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Sulle Ali Delle Aquile PDF

391 Pages·1982·1.56 MB·Italian
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KEN FOLLETT SULLE ALI DELLE AQUILE (On Wings Of Eagles, 1982) PREMESSA Questa è la storia di un gruppo di persone che, accusate di crimini non commessi, decisero di farsi giustizia da sé. Dopo la conclusione dell'avventura vi fu un processo ed essi furono pro- sciolti da ogni accusa. Il processo non è narrato nel romanzo ma, poiché accertò la loro innocenza, ho incluso in un'appendice alcuni dettagli della motivazione della sentenza. Molti personaggi sono chiamati con pseudonimi o soprannomi, di solito per proteggerli dalle rappresaglie del governo iraniano. I nomi falsi sono: Mahjid, Fara, Abolhasan, il signor Fish, Gola Profonda, Rashid, il Motoci- clista, Mehdi, Malek, Gholam, Seyyed e Charlie Brown. Tutti gli altri no- mi sono veri. Inoltre, nel ricordare conversazioni che si svolsero tre o quattro anni prima, è raro che una persona rammenti le parole esatte; e le conversa- zioni, nella vita reale, con i gesti e le interruzioni e le frasi incompiute, spesso non hanno molto senso quando vengono riportate per iscritto. Per- ciò i dialoghi del libro sono ricostruiti, riveduti e corretti. Ma ogni conver- sazione ricostruita è stata sottoposta ad almeno uno dei protagonisti degli avvenimenti perché l'approvasse e la correggesse. A parte questi due dettagli, ritengo che sia vera ogni parola di ciò che segue. Non è una "cronaca romanzata" o un "romanzo ispirato alla realtà". Non ho inventato nulla. Ciò che state per leggere è accaduto veramente. Ringraziamenti Molte persone mi hanno aiutato parlando per ore e ore, rispondendo alle mie lettere e leggendo e correggendo le varie stesure del libro. Per la loro pazienza, e per la loro franca e cortese collaborazione, desidero ringraziare in particolare: Paul e Ruthie Chiapparone, Bill ed Emily Gaylord; Jay e Liz Coburn, Joe Poché, Pat e Mary Sculley, Ralph e Mary Boulwa- re, Jim Schwebach, Ron Davis, Glenn Jackson; Bill Gayden, Keane Taylor, Rich e Cathy Gallagher, Paul Bucha, Bob Young, John Howell, "Rashid", Lloyd Briggs, Toni Dvoranchik, Kathy Marketos; T.J. Marquez, Tom Walter, Tom Luce; Merv Stauffer, l'infaticabile; Margot Perot, Bette Perot; John Carlen, Anita Melton; Henry Kissinger, Zbigniew Brzezinski, Ramsey Clark, Bob Strauss, William Sullivan, Charles Naas, Lou Goelz, Henry Precht, John Stempel; il dottor Manuchehr Razmara; Stanley Simons, Bruce Simons, Harry Simons; il tenente colonnello Charles Krohn del Pentagono; il maggiore Dick Meadows, il maggior generale Robert McKinnon; il dottor Walter Stewart, il dottor Harold Kimmerling. Come al solito, sono stato aiutato da due instancabili ricercatori, Dan Starer a New York, e Caren Meyer a Londra. Un aiuto prezioso l'ho avuto dallo straordinario personale del centralino della sede dell'EDS di Dallas. Più di cento ore di interviste registrate sono state trascritte da Sally Wal- ther, Claire Woodward, Linda Huff, Cheryl Hibbitts e Becky DeLuna. Ringrazio infine Ross Perot: senza la sua straordinaria energia e la sua decisione non soltanto questo libro, ma anche l'avventura che ne costitui- sce l'argomento, sarebbe stata impossibile. I PERSONAGGI Ross Perot, presidente del consiglio d'amministrazione dell'Elec- tronic Data Systems Corporation, Dallas, Texas. Merv Stauffer, braccio destro di Perot. T.J. Marquez, vicepresidente dell'EDS. Tom Walter, dirigente finanziario dell'EDS. Mitch Hart, ex. presidente dell'EDS in buoni rapporti con il Parti- to Democratico. Tom Luce, fondatore dello studio legale Hughes & Hill di Dallas. Bill