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Tesi di dottorato di Anna Maria Tartaglia PDF

278 Pages·2011·2.47 MB·Italian
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Introduzione Questo lavoro rivolge la propria attenzione ad un aspetto specifico della semiotica di Peirce; si interroga infatti sul ruolo della componente iconica all‟interno della teoria generale del segno, articolata come è noto attorno alla tripartizione fondamentale icona/indice/simbolo. Tuttavia l‟obiettivo dell‟indagine è più ampio: l‟ipotesi che la sorregge – e della quale, ovviamente, si cercherà di dare ragione- è che approfondire questo aspetto “interno” alla semiotica possa essere un modo di portare in chiaro tutta la portata e l‟interesse speculativi dell‟intera prospettiva teorica di Peirce. Per dar conto di questa tesi, si sono analizzati i concetti di ground e icona, a partire dagli scritti giovanili sino alle opere della maturità, e la metodologia utilizzata per sviluppare il lavoro è stata quella di esplorare, attraverso opportune ricerche lessicali condotte sui Collected Papers e sui Writings) l‟ occorrenza di termini quali icon, ground, nature, convention e analogy. In realtà l‟analisi che Peirce offre della struttura e del percorso di formazione del segno investe a pieno titolo, dandole spesso nuova forma unitaria, l‟intera materia delle discipline filosofiche tradizionali dall‟ontologia, alla logica, all‟epistemologia, all‟estetica, all‟antropologia. Sta in questa sua peculiarità a mio avviso la fonte dell‟interesse ma anche della difficoltà di una lettura approfondita della sua proposta teorica. Non accade lo stesso in altri autori la cui proposta non è, per questo, meno carica di implicazioni filosofiche di vasto respiro. Basta pensare per esempio alla semiotica saussuriana per tanti versi rivale e complementare. L‟orizzonte in cui si muove l‟analisi saussuriana del segno è in qualche modo dall‟origine quella del segno linguistico. Il tema di fondo è il linguaggio e la via intrapresa dall‟ indagine ha l‟effetto di situare la linguistica stessa all‟interno del campo dell‟antropologia, della psicologia, delle scienze sociali, Nell‟analisi di Peirce l‟orizzonte linguistico del segno appare piuttosto guadagnato attraverso un percorso, incessantemente rimesso in gioco e riattraversato, che, portando alla luce il carattere “segnico”, se così vogliamo dire, di ogni tratto del reale, tende a riformulare e a riorganizzare questi campi disciplinari. Peirce non assolutizza il ruolo delle lingue, non subordina la semiotica alla riflessione sui segni linguistici. È proprio la struttura ternaria del modello di segno elaborato dalla semiotica peirceana a rendere quest‟ultima una forma di sapere filosofico e logico- matematico. Con semiosi Peirce intende sempre un‟azione che si svolge tra tre dimensioni: segno, oggetto e intepretante, e tale triade non è mai risolvibile in una relazione di tipo binario. Nell‟azione tra segno, oggetto, e interpretante il percorso parte dall‟oggetto, perviene, attraverso il segno, all‟interpretante. Ma in questo percorso accade qualcosa di nuovo: ciò che il segno esprime acquisterà consapevolezza mediante l‟interpretante. Per Peirce il segno è una relazione triadica in cui “Un segno o Representamen è un Primo che sta in una tale relazione triadica genuina con un Secondo, chiamato il suo Oggetto, da essere capace di determinare un Terzo, chiamato il suo Interpretante […] La relazione 1 triadica è genuina in quanto collega insieme i suoi tre membri in un modo che non consiste in alcun complesso di relazioni diadiche”1. È questa struttura che ci consente di comprendere che non siamo di fronte ad un modello di segno statico; al contrario il segno di Peirce è una dimensione dinamica, esso non stabilisce una corrispondenza, una correlazione statica con il suo referente. Se la questione del segno in Peirce acquista dall‟inizio alla fine una portata filosofica “radicale”, ciò è da imputare al fatto che il segno stesso viene pensato come un processo e indagato nell‟atto stesso in cui nasce. La fatica di Peirce è quella di pensare l‟atto stesso di costituzione del segno poiché è in questo atto che il referente si rivela. È nella relazione triadica, nel rinvio del segno che il referente acquista identità. E in questi termini la relazione tra segno e referente non può essere fondata sulla corrispondenza, perché questa relazione presupporrebbe due dimensioni già realizzate, già compiute. La questione del segno si configura allora in tal