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Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo PDF

488 Pages·2012·2.47 MB·Italian
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53 Prima edizione ebook: agosto 2012 © 1991, 2006 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-2613-8 www.newtoncompton.com Edizione elettronica realizzata da Gag srl Henri Pirenne Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo Introduzione di Ludovico Gatto Edizione integrale Newton Compton editori Ancora sulla «Storia d’Europa» e sul suo autore Se dovessimo considerarla in termini esteriori, potremmo dire che la vita di Henri Pirenne non rivestì aspetti particolarmente interessanti e, comunque, tali da colpire l’immaginario collettivo o individuale. Nacque infatti da una famiglia di industriali belgi a Verviers, nel 1862; compì i suoi studi storici fra il 1879 e il 1884 presso l’Università di Liegi, poi a Lipsia, a Berlino e a Parigi, approfondendo la sua conoscenza oltre che in quelle storiche nelle cosiddette «scienze ausiliarie», da lui subito tenute in buon conto; nel 1886 entrò come insegnante di storia nell’Università di Gand, divenendo ordinario nel 1889; in seguito all’occupazione tedesca del Belgio del 1914, fu deportato in Germania, fra il 1916 e il 1918. Tornato in patria, a guerra finita, con l’opera di docente e di studioso, riprese – intensificandole – le attività di storico e di organizzatore della ricerca; nel 1923 presiedette il V Congresso Internazionale di Scienze Storiche e, nel 1926, fu tra i fondatori del Comité International des Sciences Historiques; visitò, quindi, alcune fra le più prestigiose università del mondo, tenendovi conferenze, partecipando a Convegni e Congressi; morì a 73 anni professore emerito di storia, a Uccle, nel 1935. Se la sua esistenza, eccezion fatta per il periodo della prigionia, non presenta, dunque, aspetti insoliti (egli, fra l’altro – che si sappia – non ebbe neppure preoccupazioni di carattere economico), si deve riconoscere che del tutto straordinaria appare la sua attività di storico, per il lungo arco di anni – oltre mezzo secolo – durante il quale si dispiegò, nonché per la mole di lavoro complessivamente svolto. Affermarono, infatti, François Ganshof e, poi, Bryce Lyon che nel complesso, a partire dal 1882, quando, non ancora ventenne, compose il primo consistente saggio sul poeta liegese del IX secolo, Sedulio, sino alla fine, pubblicò trenta volumi, duecentosettantacinque articoli, note e comunicazioni congressuali, oltre a un centinaio di recensioni; un vero e proprio record che conosce pochi confronti: William Stubbs e Frédéric W. Meitland in Inghilterra e, forse, Georg Weitz in Germania. Anche per lo stile dei suoi scritti dobbiamo tuttavia dire che egli si distinse, vuoi per un’insolita, sobria ricercatezza dei termini, vuoi per la potenza narrativa derivatagli dalla consuetudine con gli storici dell’Ottocento e del Settecento – specialmente con i francesi e con Voltaire in particolare – maggiormente posta in evidenza quando, come nel volume ora presentato, egli fu libero dall’impaccio delle citazioni rigorose delle fonti, a lui ben presenti ma filtrate attraverso una grande sensibilità. Nell’ambito di tanto ampia produzione, L’Histoire de Belgique, Les Villes du Moyen-Age, L’Histoire de l’Europe, Mahomet et Charlemagne, sono le opere ritenute, spesso emblematicamente, più rappresentative di tutta la produzione dello storico belga. I quattro contributi in questione sono stati definiti – vedremo in qual misura ciò sia accettabile – di sintesi o, meglio, delle «vulgarisations» di altre abbondanti ricerche di carattere economico e sociale. In proposito, va detto per chiarezza che non negheremo davvero l’importanza dei quattro suddetti lavori pure se aggiungeremo che è apparso forse esagerato l’interesse quasi esclusivo dal quale essi sono stati circondati, a scapito di altri dello stesso autore. Infatti, in quasi ogni sua pagina redatta in oltre mezzo secolo di lavoro, possono reperirsi approfondimenti e spunti destinati a costituire il sostrato della elaborazione pirenniana, nel cui novero L’Histoire de Belgique, Les Villes du Moyen-Age, il Mahomet et Charlemagne e L’Histoire de l’Europe (ma non essenzialmente quest’ultima), costituiscono una sorta di iceberg le cui basi sommerse si rivelano assai più ampie e talora non del tutto note. Comunque, sono questi i «titoli» più spesso citati e tradotti e, fra essi, sono due quelli – potrebbe sembrare sorprendente – usciti postumi, rispettivamente nel 1937 Mahomet et Charlemagne (pubblicato da F. Vercauteren, allievo di Pirenne e storico ben conosciuto nell’ambito della medievistica europea dagli anni quaranta del XX secolo in poi) e, nel 1936 L’Histoire de l’Europe. In effetti, per esser