ebook img

Titulus Crucis. La scoperta dell'iscrizione posta sulla croce di Gesù PDF

427 Pages·2000·19.754 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Titulus Crucis. La scoperta dell'iscrizione posta sulla croce di Gesù

MICHAEL HESEMANN TITVLVS CRVCIS La scoperta dell'iscrizione posta sulla croce di Gesù Prefazione di CARSTEN PETER THIEDE SAN fftOLO Titolo originale dell'opera Die Jesus-Tafel. Die Entdeckung der Kreuz-Inschrift © Verlag Herder, Freiburg-Basel-Wien 1999 Traduzione dal tedesco di Olivia Pastorelli (Introduzione e capp. 1-6) e Marino Parodi (cap. 7 e Appendici) Foto: Michael Hesemann: figure 2,12,14,16,17, 22,23,24 tavole II, IV, V, VII, X Ferdinando Paladini: tavola IX L'Osservatore Romano: tavola XI Tute le altre illustrazioni: archivio Herder © EDIZIONI SAN PAOLO s.r.I., 2000 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) http://www.stpauls.it/libri Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 -10153 Torino PREFAZIONE di Carsten Peter Thiede Il famoso patrologo Hippolyte Delehaye osservò con sottile ironia che non ogni reliquia eminente sopra ogni dubbio deve necessariamente essere non autentica. In effetti molti sempli- ficano eccessivamente la questione, il loro lavoro è guidato dal- l'interesse, rinunciano alle nuove analisi critiche o conoscono fin dall'inizio di un'indagine il suo risultato finale. Non dimen- ticherò facilmente le espressioni trionfanti dipinte sul volto de- gli scienziati che avevano sottoposto la Sindone di Torino alle analisi del radiocarbonio, mentre comunicavano all'opinione pubblica che la tela risaliva al XIV secolo. La soddisfazione era evidente: essi potevano presentare il risultato che, insieme a mol- ti altri, auspicavano. E noto da tempo quanto quell'indagine sia stata discutibile, come pure la problematicità complessiva del- l'analisi del C44; da tempo sono noti gli argomenti archeologici, biologici e storici a favore della provenienza della tela dal Le- vante e della sua datazione al I secolo d.C. Ma rimane lo sgra- devole ricordo di un evento in cui si è avuta l'impressione che un metodo scientifico sia stato utilizzato con scopi ben precisi. È inoltre vero che, a indagare in maniera critica o a sollevare obiezioni quando le reliquie vengono dichiarate per principio oggetti della pietà popolare tardo-antica indegni di fede o stru- 7 menti delle ambizioni di potere dei prìncipi della Chiesa, si cor- re il rischio di passare per ultraconservatori, fondamentalisti o semplicemente osservanti rigorosi. I mezzi sono tanto traspa- renti quanto efficaci. Chi per esempio non ha mai letto l'argo- mentazione con cui viene liquidata ogni reliquia della croce, se- condo cui con tutti questi frammenti si potrebbe mettere in- sieme un'intera foresta, e chi sa o osa replicare con semplicità che invece, assommando tutti i frammenti della croce, questi non basterebbero nemmeno a ricomporre il palo di una sola croce? In uno scenario come quello descritto, ha un effetto dirom- pente l'indagine meticolosa, da parte di uno storico e antropo- logo culturale che non fa mistero della sua fede cattolica in- tensamente vissuta, su ciò che noi oggi veramente sappiamo riguardo agli elementi centrali della tradizione correlati al Ge- sù storico. Al centro dell'indagine sta l'iscrizione della croce, il titulus, che secondo la prassi giudiziaria romana descriveva il reato per cui un delinquente veniva condannato alla morte in croce. Non solo i precedenti, che non mancano nell'ambito del diritto romano, ma anche i quattro Vangeli non lasciano dubbi a proposito dell'esistenza del titulus. Proprio le sfumature nel te- nore dei quattro resoconti evangelici sottolineano la loro stori- cità: nessuno poteva avere l'intento di armonizzare le versioni o di fingere che, in quelle ore estremamente drammatiche, qual- cuno fosse rimasto ai piedi