modo che parlare dell‟ origine del segno significa parlare dell‟origine del reale; non già nel senso che il reale viene interamente risolto nel segno, ma nel senso che il segno ne diventa l‟unica manifestazione possibile. E allora il rapporto di uguaglianza viene sostituito da un rapporto di implicazione, poiché in virtù delle „qualità‟ del segno, si può accedere al reale; ovvero, dati alcuni „rispetti‟ espressi dal segno, si può inferire che il referente possa avere le medesime qualità. Dunque il segno non è una copia della cosa, ma nemmeno si identifica con la cosa; piuttosto, sulla base della sua declinazione fondamentale, iconica,indicale e simbolica, ci permette di rendere conoscibile il modo di manifestarsi della cosa, l‟”aspetto” sotto il quale si fa presente. In questo senso il rapporto istituito dal segno con il referente è un rapporto di implicazione e in questi termini il segno si pone come un‟inferenza. L‟analisi del segno abbraccia tutti i livelli del pensiero e della realtà, essa tocca tutti i livelli e tutte le componenti dell‟essere e in tal modo si fa carico di un compito di sintesi altrettanto vasto, che chiama distintamente in gioco tanto una logica quanto una ontologia e al tempo stesso esige di esplorare l‟interna connessione delle due discipline. Qualificherei allora questo compito come metafisico, se è vero che la metafisica si è sempre caratterizzata per l‟attitudine a legare insieme queste due direzioni di ricerca in vista dell‟interrogazione sulla natura ultima della verità e della realtà. La riserva di significati che sta dentro la realtà è disponibile grazie alla istituzione della catena segnica; pur costituendo un limite invalicabile e imprescindibile per mettere in moto il processo della semiosi, il reale non si dà mai come un che di “immediato”, poiché può dar conto di sé soltanto in una dimensione mediata-segnica. A mio avviso non è possibile comprendere la struttura del segno in Peirce se non cogliamo tutta la portata gnoseologica del tentativo di destituire di senso l‟idea stesa di una “intuizione immediata” come base, e punto di avvio del conoscere. Il processo della semiosi, così come Peirce lo configura, suppone questo gesto ampio di messa in questione di uno dei capisaldi più illustri della riflessione filosofica antica e moderna. La demolizione dell‟intuizione, enunciata da Peirce in Questions concernig certain Faculties claimed for 1 Peirce, Voce Represent del Dictionary of pholosophy and Psychology ( a cura di James Mark Baldwin 1902), trad.it., M. Bonfantini, Bompiani, Milano, 2003, p.163 2 Man conduce il pensatore americano a ritenere che il pensiero può realizzarsi soltanto all‟interno di un processo inferenziale. Proprio questo, proprio il fatto che a nessun pensiero è consentito di realizzarsi nell‟immediato, decreta l‟atto di nascita del segno: “Dunque, dire che un pensiero non può accadere in un istante, ma richiede certo tempo, non è che un altro modo di dire che ogni pensiero deve essere interpretato in un altro, o che ogni pensiero è nei segni”2. ( “To say, therefore, that thought cannot happen in an instant, but requires a time, is but another way of saying that every thought must be interpreted in another, or that all thought is in signs”.). Nemmeno, allora, ha senso ipostatizzare un primum convenzionale immediato, ritenendo che la catena delle inferenze dei segni debba comunque a sua volta rinviare all‟inizio della sequela di inferenze-segni. Poiché le facoltà cognitive sono strutturate in un modo per cui possono realizzare conoscenze, a patto che istituiscano relazioni, queste ultime non sono da riguardare come contenitori che possano riempirsi dei dati presenti nel mondo attuale. Ma se bisogna liberarsi dall‟idea di un primum intuitivo del conoscere, allo stesso modo risulta errata l‟idea di concepire una realtà inconoscibile, poiché in entrambi i casi si andrebbe incontro ad un contraddizione che consisterebbe nell‟immaginare che il pensiero incontri un oggetto assoluto e in quanto tale irrelato. Se pensare significa, secondo Peirce,essenzialmente porre relazioni, l‟idea di uno inconoscibile in sé risulta contraddittoria. I quattro veti enunciati da Peirce in Some Consequences of Four Incapacities, volti a negare qualsiasi potere di introspezione, e di intuizione, nonché a rifiutare l‟idea di un pensiero senza segni e la stessa concepibilità dell‟inconoscibile”, ci permettono di capire da una parte l‟equivalenza tra pensiero e segno, dall‟altra la necessità che il segno si faccia mediatore