ebook img

Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente PDF

245 Pages·2003·2.501 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente

Biblioteca 14 Edizione originale: Cultureafter Humanism Copyright © 2001, Iain Chambers Prima edizione: 2001, Routledge, London Copyright © 2003, Meltemi editore srl, Roma Traduzione di Nicola Nobili Èvietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata. Meltemi editore via dell’Olmata, 30 - 00184 Roma tel. 064741063 - fax 064741407 [email protected] www.meltemieditore.it Iain Chambers Sulla soglia del mondo L’altrove dell’Occidente Introduzione e cura di Faranda MELTEMI Indice p. 7 Introduzione 15 Capitolo primo Questione di storia Dalla nave ammiraglia La vulnerabilità dell’interpretazione Un’altra storia Dal passato Narrazioni interne Posizioni Il sublime della modernità Posizionalità storiche Al di là della rappresentazione Ilimiti della politica e la poetica dei limiti 65 Capitolo secondo Cornici terrestri La tecnologia è l’umanesimo Un’altra modernità 77 Capitolo terzo La storia, il Barocco e il giudizio degli angeli La facciata e l’ornamento Lamagia, la mortalità e la sfiducia della mimesi La malinconia e lo spazio coloniale Lo stile del tempo Suoni impronunciabili Casa 107 Capitolo quarto Voce nell’oscurità, mappa della memoria Potrei cominciare Citare il passato Pensare Potremmo considerare la musica Danza gitana sotto un albero Lamemoria, attorno alla quale Iscrivere la memoria nella musica 137 Capitolo quinto Architettura, amnesia e il ritorno all’arcaico “L’arte del vuoto” Impalcature invisibili, vite invisibili La volontà di architettare Lettere del tempo Il terreno sotto i nostri piedi La tecnologia e i limiti terrestri Sull’orlo della costruzione La tradizione del discontinuo 175 Capitolo sesto Estraneo in casa Il mistero della casa Il trauma della traduzione Antropologizzare l’antropologo La sfida dell’incompleto Estraniare l’Occidente 201 Capitolo settimo Sulla soglia Sull’orlo della cornice Possesso La casa del linguaggio Alla deriva La soglia del pensiero Lo spaesamento Esporsi Viaggio interrotto La casa in rovina Un luogo nel mondo 237 Bibliografia Introduzione Dunhuang, con le sue mele croccanti, la sua uva selvatica, le sue prugne profumate e i suoi meloni di oasi, è una polverosa città nel deserto, situata lungo l’antica Via della Seta, nella Cina occidentale. In apparenza, è un centro urbano periferico nel luogo in cui la Cina sfuma nell’Asia centrale e le campagne del- la pianura alluvionale cedono il passo alle dune di sabbia, dove la Grande Muraglia lascia il posto a fortezze solitarie abbando- nate al vento. Dunhuang è uno dei crocevia storici del pianeta. Qui si incontrano il buddismo e l’islamismo, il kebabe i dim sum, in quella che sia Paul Gilroy che James Clifford descrive- rebbero come una “cultura del viaggio” che rivela quel che c’è di comune nelle diversità: qui tutto è plasmato e vissuto, in ma- niera pragmatica, nel substrato cangiante dell’appropriazione storica. Se il volo diretto della China Northwest Airlines da Ürümqi a Jedda, dal Turkestan cinese all’Arabia Saudita, forni- sce un collegamento immediato che taglia il mondo islamico, questa è anche la regione in cui, durante il suo viaggio spiritua- le cominciato in India, passato per l’altopiano tibetano, e quin- di proseguito per la Cina e giunto nell’arcipelago giapponese, il buddismo ha lasciato una testimonianza significativa. A partire dal terzo secolo dopo Cristo, e per più di mille anni di sviluppo ininterrotto, le grotte di Magao, a sud di Dunhuang, sono state certamente una delle gallerie d’arte di pittura parietale e scultu- ra buddista più grandi del mondo. (Nonché il magazzino che ha conservato migliaia di manoscritti buddisti in sanscrito, tibe- tano e cinese, per lo più trafugati e ricomparsi a Londra e a