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Storia europea della letteratura italiana - I. Le origini e il Rinascimento PDF

681 Pages·2009·3.08 MB·Italian
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ALBERTO ASOR ROSA STORIA EUROPEA DELLA LETTERATURA ITALIANA 1. Le origini e il Rinascimento Einaudi Presentazione Una «storia della letteratura» si può scrivere in molti modi, molti dei quali del tutto legittimi, anche se fortemente contraddittori fra loro. Protagonisti privilegiati di questa «storia della letteratura» sono gli Autori e le Opere. Questa scelta non è avvenuta in maniera occasionale: essa rappresenta il frutto di una precisa persuasione metodica, maturata a poco a poco in lunghi anni di esperienza. La domanda, cui la soluzione proposta intende rispondere, è: di cosa è «fatta» una letteratura? Una letteratura è fatta fondamentalmente di Autori e Opere, e la sua «storia» non può che tentare di render conto di questo. È ovvio, mi pare, che ne emerga la proposta di correggere la tendenza, predominante (spesso in forma confusa) negli studi storico-letterari degli ultimi decenni, di considerare l’«opera letteraria» un «testo» non diversamente da ogni altro possibile tipo di «testo»: la concezione «oggettuale», propria di qualsiasi atteggiamento semiotico-strutturalistico, ha dato i suoi frutti, ora si tratta di passare a una fase piú avanzata, e comunque diversa, della ricerca. Per questo l’«analisi» delle opere, soprattutto quando grandi, occupa un posto cosí rilevante nella nostra esposizione. Ciò di cui si deve rendere ragione, anzitutto e soprattutto, è quale sia il «tessuto formale» che contraddistingue questo o quell’esperimento. Naturalmente, le ricostruzioni storiche, i proclami ideologici, i manifesti intellettuali e le congetture sociologiche contano molto anch’essi per comprendere quale sia il «percorso» compiuto nella sua interezza. Però, in ultima analisi, conta molto di piú ciò che di quel percorso ci resta sotto gli occhi: un insieme di parole, scritte e organizzate in modo tale da restituire ogni volta un risultato diverso. Questo risultato diverso, replicato migliaia, decine di migliaia di volte, costituisce l’effetto miracoloso di un processo creativo che non si ripete mai in nessun caso nel medesimo modo, ed esso è ciò che rappresenta l’oggetto prevalente di questa nostra ricostruzione. Perché il mutamento degli orizzonti e dei metodi di cui parliamo risultasse non artificiale, è stata necessaria la rilettura pressoché integrale dell’immenso corpus degli Autori e delle Opere della letteratura italiana: fatica non piccola, la quale ha consentito, come si vedrà, di formulare qualche piccola nuova osservazione non solo su caratteristiche e valori della letteratura italiana nel corso del tempo ma anche, sia pure il piú delle volte implicitamente, sulla storia e sull’identità italiana tout court. Ma sui risultati di questo ri-attraversamento giudicherà, com’è ovvio, il lettore. Se una storia letteraria è, fondamentalmente, interpretazione di Autori e lettura di Opere, tuttavia non è sottovalutabile il peso che l’organizzazione di tale materia assume nella costruzione del risultato complessivo, quello che poi vale anche come ausilio e strumento d’interpretazione delle varie forme del discorso letterario. Intervengono qui altri elementi, pertinenti al dosaggio, diciamo cosí, dei vari elementi chiamati in gioco. Da uno – fondamentale per me – di questi esperimenti (non formali) di organizzazione del discorso storico- letterario discende, ad esempio, il titolo stesso (e, ovviamente, l’ispirazione principale) di quest’opera: «Storia europea della letteratura italiana». «Europea» significa che in quest’opera le vicende letterarie italiane sono state inserite – il piú sistematicamente possibile – in un contesto europeo. Tutto ciò è ovvio, naturalmente: in pratica, però, non s’è fatto quasi mai. Il mio sforzo è consistito nel far emergere la trama di questo tessuto di relazioni e nel renderla evidente. Si tratta, come si è sempre trattato, di una partita estremamente complessa, in cui il dare e l’avere (dell’Italia all’Europa e dell’Europa