Campi del sapere / Feltrinelli DANILO ZOLO Sulla paura Fragilità, aggressività, potere Feltrinelli © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione in “Campi del sapere” ottobre 2011 Stampa Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche-BG ISBN978-88-07-10476-3 ISBN PDF 9788858802663 www.feltrinellieditore.it Libri in uscita, interviste, reading, commenti e percorsi di lettura. Aggiornamenti quotidiani razzismobruttastoria.net Alla memoria di Rachel Corrie martire della pace Solo Hobbes sa che cos’è la paura; il suo calcolo la svela. Tutti quelli che sono ve- nuti dopo e che provenivano dalla mec- canica o dalla geometria, non hanno fat- to che prescindere dalla paura. Così que- sta è dovuta di nuovo rifluire nell’oscu- rità, dove continua a operare, indistur- bata e innominata. Elias Canetti, Die Provinz des Menschen, 1973 Noi stessi siamo ignoti a noi stessi, noi uomini della conoscenza. Questo è un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi, e allo- ra come potrebbe mai accadere di in- contrarci un bel giorno? Friedrich Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, 1887 Con grande abilità abbiamo sospinto la morte al di fuori del nostro campo visi- vo. La morte gioca dietro porte laccate di bianco. Arnold Gehlen, Anthropologische For- schung, 1961 Prefazione Provo a spiegare in poche parole perché ho scritto questo libro, così lontano dalle mie presunte compe- tenze culturali. L’ho scritto perché mi sentivo come un granello di sabbia in balia del vento. Alla mia età, ave- vo paura di non resistere. Ma prima di cedere volevo capire perché spesso nella mia vita avevoavuto paura e mi ero chiesto che cosa fosse e da dove venisse la mia paura. E volevo capire le ragioni non solo della mia pau- ra, ma anche della paura degli altri. E avrei voluto sa- pere se la paura era un’emozione soltantoumana o se invece riguardava anche gli altri esseri viventi. E desi- deravo infine comprendere perché così spesso la pau- ra mi rendeva aggressivo e perché l’aggressività mia e la prepotenza degli altri erano strettamente intreccia- te.Mi domandavo, in sostanza, qual era il rapporto fra la paura, l’aggressività e la violenza scatenata dai miei simili nel corso dei millenni. Il senso di questo libro è racchiuso in queste sem- plici righe anche se le sue pagine sono più di cento e molte sono le citazioni in nota. Frequenti sono so- prattutto i riferimenti ad autori che hanno lasciato nella mia memoria una traccia profonda della loro saggezza. Penso, fra i molti altri, a Niccolò Machia- 12 SULLAPAURA velli, Thomas Hobbes, Friedrich Nietzsche, Arnold Gehlen,Albert Camus, Norberto Bobbio, René Girard, Tzvetan Todorov. Sono tutti autori europei, come lo sono anch’io. Mi hanno aiutato a capire – molto più della letteratura specialistica – che senso può avere oggi, per noi europei e occidentali, la parola “paura” (Angst, fear, peur, miedo). E credo di avere capito in qualche modo perché uso sempre più spesso questa parola e perché altrettanto fanno i miei vicini di casa anche se si tratta, non posso negarlo, di una parola difficilissima da capire. Forse sono riuscito a cogliere la ragione per cui vo- caboli semanticamente affini – timore, insicurezza, an- goscia, terrore – ricorrono sempre più non solo nei miei discorsi e nei miei pensieri, ma anche in quelli degli altri. E forse sono riuscito a intuire perché nel vocabolario della mia vita la paura è crudelmente as- sociata a parole come malinconia, tristezza, infelicità, solitudine e perché tutto questo non succede solo a me. Mi pare soprattutto di aver capito perché è scom- parsa nel silenziola parola che ormai in Occidentequa- si nessuno usa più: la morte, la nostra morte. Gehlen ha scritto: “Con grande abilità abbiamo sospinto la mor- te al di fuori del nostro campo visivo. La morte gioca dietro porte laccate di bianco”. La sentenza di Gehlen è lucidissima se riferita a noi occidentali. Maa me sem- bra che la percezione acuta e dolorosa della morte sia un privilegio che noi occidentali abbiamo concesso ai poveri e ai poverissimi che vivono nei deserti del mon- do, dove nessuna porta è laccata di bianco. Non ci resta dunque che obbedire all’inflessibilema- tematica che regola il tempo della nostra vita? Dob- biamoavviarci in silenzioverso il nostro destino? Il ni- chilismo non è la mia scelta filosofica e morale. Anche un granello di sabbia sollevato dal vento, ha scritto Bob- PREFAZIONE 13 bio, potrebbe bloccare il motore di una macchina, sia pure per una contingenza del tutto fortuita. Un gra- nello di sabbia potrebbe dunque arrestare anche la mac- china infernale che produce terremoti, uragani, guer- re, terrorismo, stragi di innocenti, malattie letali, la morte per fame, la discriminazione spietata fra ricchi e poveri, fra potenti e deboli, fra noi e gli “altri”. È dunque probabile che valga la pena di lottare in extremis, di tentare la rivolta, di sfidare il destino.