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Stonehenge : romanzo PDF

554 Pages·2000·1.548 MB·Italian
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STONEHENGE romanzo di BERNARD CORNWELL traduzione di Lidia Perria ISBN 88-304-1830-7 Titolo originale: Stonehenge Longanesi & C. Milano Copyright Bernard Cornwell 1999 In memoria di Bill Moir 1943-1998 «Scomparsi sono i boschi dei druidi, ed è meglio così: Stonehenge no… ma cosa mai sarà?» LORD BYRON, Don Giovanni Canto XI, w. 193-194 PARTE PRIMA - IL TEMPIO DEL CIELO 1 Gli dei parlano per mezzo di segni: il cadere di una foglia in estate, il lamento di un animale agonizzante o l'incresparsi di uno specchio d'acqua al soffio della brezza; o ancora il fumo che indugia sul terreno senza salire al cielo, uno squarcio tra le nubi o il volo di un uccello. Quel giorno, invece, gli dei mandarono una tempesta, e fu violenta, una di quelle tempeste che restano impresse nella memoria, anche se il popolo non diede a quell'anno il nome della tempesta: lo battezzò l'Anno in cui giunse lo Straniero. Il giorno della tempesta, infatti, a Ratharryn giunse uno straniero. Era un giorno d'estate, lo stesso giorno in cui Saban rischiò di morire per mano del fratellastro. Gli dei non si limitarono a parlare, quel giorno: gridarono. Come tutti i ragazzi, d'estate anche Saban andava in giro nudo. Aveva sei anni meno del fratellastro, Lengar, e, visto che non aveva ancora superato le prove dei riti d'iniziazione, non mostrava né cicatrici tribali né segni che indicassero il numero dei nemici uccisi. Mancava però solo un anno a quelle prove e il padre aveva ordinato a Lengar di portare Saban nella foresta per insegnargli dove si potessero trovare i cervi, dove si appostassero i cinghiali selvatici e dove fossero le tane dei lupi. Lengar era risentito dell'incarico ricevuto e così, anziché insegnare qualcosa al fratello, trascinò Saban in mezzo ai rovi finché la pelle abbronzata del ragazzo non cominciò a sanguinare. «Non diventerai mai un uomo», gli disse in tono di scherno. Saban si astenne saggiamente dal replicare. Lengar, che era diventato uomo già da cinque anni, aveva il petto segnato dalle cicatrici bluastre che erano il marchio di riconoscimento della sua tribù e, sulle braccia, i segni corrispondenti a un cacciatore e a un guerriero, morti entrambi per mano sua. Portava un arco lungo in legno di tasso, con le estremità di corno e la corda di tendini, lustrato con il grasso di porco. La tunica era fatta di pelle di lupo, e i lunghi capelli neri erano intrecciati e legati con una striscia di pelliccia di volpe. Era alto, con il viso lungo e magro, e veniva considerato uno dei migliori cacciatori della tribù. Il suo nome significava «Occhi di lupo», perché il suo sguardo mandava bagliori giallastri. Al momento della nascita gli era stato imposto un altro nome, ma, come molti uomini della tribù, non appena era diventato adulto lo aveva cambiato. Anche Saban era alto e aveva i capelli neri e lunghi. Il suo nome significava «Favorito», e molti nella tribù lo trovavano appropriato perché, anche se aveva soltanto dodici estati, Saban prometteva di diventare attraente. Era forte e snello, lavorava sodo e sorrideva spesso, diversamente da Lengar, di cui le donne dicevano: «Ha una nuvola sul volto», ma solo quando non poteva sentirle, perché con ogni probabilità sarebbe diventato lui il prossimo capo della tribù. Lengar e Saban erano figli di Hengall, che era il capo del popolo di Ratharryn. Per tutto il giorno Lengar condusse Saban nella foresta, ma non incontrarono cervi, né cinghiali, né lupi, né uri, né orsi. Camminarono e camminarono, finché nel pomeriggio giunsero all'estremo lembo dell'altopiano, dove si avvidero che tutta la terra a occidente era oscurata da una gran massa di nuvole scure. Nel ventre di quella nube nera balenavano lampi che la rischiaravano, irradiandosi fino alla lontana foresta e lasciando riarso il cielo. Lengar si accovacciò, con una mano sull'arco levigato, fissando il temporale che si avvicinava. Sarebbe dovuto rientrare a casa, ma voleva che Saban si sentisse in ansia, per cui finse di non curarsi della minaccia del dio delle tempeste. Fu mentre osservavano il temporale che lo straniero apparve. Montava un piccolo cavallo dal manto bruno grigiastro, reso bianco dal sudore. Una coperta di lana ripiegata fungeva da sella e piccole funi di fibre di ortica intrecciate insieme servivano da briglie, quasi inutili però, perché l'uomo, ferito e chiaramente esausto, lasciava che fosse il cavallo a orientarsi lungo il sentiero che risaliva la ripida scarpata. Lo straniero aveva la