Scuola Dottorale di Ateneo Graduate School Dottorato di ricerca in Storia sociale europea dal Medioevo all’Età contemporanea Ciclo XXV Anno di discussione 2014 P . ER UNO STUDIO STORICO SULLE TRADUZIONI LE TRADUZIONI ITALIANE DEI “CLASSICI” DELL'ILLUMINISMO SCOZZESE (1765-1838) SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE DI AFFERENZA: M-STO/02 Tesi di Dottorato di Alessia Castagnino, matricola 955746 Coordinatore del Dottorato Tutore del Dottorando Ch. mo Prof. Mario Infelise Ch. mo Prof. Mario Infelise 1 «Tradurre è fondamentalmente un'operazione interculturale […] è una pratica sociale, storicamente e culturalmente determinata e che in quanto tale non solo è condizionata e può condizionare l'identità delle singole opere tradotte, ma che è relazionata a forze sociopolitiche come l'ideologia e il potere» (S. Nergaard, La costruzione di una cultura. La letteratura norvegese in traduzione italiana, p. 10) «When we carry out research on translation history, we face a choice. Are we going to attempt to extrapolate the translation features we uncover in the historical context we are examining in order to contribute to a wider, general or more global history of translation [...] or are we going to address those scholars who share our historical subject and introduce them to the insights which the study of translation can offer? In short, is translation the object of our research, or is it the lens through which we research our historical object?» (C. Rundle, History through a Translation Perspective, p. 3) 2 INDICE Introduzione............................................................................................................................4 PARTE I Prospettive metodologiche ed inquadramenti preliminari per uno studio storico sulle traduzioni Cap. 1 La traduzione come problema storiografico.............................................................19 1.1 Gli studi sulla traduzione nella seconda metà del Novecento: dalla linguistica ai Translation Studies ..........................................................................................................................................22 1.2 Dalle ricerche sui transfer culturali ai primi studi storici sulle traduzioni.............................42 1.3 Per uno studio storico delle traduzioni nel secolo dei Lumi: alcune ipotesi di lavoro...........58 Cap. 2 Le traduzioni e la diffusione della cultura inglese in Italia.......................................69 2.1 L'anglomania italiana tra la “scoperta” dell'Inghilterra e la mediazione della Francia…......72 2.2 Dalla “età d'oro delle traduzioni” alla rivalutazione dell'esprit des traductions: momenti di riflessione teorica e pratiche di esecuzione delle traduzioni tra XVIII e XIX secolo…..............94 2.2.1 Le teorie: dibattiti dell'età moderna sul ruolo della traduzione......................................94 2.2.2 Le pratiche: traduzioni, mediazione delle versioni francesi, censura e lettori.............113 PARTE II Le traduzioni italiane dei “classici” dell'Illuminismo scozzese Cap. 3 I “classici” dell'Illuminismo scozzese e la loro ricezione nella penisola italiana...135 3.1 La Scozia dei Lumi, i suoi protagonisti e gli echi italiani dei loro dibattiti….....................140 3.2 Le traduzioni delle edizioni degli Illuministi scozzesi: un quadro d'insieme…...................168 Cap. 4 Le edizioni toscane del Settecento..........................................................................183 4.1 La Toscana di Pietro Leopoldo: le riforme e il nuovo clima culturale senese......................185 4.2 Le traduzioni senesi della History of Scotland.....................................................................205 4.2.1 L'abate Pietro Crocchi e la versione delle Notizie preliminari alla Storia di Scozia...205 4.2.2 L'edizione “mutilata” stampata da Francesco Rossi e la “fedele” risposta di Pietro Antoniutti..............................................................................................................................220 4.3 Una “edizione di successo”: la versione della History of America di Antonio Pillori.........247 4.3.1 Antonio Pillori, le “maître général à la nation Anglaise” e la ricezione toscana della History of America................................................................................................................247 4.3.2 Le prime edizioni veneziane, toscane e napoletane.....................................................272 Cap. 5 Le edizioni dei “classici” scozzesi nell'Ottocento..................................................285 5.1 Le strategie traduttive ottocentesche: le histories di William Robertson tra adeguamenti stilistici ed adattamenti paratestuali..............................................................