all’Italia) si sono misurati e talvolta contrapposti secondo equilibri e squilibri mutevoli: lungo un percorso che dura ormai da piú di otto secoli e si prolunga verso il nostro futuro, quando l’intreccio appare destinato a infittirsi ancora di piú. Il titolo, dunque, registra innanzi tutto un dato di fatto: le cose sono andate proprio cosí, non ci resta che prenderne atto. Ma esprime anche la presenza di un diverso angolo visuale nell’analisi dei nostri fenomeni letterari; e costituisce al tempo stesso un auspicio per quanto ancora è destinato ad avvenire in questo campo, sia dal punto di vista critico, sia, ancor piú, dal punto di vista creativo. Continuando a ragionare in termini di «organizzazione» e «sistema» della storia letteraria: quest’opera avrebbe anche potuto intitolarsi, per ragioni altrettanto buone, Storia delle letterature italiane. A guardar bene, infatti – e io ho cercato di farlo –, in quel percorso storico plurisecolare si manifestano in Italia non una sola letteratura, ma piú letterature, abbastanza diverse fra loro, anche se legate dal filo robusto della tradizione. Ciò appare vero, sia qualora le vicende letterarie italiane vengano esaminate lungo il loro svolgimento orizzontale (la storia), sia qualora vengano esaminate nella loro stratificazione verticale (rapporti centro-periferia). Nel primo caso, infatti, è possibile verificarvi la presenza di tre, quattro poderose cesure che sconvolgono i quadri intellettuali, mutano i valori formali, modificano persino l’antropologia degli scrittori e dei poeti (non dirò qui quali esse di volta in volta siano state, rimandandone la scoperta alla lettura dell’opera). Straordinario strumento di coesione, tuttavia, a far da ponte anche al di sopra delle rotture, la lingua: la lingua letteraria, s’intende, perché di quella parlata, come vedremo cammin facendo, occorrerà fare tutt’altro discorso. Nel secondo caso è facile constatare che, accanto a costanti processi di centralizzazione, si manifestano in Italia processi altrettanto e in certi momenti piú robusti di diversificazione regionale o locale sia tematica sia linguistica: una fenomenologia che non ha eguali in Europa e caratterizza la nostra letteratura (e la nostra cultura) in modo inconfondibile. Se si desiderasse incrociare i risultati di questi due diversi parametri di ricerca per arrivare a una conclusione comune, direi che, per quanto mi riguarda, si è trattato di un tentativo di ridefinire, attraverso le vicende letterarie del nostro popolo, una certa nozione dell’identità italiana, messa a confronto con le altre identità europee, che le stanno intorno e hanno, direttamente o indirettamente, o per simpatia o per contrasto, contribuito a crearla. Questa identità – per come io l’ho letta nelle opere di poeti, narratori, letterati, storici, filosofi e scienziati, personaggi spesso molto diversi fra loro, il piú delle volte colti, ma qualche volta anche incolti o meno colti – fonde insieme unità e diversità. Questo non ce lo inventiamo noi oggi: lo hanno praticato per secoli i nostri scrittori. Diversi, spesso, ma anche sempre (o il piú delle volte) uniti. Lombardi, ma italiani. Siciliani, ma italiani. Veneti, ma italiani. Romani, ma italiani. E magari, da questo momento in poi soprattutto, europei, ma italiani. Ma anche viceversa: italiani, ma toscani. Italiani, ma piemontesi. Italiani, ma napoletani. Italiani, ma europei. In Italia non c’è unità senza diversità: ma non c’è diversità senza unità. Senza unità non c’è, non c’è mai stata in Italia, cultura, non c’è letteratura, ma solo disgregazione, folklore, mitologia tribale, aneddotica bertoldesca. Almeno cosí l’hanno sempre pensata i nostri piú grandi scrittori, da Dante a Manzoni, da Verga a Pirandello, da Gadda a Calvino. E non c’è motivo, mi sembra, per non continuare a pensarla come loro. Se queste sono, come penso, le coordinate fondamentali di questo «racconto letterario», qualche parola in piú occorre aggiungere per descrivere il tipo di conoscenze che sono state necessarie per costruirlo e renderlo il piú possibile armonico e persuasivo. Francesco De Sanctis, nel suo saggio sulle Lezioni di letteratura