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Storia del corpo femminile PDF

450 Pages·1988·45.132 MB·Italian
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EDWR© SHORTEDIR STORIA DEL CORPO FEMMINILE Universale Economica Feltrinelli EDWARD SHORTER STORIA DEL CORPO FEMMINILE < Feltrinelli Titolo dell’opera originale A HISTORY OF WOMEN’S BODIES © 1982 by Basic Books, Ine. New York Traduzione dall’inglese di MARIO MANZARI e LAURA RODIGHIERO © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione in “Saggi” febbraio 1984 Prima edizione nell’ “Universale Economica” ottobre 1988 ISBN 88-07-81050-6 Prefazione Il titolo piuttosto sensazionalistico di quest’opera è stato scel­ to per mettere in evidenza il fatto che il corpo femminile ha una propria storia, che si differenzia dalla storia del corpo. maschile. Forse la struttura corporea delle donne non si modifica sensibil­ mente nel corso degli anni, ma i fenomeni che la hanno interessata, e cioè le disavventure delle gravidanze, aborti e varie malattie, han­ no subito radicali trasformazioni. Per quanto riguarda gli uomini, anche se i disturbi fisici cui vanno soggetti si sono anch’essi modi­ ficati, non hanno però subito una trasformazione analoga. Il “corpo femminile” ha quindi una sua storia, storia che me­ rita di essere raccontata perché ritengo che abbia contribuito a determinare nelle donne il modo di considerare la propria femmini­ lità. La tesi di fondo di questo studio è che, prima del 1900 cir­ ca, la femminilità è stata un fattore essenzialmente negativo per la maggior parte delle donne, qualcosa che, ai loro occhi, le rendeva inferiori agli uomini, una condanna imposta da Dio da quando Èva era stata scacciata dall’Eden, un fardello da sopportare con si­ lenziosa rassegnazione. Dopo d’allora, sono avvenute tutte le tra­ sformazioni di cui leggeremo in questo libro, e dopo il 1930 cir­ ca le donne si sono affrancate dal terribile condizionamento stori­ co imposto loro da una salute cagionevole, e questo ha consentito loro di concepire la femminilità come un fattore essenzialmente positivo e portatore di vita. Andando un passo più in là, ci potremo domandare come mai le donne non rivendicassero il diritto al voto nel XVII secolo, e una delle risposte sarebbe da ricercare nella loro accettazione di questa condizione di inferiorità. Essendo più cagionevoli degli uq- 8 PREFAZIONE mini, più esposte a rischi mortali e in generale più indebolite da malattie come l’anemia, le donne accettavano il loro ruolo subor­ dinato come parte dell’ordine naturale delle cose. Una volta venute meno queste cause di debilitazione, si è creata ima “base fisica” che ha dato slancio al femminismo. Sten ideamente, il femminismo ha significato per le donne la conquista della stessa consapevolezza di autonomia personale che hanno gli uomini, un’idea die restava priva di senso fintantoché le donne erano tanto più deboli degli uomini. La vita aveva imposto loro troppi limiti perché fosse concepibile un’autonomia personale ana­ loga a quella degli uomini. Si può quindi attribuire la subordinazione femminile a tre di­ versi ordini di cause, che costituiscono l’impalcatura della mia argo­ mentazióne: 1. Le donne erano subordinate agli uomini, i quali esercitava­ no su di esse un diritto di rapporto sessuale totale. I “diritti coniugali” esercitati dagli uomini comportavano per le donne del passato una serie illimitata di gravidanze indesiderate e non piani­ ficate. Dedicheremo parecchi capitoli di questo libro alle condi­ zioni in cui si svolgeva il parto e ai rischi che questo comportava per la donna. 2. Le donne erano vittime dei propri figli, e dell’obbligo di occuparsi di famiglie numerose, sulla dimensione e composizione delle quali non avevano alcun controllo. Di conseguenza, quasi tutte le donne del popolo, prima del nostro secolo, erano oppresse dalla lotta per la sopravvivenza, dalla necessità di provvedere ai lo­ ro sei figli (quanti erano in media storicamente), alla servitù, all’an­ ziano padre del marito e al fratello scapolo di questi. Il logoramento che comportava la vita familiare trova conferma nel superiore tasso di mortalità delle donne. 3. Le donne erano vittime della natura, e cioè delle diverse malattie cui gli uomini non sono esposti, e delle quali non esiste l’equivalente maschile. Come vedremo, le “malattie maschili” sono al confronto meno numerose e non colpiscono solitamente nel fio­ re degli anni. Se esistono differenze congenite, intrinseche, tra uo­ mini e donne (tali almeno da provocare conseguenze per la vita adulta), esse mi sono sconosciute. Tuttavia, a causa dell’abissale ignoranza della medicina e della chirurgia di quei tempi, le varie malattie a cui sono esposti gli organi genitali e i seni delle donne erano nel passato praticamente incurabili, e questa era la causa “naturale” della subordinazione delle donne. In seguito, tra il 1900 e il 1930, queste varie cause di subor­ dinazione sono state progressivamente eliminate. Le donne hanno conquistato il diritto a un aborto relativamente sicuro, e in tal mo­ do hanno potuto controllare la propria fertilità. I progressi della PREFAZIONE 9 medicina e della chirurgia hanno eliminato gran parte delle malat­ tie che in passato le affliggevano. Il parto è diventato, in pratica, esente da rischi, e anche gli uomini hanno assunto un atteggiamen­ to più responsabile nei confronti delle donne. Insomma, è venuta così a crearsi una base fisica per raggiungere l’uguaglianza tra i ses­ si. Non voglio qui sostenere che una migliore conoscenza