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Storia sociale della fotografia PDF

466 Pages·1976·132.901 MB·Italian
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Ando Gilardi ì; 'A- STORIA SOCIALE | DELLA FOTOGRAFIA Feltrinelli 129 5 illustrazioni in bianco e nero 25 illustrazioni a colori Impaginazione: Roberto Aldrovandi in collaborazione con Rossana Aldrovandi e Giorgio Catalano In copertina: Fotografia di un anonimo ambulante italiano della fine del secolo scorso: la famiglia del fabbro sospende la propria attività quotidiana per la posa richiesta dall’immagine ricordo. Prima edizione: novembre 1976 © Copyright by Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Ando Gilardi è nato ad Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, nel 1921. Comin­ cia ad occuparsi di fotografia subito dopo la guerra, ricercando, restaurando e riprodu­ cendo le immagini della guerra stessa, in particolare dei crimini nazifascisti, per conto di una Commissione interalleata incaricata della raccolta di documentazioni per i pro­ cessi del tempo. Lavora poi come giornalista prima in un quotidiano, in seguito in un settimanale a rotocalco, proseguendo tuttavia nella sua attività di ricerca sulla fotogra­ fia, ed estendendola via via all’intero ciclo storico degli usi e consumi dell’immagine ottico-meccanica. Dal 1962, abbandonata ogni altra attività, si dedica esclusivamente alla fotografia, non soltanto come ricerca storica, ma altresì come pratica effettiva: fotografia di giornalismo, di riproduzione dell’arte, industriale, ecc. Collaboratore di varie riviste del settore, direttore tecnico per alcuni anni di “Popular Photography Italiana,” è anche fra i fondatori e condirettori di “Photo 13,” e autore di innume­ revoli articoli, saggi e testi fra i quali ricordiamo II Risorgimento Italiano nella docu­ mentazione fotografica, Il colore nella fotografia, Sillabario fotografico per la pri­ ma elementare. Fin dagli anni immediatamente successivi alla guerra ha fondato quella che oggi è la Fototeca storica nazionale, che tuttora dirige. Premessa dell’Autore La fotografia, che è qualcosa di più di quanto generalmente si in­ tende con questa parola, ha un secolo e mezzo, ma con essa da tem­ po si producono in un giorno qualunque più immagini di quante non ne sono state realizzate con tutti gli altri mezzi nella storia del- Vuomo. Non c uria metafora, u.ii ta u u , JUJJiMUiVf'» rnnfoi*np in un film più che in tutto il Rinascimento, e molte molte di più se si tie­ ne conto delle copie in cui il film viene stampato. Certamente questo è un modo puramente materiale di affrontare la questione, ma non si vede con quale altro si possa cominciare, dal momento che le immagini ci colpiscono innanzi tutto per la lo­ ro quantità e i fenomeni che determinano (da una grossa produzio­ ne industriale a un enorme consumo di massa) e hanno le qualità che hanno proprio perché la quantità ha le dimensioni che ha. Come una sabbia sempre più impercettibile nei significati delle infinite unità che la compongono, le immagini ricoprono la nostra esistenza quotidiana: basta guardarsi intorno per esserne convin­ ti. È ancora in corso un faticoso tentativo per distinguere dalla miriade l’esemplare, ed attribuirgli significati immarcescibili e profondi. L’arte e la critica continuano in questa coraggiosa im­ presa e magari vi riescono: ma la riproduzione fotografica alla fi­ ne risucchia l’esemplare e lo confonde con la polvere iconica in­ distinta. In qualche modo questo libro racconta la storia di questa polve­ rizzazione, che è avvenuta in un tempo più breve di quanto non fosse necessario per rendersi conto del suo significato. Una delle conseguenze di questo stordimento è che pensiamo alla fotogra­ fia come ad un disegno o una pittura fatta a macchina (le defini­ zioni di “pennello del Sole" o “della Natura" o “pennello automa­ tico” hanno cent’anni e sono tuttora correnti...): cioè prima di tutto come ad un mezzo per creare figure, e non come ad un modo di consumarle, vecchie o nuove che siano. Abbiamo cosi gettato