Gayden, presidente dell'EDS World, sussidiaria dell'EDS. Mort Meyerson, vicepresidente dell'EDS. Teheran Paul Chiapparone, direttore nazionale dell'EDS Corporation Iran; Ruthie Chiapparone, sua moglie. Bill Gaylord, vice di Paul; Emily Gaylord, moglie di Bill. Lloyd Briggs, il n. 3 di Paul. Rich Gallagher, assistente amministrativo di Paul; Cathy Galla- gher, moglie di Rich; Buffy, il barboncino di Cathy. Paul Bucha, ex direttore nazionale dell'EDS Corporation Iran, poi trasferito a Parigi. Bob Young, direttore nazionale dell'EDS in Kuwait. John Howell, avvocato dello studio Hughes & Hill. Keane Taylor, direttore del progetto della Banca Omran. (LA SQUADRA DI SALVATAGGIO) Colonnello Arthur D. "Bull" Simons Jay Coburn Ron Davis Ralph Boulware Joe Poché Glenn Jackson Pat Sculley Jim Schwebach (GLI IRANIANI) Abolhasan, vice di Lloyd Briggs, il dipendente iraniano di grado più elevato. Majid, assistente di Jay Coburn; Fara, figlia di Majid. Rashid, Seyyed e "il Motociclista": ingegneri dei sistemi. Gholam, funzionario addetto al personale e agli acquisti. Hosain Dadgar, magistrato inquirente. (ALL'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI) William Sullivan, ambasciatore. Charles Naas, vice di Sullivan. Lou Goelz, console generale. Bob Sorenson, funzionario dell'ambasciata. Ali Jordan, dipendente iraniano dell'ambasciata. Barry Rosen, addetto stampa Istanbul "Il signor Fish", agente di viaggi. Ilsman, agente del MIT, il servizio segreto turco. "Charlie Brown", interprete. Washington Zbigniew Brzezinski, Consigliere per la Sicurezza Nazionale Cyrus Vance, Segretario di Stato David Newsom, Sottosegretario al Dipartimento di Stato Henry Precht, Capo dell'ufficio Iran al Dipartimento di Stato Mark Ginsberg, collegamento Casa Bianca-Dipartimento di Stato Ammiraglio Tom Moorer, Primo presidente dei Capi di Stato Maggiore. "Io vi ho portati sulle ali delle aquile e vi ho condotti a me." Esodo, 19, 4 I Tutto incominciò il 3 dicembre 1978. Jay Coburn, direttore del personale dell'EDS Corporation, Iran, era nel suo ufficio nel centro di Teheran e pensava a molte cose. L'ufficio si trovava in una costruzione di cemento a tre piani nota come Bucarest, perché sorgeva in una strada nei pressi di via Bucarest. Era al primo piano, in una stanza piuttosto grande secondo i criteri americani. C'erano un pavimento a parquet, una bella scrivania dirigenziale e un ri- tratto dello scià appeso alla parete. Jay Coburn voltava le spalle alla fine- stra. Al di là della porta a vetri si scorgeva il grande stanzone dove i di- pendenti erano seduti alle macchine da scrivere e ai telefoni. La porta a ve- tri aveva le tende, ma Coburn non le chiudeva mai. Faceva freddo. Faceva sempre freddo: migliaia d'iraniani erano in scio- pero, l'energia elettrica andava e veniva e il riscaldamento restava spento per parecchie ore al giorno. Coburn era alto e robusto: un metro e ottanta e novanta chili. I capelli rossicci erano corti e pettinati scrupolosamente, con la scriminatura. Seb- bene avesse soltanto trentadue anni, sembrava più vicino alla quarantina. Se lo si osservava meglio, ci si accorgeva che la sua gioventù traspariva dal viso aperto e simpatico e dal sorriso facile; ma aveva un'aria matura, l'aria dell'uomo cresciuto troppo in fretta. Si era addossato responsabilità per tutta la vita: da ragazzo, lavorando nel negozio da fiorista del padre; a vent'anni, come pilota d'elicotteri nel Vietnam; e poi come marito e padre; e adesso come direttore del personale era responsabile della sicurezza dei 131 dipendenti americani e dei loro 220 familiari in una città dove la violenza della folla imperversava nelle strade. Quel