarvi alcune categorie di Innerarity: l'ISIS che si prepara a muovere guerra all'Occidente (o almeno è ciò su cui una certa retorica insiste) e la contrapposizione tra Europa del Nord ed Europa del Sud, della Germania contro la Grecia. Il primo caso sembra la classica riformulazione di una logica bipolare a cui si aggiunge la componente religioso-<:ulturale, derivante anche dalle retoriche sullo scontro di civiltà succes sive al 11 settembre, le quali donano al conflitto una parven7.a 14 quasi da guerra santa e spinge a ritenere che lo scontro fron tale sia l'unica opzione. Il secondo, invece, pare essere la parola definitiva contro tutti i discorsi a favore dell'unità europea e della costituzione di una comunità politica. Si sostiene che le esigenze tedesche e nordeuropee siano opposte e inconciliabili con quelle gre che e degli altri paesi mediterranei, per cui tanto vale uscire dall'Unione Europea e anche dalla moneta unica e tornare alle tanto rimpiante frontiere nazionali. Voglio partire dal secondo esempio: Un 11Ul'fldo di tutti e di nessuno non mette a fuoco esplicitamente il tema dell'Unione Europea. Il libro si incentra sul concetto di gooemance glo bale, che non è il medesimo di quello europeo, ma tuttavia vi possiamo riscontrare alcune dinamiche analoghe. Ora, è evi dente che il già attuale livello di integrazione europeo, benché imperfetto e ampiamente migliorabile, è più avan1.ato di quel lo degli organismi internazionali su base globale, e, come so stiene Innerarity, nemmeno è auspicabile che questi giungano allo stesso livello. L'Unione Europea si muove, per quanto lentamente e incertamente, nella direzione di un livellamento delle condizioni sociali degli abitanti dei paesi membri e dei loro salari, si cerca di elaborare una politica estera comune così come si inizia a parlare di un esercito comune europeo maggiormente integrato rispetto alla Nato, esiste un bilan cio comune europeo, seppure coesista con quelli nazionali. Insomma si fa avanti, negli ambienti più europeisti, l'idea di un'Europa federale, degli Stati Uniti d'Europa. Un'eventuale gooemance globale non potrebbe (né dovrebbe, ripetiamo) raggiungere tali livelli, quanto invece dovrebbe farsi carico di quelle sfide che hanno una dimensione, appunto, globale. Tut tavia vi è qualcosa che accomuna entrambi i livelli: la cessione di quote di sovranità da un livello inferiore ad uno superiore. 15 Qui si gioca gran parte della riuscita o meno della costituzio ne cli una comunità, sia che si tratti cli quella europea oppure cli un sistema cli gooemance globale. Vivendo ormai da lungo tempo nello Stato nazionale, ci siamo abituati a pensare insie me sovranità e democrazia, e, ora, nel momento in cui viene chiesta la cessione cli parte della nostra sovranità nazionale, siamo indotti a ritenere che la qualità della nostra vita demo cratica peggiorerà. Alla luce delle recenti tensioni che citavo, è vero che alcuni processi europei non hanno rispettato i livelli cli democrazia a cui eravamo abituati e tuttavia sarebbe intel lettualmente disonesto pretendere un'equiparazione imm~ cliata tra i livelli nazionali e quelli sovranazionali. Innerarity ci fa notare come ci siamo riscoperti molto esigenti sulla qualità della democrazia nell'Unione Europea e nei contesti interna zionali, dopo che in non pochi contesti nazionali siamo reStati pressoché indifferenti nei confronti cli cattive gestioni e mala politica Le espressioni dell'indignazione anti-europea hanno diverse forme: si va dal populismo più esasperato che vorreb be tornare aconfìni ormai scomparsi sino alle critiche puntuali sulla mancata trasparen:zadei processi decisionali e sull'ecces sivo peso dell'aspetto monetario rispetto a quello politico. E tuttavia, vi è un tratto comune che esige una soluzione: manca il senso cli comunità. In alcuni casi è evidente che tale senso neanche lo si cerca, per esempio, in casi cli xenofobia e razzi smo. Ma anche nelle critiche più giustificate possiamo notare un senso cli cliffiden:za e frustrazione. La domanda più difficile è: pur acconsentendo a cedere quote della sovranità nazio nale, a chi dovremmo cederle? Perché gli organismi europei che hanno la legittimità democratica, in primis il Parlamento Europeo, non danno una forte impronta politica ai processi decisionali? E qui è bene introdurre due concetti fondamen tali del libro cli Innerarity: la riconversione della sovranità in responsabilità e l'umanismo transnazionale. 