TRACCE DI INCORPORAZIONE ∗ IN GRECO ANTICO Anna Pompei 0. Introduzione Questo lavoro si propone una prima analisi delle caratteristiche di formazioni verbali come, ad esempio, paidopoie/w, sitologe/w, u(lomaxe/w, oi)kodome/w, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura esse possano essere considerate dei casi di incorporazione. Si tratta di un tema pertinente alla tipologia lessicale nella misura in cui il fenomeno dell’incorporazione può essere considerato un processo di formazione di parole, quindi di natura essenzialmente lessicale1. ∗ Sono molte le persone da cui ho ricevuto stimoli utili al miglioramento di questo lavoro, da Pierluigi Cuzzolin ad Angela Ralli, Lucio Melazzo, Domenico Silvestri, Alessandro de Angelis, Emanuela Marini, e poi Antonietta Bisetto, Mara Frascarelli, Livio Gaeta, Edoardo Lombardi Vallauri, Lunella Mereu, Annarita Puglielli, Ringrazio tutti sentitamente. Un ringraziamento particolare desidero esprimere a Marianne Mithun e a Raffaele Simone. Le eventuali sviste o imprecisioni ancora presenti nel testo non si devono che a me. 1 Essendo l’incorporazione un tipico fenomeno di interfaccia, che si tratti di un processo di natura lessicale è in realtà questione piuttosto controversa. A favore dell’analisi lessicale cfr. soprattutto Mithun (1984, 1986, 1997), Mithun-Corbett (1999), ma anche Di Sciullo-Williams (1987) e Rosen (1989). A favore di un’interpretazione sintattica, cfr. anzitutto Baker (1988), che spiega il fenomeno in termini di Movimento Α, e Sadock (1980). Per quanto concerne il greco antico, la natura delle formazioni che si possono considerare incorporazioni suggerisce un’interpretazione senz’altro lessicale del fenomeno (cfr. § 2.2.2). Per il greco moderno cfr. Rivero (1992) per una proposta di interpretazione sintattica dell’incorporazione, a partire da quella degli avverbi, e Smirniotopoulos-Joseph (1998) per la posizione opposta, in considerazione soprattutto di due dei criteri formulati da Wasow (1977) per distinguere regole sintattiche e regole lessicali, la regolarità nella produttività e la composizionalità del significato delle formazioni. 1 1. L’incorporazione Con il termine incorporazione e, più precisamente, con incorporazione del nome, a partire da Sapir (1911: 257, passim) si intende propriamente un processo di composizione di un nome e di un verbo, che dà in uscita una nuova forma verbale. Se si confrontano i due esempi seguenti, risulta chiaro che la denominazione di incorporazione è dovuta al fatto che, rispetto alla frase in (1.a) – in cui c’è un verbo seguito da un sintagma nominale che ne costituisce l’oggetto diretto – la forma verbale in (1.b) è data precisamente dall’inserimento del nome nel corpo del verbo, in questo caso mediante l’ausilio di una vocale epentetica2: Onondaga (Baker, 1988:76-77)3 (1.a) Pet wa÷-ha-htu-÷t-a÷ ne÷ o-hwist -a÷ Pat PAST-3MS/3N-lost-CAUS-ASP the PRE-money-SUF “Pat lost the money”; (1.b) Pet wa÷-ha- hwist-a-htu-÷t-a÷ Pat PAST-3MS-money-lost-CAUS-ASP “Pat lost money”. 2 L’incorporazione del nome non avviene sempre in questa maniera. Trattandosi di un processo di composizione, segue le regole che governano i composti nella lingua in cui avviene, per cui si può avere anche un diverso grado di coesione dei costituenti, a seconda del carattere morfologico generale della lingua. In alcuni casi i costituenti possono mantenere la loro identità formale come parole separate, per cui si ha una composizione mediante giustapposizione; cfr. a proposito Mithun (1984: 849) e l’es. (2b), in cui è la mancanza della marca di caso del nome kava a mostrare inequivocabilmente l’avvenuto processo di incorporazione. In caso di composti che producano una sola parola fonologica, a confine di morfema possono agire (es. 1.b) o meno (es. 9.b) regole di riaggiustamento; talora il processo di fusione dei due costituenti è così avanzato che il nome subisce erosione, come in (11.a) (Mithun, comunicazione personale). Come in tutti i composti endocentrici, la testa del composto può trovarsi a destra o a sinistra, a seconda delle lingue. 