della croce con un blocco da steno- grafo. Si tramandò ciò che si era visto, prima di bocca in bocca, poi per iscritto. E, com'era già accaduto per altri episodi, era Giovanni a mostrare il maggior interesse per questo particola- re. Lo storico è subito colpito dalla precisione giuridica e dalle tre lingue in cui è riportato il testo dell'iscrizione, che molto pro- babilmente Giovanni conosceva. Ma anche le versioni ridotte del titulus fornite dai tre Vange- li sinottici conservano il nucleo comune: Gesù fu giustiziato dal prefetto romano, rappresentante del diritto imperiale vigente, perché non voleva negare di essere il re dei giudei, un titolo che solo l'imperatore romano poteva sancire e conferire. Era in gra- do Pilato di comprendere che tipo di re fosse Gesù? Gli bastò 8 attenersi ai fatti e renderli visibili a tutti. Perché proprio que- sto era importante: dovevano vederlo tutti, quel titulus', sulla col- lina del Golgota, nelle immediate vicinanze del muro cittadi- no da cui i curiosi si affacciavano a guardare, come pure sotto, dalla strada che dalla porta della città andava in direzione nord- ovest. Quel titulus esisteva, e i primi resoconti dei pellegrini cristia- ni che visitavano Gerusalemme lo menzionano. Nulla depone contro il fatto che si sia conservato dopo la crocifissione di Gesù; certo non gli accenni nelle fonti più antiche, secondo le quali fu rinvenuto in un antico pozzo: ogni archeologo sa che umidità e fango sono i migliori garanti della conservazione di iscrizioni in legno, come attestano per esempio anche le tavo- lette romane di Vindolanda, nei pressi del Vallo di Adriano. Non ultimo, l'impresa di Michael Hesemann sta anche nel- l'esame accurato e non superficiale delle diverse fonti della tra- dizione; anzi, egli ha affrontato un dispendioso, faticoso per- corso, recandosi in loco, a Roma e a Gerusalemme, per confe- rire direttamente con gli esperti. L'aspetto più significativo di queste ricerche è che anche gli studiosi israeliani di epigrafia e paleografia ritengono probabile una datazione del frammento conservato oggi nella chiesa romana di Santa Croce in Geru- salemme a un'epoca precedente a quella dell'imperatrice ma- dre Elena. È un percorso di conoscenza che aggiunge importanti contri- buti alle mie stesse indagini - cui Michael Hesemann rimanda in questo libro. Le particolarità della scrittura mi sono sempre parse deporre a favore di una sua collocazione temporale nel I secolo. E che ci siano buone motivazioni storiche per tali con- clusioni di massima è stato dimostrato già alcuni anni or sono dallo svedese Stephan Borgehammar, che ha potuto ricostruire l'autentico reperto della storia di Elena. Tùtto ciò non è privo di conseguenze: perché se l'iscrizione risale a un'epoca preceden- te al viaggio di Elena a Gerusalemme, che segnò il rinvenimen- to della tavoletta, allora non c'è alcun momento storico in cui possa essersi verificato Un evento esterno tale da giustificare la 9 sua «fabbricazione» - con un'unica eccezione, appunto: le ore precedenti alla crocifissione di Gesù. C'è da sperare che il libro di Hesemann infonda il coraggio necessario per affrontare di nuovo la questione di principio del valore storico da attribuire alle reliquie più antiche in modo obiettivo, corretto e con la disponibilità ad accettare che il Cri- sto della fede non è separabile dal Gesù della storia. Beer-Sheva e Basilea, Pentecoste 1999 10 INTRODUZIONE GESÙ: LA PROVA? Roma, 19 maggio 1997 I festeggiamenti tradizionali per la Pentecoste erano termina- ti, e come tutti gli anni, alle 12, papa Giovanni Paolo lisi era pun- tualmente affacciato alla finestra della sua residenza per impar- tire la benedizione ai fedeli che attendevano in piazza San Pie- tro. Era un anno particolare, il primo di quegli ultimi tre del secondo millennio che il pontefice aveva dedicato alle tre