precisi, del tutto successiva alla morte può considerarsi la comparsa del Mahomet, composto dal belga nell’ultimo periodo della vita e passato, appena, in tipografia quando lo studioso chiuse gli occhi per sempre. L’Histoire, invece, edita anch’essa un anno dopo la fine del nostro storico, risaliva, come si sa, a molti anni prima e precisamente alla guerra mondiale e al periodo della prigionia tedesca. Diremo, a proposito, sia pur di passata, che gli avvenimenti legati ai due conflitti – 1914-1918 e 1939-1945 – hanno contribuito sensibilmente a sviluppare il cammino e l’evoluzione del pensiero storico europeo. Pirenne, infatti, per l’atteggiamento coraggioso e patriottico verso la sua università di cui volle difendere il patrimonio culturale e materiale, nel 1916 venne deportato in Germania. Così fu però anche per Ferdinand Braudel, durante il secondo conflitto mondiale tradotto nei campi di prigionia tedeschi di Magonza e Lubecca. Nel periodo di segregazione Braudel, forse consapevole dell’esempio offerto venticinque anni prima dall’autore del Mahomet, cercò di proseguire anch’egli i suoi studi, organizzando e dirigendo per i compagni un padiglione denominato Università del campo e scrivendo una gran parte del lavoro che, al tacer dei cannoni, venne dedicato al Mediterraneo ai tempi di Filippo II. Più tragica, invece, la vicenda del grande Marc Bloch per questo, solo in parte raccostabile all’illustre collega dell’Università di Gand. Bloch, infatti, fu catturato dai nazisti nel 1944, tradotto in campo di concentramento e quindi fucilato. Per restare, però, a Pirenne e alla sua meno infausta sorte, sono famose le sue traversie di guerra, in seguito alle quali fu assegnato a una residenza coatta a Krefeld, a Holzminden e poi a Kreuzburg, in Turingia, e forzatamente sottratto ai suoi studi e alle sue abitudini. Altrettanto conosciuto fu il suo impegno a concentrarsi in prevalenza sui problemi della cultura e, per quanto possibile, sull’insegnamento e la ricerca. Per quel che attiene al primo compito, organizzò corsi di lezioni aperte ai compagni di prigionia, specialmente ai russi ai quali impartì un corso di storia economica ricevendone in cambio nozioni della loro lingua ch’egli si mise a studiare più che cinquantenne. Per tutti gli altri, i compatrioti tra i primi, tenne un corso di storia del Belgio, il cui successo fu senza pari. Per quanto riguarda la ricerca, cominciarono, dopo una lunga maturazione, a prendere corpo in lui le linee essenziali della Storia europea ch’egli portava in sé, in quanto scaturite dal continuo, prolungato contatto con un’enorme quantità di fonti appartenute all’età di mezzo e che, perciò, anche se del tutto privo di libri e sprovvisto di strumenti di controllo, ebbe modo di articolare durante la prigionia, in una serie di tesi di carattere coerente. Nacque in tal modo L’Histoire de l’Europe, il cui piano dapprincipio fu steso su rozzi quaderni scolastici e poi, via via, si snodò in una narrazione forzatamente priva di date e di riferimenti bibliografici ma ricca di saldezza interiore, conclusasi con le vicende del 1550 e non oltre, poiché a prigionia finita, l’autore non riprese più tra le mani il colossale lavoro. Ferdinand Vercauteren raccontò in proposito che Pirenne ritornò a casa e presso gli allievi, riportando «come un trofeo» L’Histoire che non ebbe il tempo, né la forza di continuare, ma neppure il coraggio di distruggere. Poi, negli anni Trenta, sentendosi prossimo alla fine, egli la consegnò a uno dei suoi figli, a Jacques, divenuto, in seguito professore di diritto presso l’Università di Bruxelles, affinché si assumesse l’incarico di non lasciarla sepolta fra le carte inedite. Jacques – più tardi nominato conte nel 1951 – aggiunse le date, come le avrebbe volute il padre, fece alcuni non troppo pesanti riferimenti bibliografici e dette alle stampe l’Histoire, uscita diciotto anni dopo il suo concepimento, priva della parte finale che doveva proseguire dalla metà del XVI secolo fino al XX, ma, a suo modo, sostanzialmente completa, nonostante l’autore nel 1918 avesse smesso, come dianzi accennato, di lavorarvi ancora. Ecco, allora, perché quando si dice che essa «corona» l’attività storica pirenniana si commette a nostro avviso un’inesattezza. Infatti, è vero il contrario; vale a dire che nella Histoire rinveniamo già «in nuce» concetti e problemi individuati da Pirenne agli inizi della carriera di ricercatore, e poi da lui riproposti e sviluppati in numerosi, successivi contributi dell’ultimo quindicennio della vita e dell’attività. Così, se possiamo essere d’accordo con il figlio Jacques, quando affermò ch’essa rappresentò «son chef d’oeuvre» (torneremo su questo punto), meno facile è considerarla «l’ “aboutissement” d’une carrière vouée à la recherche de tout