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Tre lezioni sull’uomo. Linguaggio, conoscenza, bene comune PDF

75 Pages·2017·0.572 MB·Italian
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Presentazione «Che cos’è il linguaggio? Quali sono i limiti dell’intelletto umano (se esistono)? E qual è il bene comune per il quale dovremmo lottare?» Ecco i tre quesiti che Noam Chomsky affronta nelle lezioni raccolte in questo volume, elementi essenziali della domanda delle domande: «Che genere di creature siamo?» Non si tratta certo di questioni da poco, ma se c’è qualcuno che ha sia la competenza scientifica sia la capacità didattica necessarie per trattare tali problemi coinvolgendo il lettore e rendendolo davvero partecipe del ragionamento, questi è sicuramente Chomsky. Che, senza avere mai la pretesa di offrire soluzioni definitive, rende semplice il difficile, e mettendo a nostra disposizione le sue enormi conoscenze ci mostra quanto spesso e quanto facilmente le ovvietà, così banali nel loro essere vere, possano essere ignorate o rifiutate, mentre l’errore diventa prassi, se non teoria, dominante. Partendo dal «linguaggio» e arrivando al «bene comune», il grande intellettuale americano si mostra qui per intero. Per una volta, in questo libro il linguista e il «politico» si incontrano, e dimostrano (se ce ne fosse bisogno) che si tratta di una persona sola: in Chomsky tout se tient. E mai come in queste pagine risulta evidente che lo scienziato che ha rivoluzionato la linguistica e l’appassionato militante perseguono un medesimo fine: la comprensione di ciò che l’uomo è nella sua natura più profonda. Noam Chomsky (Filadelfia 1928) è il maggior linguista vivente e uno dei punti di riferimento della sinistra radicale internazionale. È professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology. Ponte alle Grazie ha pubblicato Ultima fermata Gaza (con Ilan Pappé, 2010), Sistemi di potere (2013), I padroni dell’umanità (2014), Anarchia (2015), Terrorismo occidentale (con André Vltchek, 2015), Chi sono i padroni del mondo (2016). www.ponteallegrazie.it facebook.com/PonteAlleGrazie @ponteallegrazie www.illibraio.it Titolo originale: What Kind of Creatures Are We? Copyright © 2016 Noam Chomsky First published by Columbia University Press Italian edition licensed through Nabu International Literary Agency www.nabu.it © 2017 Adriano Salani Editore s.u.r.l. - Milano ISBN 978-88-6833-681-3 Art direction: ushadesign In copertina: © Gary Waters. Tutti i diritti riservati Redazione e impaginazione: Scribedit - Servizi per l’editoria Ponte alle Grazie è un marchio di Adriano Salani Editore s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione digitale: gennaio 2017 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Tre lezioni sull’uomo Capitolo primo Che cos’è il linguaggio? L’interrogativo generale che vorrei affrontare in questo libro è antico: che genere di creature siamo? Non sono così ingenuo da pensare di poter fornire una risposta soddisfacente, tuttavia mi sembra ragionevole credere che almeno in certi ambiti, in particolare rispetto alla nostra natura cognitiva, esistano idee di qualche interesse e rilievo, alcune delle quali nuove, e che dovrebbe essere possibile togliere di mezzo alcuni degli ostacoli che impediscono ulteriori indagini, per esempio certe dottrine universalmente accettate dotate di fondamenta molto meno solide di quanto spesso si immagini. Prenderò in considerazione tre questioni in particolare, progressivamente più oscure. Che cos’è il linguaggio? Quali sono i limiti dell’intelletto umano (se esistono)? E qual è il bene comune per il quale dovremmo lottare? Inizierò con la prima, cercando di spiegare in che modo, quando sono perseguite con precisione, quelle che a prima vista potrebbero apparire questioni piuttosto limitate e tecniche possano condurre a conclusioni di ampia portata di per sé significative, e comunque assai diverse da quello che in genere si crede – e spesso si ritiene fondamentale – nelle relative discipline: le scienze cognitive in senso lato, comprese la linguistica e la filosofia del linguaggio e della mente. Analizzerò quindi quelle che ai miei occhi paiono di fatto delle ovvietà, anche se di un tipo curioso. In genere vengono rifiutate. E questo pone un dilemma, almeno per me. E forse anche voi sarete interessati a