di Luigi Settembrini, che è del 1869, dichiarava che una storia della letteratura italiana sarebbe stata possibile, solo «quando su ciascuna epoca, su ciascuno scrittore importante ci sarà tale monografia o studio o saggio, che dica l’ultima parola e sciolga tutte le questioni», tutta roba che, secondo lui, a quei tempi mancava (poi, a dir la verità, di lí a poco De Sanctis scrisse la sua, facendo a meno di tutto questo, e fu, beninteso, una grande fortuna). Ora, centoquarant’anni dopo le parole ammonitrici di De Sanctis, siamo esattamente nella situazione opposta. Gli autori, di cui non si può fare a meno se si affronta seriamente il problema di una ricostruzione storica della letteratura italiana, sono almeno dieci volte tanti quelli di cui De Sanctis poteva disporre; su ogni «quistione» o autore od opera, anche minori e minimi, esistono decine di monografie; le edizioni critiche, che ci consentono di leggere o rileggere al meglio testi antichi e recenti, sono centinaia. Scrivere una storia della letteratura italiana, oggi, significa servirsi per quanto è possibile di questa mole enorme di materiali critici, storici e filologici, e, al tempo stesso, fatto quel bagno, liberarsene. Liberarsene significa, come abbiamo già detto, tornare il piú possibile alla lettura e interpretazione dei testi: tentare di far rivivere il passato ancora una volta in modo diverso. Le possibilità dell’errore (errore di fatto ed errore critico), su di una materia cosí sterminata, e al tempo stesso con una progettualità intenzionalmente cosí libera, aumentano enormemente (se ci sarà qualcuno che vorrà segnalarmene, gliene sarò grato). Ho preferito però rischiare l’errore, personalizzando le mie letture, che restare imprigionato nel gigantesco sipario che a poco a poco s’era creato fra lettore e testo in conseguenza dell’enorme (e naturalmente in sé positivo) lavorio critico e filologico. Ritorno, per concludere, al problema già richiamato dell’«identità italiana». Su questo punto non c’è stata da parte mia nessuna posizione pregiudiziale. Se in quest’opera si parla molto d’Italia e di italiani, è perché molto ne hanno parlato gli scrittori e i poeti che ne sono stati protagonisti: andavano appassionatamente alla ricerca di qualcosa che non c’era, quando non c’era, e di qualcosa che non si sapeva bene cosa fosse, quando sembrò che ci fosse. È un rovello, una ricerca, comunque una costante del nostro modo d’essere nella storia, una forma dell’identità anche questa, per quanto assai singolare, visto che approda raramente a certezze. Da questo punto di vista non si può non rilevare l’importanza enorme che la «letteratura italiana» ha rivestito sul nostro «essere italiani», e sul nostro «modo di esserlo»: un’importanza che non ha eguali nel contesto europeo moderno. Estremizzando, si potrebbe dire che non ci sarebbero stati né l’Italia né gli italiani se non ci fosse stata la «letteratura italiana». Piú verosimilmente si è trattato di un intreccio profondo e al tempo stesso contraddittorio: la «letteratura italiana» è stata, in condizioni storiche difficilissime, un modo privilegiato per gli italiani di «essere italiani». Naturalmente, cose analoghe si potrebbero dire a proposito delle nostre arti e, per lunghi periodi, della musica. Però la letteratura, per esprimersi, usa la lingua: la stessa lingua – magari a distanze abissali – che si parla tutti i giorni. Il legame sembra in questo caso decisamente piú intrigante e complesso. Se si nega questo, o anche una sola parte di questo sistema, destinato poi a trascinare tutti gli altri, si nega tutto il resto: non c’è piú letteratura italiana, non ci sono gli italiani e dunque non c’è l’Italia. Speriamo di non dover assistere a questo retrogrado crepuscolo, anche se qualche pericolo si è già vistosamente manifestato. La lunga ricerca e il grande sforzo non sarebbero stati possibili senza la confidenza e l’appoggio di un gruppo di amici e di collaboratori. Desidero ricordare qui le dottoresse Monica Storini, Lucinda Spera e Giulia Ponsiglione, da lunghi anni validamente partecipi di molteplici progetti di ricerca e di studio comuni; Sabine Koesters, che ha