, COLLANA DI TESTI FILOSOFICI , , , t---------------1~: ~" GIORGIO BERKELEY :, :, ,, :, IL TRATTATO ·' SUI PRINCIPII DELLA CONOSCENZA UMANA li , , A CURA DI , ADELCHI BARAT ONO (della R. Università di Milano) ►' Q •' --·-------------------- ~. i A. M O N D A D O R I M I L A N O ►' '.•t--;;::;;;;;;;~~;;;;;::;:::;;:;;;;:;:;;;;;;;;~~~; ~~';.•.•·········~~~~·-·-······························•.::.-;...~~ 111111 GIORGlQ BERKELEY { Va11derba11ckp in.,;il) COLLANA DI TESTI FILOSOFICI DIRETTA DA ANTONIO BANFI GIORGIO BERKELEY IL TRATTATO SUI PRJN CIP II DE~&A9,çQJ:{Q~&ey_?~~~~NA NUOVAMENTE TRADOTTO con lnfroduzione, concl11.sione e ra//ronfi A CURA D[ ADELCHI B.ARATONO ) PROPRIRTÀ 1.aTTENARIA IUSERVA1'A PRINTED IN ITALY Otlic,ne Grafiche A. MOflòDAOORl - Vroooa - MC>IX>O<V INTRODUZTONE GIORGIO BERKELEY VlTA ED OPERE --- - Il pittore Giovanni van der Banck ci raffigura Gior gio Berkeley nella sana maturità de' suoi anni, assiso nel portico d'un palazzo in ammirazione dell'acqua scrosciante da una bella fontana, mentre sullo sfondo del paesaggio irlandese si scorgono figure d'uomini in tenti alle opere dei campi. A tutta prima, ci s'impone la serena nobiltà del suo aspetto - egli apparteneva a un ramo laterale dei conti Berkeley trasferitosi per ragioni politiche in Irlanda -, e le mani fini e sensibili ne accentuano l'innata signorilità. Ma subito dopo ci colpisce, in quel volto levigato e tranquillo, l'estrema vivacità dello sguardo intelligente ed attento. Credeva mo di vedere un elegante pastore anglicano, che sem plicemente riposi nella beata contemplazione della na tura, in uno di quei paesaggi evocati nei bei dialoghi del Berkeley, dove gli alberi verdi, il cielo luminoso e l'acqua delle fontane parlano, com'egli dice, « il lin guaggio di Dio»; ed ecco che quegli occhi ci avvertono che si tratta, anche, d'un acuto osservatore, di un in stancabile indagatore tutto intento a capir e che cosa quel linguaggio gli dica. In questa doppia natura dell'uomo, da una parte riposante sicuro ne' principi d'una fede che non soffre mai l'ombra d'un dubbio né la scalfittura d'una obbie zione, e dall'altra acuto, indipendente e originalissimo I 4 GIORGIO BERKELEY osservatore, pronto a negare dottrine da 1.utti ammesse e credute; in questa doppia faccia, del religioso entu siasta e del ricercatore curioso, capace di riguardare con occhio nuovo le cose piu vecchie e comuni, fino ad apparirci, come apparve a' suoi contemporanei, scettico e paradossale, sta la chiave che ci deve aprire il pen siero del Berkeley e aiutare a comprendere storicamente la sua filosofi.a, senza smembrarla e tradirla. Molti infatti riputarono Giorgio Berkeley una con traddizione vivente, qualcosa come un miscuglio di re ciproci assurdi, dimenticando intanto come sia facile trovare nella mentalità inglese quell'accordo di spirito conservatore e di libera indagine, di moralismo pratico e di criticismo teoretico, propri del nostro autore. Essi sorrisero della fede intrepida del futuro vescovo di Cloy ne (qualcuno scrisse che si trattava di opportunismo per far carriera !) ; degli ingenui entusiasmi filantropici che agitaron tutta la sua vita: e respinsero tutto ciò come incoerenti; con le sue scoperte filoso.fiche, quasi che la filosofia del Berkeley non fosse proprio il tentativo piu. volte iterato per dare unità e coerenza razionale alle sue vedute pratiche e religiose. Infine, si trovò una stra nezza che il Berkeley abbia polemizzato a getto con tinuo proprio e soltanto contro coloro ch'eran pi6. affini al suo pensiero: contro il razionalismo dei fisico-mate matici, contro la psicologia del Locke, contro la meta fisica del Malebranche, contro il naturalismo etico dello Shaftesbury e sopra tutto contro il « deismo » dei liberi pensatori. Ci spiegheremo meglio tutto questo via via che l'in contreremo durante la lettura del Trattato. Ma diciamo subito che l'originalità del Berkeley è la sua particolare posizione storica - collocandolo, come si suole, tra il Locke (r632-r704) e lo Hume (r7rr-r776) - stanno ap punto