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Teorie e storia dell'architettura PDF

359 Pages·1968·48.123 MB·Italian
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Manfredo »_"£ffuri Teorie e storia dell’architettura Editori Laterza Bari i968 Proprietà letteraria riservata Casa editrice Gius. Laterza: & Figli, Bari, via Dante 51 a Giusi SADE Per discernere il vero dal falso dobbiamo conoscere noi stessi Io non mi conosco Quando credo di aver scoperto qualcosa già ne dubito e la nego Qualunque cosa facciamo è solo una larva di quello che vorremmo fare... MARAT Occorre tirarsi fuori dal fosso per i propri capelli rovesciare se stessi da dentro in fuori ed essere capaci di vedere ogni cosa con occhi nuovi... (PeEtER Werss, La persecuzione e l’assassinio di Jean- Paul Marat, 1, 15, 12.) INTRODUZIONE Che la critica di architettura si trovi oggi in una situazione a dir poco « difficile » è un dato che crediamo non abbia bisogno di imolte dimostrazioni. ' Criticare significa infatti cogliere la fragranza storica dei fe- nomeni, sottoporli al vaglio di una rigorosa valutazione, rivelarne mistificazioni, valori, contraddizioni e intime dialettiche, farne esplodere l’intera carica di significati. Ma.quando' mistificazioni e geniali eversioni, storicità ed ‘antistoricità, intellettualismi esa- sperati e disarmanti mitologie si intrecciano in modo così in- dissolubile, nella produzione atrtistica, come :accade nel periodo che stiamo attualmenté ' vivendo; il critico si trovà costretto a {instaurare un rapporto estremamente problematico con Îa pras=1r operativa, specie tenendo conto della tradizione culturale in cui egli si muove. ' Quando si combatte una rivoluzione culturale, infatti, esiste una stretta corivivenza fra critica ed operazione. Tutte le armi del critico che abbracci la causa della rivolu- zione si appuntano contro il vecchio ordine, ne scavano fino in. fondo le contraddizioni e le ipogcrisie, costruendo un bagaglio ideologico nuovo che può anche sfociare in una creazione di miti: dato che per ogni rivoluzione i miti sono le idee-forza necessarie ed indispensabili per forzare la situazione. Ma quando la rivolu- zione — e non v’è dubbio che le ‘avanguardie artistiche del xx se-. colo abbiano coimbattuto per una rivoluzione — ha ‘ ormai rag- giunto i’ suoi scopi, il sostegno che la critica trovava pr1ma nella sua comprom1331one totale con la causa rivoluzionaria viene ‘a mancare. P Per non rinunciare al proprio specifico compito, là cr1t1ca do- vrà allora iniziare a rivolgersi alla storia del movimento innova- tore, scoprendo in esso, questa volta, carenze, contraddizioni, 9 compiti traditi, fallimenti, e, principalmente, dimostrarne la coni plessità e la frammentar1eta j I miti generosi della prima fase eroica, perso il loro carattere di idee-forza, divengono ora oggetto di contestazione. Nel nostro caso, alla presenza di un così violento esplodere di involuzioni, di fermenti;d i istanze nuove, che rendono mul- tiforme e caotico il panorama della cultura architettonica inter- nazionale alle soglie degli anni settanta, il problema più inguie- tante che si presenti ad una critica che non voglia affondare la testa nella sabbia, per vivere in un’evasiva pace i miti già con- sunti, è quello della storicizzazione delle contraddizioni attuali. Tl che significa un coraggioso e spietato vaglio delle basi stesse del movimento moderno: anzi, una spietata indagine sulla legit- timità di parlare ancora di movimento moderno come monolitico corpus di idee, di poetiche, di tradizioni linguistiche. La prima operazione da fare, quindi, è quella di non volgere sdegnosamente il capo al panorama dei faticosi, incerti, e se si vuole anche ri- nunciatari tentativi che gli architetti vanno accumulando. Parlare di evasioni, rinunce, ritirate e dilapidazioni di un patrimonio ben altrimenti utilizzabile, può essere doveroso. Ma non basta, Il cri- tico che si fermasse a queste constatazioni talmente evidenti da risultare inutili o quasi, avrebbe già tradito il suo compito, che è quello, prima di ogni altra: cosa, di spiegare, di diagnosticare con esattezza, di fuggire il moralismo per scrutare nel contesto dei fatti negativi quali etrori iniziali si vadano ora scontando,. e quali valori nuovi si annidino nella difficile e sconnessa congiun- tura che viviamo giorno per giorno. Il pericolo maggiore diviene, in tal caso, quello di rimanere impigliati nell’ambiguità da cui si tenta di estrarre una struttura logica, un senso da anteporre ad ‘ogni operazione futura che si proponga lo scopo di raggiungere suna diversa e non nostalgica costruttività. Mai come oggi, forse, è stata ‘necessaria al critico tanta di- sponibilità ad accogliere, senza il velo di falsanti pregiudizi, le proposte che si avanzano nella più assoluta incorenza. È mai come oggi, ancora, sono stati necessari un atteggiamento rigoristico, un profondo senso e una profonda conoscenza della storia, un’at- ‘tenzione così vigile per dirimere, nel vasto contesto di movimenti, ricerche, o singoli progetti, le influenze dettate dalla moda, e petrsino dallo snobismo culturale, dalle intuizioni innovatrici. Se l’architetto può sempre trovare una propria coerenza im- 10 incurgendosi nelle contraddizioni proprie al