Pa- rigi all’inizio del ventesimo secolo). Qui, nelle diversificate to- nalità di colore, di figurazione e di fisionomia del Budda, dei  IAIN CHAMBERS suoi discepoli, dei racconti della sua vita e dei suoi insegnamen- ti, è possibile ricostruire in che modo le forme originariamente “occidentali” del subcontinente indiano si siano modificate e “cinesizzate”. Questo passato bastardo e questa incubazione ibrida tradisco- no una versione assai più selvaggia e incerta della “Cina”, della sua gente, della sua lingua e della sua cultura, rispetto a quella divulgata ufficialmente. Qui c’è dell’altro, c’è di più, e questo di più mette in discussione il senso del passato, e pertanto anche il presente e il futuro. Quest’insolita “lezione” di storia, ovviamen- te, non è una peculiarità della Cina: essa mette in discussione tut- te le forme ufficiali di identità nazionale e la modernità culturale che incoraggiano. Ciò nonostante, il “balzo della tigre” nel pas- sato che propone Walter Benjamin contiene altresì la rivelazione di un altro futuro: un futuro che sfugge sia al controllo del pre- sente, sia all’istituzionalizzazione del passato (Benjamin 1955, p. 84). Questa osservazione serve ad accompagnare l’ossessione del viaggiatore per “l’afrore di un leopardo delle nevi a quattromila metri” (Chatwin 1981, p. 20) con una narrazione ulteriore che attraversa, complica e collega il percorso turistico a una conce- zione più instabile e potenzialmente più aperta della modernità (Chatwin 1981). Rendere la modernità altrui problematica, plurale e porosa si- gnifica anche rendere meno tranquilla la propria modernità. Se è possibile caratterizzare l’epoca della modernità come l’epoca del- l’umanesimo occidentale, di un mondo basato sulla continua conferma del soggetto che osserva, allora è anche legittimo consi- derare ciò che avviene all’autorità delle lingue critiche, della sto- riografia e dell’inclinazione occidentale alla conoscenza e al pote- re, alla luce della messa in discussione e della dispersione di quella particolare disposizione storica. Nelle pagine che seguono, questa è l’argomentazione principale che verrà sviluppata. Ini- zialmente si potrà discutere unicamente su quanto sia nuova que- sta procedura, dal momento che questa storia è già stata raccon- tata: la modernità ha sempre litigato con se stessa, e la sua super- ficiale affermazione del “progresso” è sempre stata accompagna- ta da una serie di eventi che parlano d’altro e hanno altra origine. È in questo contesto che il postmoderno, come ha ribadito ripe- tutamente Jean-François Lyotard, non segna la fine della moder- INTRODUZIONE  nità, ma una relazione diversacon essa. In maniera più immedia- ta e incisiva, gli studi postcoloniali hanno esteso il fermo invito alla cultura occidentale a rivisitare non soltanto la propria moda- lità di vita ma anche le proprie modalità di pensiero. In ballo c’è qualcosa di più della trasgressione o addirittura della revisione radicale del modo di intendere che abbiamo ricevuto in eredità: c’è qualcosa che arresta persistentemente la pulsione alla coeren- za e rende tanto l’adattamento politico successivo, quanto quello culturale, più ardui, se non impossibili. Sbrogliando la matassa della modernità, non solo viene messa in discussione la sua strut- tura, ma i suoi fili pendenti ritornano per proporre uno schema diverso del tempo e del modo in cui lo occupiamo. Il modo in cui vengono trattate queste tematiche nei capitoli seguenti risente chiaramente dell’enfasi con cui Martin Heideg- ger asserisce che il recupero del senso dell’essere nel mondo non è riconducibile alla somma dei singoli individui. Essere al mondo non è mai un punto d’arrivo, non si ottiene mai il qua- dro completo, il verdetto conclusivo. C’è sempre qualcosa in più, che sfugge alla cornice che vorremmo imporre. A questo