16 Dovremmo abituarci a regimi ibridi, a spazi nei quali le de cisioni si prenderanno contemporaneamente su vari livelli di governo: è molto poco probabile che un giorno si crei un go verno mondiale oppure che i parlamenti e i governi nazionali scompaiano, nemmeno all'interno dell'UE, ma nel contempo, sarà sempre più frequente una certa ingerenza (o almeno ciò che ora ci sembra tale) di livelli superiori rispetto a quello sta tale (o addirittura quello regionale, laddove talvolta sono già presenti contestazioni nei confronti dello Stato). Per questo motivo, dobbiamo affiancare la responsabilità alla sovranità, perché di fronte a certi problemi come le migrazioni, i conflitti o la repressione di diritti fondamentali, non possiamo invoca re ancora il principio di autodeterminazione dei popoli e far finta che non stia succedendo niente. Un mondo di tutti e di nessuno, sen7.a confini, implica che il raggio dei diritti e dei doveri si estende su un orizzonte globale e che lo spettro delle mie decisioni politiche riguarda anche chi mi è più lontano, e viceversa. Ora, prima di fare qualche esempio concreto sul la responsabilità, vorrei introdurre il concetto di umanismo transnazionale. Parlare di umanismo oggi sembrerebbe un po' desueto, eppure riesce ad avere la sua efficacia, se declinato nel giusto modo. In realtà, umanismo transnazionale significa re avere per riferimento, nel quadro della gooemance globale, l'umanità. Certo, è necessario elaborare compiutamente cosa sia l'umanità, quali siano i connotati che la rendono tale, e tuttavia essa si mostra come un argine contro le spinte di re territoriali7.za7.ione e autarchia. In fondo, a voler essere disin cantati, l'umanità esiste perché, se siamo in un mondo espo sto, se il mio nemico può colpirmi in ogni luogo, allora anche il mio potenziale amico può essere raggiunto ovunque. Siamo costretti a vivere uno stesso spazio e quindi sta a noi render lo più o meno vivibile e sicuro. Ai tempi della nascita dello Stato moderno, per uscire dallo Stato di natura, era sufficien te riconoscere un sovrano, costituire una comunità e quindi 17 chiuderla nei confronti di coloro che non vi appartenevano. In questo modo, tutto sommato, si potevano garantire periodi di pace più o meno prolungati, a patto che la comunità non si speZ?.asse (guerra civile) oppure un elemento esterno interve nisse (aggressione nemica). Ma ora, evidentemente, non è più così: possiamo essere colpiti a distanza, attraverso la rete per esempio, oppure finanziariamente, per non parlare del peri colo atomico che non è certamente scomparso. Abitare, dunque, uno stesso spazio ci converte già in una comunità, per quanto ancora talvolta ci mostriamo ostili tra di noi. E quindi, se abitiamo uno spazio comune, vuol dire che non ci può essere un'ostilità totale: prendiamo coscien7.a della relazione che ci unisce all'altro, capiamo che possiamo declinare l'ostilità in negoziazione, che è la sospensione dell'o stilità, quindi raggiungere la pace, e persino arrivare alla col laborazione sulle grandi questioni globali. Occorre insistere sull'idea di umanità anche facendo leva sul versante negativo: l'idea opposta a quella di riconoscere che siamo una comunità è quella di essere disposti ad una guerra di annichilimento, come si pensava in passato, ma ancora più radicale, dato che una guerra di annichilimento, in un contesto globale, equivar rebbe ad una distruzione totale dell'umanità stessa. Al di là di tutti i conflitti presenti nel mondo, forse siamo intimamente convinti che l'idea di un'umanità transnazionale e di una go vernance globale sia preferibile a quella dell'autodistruzione. Tutto questo ragionamento ci riporta all'esempio citato del conflitto in seno all'Unione Europea tra paesi del nord e paesi del sud. A coloro che ritengono che l'UE non serva a nulla e che faremo bene a tornare ai confini nazionali dovremmo chiedere: Cosa ha portato il progetto europeo? 60 anni di pace (a cui si potrebbero aggiungere i benefici economici di cui molti paesi, specie del sud Europa, hanno goduto). Non sono pochi, tenendo conto che non ci sono indicatori del fatto che

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