…..........................287 5.1.1 “Nuove edizioni dei capolavori del Tacito inglese”: le “Collane storiche” e la promozione delle nuove versioni italiane dei classici scozzesi......................................................................292 5.1.2 Il successo della versione dell'Istoria dell'antica Grecia di Antonio Fontana..................305 5.2 Alcuni esempi di “nuove” traduzioni: la Storia d'Inghilterra di David Hume e le Ricerche storiche sull'India di William Robertson....................................................................................319 Conclusioni.........................................................................................................................330 Bibliografia.........................................................................................................................334 3 INTRODUZIONE È un dato ormai acquisito nel panorama storiografico che le traduzioni sono state uno dei canali privilegiati attraverso i quali idee e riflessioni maturate in una specifica realtà hanno potuto essere diffuse oltre il loro contesto originario. Non una ricezione passiva o una semplice testimonianza della fortuna di un autore o di un'opera, da comprendere e studiare esclusivamente come trasposizione linguistica, quanto piuttosto il risultato di un processo complesso e mai scontato di adattamento, culturale ed intellettuale, effettuato secondo precise intenzioni e con modalità ben definite. Partendo da queste osservazioni preliminari, nella ricerca che ho condotto mi sono posta come obiettivo quello di tentare di affrontare da una prospettiva essenzialmente storiografica uno studio sulle traduzioni, indagando nello specifico il ruolo che esse ebbero nella ricezione dell'Illuminismo scozzese nella penisola italiana, identificando inizialmente un corpus circoscritto di autori che, come spiegherò, da un lato potesse essere sufficientemente rappresentativo delle varie posizioni maturate nell'ambiente intellettuale scozzese e dall'altro mi permettesse di avere a disposizione per un primo esame complessivo più tipologie di testi, prevalentemente a carattere storiografico, ma anche filosofico ed economico-politico, resi in differenti traduzioni italiane. Tra la seconda metà del XVIII secolo e i primi decenni del XIX, furono pubblicate complessivamente più di sessanta edizioni di opere di William Robertson, David Hume, Adam Ferguson e Adam Smith – suddivise tra prime edizioni, ristampe e versioni completamente rifatte di testi già tradotti – la maggior parte delle quali venne adattata per soddisfare esigenze diversificate che, necessariamente, riflettevano i caratteri peculiari dei contesti nei quali vennero realizzate, con l'esito finale di consegnare un'immagine quanto meno condizionata e particolare dei dibattiti al centro della discussione illuministica in Scozia. La geografia della circolazione italiana dei Lumi scozzesi era già stata delineata nei suoi essenziali tratti settecenteschi da Franco Venturi, il quale, nel saggio Scottish Echoes in Eighteenth-Century Italy del 19831, ne aveva ricostruito alcuni dei momenti più 1 F. Venturi, Scottish Echoes in Eighteenth-Century Italy, in I. Hont, M. Ignatieff (eds), Wealth and Virtue. The Shaping of Political Economy in the Scottish Enlightenment, Cambridge, Cambridge University Press, 1983. Riflessioni sulla ricezione in Italia dell'Illuminismo scozzese si trovano anche nelle pagine della monumentale ricerca di Venturi Settecento riformatore, Torino, Einaudi, 1969-1990. 