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Storia della Dermatologia e della Venereologia in Italia PDF

389 Pages·2015·11.408 MB·English
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Storia della Dermatologia e della Venereologia in Italia A cura di Carlo Gelmetti Presentazione di Maria Pace Ottieri 123 Storia della Dermatologia e della Venereologia in Italia A cura di Carlo Gelmetti Storia della Dermatologia e della Venereologia in Italia Presentazione di Maria Pace Ottieri 123 a cura di Carlo Gelmetti Professore Ordinario Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti Università degli Studi di Milano Direttore Clinica Dermatologica Fondazione IRCCS Ca’ Granda “Ospedale Maggiore Policlinico” Milano Si ringrazia Jean Blanchaert per il disegno originale riprodotto a pagina xvii. http://www.galleriablanchaert.it/ Ove non altrimenti specificato, le immagini inserite nel volume sono da considerarsi di pubblico dominio. L’Editore ha provveduto a inoltrare le richieste di autorizzazione per la riproduzione di figure e tabelle agli aventi diritto e dichia- ra la propria disponibilità a regolarizzare eventuali omissioni o errori di attribuzione. ISBN 978-88-470-5716-6 ISBN 978-88-470-5717-3 (eBook) DOI 10.1007/ 978-88-470-5717-3 © Springer-Verlag Italia 2015 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore e la sua riproduzione anche parziale è ammessa esclusivamente nei limiti della stessa. Tutti i diritti, in particolare i diritti di traduzione, ristampa, riutilizzo di illustrazioni, recitazione, trasmissione radio- televisiva, riproduzione su microfilm o altri supporti, inclusione in database o software, adattamento elettronico, o con altri mez- zi oggi conosciuti o sviluppati in futuro, rimangono riservati. Sono esclusi brevi stralci utilizzati a fini didattici e materiale for- nito ad uso esclusivo dell’acquirente dell’opera per utilizzazione su computer. I permessi di riproduzione devono essere autoriz- zati da Springer e possono essere richiesti attraverso RightsLink (Copyright Clearance Center). La violazione delle norme com- porta le sanzioni previste dalla legge. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dalla legge, mentre quelle per finalità di carattere professionale, economico o commerciale possono essere ef- fettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc. anche se non specifi- catamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. Le informazioni contenute nel libro sono da ritenersi veritiere ed esatte al momento della pubblicazione; tuttavia, gli autori, i cu- ratori e l’editore declinano ogni responsabilità legale per qualsiasi involontario errore od omissione. L’editore non può quindi for- nire alcuna garanzia circa i contenuti dell’opera. 9 8 7 6 5 4 3 2 1 2014 2015 2016 In copertina:Ritratto di vecchio con nipote, D. Ghirlandaio,@ Musée du Louvre, Dist. RMN-Grand Palais, Angèle Dequier. Riprodotto con autorizzazione. Layout copertina e impaginazione:Marco Lorenti e Massimiliano Pianta, Milano Stampa:Printer Trento S.r.l, Trento Stampato in Italia Springer-Verlag Italia S.r.l., Via Decembrio 28, I-20137 Milano Springer fa parte di Springer Science+Business Media (www.springer.com) A Karl Holubar, maestro di vita e di dottrina A tutte quelle persone che non sono nominate in questo libro ma che hanno contribuito alla cura dei malati dermovenereologici Presentazione La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo, circa due metri quadrati, in un individuo di statura media. Ogni suo centimetro quadrato contiene una miriade di vasi sanguigni, peli, nervi, ghiandole sebacee e sudoripare, e milioni di cel- lule delle quali molte sono in comunicazione con il cervello. Un luogo affol- latissimo, pieno di vita, che ci permette di percepire il mondo, una