3 Data la difficoltà di uniformazione, la grafia e le glosse degli esempi vengono riportate così come incontrate nei testi da cui essi sono mutuati. Nell’es. (1.a) dall’onondaga il prefisso del nome è una marca di genere, mentre il suffisso segnala soltanto la categoria lessicale della parola. Il nome incorporato è sprovvisto di entrambi gli affissi, così come accade nel caso del mohawk, altra lingua irochese settentrionale citata nell’articolo. Le altre lingue considerate sono: caddo (irochese settentrionale), tongano (polinesiana), maya yucateco, paiute meridionale e huahtla nahuatl (uto-azteche), kamchadal e chukchi (siberiane). 2 Secondo la classificazione proposta da Mithun (1984), questo processo produce degli item lessicali, che è possibile distinguere in quattro livelli, sulla base di diverse caratteristiche sintattiche e pragmatiche. I quattro livelli costituirebbero una gerarchia implicazionale, tale da suggerire anche la direzione di un possibile sviluppo diacronico. 1.1 Primo tipo Le formazioni di base, classificabili come primo livello, sono dei verbi che denotano uno stato di cose concepito come unitario. Queste formazioni si distinguono dalle corrispondenti frasi analitiche anzitutto dal punto di vista sintattico e pragmatico. Nell’incorporazione il nome perde, infatti, la propria salienza e almeno la propria definitezza, se non proprio la capacità referenziale, come risulta evidente dal fatto che, di norma, non può essere accompagnato da determinanti, né da marche di numero4. Perde, inoltre, il proprio ruolo sintattico, per cui non è accompagnato da marche di caso e il verbo sembra subire una riduzione di valenza5. Ciò è particolarmente chiaro nelle lingue ergative, giacché la marca del soggetto cambia da ergativo ad assolutivo6: 4 Mithun (1984: 866) chiarisce che la funzione pragmatica dei nomi incorporati è quella di qualify, non di refer, ossia consiste solo nello specificare il valore semantico del verbo secondo elemento del composto. Questo significa che, se si dice, ad es. che qualcuno sta “mani-lavandosi”, pur avendo certo in mente le mani di quel qualcuno, ciò che si vuole comunicare è l’azione che viene fatta, senza alcuna volontà di istituire nel discorso il referente mani (cfr. Mithun, 1986: 34). Il nome è dunque non marcato quanto alla referenzialità, così come quanto alla definitezza e alla specificità (Mithun, 1884: 859). Dal momento che il termine referenzialità è troppo legato al valore logico-semantico di esistenza in un mondo possibile, Hopper-Thompson (1984: 711- 713) preferiscono parlare di non-manipulable nouns, ossia di nomi non prototipici, che non servono a introdurre partecipanti nel discorso e a mantenerne l’identità, come, invece, i nomi prototipici, manipulable. Dalla loro non prototipicità discende la decategorializzazione dei nomi incorporati, per questo privi di marche grammaticali. 5 Dal punto di vista di Baker (1988: 80-81) il verbo manterrebbe, invece, la propria valenza, grazie a una traccia lasciata dal nome prima di combinarsi con il verbo; a questa traccia verrebbe assegnato un ruolo-θ. 6 Si veda anche il seguente caso del maya yucateco, in cui la forma verbale con incorporazione presenta una marca di antipassivo, segno di riduzione del secondo 3 Tongano (Mithun, 1984: 851) (2.a) Na’e inu ’a e kavá ’é Sione PAST drink ABS CONN kava ERG John “John drank the kava”; (2.b) Na’e inu kava ’a Sione PAST drink kava ABS John “John kava-drank”. Dal punto di vista semantico è importante sottolineare due caratteristiche. Per quanto concerne il ruolo semantico del nome incorporato, anzitutto, pur trattandosi nella gran parte dei casi di un paziente – e in particolare di un paziente [-AN], secondo argomento prototipico di un verbo transitivo – la casistica è nel complesso ben più ampia. Si può spesso avere, ad esempio, l’incorporazione di uno strumentale (3), o di un locativo (4), o di un similativo, come al punto (5), dove si ha sostanzialmente un predicativo del soggetto. Paiute meridionale (Mithun, 1997: 19) (3) wií-t⋅čn⋅apīγah knife-stabbed “stabbed with a knife”; (4) pa-mį(cid:1)n(cid:2)cιk⋅w‡aivah water-will.turn.upside.down “will turn upside down in the water”; (5) nιá⋅vιam-paγaih chief-talk “talks as a chief”. Su un piano sintattico questo significa