Il libro T EORIA ESTETICA, CHE QUI SI PRESENTA IN UNA NUOVA TRADUZIONE attenta a restituirne le peculiarità stilistico-espressive, è l’ultima opera a cui ha lavorato Adorno. Rimasto allo stato di grande frammento per l’improvvisa morte dell’autore (1969), questo testo rappresenta l’estremo punto di approdo della riflessione adorniana, che si volge alla realtà dell’arte rimeditando esperienze che hanno segnato il Novecento (da Valéry a Beckett, da Schönberg a Celan, da Klee a Brecht), per tentare però di cogliere le dinamiche costitutive dell’opera d’arte in generale e documenta un pensiero all’atto del suo stesso istituirsi nel confronto con ciò che maggiormente sfugge alla discorsività razionale, appunto la dimensione concreta dell’arte. L’estetico viene inteso da Adorno come il luogo di massima negatività per la ragione, ma non nel senso di qualcosa da esiliare nell’irrazionale, bensí nel senso di ciò che, in quanto costitutivamente altro, muove dall’interno e sollecita il pensiero dialettico nell’epoca della piena affermatività. La presa di distanza da facili schemi ideologici che riducono la creazione artistica a veicolo di messaggi, la demistificazione dell’edonismo che impera nella concezione dell’esperienza estetica propria del senso comune borghese, la sottile analisi delle implicazioni sottese ai rapporti dialettici tra arte, natura e mito, e non da ultimo la lucida enucleazione delle difficoltà in cui è invischiata la stessa tradizione della filosofia moderna dell’arte, fanno di Teoria estetica di Adorno uno dei massimi testi del Novecento filosofico ed estetico, in grado di dialogare con l’orizzonte culturale dell’odierna contemporaneità. L’autore Theodor W. Adorno (1903-69) è stato uno dei maestri della Scuola di Francoforte. Tra le sue opere pubblicate presso Einaudi ricordiamo: Minima moralia (1954, 2003), Filosofia della musica moderna (1959, 2002), Dialettica dell’illuminismo (in collaborazione con M. Horkheimer, ultima edizione 2010), Introduzione alla sociologia della musica (1971), Terminologia filosofica (1975), Beethoven (2001), Immagini dialettiche (2003), Dialettica negativa (2004). Nel 2005 Einaudi ha inoltre pubblicato Mahler, nel 2006 Metafisica, nel 2008 Wagner, nel 2010 Stelle su misura e nel 2012 Note per la letteratura. Dello stesso autore Dialettica dell’illuminismo Beethoven Introduzione alla sociologia della musica Filosofia della musica moderna Immagini dialettiche Dialettica negativa La scuola di Francoforte (con Max Horkheimer, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Leo Löwenthal, Friedrich Pollock) Minima moralia Mahler Metafisica Terminologia filosofica Wagner Dialettica dell’illuminismo (con Max Horkheimer) Stelle su misura Note per la letteratura Theodor W. Adorno Teoria estetica Nuova edizione italiana a cura di Fabrizio Desideri e Giovanni Matteucci Einaudi Titolo originale Ästetische Theorie © 1970, 1973 Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main © 2009 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzione di Giovanni Matteucci In copertina: Roy Lichtenstein, Stretcher Frame, olio su tela, 1968. Collezione privata. © SIAE 2013. Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo cosí come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. www.einaudi.it Ebook ISBN 9788858410004 Introduzione1 Inattualità di «Teoria estetica». L’«opus postumum» di Th. W. Adorno. Teoria estetica, apparsa postuma nel 1970 presso l’editore Suhrkamp a circa un anno dalla morte del suo autore, è senz’altro l’opera piú concettualmente aspra del filosofo francofortese. Non solo per il motivo, di per sé banale, che quanto veniva pubblicato a cura della moglie Gretel e dell’allievo Rolf Tiedemann era una versione ancora provvisoria, ancora in corso di revisione, di un’opera alla quale il fondatore, con Max Horkheimer, della Scuola di Francoforte attendeva, con interruzioni e riprese, da quasi un decennio, per dedicarvisi con concentrata intensità negli ultimi anni. L’asprezza concettuale dell’opus postumum adorniano non è imputabile semplicemente all’infarto che lo sigilla come opera incompiuta, non finita. L’asprezza, che ha reso piú difficile la ricezione di questo libro rispetto ad altri celebri lavori adorniani come Minima moralia o Filosofia della musica moderna e finanche alla stessa Dialettica negativa, deriva piuttosto dal compito che il suo autore si era visto assegnare dal proprio oggetto: pensare l’opera d’arte dall’interno, spingendola al concetto pur sapendo che essa, già nella sua esistenza e nell’apparenza di cui vive la sua paradossale vita, è qualcosa di altro dal concetto. Pensare l’opera d’arte, senza cedere alle facili sirene dell’empatia e del vissuto, pur tenendo fermo il fatto che c’è un momento di essa che si rifiuta alla riflessività e alla mediazione. Pensare l’arte non in un’astratta essenza o in un apriori, bensí nella complessa fenomenicità delle sue manifestazioni storiche; sapendo però che le opere d’arte non sono integralmente storiche: sono anche un pezzo di natura che persiste e resiste al furore della mediazione fine a se stessa, tutto riducendo a valore di scambio in quello che Adorno chiama il «mondo amministrato». Pensare l’opera d’arte, dunque, nella sua appartenenza al mondo delle merci, ma fino in fondo, ossia come una «merce assoluta» che nega se stessa, non facile asilo di una interiorità e di una soggettività in via di sparizione, bensí «cosa» che si rifiuta