tra pensiero e realtà. Tenere presente che la semiotica nasce dalle rovine dell‟impalcatura cartesiana è essenziale per comprendere che in questa prospettiva non c‟è spazio per un concezione corrispondentistica, speculare tra pensiero e oggetto. Il segno deve in qualche modo costituire il nesso tra i due versanti, il pensiero e il reale, poiché entrambi non sono se non là dove transitano l‟‟uno nell‟altro e ciò non accade se non nella mediazione del segno; in assenza della mediazione del segno, dunque, essi non risultano disponibili. Ragionare significa essenzialmente istituire nessi tra segni per scoprire la verità. Per innescare il processo della conoscenza, il pensiero deve compiere operazioni idonee a trarre inferenze, e tali operazioni devono diventare osservabili perché possano offrirsi alla dimensione interpretativa. È necessario esternare le operazioni, perché queste ultime possano essere oggetto di ulteriori trasformazioni e, se valutate positivamente, possano essere codificate e diventare abiti mentali. Qui già viene anticipato, nel rinvio alle operazioni, il principio stesso del pragmatismo, che ufficialmente sarà elaborato soltanto qualche anno dopo i saggi del „68. Al di là delle varie dottrine che confluiscono già in questa fase del pensiero peirceano il punto fondamentale sta nel fatto che se si presuppone dapprima il reale da una parte e il pensiero dall‟altra, queste due dimensioni rimangono destinate a non incontrarsi. E allora comprendere che il pensiero, secondo Peirce, si rende disponibile in uno spazio ipotetico, che perciò stesso diventa 2 CP 5.253. 3 comunicabile e interpretabile, significa al tempo stesso prendere atto del fatto che il segno si pone come la dimensione più congeniale al pensiero. Il segno offre al pensiero una tela su cui riconoscere il percorso di formazione dei suoi diversi stadi, e così accade per il reale, il quale non è una dimensione già compiuta in se stessa bensì un processo, che da una parte orienta il segno, poiché produce degli effetti, dall‟altra solo nel segno rivela la sua identità. Insomma, il compito arduo di Peirce è quello di mostrare che è nel segno che pensiero e reale nascono e rivelano la loro relazione interna. In questi termini il problema della “semiotica” non è soltanto quello di avvicinarsi allo studio del segno in modo sistematico, costruendo intricate tricotomie segniche, ma quello di porre domande del tipo: che cosa significa pensare? che cosa significa realtà? Semmai le tassonomie, sorrette da queste domande, assolveranno al compito di rendere più solida la relazione interna tra pensiero e reale. Il punto è che in Peirce la semiotica si misura con l‟impresa di raggiungere e di colpire, sia pure per riportarla al linguaggio, una certa componente extralinguistica del segno. Questa componente è per molti versi da ravvisare nell‟icona, che per Peirce è la base e la condizione di possibilità del segno, ma al tempo stesso è un suo tratto costitutivo, che non potremmo dunque distinguere e analizzare senza riferimento alla forma dell‟intero di cui è parte In questo senso tutta la costruzione teorica di Peirce sembra muoversi in circolo e ciò indubbiamente costituisce una sfida per il lettore che voglia cogliere ed esporne la logica interna. L‟ambizione del mio lavoro è, in qualche modo, reggere questa sfida; una sfida non ignota tuttavia alla tradizione speculativa della filosofia. Come non evocare il nome di Hegel? L‟impostazione peirceana proprio riguardo questo punto rivela le sue matrici hegeliane, poichè e il pragmatismo e l‟idealismo ritengono impossibile l‟idea che la conoscenza possa partire da un primum immediato che sia in grado di innescare il processo conoscitivo, poiché tale assiomatizzazione finirebbe per divaricare in modo irreversibile il reale dal pensiero. Per Peirce, il reale rimane per un verso indipendente rispetto al segno, ma per altro verso non si mostra che negli effetti che esercita sul segno: il problema sta nel fatto che, secondo Peirce, non si attua mai un impatto diretto tra il segno e la cosa che ne è oggetto, il segno non incontra mai l‟oggetto, se non all‟interno di riflessi, di tracce che riorganizza all‟interno della sua struttura, perché possano essere sottoposti a verifica, esponendoli alla dimensione dell‟interpretante. La possibilità di attingere alla cosa, una volta demolita l‟illusione di poterla trasferire nel pensiero in modo immediato e di poter disporre della sua totalità, è quella di appropriarsene in modo parziale, in modo