4 significativi, esaminando sia le segnalazioni e le recensioni pubblicate sui periodici letterari, sia le letture e le rielaborazioni compiute da letterati e filosofi, dalla Milano dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria alla Napoli di Giuseppe Galanti e Francesco Pagano. Venturi, basandosi sull'ampio e ben documentato lavoro condotto pochi anni prima dal suo allievo Gianfranco Tarabuzzi2, non aveva mancato di richiamare l'attenzione anche sull'importanza delle traduzioni – soprattutto quelle veneziane e toscane – riconoscendone il contributo nell'ambito delle dinamiche di appropriazione e adattamento delle teorie degli Illuministi scozzesi, ma non era entrato più di tanto nel merito di un loro vero e proprio esame complessivo. Mi è parso, dunque, non privo di interesse provare a spingermi oltre, sviluppando una ricerca che, nel tentativo di arricchire il quadro venturiano, potesse restituire almeno in parte il ruolo avuto dalle traduzioni in alcuni di questi processi di circolazione delle idee, sia indagando i vettori culturali e sociali che agirono nel passaggio tra il contesto di partenza e quello di arrivo, sia analizzando le nuove forme assunte dai testi. La sfida è stata anche quella di confrontarmi e di dialogare con alcune delle proposte interpretative provenienti dalle più recenti riflessioni sul fenomeno delle traduzioni, dalla “cultural history of translation” al concetto di transfert culturale, coniugando a queste una prospettiva, a mio giudizio imprescindibile, più direttamente connessa alla storia del libro e della lettura. Un'analisi di edizioni esaminate tanto nel contenuto e nel lessico, con tagli, integrazioni, correzioni o manipolazioni, quanto negli elementi paratestuali, dalle prefazioni agli indici, dagli apparati cartografici ed iconografici al formato scelto, con una specifica attenzione per la ricostruzione delle vicende editoriali e per l'approfondimento delle strategie e del ruolo che svolsero traduttori ed editori nel suggerire un'opera e nel proporla in una determinata veste al lettore. L'ampia – e per certi versi poco convenzionale – periodizzazione e la pluralità dei centri in cui vennero date alle stampe le traduzioni mi hanno consentito di avere a disposizione per una discreta parte dei testi scozzesi presi in esame più di una versione italiana, permettendomi così di considerare prima nel dettaglio e poi di comparare fra loro un discreto numero di soluzioni adottate nel processo traduttivo. Il quadro che ne ho ricavato delinea l'esistenza di una variegata tipologia di motivazioni alla base dell'interesse per i contributi scozzesi e, allo stesso modo, si presenta articolata anche la casistica delle 2 G. Tarabuzzi, Le traduzioni italiane settecentesche delle opere di William Robertson, «Rivista storica italiana», XCI (1979), pp. 486-509 e, dello stesso, Echi italiani settecenteschi della storiografia inglese, «Archivio storico italiano», CXXXVIII (1980), pp. 390-440. 5 modalità con cui vennero elaborati e portati a compimento i volgarizzamenti3. L'adozione di un'ottica comparativa, utile per mettere in rilievo le strategie di “appropriazione dei Lumi”, è una scelta metodologica tutt'altro che priva di criticità, a partire dal rischio di non tenere nella dovuta considerazione le oggettive differenze presenti tra le varie realtà settecentesche ed ottocentesche, tendendo ad un'eccessiva semplificazione dei caratteri propri di ciascuna. In ogni singolo contesto di produzione, infatti, il mercato editoriale aveva le sue peculiarità, non erano uniformi le dinamiche censorie, la legislazione che regolava la circolazione dei libri, le occasioni concrete per i librai di inserirsi nei circuiti internazionali e di reperire i testi, e, naturalmente, erano diverse anche la conoscenza delle lingue e le sensibilità intellettuali, che portarono a concentrare l'attenzione verso un dato autore, un'opera o una tematica specifica4. A complicare questo quadro si aggiunge poi un ulteriore elemento di criticità rappresentato dall'intervallo cronologico individuato per l'analisi dei processi traduttivi, ovvero quel cinquantennio di passaggio «tra due epoche»5 che segnò la graduale fine dell'antico regime 3 Preciso fin da subito che nel corso della mia ricerca uso il termine “volgarizzamento” intendendolo non in senso specialistico di trasposizione di un testo dal latino in lingua volgare, ma prediligendo l'accezione più ampia di traduzione «da un volgare in un altro, secondo un processo di traduzione ‘orizzontale’ tra lingue sorelle» (R. Cella, Lingua dei volgarizzamenti, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Enciclopedia Italiana, 2011). Nei periodici settecenteschi ed ottocenteschi che prenderò in esame, il termine “volgarizzare” era d'altronde spesso utilizzato nell'accezione più generale. 