perso- ne della Santissima Trinità. Ma il Giubileo del 2000 proiettava la sua ombra sulla città anche in un altro modo. L'intera Roma si era trasformata in un cantiere, dappertutto erano in corso lavori di ristrutturazione e di restauro, le facciate degli edifici veniva- no rivestite e le strade ripavimentate, si ripuliva la città per VAn- no Santo, in occasione del quale si attendevano fino a 30 milioni di visitatori. Allora tutte le strade avrebbero davvero portato a Roma, mentre gli abitanti della Città Santa temevano la grande confusione che si sarebbe potuta verificare in quei giorni, perché già prima il traffico era regolarmente al collasso e mancavano i posti letto negli alberghi. Anche la strada che conduce alla basilica di Santa Croce pas- sa attraverso vie ampie ma per lo più intasate dal traffico. An- 11 cora oggi il tracciato stradale e gli edifici della parte sudorienta- le di Roma conservano qualcosa della grandiosità con cui in pas- sato fu edificato questo quartiere ricco di giardini e di palazzi. Anche davanti a Santa Croce si trova un ampio piazzale con un grande prato, palme isolate e numerosi parcheggi per i visi- tatori della chiesa e per i pullman dei pellegrini. Lo stile com- posito della chiesa mi irritava. La facciata barocca mal si armo- nizzava con il campanile romanico e con la semplice, grigia fac- ciata del convento medievale. Questa «disomogeneità di stile» non è rara a Roma e ha un certo suo fascino. Molte chiese romane presentano aggiunte e «abbellimenti» accumulatisi nel corso dei secoli, pur coìiservando accuratamente intatto il nucleo origina- rio. Ma questa, la basilica di Santa Croce in Gerusalemme - è questo il suo nome completo - è considerata sin dal medioevo una delle sette chiese principali di Roma e uno dei luoghi sacri più significativi di tutta la cristianità. Una fama indubbiamente da ascriversi anche alle preziose reliquie che io stesso ero venu- to a visitare. Ciò nonostante, quando salii i gradini che conducevano al por- tale della basilica, non ero ancora consapevole di come questa vi- sita avrebbe cambiato la mia vita. Oltrepassai il chiosco delle car- toline e delle guide turistiche ed entrai dal portale principale. Rimasi subito meravigliato dalla magnificenza degli affreschi del- la volta sovrastante l'altare maggiore. Mostrano, attorno a Cristo assiso in trono, alcune scene del rinvenimento della santa croce a Gerusalemme, di quella leggenda cui la veneranda basilica de- ve la propria fama e la propria importanza. Perché, stando a un'antica tradizione cristiana, sant'Elena, madre dell'imperatore romano Costantino il Grande, avrebbe portato la reliquia della croce di Cristo da Gerusalemme a Roma. Qui, sempre secondo la leggenda, l'avrebbe collocata nella propria cappella a palazzo, sul cui pavimento sparse del terriccio proveniente dalla collina del Golgota. Su questo luogo sacro sorse nel corso dei secoli la basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Ancora oggi le presunte reliquie della passione di Cristo so- no esposte al pubblico in una cappella appositamente eretta a 12 questo scopo e il cui ingresso si trova sul lato sinistro della na- vata. Quando entrai, il mio sguardo cadde subito sull'enorme tra- ve di legno che si suppone sia appartenuta alla croce del buon la- drone, uno degli uomini che furono crocifìssi con Gesù in quel tetro venerdì sul Golgota. Piuttosto incredulo e irritato da cotan- ta sicurezza - come essere certi che non provenga invece dalla croce del suo sarcastico compagno? - oltrepassai quel reperto, protetto da robuste sbarre, e salii le tre rampe di scale, ognuna di tre gradini, che portavano alla cappella delle reliquie vera e pro- pria. Questa scalinata marmorea, contornata dalle stazioni bron- zee della via crucis, pareva una moderna reminiscenza del mon- te Calvario. Al centro della cappella