guaina che ci protegge e ci avviluppa attraverso la quale affiorano e si dichiarano le no- stre emozioni più forti: piacere, gioia, paura, angoscia, dolore. L’idea che sia una pagina da scrivere e da illustrare non è un’invenzione postmoderna. In molte civiltà antiche, il corpo dell’uomo era “umano” solo se decorato, dipinto, inciso; quello con cui si nasceva, coperto dalla pelle nuda come lo consegnava la natura, era solo biologico, un canovaccio neutro, su cui ogni individuo, per essere tale, aveva il dovere di raccontare il proprio mondo interiore, la parentela, la classe d’età, il genere, il rango. Gli onnipresenti tatuaggi di oggi, i draghi, le farfalle, le scritte e le decora- zioni tribali, in molti casi servono allo stesso scopo, a dichiararsi, a riconoscersi, a conciliare unicità e appartenenza. Quello che è invece (quasi) nuovo, oggi, è la pretesa di togliere alla pelle ogni traccia di vissuto, di stato emotivo, di riem - pire le crepe, di lisciare i solchi scavati dal tempo. Tanto nel bisogno compul- sivo del raccontarsi, quanto nel desiderio di occultarsi, di nascondere la propria età e dunque la propria storia, è sempre l’epidermide la tela su cui si interviene. Mai come nell’epoca contemporanea, l’uomo occidentale ha avuto così cara la pelle e ad essa ha dedicato una tale varietà di pratiche di modificazioni, dal pier- cingalla chirurgia estetica. Segno che, per quanto costantemente minacciati ed assaliti da nuove e te- mibili patologie che mantengono le caratteristiche pandemiche dei grandi flagelli della storia, abbiamo l’impressione che un vasto repertorio di piaghe, ulcerazioni, flemmoni, ascessi, fistole, foruncoli, erisipele, erpeti, gangrene, escare, flittene, edemi, rossori, gonfiori possa dirsi finito nella soffitta dei ri- cordi della medicina. Da questa posizione, per quanto illusoria, possiamo permetterci di guardare alle grandi e terribili malattie dei secoli passati come ad accadimenti roman- zeschi, spiare dal buco della serratura che cosa succedeva ai corpi malati dei pazienti e negli studioli dei medici, quali le ipotesi avanzate per spiegare le cause delle malattie, la sfrenata fantasia nell’invenzione dei rimedi, unzioni, frizioni, impiastri, inalazioni, decotti. Basti pensare alla regina delle malattie venereologiche che per cinquecento anni imperversò nel mondo intero, col- vii viii Presentazione pendo indistintamente re e papi, nobiluomini e contadini, gentildonne e nutrici, poeti e artisti e tanti poveri neonati: la sifilide. Compare per la prima volta in Spagna nel 1493 e, poco dopo, a Napoli du- rante la campagna d’Italia del re francese Carlo VIII. La diatriba sulla prove- nienza è ancora viva, ma presumibilmente la portarono alcuni marinai dell’e- quipaggio di Cristoforo Colombo reduci da incontri “impuri” con donne ca- raibiche. Gli italiani la chiamarono “mal francese”, i francesi “mal napoletano”, “vajolo ispanico” gli olandesi, “mal dei tedeschi” i polacchi e “mal dei polac- chi” i russi, mentre per i turchi era drasticamente “il mal dei cristiani”. Quel che contava era che fosse la malattia degli altri, meglio se nemici o almeno ri- vali. Protagonista indiscussa della tragica e appassionante carrellata epica sulle epidemie dermatologiche e venereologiche alla cui lettura vi accingete, accanto a peste, lebbra, vaiolo e infezioni purulente di varia natura, la sifilide racconta il traumatico passaggio dal Medioevo al Rinascimento ed è, fra tutte, la ma- lattia metaforica per eccellenza, quella che più di ogni altra si associa al sen- timento della colpa, della vergogna e del rifiuto sociale per via della sua ori- gine dal contagio sessuale e sulla quale si è scritto, studiato, sperimentato, elu- cubrato e sbagliato per secoli. Nato dal proposito di catalogare in forma enciclopedica