punto, il senso del mondo che abbiamo ricevuto in eredità, in cui il soggetto umano viene considerato sovrano, il linguaggio il mezzo trasparente del suo volere e la verità nient’altro che la rappresentazione del suo razionalismo, è soggetto a una revisio- ne radicale. Ancora una volta, che cosa accade alla storia, alla cultura, alla soggettività e all’analisi critica, quando si compren- de che i linguaggi che costituiscono queste formazioni e queste pratiche vanno al di là della volontà e del controllo comune? La questione si situa in uno spazio che, provocatoriamente, po- tremmo definire postumanesimo. Questa prospettiva non apre a un universo antiumano, né tantomeno annuncia la fine del sog- getto, bensì, nel tentativo di spostare il rapporto egemonico, propone un soggetto che differisce, nonché una diversa etica del- la comprensione. Paradossalmente, criticare l’universalismo astratto dell’umanesimo occidentale significa gettare l’uomo nel- l’immediatezza culturale e storica di un’umanità differenziata e sempre incompleta. Se tutto ciò vuole attirare l’attenzione sul potere della cultura e sollevare una problematica di natura politica, vuole anche perora- re la causa di una politica che vada al di là delle soluzioni stru-  IAIN CHAMBERS mentali per toccare la ragione stessa del linguaggio e della narra- zione. Qui il politico slitta inevitabilmente nell’ambiguo potenzia- le del linguaggio, nel viaggio delle sue estensioni poetiche. L’ado- zione di questa prospettiva, unita alla constatazione della natura inscindibile dell’etica e dell’estetica, ha fornito l’ossatura di que- sto libro. A questo punto, la proposta di una configurazione che acquisisca una forma dopo l’umanesimo tocca una corda più profonda allorché l’universalismo ricevuto in eredità viene collo- cato in un contesto storico e culturale preciso. Immanuel Kant nella Critica del giudizio(1790), nella celebre disquisizione sul bello e sul sublime, sostiene la necessità di una distanza critica e di uno sguardo disinteressato nell’appropriazio- ne della bellezza, e la natura del sublime come subordinata al consenso universale della ragione. Quantunque il giudizio esteti- co, a differenza del giudizio teorico, non riesca ad affermare la propria validità sui concetti apriori, insistendo sull’universalità del gusto disinteressato della collettività umana rientra a far par- te dell’ambito dell’oggettività universale. Questa razionalizzazio- ne del sentimento assicura le fondamenta del giudizio critico e la continua autorità del soggetto. Nondimeno, se la ragione non è in grado di fornire che una pallida rappresentazione di ciò che esprime il sublime, allora la provocazione dell’inquietante im- mensità e dell’infinita informità alienano potenzialmente la ragio- ne da se stessa. Quanto appena asserito concede un varco al pas- saggio della critica successiva dei limiti di una ragione incapace di percepire una conoscenza che la prevarica e mette in discus- sione la sua supremazia. Proprio questa indeterminazione, stu- diata successivamente dai romantici tedeschi ed esposta insisten- temente da Friedrich Nietzsche, rappresenta una sfida alla siste- matica disposizione della conoscenza in una totalità autoreferen- te e concettuale. In ultima istanza questa eredità, che, volenti o nolenti, è anche la nostra eredità, è il disfacimento dell’umanesi- mo come disposizione critica. Questa è la strada attraverso cui la conoscenza può ottenere la libertà di seguire altre direttive. La distanza disciplinare viene turbata da vicinanze inattese che tra- sformano la condizione dell’estetica, della poetica e dei linguaggi che esprimono il nostro potenziale. Ciò mi induce a vedere, sentire e avvertire nell’opera artisti- ca un disturbo ininterrotto, una frattura nel tessuto di quanto

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.