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Storiografia e decadenza PDF

353 Pages·2012·5.424 MB·Italian
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I libri di Viella 144 Gennaro Sasso Storiografia e decadenza viella Copyright © 2012 - Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: settembre 2012 ISBN 978-88-8334-931-7 (carta) ISBN 978-88-6728-104-6 (e-book) viella libreria editrice via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it Indice Prefazione 7 1. Guerra civile e storiografia 11 2. La storia come «arte» e l’Olocausto (Croce, Gentile, Hayden White e Carlo Ginzburg) 53 3. Chabod e il fascismo. Riflessioni e ricordi 113 4. Gentiliana et Cantimoriana 183 5. Santo Mazzarino: la decadenza, il tempo. Appunti e riflessioni 251 6. Riflessioni sulla decadenza 297 Indice dei nomi 345 Prefazione In questo volume ho raccolto sei saggi, nei quali, sotto vari punti di vista, sono affrontati temi che, in modo implicito e anche, talvolta, espli- cito, si intrecciano nel nostro presente, storiografico e etico politico. Da un lato, in relazione a due storici (Federico Chabod e Delio Cantimori) e a due filosofi (Benedetto Croce e Giovanni Gentile), ho studiato la varia fenome- nologia del revisionismo che, da destra e anche da sinistra, esercita sé stesso su momenti e figure del ventennio fascista, producendo sfasature, alterazioni e varie deformazioni della realtà culturale e politica del nostro paese in un momento più che difficile della sua problematica storia unitaria. Da un altro, affrontata in uno storico del mondo antico di eccezionale dottrina e sensibili- tà (Santo Mazzarino), ho trattato dell’idea della decadenza, alla quale è stato anche dedicato un breve scritto, che, più che un saggio, è forse lo schema di un saggio possibile. Ho insistito su questo punto, non per dare una mano ai narcisisti della catastrofe, con i quali non ho nulla in comune. Ma perché il tema è imposto dalle cose, e quanto più sia difficile e disperante il tentativo di venirne a capo in termini che non siano di pura constatazione, tanto più s’impone e dev’essere affrontato. Sono intervenuto nella polemica che da tempo si è accesa su Cantimori, e in questi ultimi anni, anche su Chabod, perché mi è sembrato che in molti casi a prevalere sull’intelligenza delle cose fosse stata, e sia, la passione politica e, alla luce di questa, o piuttosto nel buio che ne è derivato, una compiaciuta tendenza a condannare, che offende, se non altro, il senso della gratitudine che si deve a chi molto, direttamente o no, abbia impegnato il suo tempo nell’arte difficile della ricerca e dell’in- segnamento. Non credo, d’altra parte, che la gratitudine abbia prevalso sul rigore della considerazione, e che, dove mi apparissero tali, limiti e contrad- dizioni non siano stati notati e messi in rilievo. Se qualcuno mi dimostrerà 8 Storiografia e decadenza che, nei casi in questione, la gratitudine ha prevalso sul rigore, cercherò di correggermi, fortuna adiuvante. Sebbene siano prevalentemente dedicati a questioni di natura storiogra- fica, ho l’impressione che questi saggi risentano fin troppo della filosofia che sta nella mia testa e che, in effetti, se anche volessi, non potrei eliminare. Ma mi pare che altresì risentano delle passioni del presente, anche se guardano al passato. Ne è autore infatti uno che, senza essere e voler essere un addetto a esercizi storiografici, alla regione in cui questi si realizzano è passato talvolta abbastanza vicino, tanto da averne ricavata una conforme mentalità. Possie- de quindi una certa disposizione storiografica. Ma, per un altro verso, non è invece un politologo (anche se a lungo, anzi proprio perché a lungo, ha stu- diato Machiavelli), non è un giurista (anche se molto dal mondo delle leggi si senta attratto), non è un economista. Se, come tutti, avverte che il mondo si sta facendo sempre più piccolo a misura che le sue parti si richiamano e, per converso, i suoi problemi si ingrandiscono e si complicano, non per questo ritiene che la semplice constatazione di questi fatti valga a orientarlo nella diagnosi e nella prognosi. Nemmeno, del resto, se fosse eseguita nel modo più profondo, la prima garantirebbe la seconda: figuriamoci se possa garantirla o, almeno, avviarla a un esito soddisfacente, chi, provando