il contributo dei der- matologi e venereologi italiani, il libro a cura di Carlo Gelmetti è un rispettoso e generoso omaggio a tutti quegli uomini straordinari che spesso hanno pagato il loro intuito geniale con l’indifferenza, la diffidenza e l’ostracismo. Se oggi si è portati a credere a qualsiasi novità, o presunta tale, in campo medico-scien- tifico, nei secoli passati le cose nuove erano vissute come contrarie alle leggi naturali, alle logiche e tradizioni millenarie, alla morale o alla religione. Un nome fra le centinaia di medici e studiosi citati (finalmente si conoscono le storie dei titolari di molte strade del nostro Paese): Gerolamo Fracastoro, fi- sico, astronomo, medico e poeta veronese (1478-1553), che per primo ipotizzò l’esistenza di organismi viventi invisibili, detti seminaria, e abbozzò una teo- ria scientifica secondo la quale questi erano agenti di malattia: corpuscoli che si trasmettevano o per contatto diretto o attraverso materiali o attraverso l’a- ria, quando la dottrina dominante propendeva più per l’idea di impurità del- l’aria respirata (i miasmi) che per una trasmissione da uomo a uomo, con una visione “magica” di infezione, di impurità morali, di peccato originale, di colpa patogena o punizione divina. Qui si srotola il filo della storia della dermatologia e della sua inseparabile branca, la venereologia, con passione erudita (l’erudizione è sempre stata un debole di molti medici dall’antichità a oggi), gusto per il racconto, vivace in- teresse per la caccia alle storie più bizzarre, come la vicenda di Benvenuto Cel- lini e della pietosa bugia detta a Clemente VII per giustificare la lentezza con cui lavorava al calice d’oro commissionatogli dal papa, senza confessare di aver contratto il “mal francese” da una bella giovane serva, o la storia del prospe- roso commercio di “legno santo”, efficace rimedio contro la sifilide dalle Ame- riche nel Vecchio mondo, di cui presto ottennero il monopolio i potentissimi banchieri tedeschi Fugger. Del resto le grandi malattie infettive non sono state uno degli elementi dell’espansione europea? Milano, 3 settembre 2014 Maria Pace Ottieri Prefazione Pochi anni fa, dei colleghi tedeschi mi invitarono a scrivere un profilo bio- grafico di alcuni dermatologi italiani da inserire in un libro monumentale, ambizioso già dal nome1. Fu allora che, scorrendo l’indice provvisorio, mi accorsi che i dermatologi italiani che erano stati selezionati per entrare nel cosiddetto “Pantheon” erano po- che unità rispetto a decine di colleghi germanici, francesi e anglosassoni. Nihil sub sole novi. Infatti, già nel lontano 1934, il grande Agostino Pa- sini2si lamentava che, nel vasto pano- rama della Storia della Medicina, la dermatologia e la venereologia ita- liane non avessero avuto una decorosa Immagine di Angelo Bellini quando lavora- rappresentazione, nonostante il fatto va nella Clinica Dermatologica di Milano che Achille Breda, glorioso primo agli inizi del Novecento. Ottimo dermatolo- professore di Clinica Dermosifilopa- go, reinventò la tecnica della ceroplastica tica all’Università di Padova, avesse applicata alla dermatologia. Fu anche mece- nate e lasciò la sua fortuna per la costruzio- scritto, mezzo secolo prima, due li- ne dell’Ospedale del suo paese natale (col- briccini sulla “Storia della dermatolo- lezione privata) gia in Italia” (Breda, 1878). Per que- sto Pasini invitò l’amico e collega Angelo Bellini3“a stendere, in modo ordi- nato ed a possibile completo, la storia dello svolgimento della dermatologia e venereo-sifilologia in Italia” (Pasini, 1934). 