4 Particolarmente emblematiche a questo proposito – soprattutto in relazione ai diversi regimi censori presenti nella penisola – sono le parole di Francesca Guarinoni Rondi, moglie del libraio bergamasco Giuseppe Rondi, che in una lettera alla Societé Tipographique de Neuchâtel, datata 12 aprile 1779, osservava come «L'Italie est un pays où il y a milles risques et mille rigueurs imprévus, tantôt on vend librement, tantôt est défendue même une histoire littéraire, dans un pays un magistrat permet tout pendant six mois et pendant six autres défend tout, dans un autre un evêque défend tout, dans un autre tout est permis, là il y a un inquisiteur très rigide, ici il y en un autre très comode; nonobstant toutes ces apparences, il n'y a pas des pays au monde où l'on fasse tout ce qu'on veut comme en Italie» (citato in R. Pasta, Editoria e cultura nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997, p. 282). 5 Cfr M. Infelise, La nuova figura dell'editore, in G. Turi (a cura di), Storia dell'editoria nell'Italia contemporanea, Firenze, Giunti, 1997, p. 55. Sul concetto di “antico regime tipografico”, adottato inizialmente per descrivere la realtà francese, si vedano i saggi raccolti in H. J. Martin et R. Chartier (sous la direction de), Histoire de l'édition française, II, Le livre triomphant (1660-1830), Paris, Promodis, 1984 ed in particolare i contributi presenti nella IV parte, L'éditeur à l'âge des Révolutions (1780-1830). La scelta di una periodizzazione “poco convenzionale”, se considerata entro i parametri delle interpretazioni per così dire “tradizionali” che individuano una cesura epocale nel decennio francese e nel periodo napoleonico, assume un significato rilevante se inquadrata nell'ambito degli studi di storia del libro. Nello specifico, la mia ricerca si occupa di traduzioni pubblicate nel periodo compreso tra gli anni Ottanta del XVIII secolo e gli anni Trenta del XIX secolo, con qualche eccezione di testi editi nella seconda metà degli anni Sessanta e Settanta. Colgo l'occasione per sottolineare come nel corso del mio elaborato, abbia fatto un uso generale e spesso, forse, poco preciso del termine editore, impiegandolo per definire differenti figure che diedero alle stampe nel XVIII e nel XIX secolo le traduzioni di cui mi sono occupata. Come ha sottolineato Infelise nel saggio appena citato, ciò che avrebbe contraddistinto nell'Ottocento un editore «dal semplice libraio o tipografo, sia pure fornito di una cospicua azienda» sarebbe stata la capacità di ideare «sempre nuovi progetti editoriali di respiro nei quali coinvolgere letterati e scrittori all'interno di una redazione che non fosse un'impresa occasionale» (M. Infelise, op. cit., p. 62). 6 tipografico. Una scelta che da un lato non ha potuto non tenere conto delle trasformazioni dell'editoria, dei mestieri ad essa collegati, e delle pratiche di lettura verificatesi a partire dal primo Ottocento, e dall'altro mi ha portato necessariamente a confrontarmi con una mutata consapevolezza del significato e del valore delle traduzioni, sempre più legate ad un discorso complessivo sulla modernità della lingua e della cultura italiana6. Allo stesso tempo, però, tale scelta mi è parsa quasi obbligata sia per poter esaminare opere mai tradotte prima (come la History of England di David Hume) e rielaborazioni intellettuali interessanti e particolari delle histories robertsoniane (come quelle compiute da Gian Domenico Romagnosi e dall'abate friulano Pietro Antoniutti) sia per poter riflettere sugli interventi compiuti sulle edizioni di testi già tradotti in precedenza, ed ora inseriti nei progetti più vasti ed ambiziosi delle “biblioteche storiche”, che videro la luce in tutta la penisola, da Torino a Palermo, passando per Milano e Napoli. Dal punto di vista dell'impostazione complessiva della ricerca, nella fase preliminare si è resa necessaria una puntuale riflessione ed una messa a punto di una metodologia adatta per affrontare, nel modo a mio avviso migliore, lo studio di un fenomeno come quello delle traduzioni. Tralasciando per il momento riflessioni più