curato con grande sapienza le schede linguistiche che accompagnano la mia storia; Sergio Saviori, Marina Di Simone, Benedetta Montagni, Laura Rossi, dirigenti e redattori della casa editrice Le Monnier (per la quale è apparsa una versione scolastica di questa Storia); Roberto Cerati, il Presidente per antonomasia, primo ispiratore di questo disegno, Ernesto Franco, Walter Barberis, Mauro Bersani, Carlo Alberto Bonadies, della casa editrice Einaudi, i quali dopo tanti anni di lavoro comune continuano a leggere le mie cose con immutata indulgenza, e Graziella Girardello, che delle mie pagine sparse riesce a fare un libro; Alessandra Rabitti, la quale con sapienza e pazienza infinita ha reso possibile che la scrittura complicata degli antichi amanuensi trovasse la strada per tradursi negli incorporei (ma nonostante ciò piú leggibili) codici della moderna tecnologia; Enrica Zaira Merlo, che con capacità ed energia estrema ha dato l’ultima e piú visibile «forma» alla mia impresa; e, last but not least, Velia Bernabei, che mi ha dato una mano, preziosa, a portare avanti l’insieme. L’enorme debito di gratitudine, che devo a Marina in termini di sollecitazione intellettuale e affettiva, cercherò di dirlo piú compiutamente in altri modi, se mi riesce. ALBERTO ASOR ROSA Nota bibliografica. Approfitto dell’occasione rappresentata dall’esigenza (insolita) di approntare una bibliografia ad una Presentazione, per dire cosa io intenda in generale per «bibliografia». Per «bibliografia» io non intendo un elenco lungo e indiscriminato di testi e di opere, di nessuna utilità, se non venga illuminato da un altrettanto lungo e puntuale ragionamento critico (il quale, però, non è affar nostro in questa sede). Per «bibliografia» io intendo l’indicazione, magari essenziale e persino sommaria ma precisa, delle opere di cui il critico-storico dichiara di non aver potuto fare a meno nella stesura del suo discorso. Riducendo la mole, si va piú utilmente al sodo: e chi dissente, ha tanti argomenti in piú per farlo di quanti ne ha chi è piú disponibile a dichiararsi d’accordo. Per gli stessi motivi è evidente che, nelle bibliografie in calce ai singoli capitoli, io presterò piú attenzione alle opere dei critici che ai testi degli autori: di questi ultimi, infatti, si potrebbe dire una volta per tutte che è stata sempre consultata l’edizione piú accreditata (a meno che, come talvolta accadrà, non sia necessario precisare qualche dato indispensabile ai fini della comprensione del mio testo). Venendo alla Presentazione: è chiaro che la difficoltà di dare un’informazione storico-critica aggiornata aumenta di molto. La Presentazione, infatti, soprattutto in questo caso che è il mio, è un «atto di fede» che l’Autore formula per rendere piú evidenti i postulati (attuali) della sua dottrina. Per spiegare come e perché l’ho scritta, dovrei raccontare la mia storia negli ultimi trent’anni: impresa decisamente superflua, visto oltretutto che quel che ne resta, in positivo o in negativo, è la Storia che oggi presento. Qualche rapido cenno servirà tuttavia a illuminare meglio la prospettiva. Si potrebbe dire che, nato come critico marxista e fortemente politicizzato, mi sono andato orientando sempre di piú verso una considerazione intrinsecamente autonoma (non però autosufficiente né «formalistica») del fatto letterario. Ho tratto molto giovamento dal confronto con la «scuola stilistica italiana» (Contini, Segre, Corti): molto meno dalle tendenze strettamente strutturalistiche e semiologiche, pur non potendo negare loro qualche merito. Se si volessero documentare questa discussione e questo passaggio si potrebbe risalire utilmente al volume miscellaneo La scrittura e la storia. Problemi di storiografia letteraria, a cura di A. Asor Rosa (con interventi di vari autori: Cesare Segre, Emilio Garroni, Georges Duby, Mario Lavagetto, Guglielmo Gorni, Ignazio Baldelli, Maria Corti, Alberto Varvaro, Maurizio Bettini, Roberto Antonelli), pubblicato a Firenze da La Nuova Italia nel 1995. Fondamentale l’esperienza – conoscitiva, testuale e perfino umana – compiuta con la grande impresa della Letteratura italiana Einaudi, apparsa