che la posizione del nome nella corrispondente frase analitica non è necessariamente quella di secondo argomento di un verbo. Si può trattare, invece, di un aggiunto, ma anche del primo argomento di un verbo, quando esso sia intransitivo, e più precisamente inaccusativo. A questo proposito si può vedere nell’esempio (13) la forma swahiowane’ del mohawk, che costituisce un’incorporazione poi lessicalizzata. In senso più generale, ma non meno fondamentale, la funzione semantica assolta dalle incorporazioni è principalmente quella di creare argomento (Mithun: 1984: 857): č’ak-če’-n-ah-en chop-tree-ANTIPASS-PERF-I(ABS) “I wood-chopped” = “I chopped wood” 4 delle “etichette”, delle denominazioni per degli stati di cose concettualmente unitari e come tali degni di essere indicati mediante una sola parola. Si tratta spesso di concetti centrali per una data società, magari indicanti delle attività istituzionalizzate. In comunità con tradizioni agricole, ad esempio, può essere significativo denominare in maniera univoca e distinta mediante incorporazione il piantare qualcosa piuttosto che qualcos’altro, ma non il vedere qualcosa piuttosto che qualcos’altro. Nel primo caso si conia, allora, un’entrata lessicale, nel secondo no7: Kamchadal (Mithun, 1984: 883) (6) kónaŋt-noke cone-gather “to cone-gather”; (7) qtá-noke berry-gather “to berry-gather”. All’interno del dibattito sulla natura sintattica o lessicale del fenomeno dell’incorporazione, il fatto che la sua produttività possa essere regolata da un criterio come la significatività sociale del concetto espresso sembra parlare a favore di un normale processo di formazione di parole. A favore di questa concezione può essere interpretato anche il diverso rendimento funzionale di singole radici, molto variabile e talora del tutto idiosincratico. Accanto alla grande frequenza della radice per “piantare” (-ientho) e a quella limitatissima della radice per “vedere” (-ken), infatti, in mohawk, ad esempio, si registrano anche casi davvero non predicibili, come quello di due radici dal significato ampiamente sovrapponibile, di “essere bello/buono”, di cui l’una (-iio) nelle incorporazioni appare sempre, mentre l’altra (-ianer-) mai8. Per quanto riguarda i nomi, si registrano ugualmente delle oscillazioni. Nelle incorporazioni risultano particolarmente presenti dei nomi definibili come classificatori, ad esempio il nome per “mente” (- ’nikonhr-) per codificare stati o attività mentali – come in wahute- ’nikuhr-ísa (PAST-they-self-mind-conclude “they decided”) –, il nome per corpo (-ia’t-) per codificare attività relative al corpo – come in sakonwai-ia’t-enhá:wihte’ (again-they/them-body-carry-cause “they led 7 Cfr. Mithun (1997: 7). 8 Cfr. Mithun (1997: 7). 5 them away”) – oppure iperonimi come “animale domestico” (-nahskw-) o “frutta” (-ahi-), anziché i nomi dei singoli animali domestici o dei singoli frutti9. In questo caso si ha il restringimento dello scope di un verbo a un’attività specifica. La riduzione di referenzialità del nome incorporato fa sì che le formazioni risultanti siano sostanzialmente ateliche sotto il profilo aspettuale10. Conseguenza dell’unitarietà del concetto espresso dal composto e della conseguente riduzione della specificazione della struttura interna è anche la deriva semantica di queste formazioni, che possono diventare sempre più opache, per cui eniewirahní:non “lei compererà un figlio” può finire per significare “lei è incinta” o “canzone-presentare” “suonare”, come accade in mohawk11: Mohawk (Mithun 1997: 20) (8) O-’now-a’ ne:’e t-ha-ate-renn-ot-ha’ N-guitar-NS it.is DL-M.AGT-MID-song-stand-IMPRF “He played the guitar”. Il venir meno della trasparenza del composto, cioè, determina lo sviluppo di un nuovo significato, per cui può accadere anche che il verbo ampli di nuovo la propria valenza. 1.2 Secondo tipo In una frase in cui sia incorporato il nome che costituirebbe l’oggetto diretto del verbo nella corrispondente frase analitica si determina una sorta di riduzione di valenza del verbo in uscita rispetto a quello che entra in composizione. Il secondo livello del processo di incorporazione si ha quando la posizione di complemento del verbo risulta invece occupata da un nome che dovrebbe trovarsi in una posizione diversa, in particolare quella di aggiunto strumentale o locativo, come nell’esempio (9.b), o quella di possessore (10): 9 Cfr. Mithun (1984: 868; 1997: 8). 