1 Nell’originale tedesco: Pantheon der Dermatologie(Il Panteon della dermatologia; Lö- ser e Plewig, 2009). Nell’edizione inglese (Pantheon of Dermatology), che è ampliata rispetto alla tedesca, gli italiani sono otto, compreso Luca Stulli che è diventato croato e cui è stato storpiato il nome in “Luco” (sic!). Ma, per fare solo due esempi, manca Girolamo Mercu- riale (il primo autore a scrivere un libro di dermatologia) e così pure manca Vincenzio Chia- rugi (il primo a ricoprire una Cattedra di Malattie Dermatoveneree). 2 Agostino Pasini è stato il primo cattedratico di Dermatologia e Venereologia dell’Univer- sità di Milano e il grande dominusdi questa branca della medicina a quel tempo. 3 Angelo Bellini, “già ben noto per la sua profonda cultura nella disciplina e per una spiccata attitudine agli studi storici” è stato veramente un grande uomo. Ottimo dermatologo, si recò ix x Prefazione Il Bellini, nell’introduzione al suo articolo, così precisava le sue intenzioni: Esula affatto dalle nostre intenzioni il ripetere qui uno studio già fatto da al- tri in modo vasto e completo, per quanto riguarda la storia della dermatolo- gia, delle malattie veneree e della sifilide in generale: abbiamo ottime tratta- zioni nella letteratura e specialmente nella tedesca, che potranno utilmente es- sere consultate dagli studiosi. Noi cercheremo, invece, di mettere in evi- denza, con accenni chiari, brevi e sintetici, il non piccolo contributo italiano nello sviluppo di tali discipline, perché quel contributo assai sovente fu igno- rato o negletto dagli stranieri; prova ne sia che, nei loro poderosi volumi di storia della medicina, il contributo italiano viene ricordato talora soltanto con qualche isolata e disinvolta paginetta o con pochi periodi, e cioè con quel poco che basti a farlo apparire pressoché insignificante. Il che, a vero dire, non deve essere tutto imputato a colpa degli stranieri, perché è naturale che essi cono- scano ed apprezzino e mettano in evidenza i valori di casa propria; ma non è giusto né naturale, che gli studiosi italiani ignorino e trascurino quanto di nuovo e di meglio è stato fatto in Italia, e non lo menzionino all’uopo, almeno con lo stesso zelo con cui citano le ricerche esotiche. (Bellini, 1934) Si era nel periodo del Ventennio Fascista e si era quindi “virilmente” invitati a riscoprire e a celebrare la grandezza italica4ma, nonostante qualche punta di nazionalismo5, l’affermazione del Bellini che la dermatologia e la venereo- logia italiane non fossero state valutate nella loro corretta prospettiva storica, era senz’altro vera. Quali disastri culturali combinò l’ideologia razzista di quel tempo, è pos- sibile capirlo leggendo un passo del trattato di Marcello Comèl (1939) che era uno dei dermatologi contemporanei di grido: L’EUDERMIA QUALE MOMENTO DELLA RAZZA I. L’INSEGNA VIVENTE ESTERIORE DELLA RAZZA Tra i diversi mammiferi, l’uomo solamente ha avuto la sorte di assurgere alla stazione eretta. Accanto a questa modificazione dell’atteggiamento del all’Ospedale Saint Louis di Parigi per chiedere rispettosamente a Baretta di apprendere la tec- nica della ceroplastica applicata alla dermatologia (i “moulages”). Avendone ricevuto un netto rifiuto, tornò in Italia e, senza scoraggiarsi, reinventò la tecnica della ceroplastica per raffigu- rare le malattie della pelle e realizzò l’intera collezione milanese. In ambito venereologico fu inventore di utili strumenti la cui commercializzazione fruttò cospicui guadagni. Lasciò tutta la sua fortuna per la costruzione dell’Ospedale del suo paese natale di Somma Lombardo. 4 Mussolini, rivolgendosi nel 1929 al corpo diplomatico, così si esprimeva: “Il Governo Fa- scista vuole che da oggi si risalgano fra i secoli le tracce luminose del genio Italiano e se ne raccolgano le espressioni. Esso vuole elevare il più grandioso monumento della riconoscenza e dell’orgoglio, che una generazione cosciente dei rinnovati destini della Patria possa tribu- tare alla propria stirpe. Ove sono vestigia di grandezza, sapienza e civiltà, se ne dovrà cu- rare metodicamente la documentazione più efficace, così da avere una visione sicura, finita, e una determinazione precisa dell’opera”. 