dell’i- sterectomia o le nuove tecniche abortive siano state in qualche mo­ do la “causa” del femminismo. Le forze storiche che stanno all’o­ rigine del femminismo sono complesse, e dipendono, tra l’altro, dall’accresciuta domanda di forza-lavoro femminile, da una diversa comprensione dei diritti individuali, e da molti altri fattori. Riten­ go tuttavia che l’eliminazione della subordinazione fisica delle don­ ne sia stata una premessa per l’affermarsi del femminismo. No­ nostante questi cambiamenti e altri che si sono verificati, se le donne avessero continuato a portarsi in giro un “utero prolassato” il femminismo non sarebbe probabilmente esistito. Comunque, se il femminismo si sarebbe sviluppato o meno, è materia di specula­ zione. Questo studio non riguarda in realtà il movimento femmi­ nile, ma l’esperienza fisica che le donne hanno vissuto nel rappor­ to con il proprio corpo; non tratta del modo in cui il corpo fem­ minile è stato “considerato” da altri, né dell’approccio che con le donne hanno avuto i medici, e nemmeno del loro ruolo sessuale, ma ha come oggetto la realtà corporea con cui si trovava ad aver a che fare una donna comune dei tempi passati. Le cosiddette donne del popolo hanno lasciato ben poche te­ stimonianze in proposito e quindi disponiamo soltanto di frammen­ tarie indicazioni su ciò che esse pensavano realmente del sesso, dei loro mariti, della “femminilità” e di altri argomenti analoghi. Abbiamo tuttavia alcune fonti che ci aiutano a immaginare quelle che dovevano essere le preoccupazioni di una donna di campagna media o della moglie di un artigiano. Ho attinto largamente alle re­ lazioni dei medici sulle malattie che affliggevano le loro pazienti. All’inizio del XIX secolo, infatti, varie cliniche cominciarono a re­ gistrare sistematicamente le malattie dei loro ricoverati, e dopo il 1850 ebbe inizio una vera marea di pubblicazioni mediche su ogni argomento immaginabile. Le fonti di questo studio sono quindi in parte mediche, anche se nulla di quello che diremo dovrebbe riuscire di difficile comprensione per il lettore comune. Le donne stesse ci hanno lasciato testimonianze indirette attraverso prover­ bi, filastrocche, canzoncine popolari, ricette medicamentose di uso popolare, e riti magici tramandati nei registri di famiglia. Esistono molteplici altre fonti di informazione che ci consentiranno di non perdere il contatto con il punto di vista della donna media. In questo studio ricorre con frequenza il termine “tradiziona­ 10 PREFAZIONE le”, col quale intendo riferirmi al mondo col quale ho maggiore familiarità, cioè quello europeo e britannico del periodo che va dal XVII alla fine del XIX secolo, come contrapposto al mondo “mo­ derno” quale ha cominciato a configurarsi più tardi. Chiunque ab­ bia la più vaga conoscenza della vita nei villaggi e nei paesi del passato sarà immediatamente colpito dalla differenza rispetto alla vita della successiva civiltà urbana e industriale. E non intendo qui alludere soltanto al fatto che ci si guadagnava da vivere col mestiere di contadino o di ciabattino, anziché con quello di addetto alle caldaie: erano le stesse regole fondamentali dei rapporti sociali che in quei villaggi e paesi si differenziavano sostanzialmente dalle norme della vita “moderna”. È per questo motivo che ho insistito ad individuare un modo di vita specificamente “tradizionale” esi­ stente in Europa dalla “notte dei tempi”, o almeno dall’epoca del­ la Riforma, da dove ha inizio la mia personale conoscenza della sto­ ria. Questo “mondo perduto” è andato estinguendosi in tempi di­ versi a seconda dei luoghi. In Inghilterra, la società “tradiziona­ le” ha cominciato a scomparire all’inizio del XVIII secolo, men­ tre in luoghi periferici come la Bretagna rurale, la sua scomparsa è iniziata soltanto agli arbori del XX secolo. Il concetto di “tradi­ zionale”, qual è qui usato, ha quindi un suo grado di variabilità: ciò che da tempo era ormai estinto in una data comunità e in una determinata epoca, poteva essere ancora vivo e vitale in un’altra. In questo studio, faccio inoltre costantemente riferimento alla gente “comune”, anziché alle élites. Uno dei motivi del fallimento di altri studi storici sulle donne è il fatto che, per mancanza d’im­ maginazione, essi si sono concentrati sulle donne appartenenti agli strati più elevati della popolazione, pressappoco il cinque per cen­ to, cioè sulle donne che disponevano di servitù personale, o di un grado di istruzione a livello universitario, o che avevano comun­ que accesso alla cultura dei ceti colti medio-alti. La vita delle don­ ne che facevano parte del popolo era sostanzialmente diversa, e questo studio ne costituisce un primo tentativo di ricostruzione. Ho avuto la fortuna di poter lavorare in alcune delle più gran­ di biblioteche del mondo. E vorrei qui ringraziare in particolar modo il personale della Welcome Library for thè History of Medi­ cine di Londra, della Bibliothèque Nationale di Parigi, della Uni- versitàtsbibliothek di Vienna, della Staatsbibliothek di Monaco, della Staatsbibliothek di Gottinga, della Deutsche Staatsbibliothek di Berlino Est, e della Biblioteca dell’Accademia di medicina di New York. Il contributo del personale della Biblioteca dell’Acca­ demia di medicina di Toronto e della Biblioteca di scienza e medici­ na dell’università di Toronto mi è stato particolarmente prezioso. Questa ricerca è stata finanziata dal Canada Council, dall’Han- nah Institute per la storia della medicina, dalla Harry Frank Gug-

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