squisitamente storiografiche e riassumendo molto sinteticamente il procedimento seguito nell'analisi, posso affermare che esso è consistito nell'elaborazione di una schedatura delle edizioni italiane, consultate in una o più copie cartacee dello stesso esemplare – anche quando erano disponibili versioni digitalizzate – per verificare dati quali formato, presenza o meno di apparati iconografici, cartografici e così via7. Per identificarle ho cercato, innanzitutto, di ricavare il maggior numero di informazioni possibile dagli studi disponibili, come quello già citato di Tarabuzzi e quelli di Maria Luisa Baldi, Franco Restaino e Gabriella Gioli8, per poi 6 Mi riferisco agli studi sulla polemica tra classicisti e romantici, che coinvolse anche l'uso delle traduzioni per arricchire il vocabolario e offrire punti di riferimento stranieri per il rinnovamento letterario italiano. Su tali aspetti proporrò qualche riflessione nei paragrafi 2.2.1 e 2.2.2. 7 Le principali biblioteche dove ho reperito le edizioni sono la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, la Biblioteca Marciana di Venezia, la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la Biblioteca dell'Accademia delle Scienze di Torino, la Biblioteca Palatina di Parma, la Biblioteca di Arte e Storia di San Giorgio in Poggiale a Bologna e le biblioteche della Fondazione Einaudi e della Fondazione Firpo di Torino. 8 M. L. Baldi, David Hume nel Settecento italiano. Filosofia ed economia, Firenze, La Nuova Italia, 1983, F. Restaino, Hume in Italia, «Giornale critico della filosofia italiana», LXIX (1988), pp. 369-406 e G. Gioli, La diffusione dell'opera di Adam Smith nella cultura economica italiana, in P. Barucci (a cura di), Le frontiere dell'economia politica. Gli economisti stranieri in Italia dai mercantilisti a Keynes, Firenze, Polistampa, 2003. Per integrare le informazioni contenute in tali saggi, nonché per avere un quadro preliminare sulla diffusione europea – e non solo italiana – degli autori oggetto della mia ricerca, mi sono avvalsa anche dei contributi raccolti nel volume curato da P. Jones, The Reception of David Hume in Europe, New York, Thoemmes Continuum, 2005, che, per l'area italiana, annovera i saggi di Emilio Mazza (Translations of Hume Works in Italy) e di Paola Zanardi (Italians Responses to David Hume), e di quelli presenti in C. C. Lai, Adam Smith Across Nation. Translations and Receptions of “The Wealth of 7 procedere ad una ricerca di eventuali altre versioni mediante lo spoglio dei cataloghi cartacei e digitali delle biblioteche, dei cataloghi dei librai settecenteschi ed ottocenteschi e dei principali periodici letterari, nelle recensioni e appendici bibliografiche in essi pubblicate9. Ho preso in considerazione ogni edizione procedendo con un confronto con l'originale inglese, effettuando un dovuto controllo anche sulle versioni francesi nei casi di un loro esplicito – o sospetto – utilizzo. Un'indagine volta in prima istanza ad approfondire gli aspetti testuali, contenutistici e – almeno per quanto hanno consentito le mie competenze – linguistici, necessari per cercare di capire come i testi fossero stati adattati e quali meccanismi vi fossero all'origine di tale procedimento. Si è cercato di distinguere tra gli errori, dovuti ad una scarsa o inadeguata conoscenza di termini e concetti, e le manipolazioni consapevoli e “programmate”, dettate da motivazioni di ordine religioso, politico e culturale. Se a risultare immediatamente evidenti sono state le aggiunte di note da parte di editori o traduttori, in cui venivano apertamente confutate le tesi ritenute “pericolose” o erronee, ancor più significative, a mio avviso, si sono confermate le modifiche non dichiarate sul corpo del testo, come tagli o riscritture di interi paragrafi, o anche omissioni o variazioni di una sola parola, un avverbio o un aggettivo. Accanto a questi aspetti si è rivelato di notevole importanza l'esame degli elementi paratestuali, sui quali ho già richiamato l'attenzione all'inizio di questa introduzione, dal momento che la presenza di dediche, prefazioni, indici, apparati documentari o, per contro, l'assenza di appendici e corredi vari caratterizzanti gli originali influiscono in modo tutt'altro che trascurabile sulla trasmissione di un'opera e delle idee in essa