son savoir». Va sostenuto, ripetiamo infatti, che è ben vero il contrario: cioè, che questa importante testimonianza della medievistica europea della prima metà del nostro secolo, non conclude la carriera pirenniana, ma, in qualche misura, la preannuncia e la inaugura. Infatti, nonostante, fosse già conosciuta una parte dell’Histoire de Belgique, al ritorno dalla Germania – nel 1918 – non erano ancora stati scritti né Les Villes, né il Mahomet. Dunque, per le condizioni in cui L’Histoire de l’Europe concepita e l’aspetto che le fu conferito – «sans Faide d’aucun document ni d’aucune note», riferì Bryce Lyon – essa si presentò subito come un’opera destinata a maturare con il tempo. Peraltro, la crescente fortuna incontrata, specialmente negli ultimi decenni presso le Università, nell’ambito dell’insegnamento istituzionale, ha evidenziato che il giudizio espresso le si attagliava pienamente. Dato, però, l’utilizzo ormai corrente del suddetto lavoro a livello di magistero superiore, non si può fare a meno di porre a confronto questo «objet d’art aux miserables manuels dans lesquels il s’est initié à l’histoire de l’Europe» e non si può non notare ch’esso costituisce un organismo nelle cui vene circola un sangue ricco e gagliardo, una sorta di vino che con l’invecchiamento ha acquistato corpo e sapore. La prima dote de L’Histoire de l’Europe – per venire a un esame fatto più dappresso – è quella di essere dal principio alla fine carica di pensiero generalmente obiettivo e spassionato, caratteristica questa di un rigore scientifico già presente ne L’Histoire de Belgique, di cui l’autore ebbe a dire: «Ho scritto la storia del Belgio, fin dalle sue origini, con lo stesso distacco con cui avrei scritto la Storia degli Etruschi». Se, quindi, il Belgio di Pirenne è visto a livello continentale ed internazionale e rifugge da intendimenti nazionalistici, altrettanto e più lo è la sua Europa. Infatti, fuori di tal logica, a suo avviso, non sarebbero esistiti né il Belgio, né la sua storia, né una storia d’Europa ove si integrano vicende di zone più o meno vicine o lontane, legate da una stessa sorte. Pirenne dunque, dato il tipo di ricerca avviato e il continuo confronto con paesi e situazioni diversi, divenne uno dei più convinti assertori, in un’epoca in cui certe simpatie non abbondavano, del metodo della storia comparata. Le sue riflessioni sulle signorie, la feudalità con i suoi attributi, le istituzioni urbane, i governi locali, l’amministrazione dei principati e delle monarchie, della Chiesa e dei complessi monastici, il modo di gestire commerci e affari economici, gli consentirono in realtà di comprendere che raramente gli istituti di una terra divennero appannaggio personale ed esclusivo della stessa e che, invece, furono diffusi in gran parte dell’Europa occidentale, dei suoi stati, delle signoriefeudali e delle amministrazioni urbane. Proprio Marc Bloch, in ciò assai vicino allo storico di Verviers, ha sviluppato questo metodo di confronto che non disdegnava, anzi cercò la collaborazione e l’aiuto delle scienze ausiliarie, fruttuosamente impiegate per l’indagine comparata. Il metodo di Pirenne fu, pertanto, un continuo, consistente approccio che doveva presto portarlo all’Histoire de l’Europe, un libro ampio e spassionato di larga, immediata risonanza. In Italia, per la verità durante gli anni venti-trenta l’attenzione verso il belga di cui pochi si accorsero, fu relativa: fra questi, tuttavia, si segnalò per la riflessiva recensione al Maometto e Carlomagno Paolo Brezzi, il quale mise in evidenza il valore e la funzione di stimolo e di svecchiamento esercitata da quello studioso e dalla sua Histoire in cui fra le altre riflessioni brillarono quelle relative al Mediterraneo, non più veduto come un lago romano – come per intenderci lo viveva Pietro Silva – ma divenuto centro più ampio di cultura e di commerci. Per continuare con l’Italia, diremo che L’Histoire de l’Europe v’ebbe tarda diffusione rispetto al Maometto, fin dal 1939 tradotto nella nostra lingua. La versione dell’Histoire in italiano, invece, fu del 1956, seguita da talune ristampe e da una seconda edizione del 1967. Anche per questo la presente traduzione dovuta all’impegno di Cristiana Maria Carbone, si raccomanda per l’aderenza del linguaggio unita alla fluidità dello stile, capace di rendere la scrittura pirenniana in termini forse più vicini

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Introduzione di Ludovico GattoTraduzione di Cristiana Maria CarboneEdizione integraleHenri Pirenne scrisse quest’opera nel 1917, mentre si trovava prigioniero in Germania: per alleviare le sofferenze del carcere cominciò a tenere corsi di storia a un gruppo di detenuti russi che, in seguito, lo e
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