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«Teologia politica» cent'anni dopo PDF

232 Pages·2022·0.741 MB·Italian
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Ius Ricerche 5 Teologia politica cent’anni dopo A cura di Mariano Croce e Andrea Salvatore Quodlibet Progetto grafico della copertina: CH RO MO © 2022 Quodlibet srl Macerata, via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, 23 www.quodlibet.it isbn 978-88-229-0885-8 e-isbn 978-88-229-1354-8 Indice 7 Premessa di Mariano Croce e Andrea Salvatore 13 Sigle e abbreviazioni i. Senza fondamento 19 Teologia politica: estremismo e pensiero dell’origine Carlo Galli 37 Trascendere l’immanenza. Schmitt tra decisione e “contenuto minimo” Geminello Preterossi 59 Topiche della teologia politica schmittiana dal loro fuori radicalmente post-fondazionale Laura Bazzicalupo 79 Il segreto katechontico del politico. Sulla dialettica della secolarizzazione Giada Scotto ii. Trascendere il secolo 101 L’emergenza cristologica del moderno dalla prima alla seconda Teologia politica Maria Stella Barberi 6 indice 117 «Chi dice “Dio” vuole ingannare». Sul quarto capitolo di Teologia politica Sandro Chignola 135 La trascendenza della decisione. Riflessioni sulla Teolo- gia politica di Carl Schmitt Giuliana Stella iii. Fare ordine 161 Anamnesi giuridica di Teologia politica Aldo Sandulli 171 Auctoritas, non veritas. Riflessioni attorno a un fram- mento di Teologia politica Stefano Pietropaoli 189 I due decisionismi (quasi uno) di un tredicennio in- quieto (1922-1934) Andrea Salvatore 207 Teologia impolitica: perché Schmitt disse addio a Hobbes Mariano Croce Premessa Le premesse ai testi celebrativi aprono di solito con un clas- sico che spiega perché un classico diventa o resta classico e si convocano quindi altre divinità del pantheon letterario a mo’ di ente collettivo che certifichi il valore sempiterno di quanto ver- gato da mano umana. Le pagine che aprono questo libro si dan- no un tono e un registro per certi versi opposti, inclini all’evo- cazione del dubbio prima e più che al contrabbando di certezze. L’anima del volume, infatti, è un interrogativo non solo privo di una chiave risolutiva univoca, ma che trova nelle pagine a seguire risposte tra loro contraddittorie: perché cent’anni dopo leggere e rileggere Teologia politica? Perché ancora oggi il testo probabilmente più noto e discusso di Carl Schmitt è caricato di aspettative, fantasie e doti profetiche che forse nessun classico del Novecento reclama per sé in pari misura, almeno per varietà di questioni e ambiti disciplinari coinvolti? D’altronde, tanto contraddittorio è il testo eminente di cui qui si discute, tanto contraddittorie le risposte circa i suoi destini e il suo lascito, che l’unico dato certo, o almeno generalmente condiviso, parrebbe essere la sua rilevanza – esaltata o esecranda che sia stata e sia. Per ragioni che chi legge ben comprenderà, stante la pluralità e la ricchezza dei diversi contributi, si omette in questa sede ogni tentativo di introdurre, sintetizzare, contestualizzare: cia- scuna di queste attività richiederebbe una presa di posizione su due aspetti decisivi. Innanzitutto, la collocazione di Teologia politica nel quadro di una produzione scientifica, quella schmit- tiana, che si estende per un settantennio e attraversa varie fasi; in 8 premessa secondo luogo, una valutazione (quantomeno tacita, il che sve- lerebbe un intento surrettizio, se non meschino, da parte di chi scrive) delle pretese teoriche e metodologiche del celebre saggio del 1922. I curatori di questo libro hanno una posizione piutto- sto eccentrica a riguardo di entrambi gli aspetti richiamati ed è bene quindi che si astengano dal presentare un’opera tanto con- troversa nelle poche righe che intendono semplicemente fare da abbrivio allo sforzo congiunto di autrici e autori di riconosciuto prestigio. Non si farà altro, quindi, che rendere conto delle ra- gioni che giustificano la presente impresa editoriale e scientifica, iniziando dallo specificare che le tre sezioni in cui è articolato il libro – Senza fondamento, Trascendere il secolo, Fare ordine – rispondono a suddivisioni tematiche inevitabilmente appros- simative, e che tuttavia tentano di individuare possibili chiavi di accesso e lettura di un testo – ché questo è, anche, Teologia po- litica – difficilmente riducibile a un’unica e univoca prospettiva (disciplinare, teorica, ideologica). Nel 1922 Schmitt si inscrive nella cerchia dei teorici, al tempo non così ampia, che rinunciano a ogni speranza di fondare e giu- stificare l’autorità politica. I quattro capitoli che danno corpo a Teologia politica sono quattro piani sequenza – con profondità di campo notevolmente difformi – in cui si inscena il disarmo, in fondo pacifico, della coeva teoria politica e del diritto: in una Weimar ai primi passi, il caos è tale e tanto che le fondamen- ta dall’imberbe e fragile Repubblica non solo sembrano attra- versate da crepe evidenti, ma risultano persino vistose illusioni collettive. L’idea che la Costituzione – qualsiasi Costituzione – possa contenere a un tempo il fondamento di sé medesima e gli strumenti per la propria preservazione, agli occhi di Schmitt, è frutto della presunzione di chi ha voluto rimuovere