differito, irrompendo nella sua interezza, introducendo un elemento di discontinuità. L‟irruzione non deve essere effettuata allo scopo di trafugare la totalità dell‟oggetto per catturarla all‟interno del pensiero, quasi fosse una cosa da trasportare; al contrario, essa deve servire allo scopo di istituire una relazione con l‟oggetto. E‟ solo in questo modo, sempre mediato e differito, che possiamo attingere alla cosa. La relazione si istituisce ipostatizzando alcuni degli infiniti aspetti dell‟oggetto. In questo senso il segno prende su di sé la responsabilità di tradurre l‟oggetto, ma non si identifica con esso, il segno ha una sua processualità, possiede dei livelli interni che gli danno l‟opportunità di esibire la sua distanza dalla cosa che ne è oggetto, ma è proprio questa stessa distanza a garantire la 4 possibilità di rompere la continuità del reale, per immetterlo in un flusso di relazioni, impossibili da realizzare se il segno avesse la pretesa di diventare la copia della cosa. E allora la difficoltà di Peirce è quella di immaginare qualcosa che stia dentro e fuori nel segno, nel senso che il segno deve formalizzare quella eco del reale, che altrimenti rimarrebbe inesprimibile. Ma in che modo questi riflessi si traducono nel segno e soprattutto in quella che costituisce la sua base? La “base” del segno, negli scritti giovanili di Peirce, in cui sostanzialmente dovrebbe risuonare l‟eco del reale e in cui quest‟ultimo dovrebbe trovare la sua trascrizione formale, è il round: nozione per tanti versi criptica che, pure, è espressione della specificità del gesto segnico quale è colta dal pensatore americano. Il ground è l‟infinita riserva relazionale in virtù della quale si potrà equiparare un aspetto del reale ad una relazione possibile. Ma tale operazione, effettuata dal ground, rivela la condizione originaria attraverso la quale si comprende come qualcosa si potrebbe configurare e a che cosa potrebbe assomigliare. Il ground in questo senso è condizione del segno, poiché è il nesso tra il reale e il segno, ma non nel senso che essi, già compiuti in sé, vengono successivamente posti in relazione, ma nel senso che il ground ipostatizzando una relazione aggancia il reale alla catena segnica, ponendola come veicolo di quest‟ultimo. E tale gesto diventa comprensibile soltanto nel momento in cui la dinamica del segno è stata già avviata. Il ground , infatti, produce un elemento di discontinuità, che negli scritti giovanili viene chiamata likeness, (qualità di essere simile –somiglianza), poiché incarna una delle possibili relazioni, costituendo il rinvio al „rispetto‟, termine chiave per leggere l‟accordo o la differenza tra le cose. Insomma il ground è quell‟astrazione che assume come condizione per la conoscenza la somiglianza, che non si istituisce tra cose ma tra relazioni: se scopro relazioni simili scopro mediatamente la fisionomia delle cose. È la relazione che restituisce la cosa e non viceversa. Nella versione matura della triade segnica, l‟icona appare incarnare il rapporto tra ground e likeness e, in effetti, le definizioni che incontriamo nella semiotica matura, ribadiscono la valenza fondativa del segno, nel senso che è a questo livello che viene lanciata un‟ipotesi sull‟oggetto e mediata attraverso gli altri livelli del segno. Infatti un‟icona è un segno, il cui potere rappresentativo dipende dalle qualità che essa stessa possiede, indipendentemente dall‟eventuale esistenza di un referente che presenti i medesimi caratteri. Non è l‟esistenza dell‟oggetto la ratio essendi dell‟icona, bensì la capacità di offrire una connessione, conferendo a quest‟ultima un‟immagine: in questo senso la figura di un triangolo è un‟icona, poiché in se stessa dispone di un‟autonomia, poiché la sua forza significativa non dipende dal suo possibile referente o dall‟interpretante. Il potere dell‟icona consiste nel fatto che, ponendosi come oggetto osservabile sensibilmente, diventa punto di partenza per scoprire ipotesi nuove, relazioni inedite, che si aggiungono a quelle che sono state utilizzate al momento della costruzione della medesima icona. La capacità da parte dell‟icona di significare pur non denotando la rende corrispondente alla likeness, quella, invece, di qualificarsi come ponte per la scoperta di nuove verità, a mio avviso, l‟abilita ad inglobare tutta la fecondità relazionale del ground. In questo modo l‟icona eredita la 5 miniera di relazioni del ground, che le permette di anticipare gli esiti che si otterranno nel momento indicale e simbolico. L‟icona