10 A proposito della sostanziale atelicità della combinazione di un verbo con un oggetto non referenziale cfr., tra gli altri, Hopper-Thompson (1980: 256-258). 11 Cfr. Mithun (1997: 20; 1999: 55). 6 Maya yucateco (Mithun 1984: 858) (9.a) k-in-č’ ak-Ø-k če’ ičil in-kool INCOMP-I-chop-it-IMPF tree in my-cornfield “I chop the tree in my cornfield”; (9.b) k-in-č’ ak- če’-t-ik in-kool INCOMP-I-chop-tree-TR-IMPF my-cornfield “I clear my cornfield”; Mohawk (Mithun 1984: 864) (10) Shakoti-ya’t-í:sak-s ne ronú:kwe they/them-body-seek-ing the they(M.PL).person “They were looking for the men”. Si tratta di una naturale estensione del I tipo, in cui un meccanismo lessicale ha degli effetti anche sulla struttura della frase. 1.3 Terzo tipo Il terzo livello di sviluppo dell’incorporazione è quello in cui si realizza pienamente la seconda funzione del processo, ossia quella di mettere in secondo piano il nome incorporato. Ciò accade, in realtà, anche nei due livelli precedenti. Nel primo tipo, rispetto alla testa verbale, perché il nome serve soltanto a specificare meglio il significato del verbo e così perde la propria individualità sintattica e pragmatica. Nel secondo tipo, rispetto alla frase, giacché un altro nome va a occupare la posizione saliente, di oggetto diretto, lasciata libera dal nome incorporato. Nel terzo tipo il processo di incorporazione è sfruttato ai fini della distribuzione dell’informazione nel discorso. Si tratta di un livello di evoluzione del meccanismo che sembra proprio soltanto delle lingue polisintetiche12, in cui la presenza di indici attanziali sul verbo fa sì che la realizzazione di costituenti nominali esterni al complesso verbale non sia necessaria alla grammaticalità, ma risponda, piuttosto, alla necessità di stabilire e mantenere la referenza. In questo tipo di lingue, allora, la possibilità di incorporare o meno può essere sfruttata a fini pragmatici. Se si sceglie la forma non incorporata per codificare azioni comuni, ad esempio, questa risulta essere una scelta marcata, come accade nell’esempio (11.b), in cui la porta deve 12 Cfr. ad es. Mithun (1984: 859). 7 essere stata chiusa in una maniera tale da non poter essere riaperta o in una qualche maniera inusuale: Huahtla Nahuatl (Mithun 1984: 860) (11.a) ne’ kal-ca’-ki he (he)door-close-PAST (11.b) ne’ ki-ca’-ki kallak-tli he (he)it-close-PAST door-ABS “He closed the door”. A livello testuale un nome non incorporato può essere usato per introdurre un nuovo referente nel discorso, poi ripreso mediante incorporazione. Questa funzione di ripresa può anche non essere disgiunta da quella di denominare concetti unitari, come accade nel passo seguente: Chukchi (Mithun 1984: 862) (12) wútču iñínñin yúñi qulaívun . mal- yúñi. this.time.only such whale it.comes good-whale ga- yúñi-upény(cid:2)l(cid:6)enau they-whale-attacked “This is the first time that such a whale has come near us. Il is a good one (whale). They attacked it (the whale)”. Quando si ha l’occorrenza di un’incorporazione all’inizio di un testo o di una porzione di testo, ciò significa che l’informazione in primo piano è veicolata dal verbo, di cui il nome incorporato costituisce soltanto una sorta di specificazione, in una relazione indubbiamente endocentrica. Su un piano testuale, dunque, il nome incorporato serve a riprendere informazione data o a codificare entità incidentali, senza un vero ruolo nel discorso. Nei rari casi in cui un nuovo topic risulti introdotto mediante un’incorporazione, ogni menzione seguente dovrà contenere quel nome, all’interno di un’incorporazione o come nome indipendente. La codificazione non marcata dell’informazione nuova nelle lingue polisintetiche è affidata ai nomi non incorporati. 