addosso alla fotografia la vecchia divisa dell’immagine fatta a ma­ no: splendente di autorevoli galloni, luccicante di decorazioni, creando in questo modo uno dei miti dei nostri tempi. Il libro cerca di renderne spiegazione. Le dimensioni di questo volume sono abbondanti: una delle ra­ gioni è che non vi si considera la fotografia senza radici, come 1 avviene in tutte le altre storie di questa immagine, ma come l’ul­ timo dei procedimenti per fabbricare figure, il quale aggiunge alle proprie le possibilità di tutti gli altri. E questo è avvenuto da sempre: ogni nuovo mezzo di produzione iconica deve sapere fare tutto quello che sanno fare gli altri che lo hanno preceduto, e in modo più produttivo ed economicamente più conveniente. Altri­ menti non si diffonde nell’uso, anzi! non viene neanche inventato Per cui nella fotografia sono presenti la xilografia, l’incisione in generale, la litografia e naturalmente il disegno e la pittura. In­ tendiamo che sono presenti con i propri segni caratteristici: co­ lore, chiaroscuro, tratti, punti, grana, eccetera, di cui si servono per ottenere il loro prodotto. E non si capirebbe la fotografia dal punto di vista produttivo e nemmeno da quello espressivo — che alla fine sono la medesima cosa... — senza qualche nozione dei materiali dell’iconografia in generale. Ma un libro abbondante si legge con fatica: abbiamo pensato di poterla alleviare, o ridurre, dividendolo in capitoli autonomi, e con una illustrazione e didascalie indipendenti in qualche misura dal testo. Insomma: ogni capitolo può essere letto per suo conto ricavandone un’informazione sufficiente; mentre illustrazione e didascalie formano una specie di rappresentazione che può dare un’idea del fenomeno fotografico. Questo ha però richiesto la ri­ petizione di qualche concetto di base: poca roba, un periodo qui e là, ma chiediamo scusa al lettore metodico di quella che a lui apparirà come un’insistenza superflua. Tali sono state le nostre intenzioni: naturalmente è da vedere se le abbiamo adeguatamen­ : te attuate. , In nessun modo saremmo giunti al termine dell’impresa senza la collaborazione di Luciana Gilardi, nostra moglie, che da quasi trent’anni tiene in ordine centinaia di migliaia di schede, fototipi e fotocopie ed è capace di trovare in un tempo ragionevole un’im­ magine che confusamente ricordiamo di avere visto, ma dove e quando non sappiamo dire. Il successo è tanto più notevole se si considera che quasi mai risulta quella che avevamo creduto, ma un’altra... È ancora lei che ha riprodotto e restaurato le moltissime immagini dalle quali sono state selezionate le mille che illustrano ? quésto libro, e sempre lei ha replicato i vecchi e nuovi procedi­ menti, dalle antxacotipie alle amplificazioni, che mostriamo come esempi. Dedicarle la nostra parte di lavoro è il minimo da farsi per obbligo, oltre che per affetto. Infine vogliamo ringraziare molti che non conosciamo e qualcuno che conosciamo, i molti sono i lettori di “Photo 13’ it n. iCbiaLa uJ:i questa rivista è anche l’insegna del laboratorio di ricerche foto­ grafiche nel quale lavoriamo da anni. Un nome portafortuna, che non si è smentito, anche se la rivista non visse più di quattro anni. io molti quando si va il merito fu di quelli chesi dicono “fedeli lettori,” cinque o seimila. Nella ricerca foto­ grafica, mi riferisco a quella relativa all’espressione di cui l’imma­ gine può essere capace, la descrizione degli esperimenti ha una funzione euristica equivalente alla pratica. Intendo proprio dire che parola e pellicola si “sviluppano” entrambe e insieme rappre­ sentano la ricerca. Scrivere “Photo 13,” forse più che usare gli apparecchi, penso mi abbia insegnato a fotografare. Chi tenne viva la rivista mi aiutò concretamente nel lavoro. Quelli che conosciamo, e vogliamo ringraziare, sono Roberta Cle­ rici, - Marcantonio Muzi Falconi e Lanfranco Colombo. Roberta ha diretto “Photo 13,” ma ancor più lo ha corretto: le debbo la salvezza da sviste e grossolani strafalcioni, e una amicizia incorag­ giante maturata in otto anni di