tra il 1982 e il 2000 in 16 volumi (e recentemente ripubblicata da «la Repubblica» in 23 volumi, dal settembre 2007 al febbraio 2008, con arricchimenti, aggiornamenti, etc.), nella quale compare già, a fondare l’intera ricostruzione, il binomio Autori-Opere, che, come si dice qui nella Presentazione, è basilare anche per questa Storia. Fondere il poliformismo, autoriale e tematico, della Letteratura italiana Einaudi con l’unicità di un punto di vista autoriale (in questo caso il mio), ha costituito il grande impegno di quest’ultima esperienza di scrittura. Quando si progetta una Storia – di qualsiasi natura – è evidente (anche se non per tutti) che si ha bisogno di un «asse storico». È il problema con cui si sono misurati, piú o meno, tutti gli esponenti della «scuola storico-letteraria italiana», una delle piú rilevanti in Europa. I motivi del nostro distacco dallo storicismo tardo-hegeliano desanctisiano li abbiamo esposti anni fa, mettendoli alla base della concezione della Letteratura italiana Einaudi (cfr. A. ASOR ROSA, Letteratura, testo, società, in Letteratura italiana, I. Il letterato e le istituzioni, Einaudi, Torino 1982, e in particolare il par. Il «diagramma De Sanctis»... e il nostro, pp. 22-27). Il distacco dallo storicismo crocio-gramsciano ne è ovviamente conseguito, e senza particolari difficoltà (anche se desidero ricordare il debito contratto qualche decennio fa con il miglior testo di storia della letteratura italiana dopo quello del De Sanctis: N. SAPEGNO, Compendio di storia della letteratura italiana, 3 voll., La Nuova Italia, Firenze 1936-47). Ciò che mi preme qui precisare è che, se è vero che una diversa idea di storia cambia l’idea che si ha di una storia della letteratura, è vero anche – e per noi forse anche di piú – che una diversa idea di storia della letteratura cambia l’idea che si ha della storia. Quale idea della storia, dunque, conseguiva dalla nostra diversa idea di storia della letteratura? Cade qui a proposito il riferimento all’operazione fortemente innovativa di C. DIONISOTTI, Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1967 (sull’opera in questione si veda il recente contributo di M. BERSANI, «Geografia e storia della letteratura italiana» di Carlo Dionisotti, in Letteratura italiana, seconda edizione con «la Repubblica», vol. XVII, pp. 217-41): è piú chiaro oggi di allora che Dionisotti pensava in modo diverso la «storia della letteratura italiana», perché (forse in maniera implicita, ma già sufficientemente chiara) pensava in modo diverso la «storia italiana» (ma anche viceversa). Della nostra idea di «storia italiana» non possiamo dare complessivamente un solo ed esaustivo riferimento bibliografico: in calce ai singoli capitoli si troveranno gli specifici riferimenti. Possiamo dire però che essa, rispetto alle tradizionali vulgatae, non ha rappresentato per me né un fattore di condizionamento esterno (storicismo socio-materialistico) né un serbatoio di idee e atteggiamenti, che ci si potesse limitare a «registrare» sic et simpliciter (storicismo idealistico-formalista): ma un intreccio di motivi, pulsioni, bisogni, tensioni ed attese, che hanno, con quelli della corrispondente e coeva produzione letteraria, un rapporto al tempo stesso di causa ed effetto. Se si avrà la pazienza di seguire punto per punto questo filo, si scoprirà, cammin facendo, che non esiste mai una sola storia: ne esistono molte, generate dai diversi «punti di vista» dell’osservatore. La plurifocalità (caratteristica intrinseca e genetica della Letteratura italiana Einaudi) è stata da me rielaborata per essere governata e gestita da un solo cervello. L’inserimento della coordinata europea, accanto e non contrastivamente con la coordinata geografico-

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Dopo avere innovato profondamente la storiografia letteraria con un'opera collettiva come la Letteratura italiana Einaudi, da lui ideata e diretta, Alberto Asor Rosa ridisegna questa volta interamente in prima persona gli intrecci fra opere, uomini, luoghi, condizioni storiche ed economiche che dàn
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