suo « mestiere » di progettista, il critico che si compiacesse di una simile situazione di incertezza non sarebbe che uno scettico, o un imperdonabile guperficiale. Nella ricerca delle possibilità insite nelle poetiche e nei. codici dell’architettura contemporanea fatta da chi opera in concreto, è possibile recuperare una positività ed una costrutti- Vità culturali, anche se limitate, spesso, a problemi marginali. Ma per il critico che sia cosciente della situazione labile e peri- colosa in cui versa l’architettura moderna, non sono concessi il- lusioni o artificiali entusiasmi: così come non gli sono concessi — e questo è forse ancora più importante— atteggiamenti apo- calittici o disfattisti. I] critico è colui che è costretto, per scelta personale, a man- tenere l’equilibrio su di un filo, mentre venti che mutano di con- tinuo direzione fanno di tutto per provocarne la caduta. L’im- imagine non è affatto retorica: da quando il movimento moderno ha scoperto la propria multiformità reagendo con sgomento a tale scoperta, l’alleanza iniziale tra critica impegnata e architet- tura nuova, anzi l’identificazione della critica con un’operazione che insiste sulla medesima area di premesse e di problemi, si è necessariamente incrinata. Il confluire delle figure dell’architetto e del critico nella medesima persona fisica — fenomeno che è quasi una norma per l’architettura, a differenza di altre tecniche di comunicazione visiva — ha coperto tale frattura, ma non com- pletamente: è più che frequente, ad esempio, uno sdoppiamento della personalità fra l’architetto che scrive e che teorizza, e lo stesso architetto che opera. — È per questo che il critico puro comincia ad essere. guardato come figura petricolosa: da qui il tentativo di etichettarlo con il marchio di un movimento,.di una tendenza, di una poetica. Poi- ché la critica che vuol mantenere una distanza dalla prassi opera- tiva non può che sottoporre quest’ultima ad una costante demi- stificazione per superare le sue contraddizioni o, almeno, per farle presenti con esattezza, ecco gli architetti tentare una cattura di quella critica, tentare, in fondo, una sua esotcizzazione. Il tentativo di sottrarsi a tale cattura potrà sembrare dettato dalla paura solo agli stupidi o ai disonesti. Per la critica tornare ad assumere su di sé il compito che le è proprio — quello della diagnosi storica oggettiva e spregiudicata e non quello del sug- geritore o del « correttore di bozze » — richiede al contrario una 11 buona dose di coraggio, dato che, nello storicizzare la dramma- tica pregnanza del momento odierno, essa rischia di avventurarsi in un terreno minato. Perché è inutile nasconderselo, la minaccia che pende sul capo di chi voglia « capire » dèmolendo radicalmente ogni mito con- temporaneo è la stessa che il Vasari oscuramente sentiva agli inizi della seconda metà del Cinquecento: ogni giorno di più si è invitati a rispondere alla tragica domanda sulla liceità storica della continuità con la tradizione del movimento moderno. 1l solo fatto di porsi come problema se l’architettura contem- poranea si trovi o meno ad una svolta radicale, ha valore di sin- tomo. Esso significa che ci sentiamo, insieme, dentro e fuori di una tradizione storica, immersi in essa e al di /1à di essa, ambi- guamente coinvolti in una rivoluzione figurativa che, tutta fon- data sulla permanente contestazione di ogni Verità acquisita, ve- diamo con 1nqu1etudme r1volgere le proprie armi anche contro se stessa. «Né l’arte, né la ctitica rivoluzionaria — ha'’scritto Rosen- berg contestando il falso radicalismo di Sir Herbert Read — pos- sono uscire da questa contraddizione in base a cui l’arte è tale quando si pone contro l’arte, ma: poi tende ad affermarsi come la sola autentica e sincera. La stessa contraddizione costringe la critica a considerare l’esplosività come un:principio estetico da proteggere dalla minaccia di annichilimento che verrebbe da una “ consapevole negazione ” dei princìpi. In lotta con se stessa, l’arte e la ctitica rivoluzionarie non possono evitare il ridicolo della situazione. Nella nostra epoca rivoluzionatia .la vita dell’arte dipende ancora dalle contraddizioni della rivoluzione, e così l’arte e la critica debbono continuare ad accettarne l’assurdità » ’. Ma, forse, accettare solamente il ridicolo della situazione non è. suf- ficiente. . Gli stessi compiti della critica, infatti, sono mutati. Se il pro- 1 HAroLp RosENB8ERG, The Tradition of the New, Horizon Press 1959; trad. it.: La tradizione del nuovo, Feltrinelli, Milano 1964, p. 65. Nel me- desimo saggio (La rivoluzione e il concetto dz bellezza, pp. 57 sgg.), Rosen- berg denuncia l’ambiguità ‘delle tangenze fra rivoluzioni politiche e rivo- luzioni atrtistiche riferendosi alle confusioni— oggi peraltro notevolmente attenuate — create dalla cultura degli anni quaranta-cinguanta in America. Ma la sua diagnosi ci sembra cContenere una verità ancora attuale quando egli afferma che da quegli equivoci « risulta una cattiva coscienza, una situazione di inganno e di autoinganno. Non è esagerato anzi: affermare che la cattiva coscienza a proposito della rivoluzione è la malattia tipica del- larte odierna » (p. 60). 12

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