in quelle differenze e divergenze rispetto all'illu minismo inglese, che giustamente gli premeva di met- , LA VITA E LE OPERE 5 ter in evidenza nelle sue polemiche, del resto sempre misurate e rispettose quando si trattava di avversari di merito e di pure competizioni d'idee: brandiva la scopa soltanto contro i « minuti :filosofi>>c he appestavano i clubs dei sedicenti liberi pensatori. Il pensiero del Berkeley è cosi unito e compatto che, si può dire, tutti gli scritti sparsi per quasi cinquant'an ni d'infaticabile operosità - dal Saggio su una nuova teoria della visione (1709) e dal Trattato su,i princfpi della Conoscenza mnana (1710) coi Tre dialoghi frn Hylas e Filonou,s (1713) destinati a chiarirlo, fino al De Motu (1721), ai bei dialoghi dell'Alci.frone (1732) e all'ultima sua opera filosofica, la Siris (1744); senza escludere i numerosi Discorsi, Sermoni, Lettere, Inchie ste e altri scritti critici e polemici, pubblicati con e senza nome - non fanno che sviluppare le idee già contenute in un libriccino di «appunti» rapidi e incisivi, il Com monplace Book (alla lettera, ,clibro di luoghi comuni)), ossia di velità, per lui!, ovvie), ch'egli aveva buttato gin a vent'anni, al Trinity College, quale programma di tutta la sua vita. Difatti tutte le opere riprendono sempre gli stessi argomenti, dando la prevalenza al l'uno o all'altro secondo che il problema è piuttosto teo retico o pratico o religioso, ma in istretta coerenza fra loro, e mutando solo d'intonazione e di colorito sogget tivo. Soltanto nella Siris si nota qualche variazione di concetto, in realtà assai meno essenziale di quanto fu stimato da alcuni storici della filosofia. Inoltre, la filosofia berkeleyana forma tutt'uno an che con la sua vita, e l'una non si capirebbe senza l'al tra. Quel « buon uomo di Berkeley» (come lo chiamò il Kant) si era data una missione, qu~lla di convincere gli altri uomini di alcune verità elementari, che i pre giudizi e i preconcetti della scienza stessa e della filosofia avrebbero rese oscure, mentre sarebbe di alto interesse per il benessere umano che tutti ne fossero compene- -· ...... 6 GIORGIO BERKELEY trati; perciò i suoi scritti facevan parte, per cosi dire, del suo programma pratico di filantropo e di pastore di anime. Piuttosto si potrebbe osservare, che se noi, oggi, ri pigliamo in mano il Trattato, e lo facciamo leggere ai giovani, non è unicamente per un intento storico, e nemmeno per sola esercitazione delle loro intelligenze. Il Berkeley è uno di quegli autori che si nrisero in una posizione nuova rispetto agli antichi problemi, e quindi apriron nuove vie al pensiero. In tal senso, c'è una parte della filosofia berkeleyana che non soltanto ci spiega l'origine di correnti posteriori, ma c'interessa anche di rettamente, ossia è viva anche per il pensiero contem poraneo. Il che è verissimo: ma non se ne deduce, che si abbia il diritto d'ignorare o trascurare quella parte metafisica che ci sembra contraddire al suo criticismo sol perché non conviene piu al nostro. Se la parte che accettiamo conviene a noi e non conviene piu a lui, vuol dire che, prendendola separatamente, l'abbiamo cam biata. Mi spiego con un esempio. L' « esse est percipi » del Berkeley - ossia il concetto, che il mondo, che tutti chiamano « reale », non è che il mondo delle nostre per cezioni, si che è vano cercarvi sotto una « cosa in sé », una sostanza o materia che le produrrebbe - è la grande scoperta (o meglio, liscoperta, perché c'era già nei Sofisti) che ha reso celebre il nostro autore, e su cui crede basarsi l'idealismo contemporaneo. Ma se la prendiamo a parte dallo spiritualismo del Berkeley e da ciò ch'egli chiamava la « prova di Dio» - ossia, dal concetto che questo mondo di percezioni, che noi t r o v i a m o ma non possiamo c re a r e, sia 1f a testimo niare che ci de v' esser e uno Spirito universale e as soluto (fuori di noi) che le vuole e le ordina quali noi le vediamo ......_l,' « esse est percipi » cambia di signifi cato e di valore, e diviene il principio di un soggetti-