risolverlo. Parliamo del linguaggio. È stato studiato in maniera intensiva e fruttuosa per 2500 anni, senza però una chiara risposta rispetto alla questione di cosa sia il linguaggio stesso. Più avanti citerò alcune delle principali proposte. Dovremmo chiederci quanto sia importante colmare questa lacuna. Per lo studio di ogni aspetto del linguaggio la risposta dovrebbe essere chiara. Soltanto nella misura in cui esiste una risposta a questo interrogativo, per lo meno implicita, è possibile intraprendere delle serie ricerche sulle questioni relative al linguaggio, tra cui quelle concernenti l’acquisizione e l’uso, l’origine, il mutamento, la diversità e le proprietà comuni, il linguaggio nella società, i meccanismi interni che mettono in atto il sistema, tanto il sistema cognitivo in sé quanto i suoi svariati usi, funzioni distinte ancorché tra loro collegate. Nessun biologo oserebbe descrivere lo sviluppo e l’evoluzione dell’occhio, per fare un esempio, senza raccontarci qualcosa di piuttosto definito riguardo a che cos’è un occhio, e le stesse ovvietà si applicano alle indagini sul linguaggio. O dovrebbero. Stranamente non è così che in genere si sono affrontate le questioni, circostanza sulla quale tornerò più avanti. Esistono tuttavia ragioni ancor più essenziali per cercare di determinare con chiarezza che cos’è il linguaggio, ragioni direttamente collegate alla questione di che genere di creature siamo. Darwin non fu il primo a pervenire alla conclusione che «Gli animali inferiori differiscono dall’uomo solo per il potere infinitamente maggiore che l’uomo ha di associare i suoni alle idee più 1 diverse»; «infinitamente» è un’espressione tradizionale che oggi va interpretata alla lettera. Tuttavia Darwin fu il primo a esprimere questo concetto tradizionale nel quadro di un incipiente racconto dell’evoluzione umana. Ian Tattersall, uno dei maggiori specialisti dell’evoluzione umana, ne ha fornito una versione contemporanea. In una recente rassegna delle prove scientifiche di cui disponiamo attualmente, Tattersall osserva che un tempo si credeva che l’evoluzione avesse prodotto i primi precursori del nostro io successivo. La realtà però è un’altra: l’acquisizione della singolare sensibilità [umana] moderna è avvenuta all’improvviso e molto di recente. [...] L’espressione di questa nuova sensibilità è stata quasi certamente favorita dalla cruciale invenzione di quella che è la 2 caratteristica più notevole del nostro io moderno: il linguaggio. Se le cose stanno così, allora una risposta all’interrogativo «che cos’è il linguaggio?» è importantissima per chiunque sia interessato alla comprensione del nostro io moderno. Tattersall colloca quell’evento brusco e repentino in un ristrettissimo arco temporale probabilmente compreso tra 50.000 e 100.000 anni fa. Le date esatte non sono chiare, e non sono rilevanti per quello che ci interessa in questa sede, tuttavia lo è la repentinità della comparsa. Ritornerò sull’ampia e fiorente letteratura dedicata all’argomento, che in genere adotta un punto di vista molto diverso. Se l’ipotesi di Tattersall è sostanzialmente precisa, come indicano le prove empiriche assai limitate di cui disponiamo, in quel breve arco di tempo comparve la capacità infinita di «associare i suoni alle idee più diverse», secondo le parole di Darwin. Questa capacità infinita risiede evidentemente in un cervello finito. La nozione di sistemi finiti dotati di capacità infinita è stata intesa appieno a metà del Novecento, il che ha reso possibile formulare con chiarezza quella che secondo me dovrebbe essere riconosciuta come la proprietà più fondamentale del linguaggio, che chiamerò semplicemente Proprietà fondamentale: ogni lingua offre una serie illimitata di espressioni strutturate in maniera gerarchica le cui interpretazioni danno luogo a due interfacce, sensomotoria per l’espressione e concettuale-intenzionale per i processi mentali. Ciò consente una concreta formulazione dell’infinita capacità di Darwin o, risalendo molto più indietro, della classica affermazione di Aristotele secondo cui il linguaggio è suono dotato di senso, anche se le ricerche recenti mostrano che «suono» è troppo limitato, e ci sono buoni motivi, su cui ritornerò, per ritenere che la formulazione classica sia fuorviante rispetto ad alcuni aspetti importanti. Alla base, dunque, ogni linguaggio