contenute, contribuendo a presentarne un'immagine “guidata” e del tutto parziale al lettore10. Nations”, New York, Oxford University Press 2000; in quest'ultimo lavoro vengono ripresi studi precedenti divisi per area geografica e, per quanto riguarda l'Italia, sono pubblicati i contributi di Gabriella Gioli, The Knowledge of Adam Smith's Wealth of Nations in Italy in the Eighteenth-Century, versione ridotta dall'autrice stessa del suo precedente Gli albori dello Smithianesimo in Italia, edito sulla «Rivista di Politica Economica» nel 1972 e di Luigi Luzzatti, The Centenary of the Pubblication of Adam Smith's Work, traduzione della nota letta alla Reale Accademia dei Lincei il 18 giugno del 1876, Il centenario della pubblicazione dell'opera di A. Smith, pubblicata poi in L. Luzzatti, Scienza e patria: studi e discorsi, Firenze, Editore Quattrini, 1916. 9 Tra i cataloghi consultati segnalo il Catalogus recens in varias classes distributus librorum tam peculiarium Remondinianae typographiae propriis […], apud Josephum Remondini et filios, 1785, il Catalogo dei libri che si trovano vendibili presso Sebastiano Nistri, stampatore e libraio a Pisa, Pisa, 1816, e il Catalogo dei libri italiani che si trovano vendibili presso Guglielmo Piatti stampator-librario a Firenze, Firenze, 1838. Per quanto riguarda i repertori il riferimento principale è a CLIO, catalogo dei libri italiani dell'Ottocento, Milano, Editrice bibliografica, 1991. Per quanto concerne gazzette e periodici letterari, lo spoglio è stato utilizzato anche per raccogliere informazioni sulla presenza di segnalazioni di edizioni originali e versioni francesi, nonché, naturalmente, per individuare le recensioni delle traduzioni italiane, una fonte significativa per analizzare i processi di ricezione dei testi. Per il XVIII secolo gli studi ricordati nella nota precedente offrono dettagliati riferimenti a riguardo, mentre per il XIX secolo ho provveduto ad una campionatura dei principali periodici, soprattutto milanesi. 10 Per riferimenti più puntuali al metodo adottato nell'analisi delle traduzioni e per le opportune indicazioni 8 Questa analisi specifica delle edizioni-traduzioni – che sono le fonti principali, sebbene non esclusive, dell'indagine – è stata completata dai necessari approfondimenti volti a ricostruire le strategie di selezione e commercializzazione dei testi, i legami tra le figure a vario titolo coinvolte nelle pubblicazioni, dagli editori ai traduttori, dai promotori delle iniziative editoriali ai redattori delle recensioni e delle segnalazioni apparse sui periodici letterari, nei quali vennero date le prime notizie delle argomentazioni e delle tesi sostenute dagli Illuministi scozzesi. Non posso esimermi dal constatare, a questo proposito, che un limite oggettivo della ricerca consiste nel non aver potuto tracciare in modo esaustivo la storia editoriale di tutte le traduzioni prese in esame e il ruolo dei vettori sociali e culturali operanti nella loro realizzazione. Data la disparità di fonti disponibili, non è stato possibile, infatti, reperire la stessa quantità e qualità di informazioni per ricostruire ogni singola impresa, e, in alcuni casi, la stessa identificazione del traduttore non è altro che un'ipotesi, che ho provato a formulare sulla base di specifici ragionamenti che spiegherò, di volta in volta, per le edizioni che saranno oggetto di approfondimenti puntuali. A dispetto di quanto lasciato intendere e di quanto ipotizzato nel progetto preliminare, risulterà evidente una significativa disparità di trattamento nei confronti degli autori di cui mi sono occupata, dal momento che specifici approfondimenti saranno prevalentemente riservati riservati allo storico William Robertson, presente sul mercato editoriale con ben 48 delle 66 versioni – integrali o relative solo ad alcuni tomi – di opere scozzesi che ho complessivamente considerato nel mio studio; un risultato che mi ha portato ad interrogarmi sulle ragioni della sua fortuna – ed in generale del successo del genere storiografico – e sulle motivazioni che potevano aver confinato i contributi degli altri Illuministi ad una circolazione circoscritta tra coloro che erano in grado di accedere direttamente alla versione originale o ad una traduzione francese. In relazione al materiale esaminato, all'impostazione