a far- sene autore, non sia tuttavia in grado di vedere in che modo si potrebbe ov- viare alla crisi sempre più evidente sia dei sistemi democratici, che stentano a conservare sé stessi e appaiono esposti a varie degenerazioni autoritarie, sia del capitalismo. Il quale, mostrando di essere sempre più posseduto da un’insopprimibile tendenza a vivere attraverso le sue crisi e a divorare sé stesso, sembra confermare alcune parti dell’analisi che Marx ne aveva fatta nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Il desiderio di capire e di tro- vare la via è tanto più grande quanto più estesa è l’ignoranza di chi pure è in condizione di avvertilo in sé. Una cosa, tuttavia, questa almeno, l’ignoranza ha di buono, che, a chi ne sia consapevole, impedisce di incamminarsi lungo i sentieri della beata incoscienza e dell’ingegnoso dilettantismo. La discus- sione che qui si fa di alcuni aspetti del revisionismo contemporaneo nelle sue implicazioni politiche è ben lungi dal fornire criteri utili per la comprensione, e non si dice naturalmente per la risoluzione, dei gravi problemi che trava- gliano il nostro mondo culturale e politico. L’autore di queste pagine non ha, al riguardo, alcuna pretesa. Quel che ha scritto dovrebbe tuttavia suscitare qualche interesse in chi non sia del tutto sordo alle gravi questioni che si agitano nel fondo oscuro della vita italiana, dove, espressioni di una lunga Prefazione 9 storia, clericalismo e conservatorismo politico si intrecciano, mostrando una perversa attitudine a ripresentarsi, se non nelle vecchie forme, tuttavia con l’antico volto. Dovrebbe altresì fornire un qualche aiuto al chiarimento delle idee, e qualche stimolo alla discussione: anche se, al riguardo, ci sia da farsi poche illusioni. Di qua e di là dell’Atlantico oggi, infatti, si parla molto e si discute poco; e quel che si legge a proposito delle tendenze fondamentali del nostro tempo, e del destino dell’Occidente, è tale da far rimpiangere, non dirò i profeti (Spengler, per esempio, e Toynbee) che, fra le due guerre, scrissero libri che variamente inquietarono, scandalizzandola, la coscienza europea, ma, per restare in Italia, Francesco Saverio Nitti e persino Guglielmo Ferrero. Con questa valutazione si potrà essere o no d’accordo: non pretendo che, in relazione ai profeti della fine della storia, ed è chiaro che qui non sto alluden- do a Kojève, tutti pensino quel che ritengo debba pensarsene. Su un punto tuttavia si dovrebbe essere d’accordo. Se, domani (ma anche oggi, perché i tempi sono al riguardo più che maturi), qualcuno volesse cercare di cogliere lo stile culturale dei nostri tempi, fra le altre cose da mettere in rilievo, do- vrebbe indicare il «tramonto della recensione» come strumento di pubblica discussione, scientifica e anche civile: ossia di un «genere» che, nel recente passato, fu coltivato da studiosi di diverso orientamento ma, al riguardo, di identica ispirazione e convinzione: studiosi che, per fare solo qualche esem- pio, si chiamavano Benedetto Croce, Adolfo Omodeo, Gaetano De Sanctis, Delio Cantimori, Arnaldo Momigliano; e non disdegnavano, riguardo al me- todo ma, ancor più, alle interpretazioni specifiche, di entrare nell’esame dei risultati raggiunti da questo o da quello. Era un contributo, quello offerto da quei valentuomini, che, svolgeva i suoi effetti nella purificazione del mondo scientifico, nella obiettiva e tendenziale selezione e eliminazione che in tal modo metteva in atto, rispettivamente, dei migliori e dei peggiori: con qual- che vantaggio per le Università che, senza essere ottime o anche soltanto buone, non erano, nei passati decenni, quali sono oggi. Ma di questo varrebbe forse la pena di parlare, con diverso impegno, in una diversa sede. Con l’eccezione del quinto, che in attesa di essere pubblicato in un volume dell’Accademia nazionale dei Lincei, destinato a raccogliere gli atti di un Convegno internazionale dedicato a Santo Mazzarino nel 2007, ha intanto visto la luce in «Mediterraneo antico», i saggi che costituiscono questo volume furono tutti pubblicati nella «Cultura»; e tutti sono stati sot- toposti a revisione stilistica e a correzioni più o meno consistenti, che non ne hanno tuttavia alterata la originaria fisionomia.

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