evoca l‟oggetto senza dargli nomi o luoghi, questi ultimi saranno denotati dall‟indice, la cui specificità è legata al fatto di essere fattualmente connesso con il referente. Ma perché questo legame venga in luce ( e il processo segnico, senza pretesa di conclusività, possa compiersi), esso necessita del momento simbolico, il quale trasformerà in un abito o regola la relazione proposta dall‟icona. In questi termini la dimensione del simbolo che corrisponde alla nozione di interpretante è l‟atto che consente di riconoscere, e così codificare la connessione inedita cui ha dato vita l‟icona. Quindi la connessione strutturale tra icona e indice non si lascia riconoscere a partire dall‟icona ma solo in un terzo- il simbolo; quindi solo a partire dalla struttura del segno, già operante, già in atto. E ciò ha una importanza teorica decisiva: la componete dell‟interpretazione, e con essa la dimensione ermeneutica del pensiero, così cara alla riflessione filosofica del Novecento, che ha fatto dell‟interpretazione un tratto costitutivo della verità stessa, viene portata nella struttura stessa del segno. Se da una parte la risoluzione della questione dell‟essere in un processo interpretativo pone le condizioni per un dialogo tra la semiotica peirceana, il prospettivismo nietzscheano e l‟ermeneutica heideggeriana, dall‟altra la potenzialità espressiva dell‟icona che eccede incessantemente il simbolo che di volta in volta in base ad essa prende forma, fa dell‟icona un segno trasversale che può essere ritrovato, oltreché sul piano semiotico, all‟interno del ragionamento logico, matematico, e riconosciuto nelle sue matrici fenomenologiche. L‟idea dell‟icona come spazio di intersezione tra questi diversi universi- che costituisce il fulcro della tesi sviluppata in questo lavoro- inserisce la prospettiva peirceana nel dibattito contemporaneo tra logica e metafisica, che vede logici e matematici, alle prese con le diverse formalizzazioni logiche e interessati a valorizzare e a capire le ragioni di Peirce riguardo alla necessità di dare un adeguato rilievo a quella che egli chiama “formalizzazione iconica”. Per comprendere la centralità dell‟icona nell‟ambito delle questioni sollevate dai logici e dai matematici, dobbiamo evidenziare il nesso, istituito da Peirce, tra icona e ragionamento logico, e tra icona e ragionamento matematico. Sull‟Algebra della Logica: Un contributo alla Filosofia della Notazione è il testo in cui Peirce dichiara la necessità di introdurre le icone all‟interno delle relazioni logiche, poiché in questo saggio in cui si sintetizzano le indicazioni più feconde della logica matematica del X1X secolo, viene messo in chiaro dal filosofo americano che l‟argomento deduttivo non necessita soltanto di indici e simboli, che garantiscono la fruizione di nomi e di “generali”, ma anche del tratto iconico, la cui specificità è quella di anticipare il “generale”. Infatti Peirce insiste sul fatto che se qualsiasi proposizione può essere espressa con i simboli e gli indici, essa, comunque, non può divenire oggetto di ulteriori ragionamenti. Ragionare significa osservare e, individuate alcune relazioni significative, scoprirne altre; ma questa operazione , come abbiamo constatato, è la caratteristica dell‟icona, quindi è necessario, secondo Peirce, che una notazione logica adeguata prenda in considerazione, oltre che gli indici e i simboli, anche le icone. L‟icona è tale proprio perché evoca qualcos‟altro, essa si fa espressione di un nesso, 6 che può essere concepito come un rapporto di implicazione, e quindi essenzialmente l‟icona è leggibile come un‟inferenza. In particolare è l‟inferenza abduttiva ad avere una natura iconica, poiché l‟abduzione si qualifica come un argomento che stabilisce una similarità tra i fatti contenuti nella premessa da cui muoviamo e i fatti asseriti nella conclusione; ma i fatti presentati nella premessa potrebbero essere veri, indipendentemente dalla verità della conclusione; in questi termini, afferma Peirce, non si può essere certi della conclusione, ma la si può assumere come spiegazione possibile di un fatto, rispetto a cui i fatti della premessa costituiscono un‟icona‟3. In particolare Peirce formalizza l‟abduzione in questo modo: “Viene osservato il sorprendente fatto C; ma se A fosse vero, C sarebbe un conseguenza logica. Quindi c‟è ragione di sospettare che A sia vero”4. (“The surprising fact, C is observed; But if A were true, C would be a matter of course, Hence, there is reason to suspect that A is true”). In