di fondo che ho voluto adottare per la mia tesi e alle questioni che hanno assunto un'importanza non trascurabile nel corso del lavoro, ho scelto di articolare la struttura dell'elaborato in due parti principali, una iniziale, in cui vengono sviluppate alcune riflessioni complessive sulle possibili prospettive entro le quali, a mio avviso, dovrebbe orientarsi uno studio storico delle traduzioni, ed una rivolta, invece, all'oggetto di indagine specifico della mia ricerca, quello, appunto, della realizzazione di versioni italiane di opere scozzesi. La prima sezione, dunque, comprendente il primo e il secondo capitolo, è dedicata ad bibliografiche, il rimando è al paragrafo 1.3 del presente lavoro. 9 alcune delle questioni preliminari che ho affrontato e che hanno riguardato sia il metodo di analisi sia la necessità di chiarire, almeno in parte, tematiche di ordine generale, relative alle discussioni settecentesche ed ottocentesche sulla cultura inglese e sul suo influsso su quella italiana, e al ruolo assunto dalle traduzioni nel XVIII secolo, che implicava un rinnovamento delle riflessioni sull'utilità del tradurre e sulle pratiche da adottare nel proporre dei testi che potessero essere adatti e di gradimento per il nuovo pubblico. Una delle esigenze che, come ho già avuto occasione di puntualizzare, ha accompagnato la mia ricerca fin dal suo inizio è stata quella di individuare un metodo di analisi che potesse rendere conto della complessità e della ricchezza delle traduzioni come fonti per lo studio delle modalità di trasmissione di idee in età moderna. Solo in anni piuttosto recenti gli storici hanno iniziato ad indagare il contributo delle traduzioni sotto questo punto di vista, cominciando a confrontarsi con le prospettive di ricerca adottate nell'ambito dei cosiddetti Translation Studies, ma anche con gli interrogativi sollevati dalla linguistica, dalla storia culturale, dalla filosofia dei concetti, e, soprattutto, dalla teoria dei transfert culturali11. Mi è parso, dunque, non superfluo dare conto di questo percorso premettendo alla parte di ricerca vera e propria un primo capitolo introduttivo, dal titolo La traduzione come problema storiografico, in cui, senza alcuna pretesa di voler proporre una rassegna completa degli studi in materia, almeno venissero individuati alcuni dei passaggi chiave, fondamentali per il raggiungimento della consapevolezza della necessità di adottare un approccio interdisciplinare nell'indagine delle traduzioni, individuate come prodotto di un sistema culturale che si appropria del testo d'origine e lo rielabora fino a trasformarlo in un testo autonomo. In conclusione al capitolo, ho ritenuto utile integrare le proposte metodologiche di tali studi specifici, suggerendo di vagliare attentamente anche il possibile contributo che la storia del libro e della lettura – ma anche naturalmente la bibliografia materiale – possono offrire per meglio approfondire i processi di realizzazione e 11 Mi riferisco ad una serie di contributi apparsi nell'ultimo decennio e dedicati allo studio dell'età moderna e, in particolare, del XVIII secolo, indagato dal punto di vista dei rapporti di circolazione dei saperi e delle riflessioni economiche, filosofiche e politiche tra i “centri maggiori” e le cosiddette “periferie” dell'Illuminismo. Riservandomi di entrare nel merito di una discussione di tali studi nel capitolo 1, in questa introduzione ricordo almeno il saggio di L. Kontler, Translation and Comparison, Translation as Comparison: Aspects of Reception in the History of Ideas, «East Central Europe» XXXVI (2009), pp. 171-199, quello di F. Oz-Salzberger, The Enlightenment in Translation: Regional and European Aspects, «European Review of History», XIII (2008), pp. 385-409 e le due importanti e ricche raccolte di saggi curate da N. Guasti, R. Minuti, Traduzioni e circolazione della letteratura economico-politica nell'Europa settecentesca, atti del seminario internazionale (Firenze, 20-21 settembre 2002), «Cromohs», IX (2004) e da G. Imbruglia, R. Minuti, L. Simonutti (a cura di), Traduzioni e circolazioni delle idee nella cultura europea tra '500 e '700, atti del convegno internazionale (Firenze, 22-23 settembre 2006), Napoli, Bibliopolis, 2007. 10
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