incorpora una procedura computazionale che risponde alla Proprietà fondamentale. Pertanto una teoria del linguaggio è per definizione una grammatica generativa, e ogni lingua costituisce ciò che in termini tecnici si chiama I-lingua, dove la «I» sta per interna, individuale e intensionale: noi siamo interessati a scoprire l’effettiva procedura computazionale, non un certo insieme di oggetti che enumera, ciò che, in termini tecnici, «genera con forza», più o meno analogo alle prove generate da un sistema assiomatico. A ciò si aggiunge la nozione di «generazione debole»: l’insieme delle espressioni generate, analogo all’insieme di teoremi generati. E c’è poi la nozione di «E-lingua», cioè lingua esterna, che molti – ma non io – identificano 3 con un corpus di dati, o con un insieme infinito generato in modo debole. Filosofi, linguisti, specialisti in scienze cognitive e informatici hanno spesso inteso il linguaggio come ciò che si genera in maniera debole. Non è nemmeno chiaro se la nozione di generazione debole sia applicabile al linguaggio umano. Al massimo è un derivato della ben più fondamentale nozione di I-lingua. Sono questioni dibattute in lungo e in largo negli anni Cinquanta, ma temo che non 4 siano state adeguatamente assimilate. In questa sede concentrerò l’attenzione sulla I-lingua, una proprietà biologica degli esseri umani, una sorta di sottocomponente (essenzialmente) del cervello, organo della mente/cervello nell’ampia accezione che la biologia attribuisce al termine «organo». Qui intendo la mente come il cervello considerato a un certo grado di astrazione. Tale impostazione viene talvolta definita biolinguistica: alcuni la ritengono discutibile, ma a mio avviso senza fondamento. Negli anni passati, la Proprietà fondamentale ha resistito a una chiara formulazione. Secondo alcuni classici, come Saussure, la lingua (nel senso pertinente) è una riserva di immagini lessicali che risiede nella mente dei membri di una comunità, che «esiste solo in virtù d’una sorta di contratto stretto tra i membri di una comunità». Per Leonard Bloomfield, la lingua è un insieme di abitudini per reagire alle situazioni tramite suoni linguistici convenzionali e per rispondere a questi suoni con le azioni. Altrove Bloomfield ha definito la lingua come «la totalità degli enunciati formulati all’interno di una comunità linguistica», qualcosa di simile alla precedente concezione del linguaggio di William Dwight Whitney, cioè «l’insieme dei segni emessi e udibili per mezzo dei quali nella società umana si esprime principalmente il pensiero», quindi «segni udibili per il pensiero», anche se questa è una concezione piuttosto diversa, per degli aspetti sui quali tornerò. A sua volta, Edward Sapir ha definito la lingua «un metodo puramente umano e non istintivo per comunicare idee, 5 emozioni e desideri attraverso un sistema di simboli volontariamente prodotti». Con concezioni del genere non è strano seguire quella che Martin Joos chiama tradizione boasiana, secondo la quale le lingue possono distinguersi l’una dall’altra in modo arbitrario e ogni nuova lingua deve essere studiata senza 6 preconcetti. Di conseguenza, la teoria linguistica consiste in una serie di procedure analitiche tese a ridurre un insieme in una forma organizzata, in sostanza in tecniche di segmentazione e classificazione. È a Zellig Harris che si deve lo sviluppo maggiormente elaborato di questa concezione, in Methods in 7 Structural Linguistics. Una sua versione contemporanea prevede che la teoria 8 linguistica sia un sistema di metodi destinati a elaborare le espressioni. È comprensibile che in anni passati la domanda «che cos’è il linguaggio?» ricevesse soltanto risposte indefinite come quelle citate, e che si ignorasse la Proprietà fondamentale. Sorprende tuttavia scoprire che risposte analoghe abbiano corso ancora oggi nelle scienze cognitive contemporanee. Non è insolito che gli autori aprano uno studio attuale sull’evoluzione del linguaggio scrivendo: «intendiamo il linguaggio come tutto quel complesso di capacità di associare il 9 suono al significato, che comprende l’infrastruttura che lo sostiene»; si tratta in sostanza di una ripetizione dell’affermazione di Aristotele, troppo vaga per dare fondamento a ulteriori ricerche. Lo ripeto, nessun biologo studierebbe

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