questi termini l‟abduzione è una retroduzione, poiché dalla contemplazione di un fatto perviene ad una teoria; in realtà l‟oggetto di contemplazione è un ens rationis, poiché la sua spiegazione risiede in altro. L‟abduzione nei fatti contenuti nelle premesse riconoscerà il conseguente di un possibile antecedente, ovvero in quei fatti che essenzialmente si presentano come un‟icona riconosce dei possibili caratteri che potrebbero essere spiegati, qualora si scoprisse un principio in grado di qualificarsi come il loro antecedente. In questi termini si coglie la profonda collaborazione tra immaginazione e ragione. L‟abduzione necessita di figure, perché in esse si coglie quella sintesi, che permetterà di scoprire il nesso tra il conseguente, già disponibile, e il suo possibile antecedente. In questi termini l‟icona è segno di una relazione inferenziale che costituisce il punto di partenza dell‟abduzione. La centralità dell‟icona all‟interno del ragionamento logico è però per Peirce frutto di una generalizzazione del modo di procedere del ragionamento matematico. Infatti nel saggio del 1885, già citato, la matematica non viene concepita soltanto come un sapere analitico ma come una scienza osservativa e la logica si apre all‟inesauribilità della riserva relazionale delle icone, qualificandosi così non mero calcolo formale, ma come una forma di sapere che affonda le sue radici nello spartito segnico. Nel ragionamento matematico che Peirce definisce “teorematico”, diversamente dal ragionamento “corollariale”, che coincide con il ragionamento strettamente analitico, è possibile procedere dalla tesi verso la dimostrazione sperimentando sugli schemi costruiti, in geometria. Ad esempio, si tracciano linee ausiliarie, il matematico deve tradurre in linguaggio diagrammatico la tesi da dimostrare e il diagramma diventa l‟elemento concreto e dinamico, il testo di sperimentazione. In questo tipo di sperimentazione, Peirce ritiene che ci sia un‟analogia con il procedere del chimico, il quale sperimenta su un campione, ad esempio di metallo, e ad esso aggiunge questo o quel reagente per verificare cosa accade e se viene fuori qualcosa di nuovo, di significativo. Nella struttura del ragionamento teorematico è necessario realizzare costruzioni ausiliarie, affinché si possa procedere verso la dimostrazione. È necessario che tutte le premesse vengano esplicitate, e questo metodo ci potrà guidare nell‟individuazione delle premesse 3 Peirce, Minute logic (1902), cit., p. 126. 4 CP 5.189. 7 mancanti. E allora in questo senso diventa indispensabile l‟introduzione di icone che sostanzialmente incarnano le abduzioni dalle quali il matematico prende le mosse, in modo tale che queste diventino osservabili e modificabili, consentendo così al matematico di guadagnare il percorso necessario per raggiungere la conclusione. Nell‟universo matematico, così come viene concepito da Peirce, non vi è alcun vincolo con l‟esistente, e quindi l‟atto creativo incide in modo determinante, poiché la matematica si configura come il regno del possibile e quindi qualsiasi catena di pensieri che proceda secondo il ragionamento necessario, sul piano matematico risulta giustificata. In questo senso il ragionamento matematico rivela lo stretto rapporto tra icona e abduzione, poiché la manipolazione del diagramma, grazie all‟abduzione, darà luogo a figure, che diventeranno segni di altre inferenze, e così via. Alla luce del rapporto tra il segno iconico e il ragionamento logico-matematico, la logica e la matematica di Peirce oggi suscitano particolare interesse, soprattutto in riferimento alla „formalizzazione iconica‟, che, non esclude la „formalizzazione simbolica‟, ma contiene qualcosa in più, qualcosa come una potenzialità, una riserva infinita di significazione, che resta sempre fissata alla base di ogni „formalizzazione simbolica‟. La formalizzazione iconica introduce nella logica un riferimento che sta fuori dalla logica e in questo senso ne istanzia, se così possiamo dire, la vocazione al reale, ne mette in gioco la potenziale apertura ontologica. La logica per Peirce è infatti una scienza positiva, essa fa i conti con il reale, essa deve fondare conoscenze nuove e stabili, e ciò è realizzabile con il supporto ineliminabile del pensiero diagrammatico-iconico. La grande innovazione della logica di Peirce, come afferma Hintikka, è quella di avere compreso che anche in logica si procede così come nel ragionamento teorematico mediante costruzioni ausiliarie, diagrammi, che sono manipolabili e