giorno, come sempre, Coburn faceva una telefonata dietro l'altra per scoprire dove erano in corso gli scontri, dove sarebbero scoppiati pre- sto altri disordini e quali erano le prospettive più immediate. Telefonava all'ambasciata degli Stati Uniti almeno una volta al giorno. L'ambasciata aveva una sala informazioni che restava in attività ventiquat- tro ore su ventiquattro. Gli americani telefonavano dai vari quartieri citta- dini e segnalavano le dimostrazioni e i disordini, e l'ambasciata provvede- va a diffondere la raccomandazione di evitare questa o quella zona. Ma per quanto riguardava le previsioni e i consigli, per Coburn l'ambasciata era pressoché inutile. Nel corso delle riunioni settimanali alle quali partecipa- va doverosamente, si sentiva dire che gli americani dovevano stare il più possibile in casa e tenersi lontani a tutti i costi dagli assembramenti, ma che lo scià controllava la situazione e che per ora non era consigliabile e- vacuare la città. Coburn si rendeva conto del problema - se l'ambasciata americana avesse detto che lo scià vacillava, lo scià sarebbe sicuramente caduto - ma quelli erano così prudenti che in pratica non fornivano infor- mazioni. Delusa dalla scarsa collaborazione dell'ambasciata, la comunità ame- ricana a Teheran aveva creato una sua rete d'informazione. La più grossa azienda americana nella capitale era la Bell Helicopter; il direttore genera- le per l'Iran era un maggior generale in pensione, Robert N. Mackinnon. Mackinnon disponeva d'un servizio informazioni di prim'ordine e non na- scondeva quel che veniva a sapere. E inoltre, Coburn conosceva un paio di ufficiali del servizio segreto militare americano e si rivolgeva anche a loro. Quel giorno la città era relativamente tranquilla: non c'erano grosse di- mostrazioni. Gli ultimi disordini gravi si erano avuti tre giorni prima, il 2 dicembre, il primo giorno dello sciopero generale quando settecento per- sone erano morte negli scontri per le strade. Secondo le fonti di Coburn, era prevedibile che la relativa tregua si protraesse fino al 10 dicembre, la festività musulmana dell'Ashura. L'Ashura preoccupava Coburn. Quella festa invernale musulmana non aveva nessuna rassomiglianza con il Natale cristiano. Era una giornata di digiuno e di lutto per commemorare la morte di Husayn, il nipote del Pro- feta, e lo spirito che l'ispirava era il rimorso. Per le strade ci sarebbero state processioni affollatissime, durante le quali i credenti più devoti si sarebbe- ro flagellati. In quell'atmosfera, era facile che esplodessero l'isteria e la violenza. E Coburn temeva che quell'anno la violenza si sarebbe scatenata contro gli americani. Tutta una serie di incidenti preoccupanti l'aveva convinto che i senti- menti antiamericani si andassero diffondendo rapidamente. Qualcuno ave- va infilato sotto la sua porta un biglietto che diceva: "Se ci tieni alla vita e a tutto quello che hai, vattene dall'Iran". Molti suoi amici avevano ricevuto biglietti minatori molto simili. Qualcuno aveva scritto con lo spray sul mu- ro della sua casa "Qui ci stanno gli americani". L'autobus che portava i suoi figli alla scuola americana di Teheran era stato circondato, una volta, da una folla di dimostranti. Altri dipendenti dell'EDS erano stati insultati per la strada e le loro macchine erano state danneggiate. Un pomeriggio, gli iraniani avevano assalito il ministero della Sanità e della Previdenza Sociale - il più grosso cliente dell'EDS - sfasciando le finestre e bruciando i ritratti dello scià, mentre i dirìgenti dell'EDS che si trovavano nel palazzo si barricavano in un ufficio in attesa che la folla se ne andasse. Sotto un certo