5 Ad esempio, il Bellini qualifica il grande scienziato medioevale Michele Scoto (Michael Scot – Scozia, ca. 1175 – ca. 1232 o 1236) come siciliano mentre era, come indica anche il nome, scozzese di nascita; in Sicilia fu alla corte di Federico II di Svevia. Prefazione xi corpo una trasformazione altrettanto appariscente s’è verificata nei ri- guardi della sua superficie esterna. La pelle dell’uomo ha perduto, a dif- ferenza degli altri mammiferi, il rivestimento continuo del pelo. Esso, quale appendice cutanea, cresce nell’uomo in misura tale da costituire un insieme vistoso solo in determinate parti della superficie cutanea, e ad esse conferisce grazia e armonia. Divenuta glabra, la cute dell’uomo ha acqui- stato un’avvenenza particolare, e l’individuo umano eudermico di razza bianca rappresenta per vero l’essere vivente di più complicata bellezza [...]. L’uso del vestiario, questo fattore nocivo all’eudermia, viene in modo er- rato talvolta concepito quale origine della glabrezza della cute umana. In realtà anche le razze primitive non afflitte dall’abuso di vestimenti hanno la pelle glabra. Accanto alla differenziazione della ricopertura del corpo della specie umana, una distinzione di non minore entità s’è maturata nell’àmbito delle singole razze umane. Una sola di esse ha avuto in sorte di mantenere la cute priva di accumuli eccessivi di pigmento. Per un definito destino questa distinzione con- cerne l’eletta tra le razze, la depositaria delle qualità più nobili della specie. A questa sola razza è stato concesso il retaggio del bianco vessillo euder- mico, della chiara insegna esteriore, quale carattere distintivo della razza di artisti, di santi, di eroi. Le altre razze sono state contrassegnate dal de- stino con i varii colori della loro epidermide, e per tal modo isolate. Il triste manto steso nella cute delle razze colorate dall’accumulo di pig- mento non vi ha solamente creato un fattore statico di perenne bruttezza. Ha anche impedito che sulla cute rifulgesse, a specchio dei moti d’animo e quasi a emblema della vita interna, il colorito del sangue. E pertanto non vi può trasparire il giuoco funzionale dei piccoli vasi cutanei che vi semina le rose e i gigli delle proprie reazioni [...]. Le razze umane vengono distinte e denominate dal colore della loro pelle: e questo serve a separarle in modo non confondibile e a scavare tra di esse un solco non colmabile attraverso incroci, nemmeno dopo generazioni e ge- nerazioni. Anche a prescindere dal tono apologetico (“artisti, santi, eroi”) e romanzesco (“rose e gigli”) che ora fa solo sorridere, non si può non notare il rovesciamento della verità biologica (la cute chiara è quella mutante a partire dalla cute scura6, non il contrario) e l’impiego di termini aprioristicamente negativi (“triste manto”) o addirittura offensivi (“perenne bruttezza”) nei confronti di coloro che hanno la cute scura. L’affermazione finale è poi così stupida e così palesemente con- traddetta anche dalla semplice esperienza quotidiana, che sembra impossibile possa essere stata pronunciata nel XX secolo e, per di più, da uno scienziato. Comèl, però, nonostante sia accecato dall’ideologia, rimane una mente bril- lante e si rende anche conto che, con questa impostazione, la stirpe italica fa- rebbe una magra figura nei confronti degli scandinavi e quindi si corregge su- bito dopo: bianco sì, ma non troppo! 6 Da anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO) raccomanda che si usi solo l’espressione “cute scura” e “cute chiara”.

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