lavoro in comune. Anche Marcan­ tonio, prima della Clerici, ha diretto “Photo 13,” in quello che fu il suo “periodo selvaggio.” Avanti ancora fu direttore del Cife, un 'centro di informazioni fotografiche: lo scossone ricevuto dall’am- muffifa fotografia italiana è per larga misura merito suo. Lanfran­ co Colombo tutti lo conoscono, per poco che s’impiccino di foto­ grafia: al di là di un’amicizia traballante, poi rinsaldata, poi nuo­ vamente traballante, è stato un bravo interlocutore. Anche a lui la fotografia deve molto, in bene e in male, e io qualcosa. Infine, fuori* dell’attivismo fotografico, son debitore a Maurizio Rosen­ berg Colorni e alla signorina Maria Gregorio della editrice Feltri­ nelli. Il primo mi ha molto aiutato in alcune ricerche ma soprat­ tutto, come la seconda, mi ha persuaso che sarei riuscito a finire questo libro una volta che lo avessi cominciato. La qual cosa non • avrei mai sperato. Ora spero che non se ne debbano pentire. I Herschel inventa 1 la fotografia ma non scopre il segreto di Daguerre Cinquantanni dopo la diffusione dei primi metodi per rendere stabili le immagini che si formano nella camera oscura, erano già state pubblicate una quarantina di storie e una ventina di diziona­ ri della fotografia: il lettore ne trova l’elenco in fondo a questo volume che ha fra le mani il quale, dopo ancora ottantanni, viene ennesimo di una serie che sfugge ormai ad ogni possibile completo censimento bibliografico. Vecchie e nuove le storie fotografiche non sono concordi nella va­ lutazione dei fatti, dei progressi e conseguenze delle invenzioni ma soprattutto sui meriti dei personaggi che oggi volentieri si chiamano i pionieri o gli “eroi” dell’immagine ottica. Alcune, a ben vedere, non sono nemmeno storie della fotografia, ma della collezione dei fossili fotografici di proprietà dell’autore, o dell’in­ dustria per conto della quale questi ha scritto il libro. Certe opere sono state poi scritte più per smentire che per affermare: la prima di questa è la Histoire du daguerréotype dello stesso figlio di Niép- ce, Isidore, pubblicata in Parigi nel 1841, appena due anni dopo l’annuncio dell’invenzione, per provare che il dagherrotipo non era stato scoperto da Daguerre ma dal padre Nicéphore.' Nasce da quel momento una specie di tradizione della storiogra­ fia fotografica che ha lo scopo di distruggere i miti personali: ma come tutti sappiamo in questo modo si finisce per crearne di nuovi rafforzando al tempo stesso quelli vecchi. È del 1867, ad esempio, La verità sur l’invention de la photographie del Fouqué, .dalla quale risulta come Daguerre fosse più che altro un imbro­ glione del quale Niépce, il vero inventore, era rimasto vittima. Ma il fatto veramente straordinario è che nel 1867 nessuno ormai fa­ ceva piu dagherrotipi, e nessuno aveva mai fatto, né allora né pri­ ma né dopo, fotografie con il metodo Niépcel Saltando cent’anni di questa un poco buffa tradizione storiogra­ fica e di tanto discutere sul merito di un procedimento che non si è mai provato che funzioni, ci fermeremo ancora brevemen­ te al 1943 quando venne pubblicato a Parigi Hippolyte Bayard, 1 II titolo originale per esteso è tìisto- rìque de la découverte improprement der erste Lichtbildkunstler di Gian Maria Lo Duca, forse più noto nommée Daguerréotype, précédé d’une per una storia del cinema e specialmente per una storia dell’eroti­ notice sur sott véritable ìnventeur, feu M. Joseph Nicéphore Niépce, de Chàlon- smo nel cinema. In tedesco Lichtzeichnung vuol dire “disegno fo­ sur-Saóne, par son fils Isidore Niépce, togenico,” cioè fatto con la luce: uno dei bei nomi che i protofoto- Astier, Paris aout 1841. 