alla reificazione. Pensare il negativo che si mostra come il vero e proprio interno dell’opera d’arte contemporanea, secondo quanto lucidamente esibito nei suoi momenti piú alti, meno consolatori – da Kafka a Beckett, da Schönberg a Boulez –, senza consegnarlo a un’ontologia edificante, ma cogliendovi piuttosto l’attestazione oggettiva che il circolo dell’effettualità non è perfetto e chiuso in se stesso. Proprio in relazione a quest’ultimo motivo risulta evidente e profonda la connessione tra Dialettica negativa e Teoria estetica, senza però che la seconda si potesse risolvere in una pura e semplice applicazione della prima. Cosí come accade per l’ultima Critica kantiana – la Critica della facoltà di giudizio, che obbliga a ripensare radicalmente il progetto di una filosofia trascendentale delineato nelle prime due –, qualcosa di analogo accade per la Teoria estetica in rapporto alla precedente Dialettica negativa, fino a mettere in questione il modus stesso della scrittura filosofica e la forma della sua organizzazione. In Teoria estetica Adorno tenta infatti con somma consapevolezza un analogon in filosofia di quella che, nella veste di massimo filosofo della musica moderna, aveva chiamato «nuova musica». Il risultato è un’opera che rende difficile la forma classica dell’introduzione e impossibile quella di una conclusione. Penetrando all’interno dell’arte la logica inesorabile e conseguente di una dialettica che non conosce sintesi e conciliazione, ma solo negazioni determinate, preclude l’idea stessa di uno sviluppo e prefigura la serialità. Fino a produrre una costruzione testuale che non ha un ingresso principale, ma solo impervi accessi in ogni sua sezione. Cosí come l’unità dell’opera d’arte si rivelava, all’analisi di un pensiero conseguente, un equilibrio instabile che tiene insieme materiali e dimensioni eterogenee, e l’idea di uno sviluppo coerente si mostrava poco piú che una fittizia illusione del fruitore ingenuo, di pari passo la sua analitica interrogazione, in cerca di costellazioni di senso tra momenti reciprocamente irriducibili, non sopportava piú la logica del prima e del poi e ancor meno l’unitarietà di un tema da sviluppare. In questo quadro Teoria estetica si presentava al suo autore come una rischiosa messa alla prova della stessa dialettica negativa: la chance di poterla esibire in re. Di qui tutte le difficoltà a dare un assetto definitivo al complesso dei materiali analitici di cui l’opera era venuta a consistere. Secondo quanto scrive lo stesso Adorno all’amico Marcuse nel gennaio 1969, parlandogli della difficoltà di venire a capo del suo libro di estetica in particolare per quanto riguardava la disposizione dei materiali, ormai «come conseguenza della critica della philosophia prima» egli poteva scrivere solo in modo «paratattico»2. Una necessità non solo interna, intrafilosofica, quella della paratassi. Una necessità a cui costringe la cosa stessa, trattandosi di cogliere l’in sé dell’opera d’arte come oggetto che contiene al suo interno la società e la complessione storica, nel momento in cui esplodono e implodono le categorie estetiche tradizionali, soprattutto se considerate nella forma di coppie oppositive destinate a conoscere la loro conciliazione nell’opera d’arte; categorie, appunto, quali forma e contenuto, unità dell’opera e pluralità dei materiali, tecnica costruttiva ed espressione, apparenza estetica e contenuto di verità. «Teoria estetica» e il territorio della filosofia. In quanto opera non finita Teoria estetica condivide la sorte di altre opere postume del Novecento filosofico: quella di esercitare un’enorme influenza nonostante la loro incompiutezza, se non altro in forza del carattere dirompente del progetto alla loro origine e della feconda tensione concettuale innescata dal rapporto tra quanto di tale progetto si lasciava intravedere e la sua parziale realizzazione; un’influenza capace, in taluni casi, di mettere in questione la forma e il senso stesso del lavoro filosofico. Proprio a tale riguardo Teoria estetica può essere senz’altro inserita in un ristretto numero di opere postume della filosofia novecentesca, del quale fanno parte i Passages parigini di Walter Benjamin e le Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein, due opere cosí apparentemente distanti eppure cosí prossime, sia in un comune antiessenzialismo e antinormativismo metodologico sia nella svolta che entrambe imprimevano, da versanti senza dubbio diversi, al modo di considerare l’intreccio tra linguaggio, forme di vita e forme storiche (avvicinate certamente, a tale riguardo, dal comune riferimento alla morfologia goetheana). Rispetto a queste due grandi opere postume, decisive e in diversa misura incompiute, Teoria estetica è senz’altro piú affine a quella dell’amico Benjamin. Di Wittgenstein pare conoscere o almeno considerare solo il Tractatus, rispetto al quale persiste in un radicale fraintendimento già delineato nella prolusione programmatica del 1931 su L’attualità della filosofia, dove il Tractatus è posto in continuità con il neopositivismo del Circolo di Vienna. Come testimonia lo scambio epistolare con Benjamin intorno al progetto del Passagenwerk, Adorno vedeva nel lavoro dell’amico l’unico pezzo di «filosofia prima» ancora concesso, mirando esso non a dimostrare qualcosa, ma semplicemente a lasciar parlare i fenomeni della vita storica propria della
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