1.4 Quarto tipo L’ultimo livello di evoluzione del processo di incorporazione si 8 verifica quando un verbo che incorpori un nome generale che ne restringe la portata semantica, ad esempio un iperonimo, regga anche un sintagma nominale esterno dotato di significato più specifico, con la funzione di individuare il referente implicato dal nome incorporato: Mohawk (Mithun-Corbett, 1999:61) (13) wa-hon-ahi-ak-h-a’ s-w-ahi-owan-e’ FACT-M.PL.AG-fruit-pick-PURP-PRF one-N-fruit.be.large-ST (=apples) “They went to pick apples”. Una volta stabilita così la referenza, essa è mantenuta dal solo iperonimo incorporato, nel senso che nel resto del testo è sufficiente il nome incorporato a qualificare il verbo che implica il referente13; si veda a proposito il brano seguente: Caddo (Mithun 1984: 865) (14) kas-sah-kú-n-dân-na-’na’ kišwah should-2.AG-1.BEN-DAT-granular.substance-PL-make parched.corn nas-sah- kú-n- dân-na-’nih-áh when.FUT-2.AG-1.BEN-DAT-granular.substance-PL-make-PERF sínátti’ ci:yáhdi’a’ then I.will.go.on “You should make me some parched corn. When you have made it (the granular substance) for me, then I will go on”. Questo tipo può essere considerato una normale evoluzione di casi come quello dell’esempio (10), in cui il possessore è promosso a oggetto; l’oggetto esterno può, però, essere anche considerato in un certo senso coreferente del nome incorporato. I nomi incorporati diventano così una sorta di classificatori. 2. Tracce di incorporazione in greco antico A proposito di formazioni come to baby-sit, to mountain-climb, to word-process dell’inglese, è stato osservato che, per quanto esse ricordino l’incorporazione del nome, anziché essere il risultato di un processo di composizione produttivo, si tratta, piuttosto, di retroformazioni da composti nominali14. 13 Cfr. Mithun (1984: 863, 865). 14 In proposito cfr. già Sapir (1911: 256, passim), Mithun (1984: 847), Baker (1988: 9 Il caso del greco a un primo sguardo sembra essere simile. In questa lingua le formazioni più vicine all’incorporazione sono una serie di verbi in -e/w15. In essi è possibile indubbiamente ravvisare un nome, che precede una forma verbale16. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, questa forma verbale risulta essere sempre legata e diversa dalla forma verbale indipendente. In sitologe/w, ad esempio, la forma verbale è -loge/w e non le/gw, per cui si è portati a pensare a una formazione da composti N+N, in questo caso da sitolo/goj17. Questo fatto non diminuisce, tuttavia, l’interesse del fenomeno in greco antico, in primo luogo perché la funzione di queste formazioni è in gran parte perfettamente assimilabile a quella delle incorporazioni delle lingue polisintetiche (§ 2.2); in secondo luogo perché si impongono alcune osservazioni anche riguardo alle caratteristiche formali dei verbi di cui ci si sta occupando. 2.1 Alcune caratteristiche formali Nonostante non si possa certo affermare che in greco antico si abbia una regolare corrispondenza tra i verbi in -e/w in esame e delle frasi analitiche, è però necessario puntualizzare il fatto che formazioni come, 78-80). 15 I composti in -e/w non esauriscono in realtà completamente la casistica delle formazioni che potrebbero essere analizzate, ma verbi con altro suffisso - come, ad es., ud( rofobiaw/ “soffro di idrofobia”, probabilmente semplice denominale da un composto già non più trasparente - sono del tutto sporadici, per cui possono essere trascurati in questa sede. Parimenti non saranno prese in considerazione le formazioni con avverbi, come palindromew/ “ritorno indietro”. 16 Formazioni V+N come, ad esempio, deci/mhloj o fereo/ ikoj non interessano in questa sede, perché non si tratta di verbi. 17 Data la chiusura del corpus di testi cui fa riferimento la linguistica del greco antico, risulta di scarso rilievo il fatto che il composto nominale da cui il verbo si sarebbe formato possa non essere attestato, come, ad es., per u(lomaxew/ , che ricorre in App., Mithr. 103. Ugualmente non rilevante è la considerazione che sono molti di più i casi in cui si realizza l’eventualità contraria, ossia la mancanza di attestazione della formazione verbale corrispondente a un composto N+N, come nel caso di book/ ley o booklop/ oj, ma anche di i)xqufag/ oj, i)xquofon/ oj, karpospo/roj, karpopoio/j, detto di Demetra da E., Rh. 964, etc. 10
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