5 grafi davano alle prime fotografie su carta. E che Bayard sia stato il primo ad avere ottenuto disegni fotogenici, e in questo senso Post «enebraa lux. il vero inventore della fotografia, Lo Duca lo dimostra con una quantità di prove indiscutibili, o almeno altrettanto attendibili di HISTORIQUE quelle che provano i meriti di Niépce e di Daguerre. Risulta altresì come il celebre astronomo Arago, il quale aveva DE U DECO UVE ME avallato il primato di Daguerre, era perfettamente al corrente del­ H I T KOB DAGliEBBÉOTYPB, le prove di Bayard: quest’ultimo del resto aveva allestito addirit­ retasi* t'un MiK* tv* ts« tìsitabuc immn tura una mostra delle sue fotografie su carta, due mesi avanti la FETI M. JOSEPH - MIOÉPBOnE NIÉPCE, storica seduta plenaria del 19 agosto 1839 dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Francia, in cui venne pubblicamente sve­ par job jfila, CSa'ùan Ult'pa, lato il dagherrotipo. Ma Bayard era stato letteralmente zittito con la scusa che la fotografia sulla carta aveva scarso valore, e con una mancia di seicento franchi “perché si acquistasse una bel­ PARIS. la camera oscura.” Tutto questo per non rifare un programma uf­ A8T1ER, UBBAIRE, ficiale, una più o meno dotta prolusione scientifica preparata per la circostanza ed anche perché Bayard, forse perché afflitto da Aotrr itti. un difetto, avrebbe mal figurato in una pubblica consacrazione. È difficile incontrare, e non solo nella storia delle invenzioni foto­ grafiche, un personaggio più sfortunato di Bayard: che il primo libro con il quale gli si vuole rendere giustizia sia apparso stampato OISIORIQUE ET DESCRIPTJON in tedesco nella Parigi del 1943 è solo un tocco di un quadro elo­ quente. Bayard, di questo quadro, aveva un’idea molto chiara, al SSB rtOCiDit DO punto da lasciarne una... versione fotogenica in un suo autoritrat­ DAGUERRÉOTYPE to terrificante dove appare morto, annegato e putrefatto, con una et 6u ©iorama, lunga didascalia in cui fra l’altro dice: “Questo che vedete è il ca­ davere di Bayard, inventore del procedimento che avete appena PAR DAGDERRE, conosciuto e di cui finirete per apprezzare i meravigliosi risultati... Ntta. tostar li Som Afe * li Min li (Usa latina, m, n Ebbe molti riconoscimenti ma nemmeno una lira. Il governo, che ha fatto anche troppo per Daguerre, ha detto di non poter far nulla per Bayard, che si è gettato in acqua per la disperazione. Oh! umana incostanza: artisti, scienziati e giornalisti non vanno nemmeno a riconoscerlo all’obitorio e nessuno lo reclama... Pas­ siamo avanti, per non offenderci l’olfatto: avrete infatti notato PARIS. che questo signore comincia a puzzare!...” ALPHONSE GIROOX ET C, •IX 00 eoo-UWT.nnso»*, 7, ai u /Mrifuenl (u J/rfmrtiUt Bayard ha continuato a puzzare, nella storia della fotografia, fino OELLUVE, UBRAIRE. .uni m la tomi, li ai nostri giorni: gli autori non sanno cosa fare di lui: non possono 1839 negare i suoi primati, insistono nello scrivere che la colpa fu sua di non sapersi mettere in luce, come se questo mortificasse l’in­ Poche vicende vennero narrate tante venzione. Un apprezzato storico vivente scrive che “...il contribu­ volte quanto quella della fotografia e se per tale s’intende, come sua to di Bayard fu talmente personale da non avere alcun effetto grandiosa applicazione, anche il ci­ sullo sviluppo successivo della fotografia...”! Ma abbiamo appena nema nessuna delle moderne inven­ zioni può vantare tante opere di detto che nessuno provò mai a fotografare alla maniera di Niépce. storia: i titoli sono migliaia in cen- La verità è un’altra: il riconoscimento dei meriti di Bayard com­ totrent’anni! Il primo libro dì storia dell’immagine ottica resa stabile ap­ porta l’automatico riconoscimento dei demeriti di troppi famosi parve addirittura l’anno del più cla­ personaggi, la riscrittura di testi, di migliaia di voci di enciclo­ moroso annuncio di un procedimen­ to relativo, scritto dall’inventore stes­ pedia e dizionari, forse la rimozione di qualche busto e qualche so, Daguerre, il 1839. Il secondo targa: tutte cose che nuocciono al mito promozionale dell’indu­ libro di storia apparve subito dopo, nel 1841, per smentire puntualmente stria fotografica. molti fatti e la sostanza de! primo, Insomma, come la polemica Niépce-Daguerre anche l’affogamento scritto da Hippolite Niépce, figlio di Nicéphore, che rivendicava al pa­ di Bayard è diventato una tradizione. Ultimo esempio: in Life Pho- dre il merito dell’invenzione. tographie, monumentale