aspetto, lo sviluppo più sinistro era il mutato atteggia- mento del padrone di casa Coburn. Come moltissimi americani a Teheran, Coburn aveva preso in affitto la metà d'una casa bifamiliare; lui, la moglie e i figli vivevano al piano di so- pra, e la famiglia del proprietario al pianterreno. Quando erano arrivati i Coburn, nel marzo di quell'anno, il padrone di casa li aveva presi sotto la sua protezione. Le due famiglie avevano fatto amicizia. Coburn e il pro- prietario parlavano di religione; l'iraniano gli aveva dato una traduzione inglese del Corano, e la figlia del padrone di casa leggeva al padre brani della Bibbia di Coburn. Durante i weekend facevano gite in campagna, tut- ti insieme. Scott, il figlio di Coburn, un ragazzetto di sette anni, giocava al calcio per la strada con i figli del padrone di casa. Una volta i Coburn ave- vano avuto addirittura il raro privilegio di assistere a una cerimonia nuziale musulmana. Era stato molto interessante. Gli uomini e le donne erano ri- masti separati per tutto il giorno, e Coburn e il figlio erano andati con gli uomini, sua moglie Liz e le tre figlie con le donne, e Coburn non aveva neppure visto la sposa. Durante l'estate la situazione era gradualmente cambiata. Le gite erano finite. Ai figli del padrone di casa era stato proibito di giocare con Scott per la strada. Alla fine tutti i contatti fra le due famiglie erano cessati per- sino all'interno della casa e del cortile, e i figli venivano rimproverati se parlavano con i Coburn Il padrone di casa non aveva incominciato a odiare di colpo gli ameri- cani. Una sera, anzi, aveva dimostrato d'essere ancora affezionato ai Co- burn. C'era stata una sparatoria per la strada: uno dei figli era rimasto fuori dopo il coprifuoco, e i soldati avevano sparato contro di lui mentre correva a casa e scavalcava il muro del cortile. Coburn e Liz avevano assistito alla scena dalla veranda, e Liz si era spaventata. Il padrone di casa era salito a riferire quanto era successo e ad assicurare che era finito bene. Ma era convinto che, nell'interesse della sua famiglia, non poteva farsi vedere in rapporti amichevoli con gli americani: sapeva da che parte soffiava il ven- to. Per Coburn era un altro brutto segno. Adesso, aveva sentito dire Coburn, nelle moschee e nei bazar si parlava d'una guerra santa contro gli americani che sarebbe incomincia ta con l'A- shura. Mancavano cinque giorni soltanto, eppure gli americani a Teheran erano sorprendentemente calmi. Coburn ricordava quando era stato imposto il coprifuoco: non aveva neppure impedito le rituali partite a poker che all'EDS si tenevano ogni mese. Lui e gli altri si portavano dietro le mogli e i figli, dormivano sul posto e restavano fino al mattino. Si erano abituati ai rumori delle sparato- rie. Quasi tutti gli scontri più accaniti avvenivano nella parte meridionale della città, dove c'era il bazar, e nella zona intorno all'Università: tutti, co- munque, di tanto in tanto sentivano sparare. Dopo le prime volte avevano acquisito una specie di strana indifferenza. Chi stava parlando s'interrom- peva, e poi proseguiva quando gli spari cessavano, come avrebbe fatto ne- gli Stati Uniti quando passava un aereo a reazione. Sembrava non riuscis- sero a immaginare che qualcuno avrebbe potuto sparare anche a loro. Ma Coburn non era indifferente. Sebbene fosse ancora giovane, gli ave- vano sparato contro molte volte. Nel Vietnam aveva pilotato elicotteri ar- mati che appoggiavano le operazioni a terra, e altri che trasportavano trup- pe e rifornimenti, atterrando e decollando dai campi di battaglia. Aveva ucciso, e aveva visto morire molti uomini. A quell'epoca, veniva assegnata