quindi in grado di rappresentare non soltanto l‟esistente ma anche il possibile. La centralità del diagramma iconico è essenziale, poiché se i simboli sono essenzialmente abiti e idonei a legittimare i frutti di un processo, non sono sperimentabili e proprio per questo non sono capaci di produrre nuove conoscenze; al contrario le icone non hanno una funzione denotativa bensì quella di immaginare ciò che può essere logicamente possibile e quindi sono quelle che possono contribuire a produrre nuove conoscenze. In questo senso la logica di Peirce, proprio perché ritiene imprescindibile la costruzione del diagramma, che è fondamentalmente iconico, si colloca in una tradizione lontana da quella di Frege e Russell, in cui risulta assente l‟idea di fornire alla logica una base sensibile. Logici come Hintikka, Sun Joo Shin ed altri proprio in questi anni hanno sottolineato il grande valore attribuito da Peirce all‟inserimento delle icone nella grammatica logica, perché l‟icona fornisce un‟immmediatezza visiva che non è propria della formalizzazione simbolica e ciò che è più importante, diversamente dalla formalizzazione simbolica, essa non chiude il processo conoscitivo, ma lo apre, perché, una delle sue funzioni fondamentali è che, attraverso la sua stessa osservazione, si possono scoprire nuovi campi iconici di livello più complesso, che consentiranno inediti incrementi conoscitivi. Insomma così come nel ragionamento matematico è necessario manipolare il 8 diagramma per scoprire relazioni, equivalenze e analogie che possono assumere la funzione di tramite tra la tesi e la dimostrazione, allo stesso modo, i nomi, le proposizioni, gli argomenti, perché possano essere giustificati, devono esporsi ad una diagrammatizzazione, e ad una dimensione interpretativa dialogica che, obbedendo a certe regole, potranno apportare delle modifiche e pervenire alla dimostrazione degli assunti enunciati. Ma ciò che ancora deve essere messo in evidenza, per quanto già intrinseco alla specificità della formalizzazione iconica, sta nel fatto che le modifiche apportate al diagramma, per quanto scelte dal matematico o dal logico, sembrano scaturire da ciò che il testo diagrammatico lascia per sé intravedere. Infatti operata la scelta, il matematico arriverà effettivamente alla dimostrazione e il logico alla giustificazione delle sue assunzioni. La costruzione iconica da una parte esibisce tratti osservabili, e in questo senso lascerebbe emergere la sua base formale, dall‟altra l‟icona, proprio perché sperimentabile, rivelerà una relazione, una forma logicamente possibile che non era stata scoperta al momento della sua costruzione. Ciò che si vuole dire è che la costruzione non è interamente dovuta all‟esercizio di convenzioni, poiché l‟icona nel momento in cui diventa oggetto di sperimentazione sarà in grado di rivelare nuove conoscenze. In questo atto l‟icona manifesta la sua ricchezza che è, al tempo stesso, convenzionale e naturale. Essa trascende la costruzione stessa, nel senso che getta un ponte con il reale, ma non nel senso che crea una corrispondenza con l‟esistente, perché in quel caso saremmo di fronte ad un elemento indicale, ma perché traccia un‟analogia tra la forma diagrammatica e una forma di relazione nella quale può riconoscersi il reale, come accade quando uno scienziato scopre una determinata relazione che diventa capace di spiegare un fenomeno del reale. Il referente del diagramma iconico non è una cosa, bensì una relazione che sia analoga alla struttura della cosa stessa. La matrice semiotica dell‟icona viene inverata dalla centralità che essa assume nel ragionamento logico-matematico. Alla luce degli investimenti conoscitivi che è possibile effettuare sull‟icona, non è più possibile pensare all‟iconismo ingenuo secondo il quale un ritratto di un uomo sarebbe simile alla sua figura reale: il referente dell‟icona non è una datità bensì una relazione. Così la figura costruita dal matematico acquista valenza iconica non perché essa si riferisce, ad esempio, ad un triangolo in particolare, ma perché mostra relazioni nelle quali può riconoscersi qualsiasi triangolo. La specificità dell‟icona sta nel fatto che pur all‟interno di un tratto materiale determinato, esibisce una forma universale. Risulta chiaro il motivo per cui la formalizzazione iconica presenta dei vantaggi rispetto a quella simbolica ed emerge che l‟icona stessa consuma lo scambio tra natura convenzione, nella misura in cui non si lascia scoprire per intero in virtù delle convenzioni messe in