enciclopedia dell’immagine ottica, mono­ grafica e in diciassette volumi, a Hippolyte Bayard sono dedicate due immagini e mezza colonnina con la seguente testuale riflessio­ ne, un epitaffio davvero conclusivo e significativo: “...Bayard era 6 Alcune fotografie di Hippotyte Ba- gio negativo-positivo, considerando al sole, sullo sfondo nero della por­ yard, lo sfortunato pìotofotografo pa- ì! solo risultato negativo della ripresa ta aperta per meglio risaltare, la te­ rigino “liquidato” dall’astronomo su carta sensibile come inutilizza­ sta china e gli occhi chiusi per resi­ Francesco Arago, deputato e capo bile. Un errore del genere era stato stere alla lunghissima posa; è del dell’ala sinistra dell’opposizione re­ commesso anche da Niépce, e pro­ 1845 ed eseguito con il procedimento pubblicana alla Camera, all’epoca babilmente da altri. L’inutilità appa­ calotipico di cui si parla avanti. Del delia “monarchia di luglio” di Luigi rente del negativo — che fu invece 1839 la terza immagine, un “dise­ Filippo. Bayard che avuta notizia del­ la base della ripresa fotografica e gno fotogenico” ottenuto riprodu­ l’invenzione del dagherrotipo si era tale rimane — dipese anche logi­ cendo per contatto su carta sensi­ affrettato a mostrare i suoi più che camente dalla sua instabilità, cioè bile tre piume, un pezzo di tessuto buoni risultati di fotografia sulla dalla mancanza del “fissaggio.” Solo e una stampa probabilmente lito­ carta, venne zittito con una “mancia” resa stabile da quest'ultimo, l'im­ grafica. Il disegno è logicamente di seicento franchi e persuaso della magine “capovolta” nei toni chiaro­ negativo: secondo Bayard, e i suoi inutilità delia sua invenzione, troppo scuri poteva definitivamente sugge­ cattivi consiglieri, un risultato prati­ inferiore a quella di Daguerre. rire l’idea del suo recupero per il camente inutile! Probabilmente nocque a Bayard la “raddrizzamento” dei medesimi: vale La quarta immagine, che si trova con­ sua condizione di funzionario gover­ a dire ricavando un negativo dal ne­ servata presso la Società Frangaise nativo: in quanto tale doveva essere, gativo, essendo il positivo nella stam­ de Photographie di Parigi, è anch’es- almeno ufficialmente, legato alla pa proprio questo! sa datata 1839. Se l’anno è esatto, monarchia. Con immagini come que­ Nelle immagini di Bayard qui ripro­ e non vi sono ragioni per dubitarne, ste che non hanno nulla da invidiare dotte si vede: il suo autoritratto da Hippolyte Bayard risulta il primo che alle prime calotipie, Bayard allestì annegato, la macabra messa in sce­ ha ottenuto in Francia buone imma­ un'esposizione due mesi avanti la na di cui si parla nei capitolo. La gini fotografiche su carta: un meri­ proclamazione del trionfo di Daguer­ fotografia è ottenuta con processo to, tenendo conto di quello che poi re, a Parigi. L’esposizione passò positivo diretto su carta ed è datata fu la vera fotografia, assai maggiore inosservata per mancanza di pubbli­ 18 ottobre 1840. Non bisogna giudi­ di quelli di Daguerre e altri proto­ cità e di appoggio politico e della carla da quel che appare ora: il tem­ fotografi. La qualità di questa natura stampa della capitale, influenzata po l’ha rovinata. Resta intatto il suo morta è eccellente! Quinta ed ultima specialmente dalla opposizione. Ba­ grande valore simbolico: Bayard è opera di Bayard: “la petite boudeu- yard venne “liquidato” anche con solo il primo di molti “affogati” della se,” titolo che è un piccolo trucco pessimi consigli tecnici: fu convinto fotografia, in nome dei vantaggi per nascondere la lunghezza della ad ottenere immagini sulla carta di­ economici e propagandistici di cui posa. La bimba infatti non è “im­ rettamente positive e a questo scopo è stata il mezzo. All’autoritratto da bronciata” ma l’espressione tradisce sacrificò tempo ed energia. Non “annegato” segue un autoritratto da lo sforzo sopportato per restare comprese cioè il valore del passag­ vivente del povero inventore: seduto immobile... 7

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