una decoiazione, l'Air Medal, ogni venticinque ore di volo in combatti- mento: Coburn era tornato a casa con trentanove di quelle medaglie. Era stato insignito anche di due croci al Merito e d'una Stella d'Argento, e si era buscato una pallottola in un polpaccio... la parte del corpo più vulnera- bile per un pilota di elicotteri. Quell'anno aveva scoperto che sapeva com- portarsi bene in azione, quando c'era tanto da fare e non aveva tempo di aver paura; ma ogni volta che ritornava da una missione, quando tutto era finito e ripensava a ciò che aveva fatto, si sentiva mancare le ginocchia. In un certo senso, considerava preziosa quell'esperienza. Lo aveva fatto diventare adulto in fretta e gli aveva dato un vantaggio nei confronti dei coetanei nel mondo degli affari. E gli aveva anche ispirato un salutare ri- spetto per il rumore degli spari. Ma quasi tutti i suoi colleghi e le loro mogli la pensavano diversamente. Ogni volta che si parlava dell'eventualità di sfollare, si opponevano. Ave- vano investito tempo, lavoro e orgoglio nell'EDS Corporation Iran, e non volevano saperne di andarsene. Le mogli avevano trasformato le case prese in affitto in autentici focolari domestici, e stavano facendo i progetti per Natale. I figli avevano le scuole, gli amici, le biciclette e gli animali dome- stici. Pensavano che, senza dubbio, se fossero stati tranquilli senza dar nel- l'occhio, la tempesta sarebbe passata. Coburn aveva cercato di convincere Liz a riportare i ragazzi negli Stati Uniti, non soltanto per metterli al sicuro, ma perché forse sarebbe venuto il momento in cui sarebbe stato costretto a far evacuare trecentocinquanta persone, e avrebbe dovuto dedicare a quel compito tutto il suo impegno, senza essere distratto dalle preoccupazioni per i suoi cari. Liz aveva rifiu- tato di partire. Sospirò, pensando a lei. Era spiritosa e simpatica e tutti apprezzavano la sua compagnia, ma non era la perfetta moglie del dirigente. Dai dirigenti, l'EDS pretendeva parecchio: se c'era bisogno di lavorare tutta la notte per sbrigare il lavoro, si lavorava tutta la notte. A Liz non andava. Negli Stati Uniti, quando lavorava come reclutatore, spesso Coburn era rimasto lonta- no da casa dal lunedì al venerdì, viaggiando un po' dovunque, e Liz non sapeva rassegnarsi. A Teheran era contenta perché almeno lui tornava a casa ogni sera. Se fosse rimasto, diceva, sarebbe rimasta anche lei. E anche i ragazzi si trovavano bene. Era la prima volta che si trovavano a vivere lontani dagli Stati Uniti, ed erano incuriositi e affascinati dalla lingua e dalla cultura dell'Iran. Kim, che con i suoi undici anni era la maggiore, era troppo fiduciosa per preoccuparsi. Kristi, otto anni, era un po' in ansia, ma era la più emotiva di tutti, e tendeva a reagire in modo un po' esagerato. Scott, sette anni, e Kelly, la più piccola che ne aveva quattro, erano ancora troppo giovani per rendersi conto dei pericoli. Quindi erano rimasti, come tutti, e attendevano che la situazione miglio- rasse... o peggiorasse. Coburn si strappò ai suoi pensieri quando sentì bussare alla porta. Entrò Majid. Era un uomo basso e robusto, sulla cinquantina, con un paio di folti baffi. Un tempo era stato ricco; la sua tribù aveva posseduto molte terre e le aveva perdute a causa della riforma agraria degli anni Sessanta. Adesso lavorava come assistente amministrativo di Coburn, e teneva i contatti con la burocrazia iraniana. Parlava correntemente l'inglese ed era molto effi- ciente. A Coburn era simpatico: Majid aveva fatto il possibile per rendersi utile quando la famiglia era arrivata in Iran. «Avanti» disse Coburn. «Si sieda. Che cosa c'è?» «È per via di