cui conduceva la scalinata, c'era un altare sormontato da un baldacchino a cupola sorretto da quattro colonne marmoree. Dietro l'altare si trovavano allo- ra, incastonate nella parete dell'abside, le reliquie della passione di Cristo (dal novembre 1997 le reliquie sono esposte sull'altare a cibolum in una teca di vetro antiproiettile). Aggirai l'altare per avvicinarmi il più possibile alle reliquie. Volevo vedere con la massima precisione possibile cos'era con- tenuto nei cinque sfarzosi reliquiari d'argento del XIX secolo, sormontati dal maestoso reliquiario della croce adornato d'oro. Secondo le descrizioni, si trattava di tre frammenti della croce, un chiodo, due spine della corona del Signore, pietrisco di Gerusa- lemme e di Betlemme, un dito dell'apostolo Tommaso e infine un frammento dell'iscrizione della croce: il titulus crucis/ Nella vita ci sono sempre situazioni in cui cuore e ragione, ani- ma e intelletto entrano in conflitto tra loro: fu ciò che mi accadde in quel momento. Il cristiano dentro di me nutriva profondo rispetto dinanzi alle mute, forse autentiche testimonianze della passione del Signore; lo studioso invece era scettico ed esigeva delle prove. E lo sapevo: proprio da questa umana, fin troppo umana esigenza di prove, di conferme fisiche alla verità della fe- de, scaturiva la venerazione delle reliquie. A maggior ragione, fin dai tempi dei miei studi di storia medievale e di etnologia eu- ropea all'università di Gòttingen, sapevo che ci si deve accostare 13 alla questione con la massima prudenza. Perché per tutto il me- dioevo il culto delle reliquie produsse i frutti più assurdi, dive- nendo terreno fertile per la creazione delle più singolari falsifi- cazioni, le quali avevano un unico scopo: attirare persone in- genue che speravano in un miracolo verso i santuari, al cui fiorente rigoglio contribuivano attivamente. Questo almeno era riportato nei libri di testo ed era insegnato a noi studenti. Ora, effettivamente numerose reliquie non possono nem- meno essere prese in considerazione. Nel monastero di San Me- dardo a Soissons, in Francia, era venerato un dentino da latte del Bambin Gesù, perso quando aveva nove anni; nel Duomo di Aachen le sue fasce; altrove il cordone ombelicale; in parec- chie chiese il suo prepuzio o resti del latte con cui si dice che la Madre di Dio l'avesse allattato. Inoltre nelle chiese medieva- li c'erano reliquie del pane per il pasto dei cinquemila (a Colo- nia), degli orci delle nozze di Cana (a Colonia e a Hildesheim), della tovaglia dell'ultima cena (a Vienna), dei peli della barba di Cristo (a Vienna), di una lacrima che Gesù versò su Gerusa- lemme (a Vendóme, in Francia) e di una piuma dell'ala dell'ar- cangelo Michele (a Liria e a Valencia, in Spagna). Di altre reli- quie si registrò una vera e propria inflazione. Accanto a innu- merevoli frammenti e particelle della croce, si esposero ben 36 presunti chiodi della croce di Cristo (tra gli altri, a Treviri, Co- lonia, Parigi, Vienna - addirittura due - Siena, Milano, Monza e via dicendo), due teste di Giovanni il Battista e dozzine di len- zuoli sacri. Umiche di Cristo sono venerate a Treviri, nella città francese di Argenteuil e in quella georgiana di Mzecheta. Solo nelle cattedrali spagnole si trovano ben 53 spine della corona di Cristo. A complicare le cose interviene la tradizione delle reli- quie divenute tali «per contatto»: si credeva che, se una più o meno precisa riproduzione della reliquia era messa a contatto con l'originale, la copia ne assorbisse tutta il potere. Per gli uomini del medioevo le reliquie erano portatrici di forza e grazia divine. Questa convinzione era sfruttata anche dal punto di vista politico: nella Corona Ferrea dei longobardi - oggi conservata nel tesoro del duomo di Monza - è incasto- 14

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.