atto al momento della sua costruzione, ma rivela in seguito la sua riserva infinita di significazione attraverso le modifiche apportate alla rappresentazione diagrammatiche. Altrettanto chiaro potrà risultare allora che la logica - intrecciandosi con la semiotica, poiché utilizzerà segni diversi e specificamente quei segni fondamentali di cui si avvale la semiotica- estenderà i confini del suo universo includendo anche il modo reale al quale si riferisce la semiotica in senso stretto. La logica a pieno titolo si qualifica scienza 9 positiva nella stessa misura in cui è non solo plausibile ma strettamente consequenziale fruire al suo interno delle risorse del linguaggio naturale, proprio perché il ragionamento più astratto necessita di segmenti osservabili, a partire dai quali sia possibile scoprire e produrre altre conoscenze. Allo stesso modo, non c‟è uno iato tra il mondo precategoriale e quello categoriale, infatti attingere al mondo è operazione possibile sempre e soltanto attraverso una certa formalizzazione segnica. In questo senso, il segno è un filtro attraverso il quale si articolano sia le inferenze logico-matematiche sia quelle relative alla conoscenza del mondo reale. In questi termini, il linguaggio naturale costituisce quel fondo dal quale è possibile estrapolare infinite interpretazioni e con il quale si può garantire l‟elaborazione di una semantica che non affranca mai il linguaggio dal riferimento mondo esterno, senza per questo cadere nella trappola del corrispondentismo.. Una logica del genere è concepibile perché se essa da una parte non è affrancata dal reale ed accoglie segni che le permettono di assorbire i rinvii al reale, come accade nel caso dei segni iconici, e nell‟accogliere il linguaggio naturale, dall‟altra la visione sinechistica provvede a fornire una prospettiva unitaria nella misura in cui mostra che le leggi del pensiero convengono con quelle del reale. Già a partire dal Il Rinnovamento della logica, Peirce afferma che la logica deve fornire le sue formalizzazioni alla Metafisica perché essa possa assestarsi su basi solide. E questo è possibile a sua volta perché il pensiero e il reale convengono. Se da una parte la logica peirceana è una logica che si rende disponibile ad accogliere l‟esperienza, la realtà si mostra compatibile con la logica, perché si declina secondo diverse modalità. Essa non ospita soltanto la modalità dell‟esistenza, ma anche quelle della possibilità e della necessità. Queste ultime non sono soltanto categorie logico-matematiche, ma hanno anche uno statuto ontologico, in virtù dell‟elaborazione del sinechismo e della fenomenologia. La realtà non è statica, bensì dinamica, poiché essa evolve dalle possibilità, che via via estrinseca, verso la legalità , la regolarità. Questi accenni al sinechismo ci confermano che da una parte la forma del pensiero è analoga a quella della realtà, e quindi ci confortano riguardo all‟idea che il pensiero-segno si mostra idoneo a formalizzare il reale, dall‟altra questa stessa adeguatezza può essere appresa dalla struttura logico-segnica, che come sappiamo è l‟unico tramite di conoscenza: in questo senso constatare o focalizzare l‟attenzione sull‟intreccio segnico-logico diventa fondamentale, a mio avviso, perchè non ne va soltanto del pensiero ma anche del reale. Ma ancora una volta: cos‟è che permette alla logica di non rimanere scollata rispetto al reale? È il momento iconico che non vive se non all‟interno del simbolo e tuttavia, come dicevo, lo eccede, in forza della natura peculiare dell‟icona: del suo potere di significare senza giungere ancora a denotare, di ospitare nella propria forma una infinita proliferazione di forme possibili, di lasciar vedere senza giungere ancora a indicare. Il simbolo si avvale di questa eccedenza, pur prendendone le distanze, allo stesso modo in cui il linguaggio della logica si avvale necessariamente dell‟apporto del linguaggio naturale con tutta la sua carica di polisemicità e di indeterminatezza. Questa eccedenza introduce dunque una tensione feconda e irrisolta all‟interno del segno, una tensione che insisterei a chiamare 10

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hence, unity of substance implies perfect correspondence of qualities”. 27 . Da qui si Peirce ricorda che: “(As technical term of logic, individuum first appears in Boeth, in a translation from Victorinus, no doubt of semiotica quanto viene espresso in termini generali dalla triade segno, ogg
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