Fara.» Coburn annuì. Fara era la figlia di Majid, e lavorava con il padre: aveva il compito di assicurarsi che tutti i dipendenti americani avessero sempre visti e permessi di lavoro aggiornati. «È successo qualcosa?» chiese Co- burn. «La polizia le ha chiesto di prelevare due passaporti americani dai nostri archivi senza dirlo a nessuno.» Coburn aggrottò la fronte. «Hanno specificato quali passaporti dovevano essere?» «Quelli di Paul Chiapparone e di Bill Gaylor.» Paul era il principale di Coburn, il capo dell'EDS Corporation Iran. Bill era il vice, e si occupava dell'attività più importante, il contratto con il mi- nistero della Sanità. «Ma che cosa diavolo sta succedendo?» disse Coburn. «Fara è in pericolo» disse Majid. «Le hanno ordinato di non parlarne con nessuno. Mi ha chiesto consiglio. Ovviamente, dovevo riferirlo a lei, ma temo che mia figlia si metterà in un grosso guaio.» «Aspetti un momento. Vediamo di chiarirci le idee» disse Coburn. «Com'è andata?» «Questa mattina Fara ha ricevuto una telefonata dalla polizia, ufficio permessi di soggiorno, sezione americana. Le hanno detto di presentarsi, e hanno spiegato che si trattava di James Nyfeler. Lei ha pensato che fosse ordinaria amministrazione. Si è presentata alle undici e mezzo al dirigente della sezione americana. Per prima cosa le ha chiesto il passaporto e il permesso di soggiorno del signor Nyfeler. Lei ha risposto che Nyfeler non è più in Iran. Allora le ha chiesto del signor Paul Bucha. E mia figlia gli ha spiegato che anche Bucha ha lasciato il paese.» «Gli ha detto così?» «Sì.» In realtà Bucha era in Iran, ma Fara non poteva saperlo, pensò Coburn. Bucha aveva vissuto diverso tempo nel paese, era partito e poi era ritornato per breve tempo. L'indomani avrebbe preso l'aereo per Parigi. Majid continuò: «Allora l'ufficiale ha detto: "Immagino che se ne siano andati anche gli altri due". Fara ha visto che aveva quattro fascicoli sulla scrivania, e ha chiesto chi erano gli "altri due". Quello ha risposto che si trattava del signor Chiapparone e del signor Gaylord. E quando Fara ha detto che proprio questa mattina aveva ritirato il permesso di soggiorno del signor Gaylord, l'ufficiale le ha chiesto di prelevare i permessi e i passa- porti di tutti e due e di portarglieli. In segreto, per non mettere in allarme nessuno.» «E Fara cos'ha risposto?» chiese Coburn. «Che oggi non poteva portarli. Allora le ha detto di portarli domattina; le ha ricordato che l'avrebbe ritenuta personalmente responsabile, e si è assi- curato che ci fossero testimoni.» «Ma non ha senso» disse Coburn. «Se scoprono che Fara ha disobbedito...» «Troveremo il modo di proteggerla» disse Coburn. Si chiese se gli ame- ricani erano obbligati a consegnare i loro passaporti su richiesta delle auto- rità. Lui l'aveva fatto, dopo un incidente d'auto di poco conto, ma più tardi gli avevano spiegato che non era affatto tenuto a farlo. «Non hanno detto perché vogliono quei passaporti?» «No.» Bucha e Nyfeler erano i predecessori di Chiapparone e Gaylord. Era un indizio? Coburn non lo sapeva. Si alzò. «Per prima cosa dobbiamo decidere cosa dirà Fara alla polizia, domani mattina. Ne parlerò con Paul Chiapparone, e poi ci risentiremo.» Paul Chiapparone era nel suo ufficio al pianterreno. Anche lui aveva un pavimento a parquet, una scrivania dirigenziale, un ritratto dello scià e molte cose a cui pensare. Paul aveva trentanove anni, statura media e un peso un po' eccessivo, soprattutto perché era amante della buona tavola. Aveva un'aria molto ita- liana, con la carnagione olivastra e i folti capelli neri. Il suo compito era

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