dal diritto pubblico, con un atto di irresponsabile irenismo, ogni rimando a un’autorità personale e decidente. L’inflazionato ricorso all’ar- ticolo 48 della Costituzione di Weimar, che regolava lo stato di eccezione, sembrava autorizzare il potere di eccedere il vertice dell’ordinamento giuridico e, ad avviso di Schmitt, giustificava la convinzione per cui l’ordine è sempre fondato su un qualcuno che, quando c’è bisogno, sa prendere le decisioni che contano e soprattutto farle valere. Il corpo a corpo con le teorie liberali e premessa 9 positiviste dell’ordine costituzionale è, a ben vedere, così privo di colpi che Schmitt giunge alle soglie di una posizione radicale, ai limiti del provocatorio – o meglio, ben oltre quei limiti. Ogni singola pagina di Teologia politica fa da grancassa allo stesso an- nuncio, la cui eco continuerà a risuonare in altre pagine e testi schmittiani: l’architettonica statale che si è tentato di giustificare in decenni di giuspubblicistica, in realtà, si fonda sul potere di un sovrano che si fa tale proprio in quanto si rivela capace di sospenderla e di introdurvi, se del caso, un nuovo ordine. L’acme dell’autorità politica, in questo quadro, si sostanzia in una capacità divinatoria e performativa, quella che Pierre Bourdieu, con ben altri intenti, definisce «sovversione eretica», uno scarto anzitutto percettivo che trasforma la rappresenta- zione del mondo sociale esistente opponendovi «una previsione paradossale, utopia, progetto, programma»1. L’ordine a venire, quello imposto dal sovrano che sospende l’ordine costituzio- nale vigente, deve essere in grado di sostituire la Costituzione nella misura in cui non solo contribuisce «a rompere l’adesione all’universo del senso comune, professando pubblicamente la rottura con l’ordine comune», bensì produce al contempo «un nuovo senso comune»2. La rottura dell’ordine in vigore costi- tuisce un vero e proprio «enunciato performativo», ossia una «pre-dizione che mira a far avverare ciò che enuncia»3. In tal senso, si ha qui ben più che il noto bootstrap: l’autorità politica è quella che individua le condizioni per farsi tale, che fa valere la propria forza sospensiva, che introduce un nuovo ordine e impone una nuova normalità, foriera di un nuovo senso comu- ne. Affare di non poco conto, specie se affidato, come Schmitt insiste, a una persona sola. Questo il lascito che tanto accende le polemiche odierne tra specialisti (e non), vale a dire l’idea che l’autorità politica utilizzi condizioni di crisi improvvisa per rimettere in moto il colossale meccanismo di autofondazione. Si ventila così il sospetto, e da 1 P. Bourdieu, Il potere e la parola. L’economia degli scambi linguistici, Guida, Na- poli 1988, p. 122. 2 Ivi, p. 123. 3 Ivi, p. 122. 10 premessa più parti, che dietro alle recenti risposte a stragi terroristiche, disastri naturali, crisi del debito pubblico ed emergenze sanita- rie – risposte che chiedono scelte decise e deroghe più o meno ampie all’ordine costituzionale – si nasconda l’istintiva tenden- za del potere politico in carica di avviare le procedure per un silente cambio di regime: gli Stati liberali, sempre meno liberali, flettono regole e fanno strame di principi in nome e per conto della gestione (presunta) efficace delle emergenze. Si convoglia- no vecchi poteri all’esecutivo e gliene si danno di nuovi, per- ché il Governo – sostiene chi sottoscrive gli assunti e fa proprio il precipitato operativo di Teologia politica – è l’unico organo davvero capace di agire per tempo e con le risorse adeguate. In questa spirale della perversione politica, le emergenze, da og- getto dell’azione governativa, diventano il pretesto per assor- bire competenze di altri poteri e abituare la popolazione degli Stati liberali a condizioni sempre meno favorevoli alla libertà di pensiero e ad altri ammennicoli delle democrazie liberali dei bei tempi andati. Eredità pesantissima, quindi, quella di Teologia politica: da una parte, Schmitt dà corso a una teoria del potere che si auto- fonda e destituisce qualsiasi tentativo di giustificazione e fonda- zione razionale; dall’altra, si fa difensore della bizzarra idea del potere politico come sempre capace di un regime change sotto- traccia – idea cui oggi teoriche e teorici di diversi orientamenti conferiscono persino capacità diagnostica e ritengono di poter usare (con scarsa prudenza, sia concesso) in chiave critica e di de- nuncia. Questo libro, direttamente o indirettamente, vuol met- tere alla prova una tale lettura. In alcune pagine verrà conferma, in altre smentita (in genere il sapere funziona così). Alcuni dei saggi che seguono restituiranno il senso e la portata di un’opera- zione tanto ardita da parte di un pensatore che negli anni Dieci del Novecento era stato un giurista conservatore, cantore fedele delle virtù dello Stato e della tradizione, e renderanno chiaro perché Teologia politica debba essere inteso come la pietra an- golare dell’intero edifico teorico di Schmitt. Altri saggi avranno invece l’audacia di mettere in questione tale consolidatissima lettura: proveranno quindi, sfidando l’interdetto, a ridimensio- nare la rilevanza di Teologia politica, sia quale tentativo (fallito e

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