testa china e con la punta dei piedi sfiorava il terreno. Indossava un mantello di lana tinta di blu e nella destra impugnava un arco, mentre dalla spalla sinistra gli pendeva una faretra di cuoio con le frecce adorne di piume di gabbiano e di corvo. La barba corta era nera, mentre le cicatrici tribali impresse sulle sue guance erano grigie. Lengar ordinò con un sibilo a Saban di restare in silenzio, poi seguì furtivamente lo straniero diretto a oriente. Aveva già una freccia incoccata, ma lo sconosciuto non si girò neanche una volta per vedere se qualcuno lo seguiva e Lengar preferì non scoccare il dardo. Saban si chiedeva se il cavaliere fosse ancora vivo, perché sembrava un cadavere inerte, accasciato sulla groppa del suo destriero. Lo straniero apparteneva al Popolo di Fuori. Persino Saban lo capì, perché soltanto quella gente montava i piccoli cavalli pelosi e aveva cicatrici grigie sul volto. Il Popolo di Fuori era nemico della tribù di Ratharryn, ma Lengar non scoccava ancora la freccia. Si limitò a seguire il cavaliere, e Saban gli andò dietro, finché lo straniero non giunse al limitare della foresta, dove crescevano le felci. A quel punto fermò il cavallo e alzò la testa per guardare oltre il lieve pendio, mentre Lengar e Saban restavano alle sue spalle, accovacciati e invisibili. Lo sconosciuto vide una distesa di felci e più avanti, dove c'era un velo sottile di terra sopra lo strato di gesso, terreno da pascolo. La bassa altura erbosa era costellata di tumuli sepolcrali. I porci grufolavano tra le felci, mentre bianchi bovini pascolavano nell'erba. In quel punto splendeva ancora il sole. Lo sconosciuto si trattenne per qualche istante ai margini del bosco, in cerca di nemici, ma non ne vide. A settentrione, in lontananza, c'erano campi di grano chiusi nei recinti sormontati da spine, oltre i quali le prime nubi foriere di tempesta inseguivano la propria ombra, ma davanti a lui si stendeva un terreno illuminato dal sole. Aveva la vita davanti a sé, l'ombra alle spalle e tutt'a un tratto il cavallino, senza che lui glielo ordinasse, si lanciò tra le felci. Il cavaliere si lasciò trasportare. L'animale risalì il pendio fino ai tumuli. Lengar e Saban attesero che lo sconosciuto superasse la linea dell'orizzonte, poi lo seguirono e, una volta in cima, si rannicchiarono nel fossato che circondava una tomba: di lì videro che il cavaliere si era fermato vicino al Vecchio Tempio. Risuonò un brontolio di tuono e un'altra raffica di vento appiattì l'erba del pascolo. Lo straniero scivolò dalla sella e attraversò il fossato del Vecchio Tempio, scomparendo nel noccioleto che cresceva fitto all'interno del cerchio sacro. Saban intuì che lo sconosciuto cercava asilo. Ma alle sue spalle c'era Lengar, non avvezzo a concedere misericordia. Il cavallo lasciato a se stesso, atterrito dal tuono e dalla mandria di grossi bovini, si allontanò al piccolo trotto verso occidente, in direzione della foresta. Lengar attese che il cavallo scomparisse fra gli alberi, poi si alzò per correre verso i noccioli che nascondevano lo straniero alla vista. Saban lo seguì, entrando nel luogo in cui non era mai stato in dodici anni di vita: il Vecchio Tempio. Anticamente, un'infinità di anni prima, in tempi così remoti che nessuno dei viventi poteva ricordarli, il Vecchio Tempio era stato il più grande santuario della terra. Allora, quando gli uomini venivano da lontano per danzare nei cerchi del tempio, l'argine di gesso che lo circondava era tanto alto che pareva risplendere al chiaro di luna. Da un lato all'altro del lucente cerchio correvano cento passi, e ai vecchi tempi quello spazio sacro era stato calcato dai piedi degli uomini che intrecciavano danze intorno alla Casa della Morte, costituita da tre anelli di tronchi di quercia ripuliti dai rami. I tronchi spogli e levigati erano stati unti con grasso animale e adornati di corone di agrifoglio e di edera. Ormai l'argine era coperto di erba e sommerso dalla vegetazione. Nel fossato crescevano giovani noccioli, e altri ancora avevano invaso l'ampio spazio all'interno dell'argine circolare, cosicché, da lontano, il tempio pareva un folto di arbusti. Là dove un tempo danzavano gli uomini, ormai facevano il nido gli uccelli. Uno solo dei pali di quercia della Casa della Morte sporgeva ancora dall'intrico di noccioli, ma ormai pendeva di lato e il legno, un tempo liscio, era butterato, nero e ricoperto da uno spesso strato di muffe. Il tempio era abbandonato, ma gli dei non dimenticano i loro santuari. A volte, nei giorni tranquilli quando sul pascolo aleggiava la nebbia, o quando la luna piena era sospesa sull'anello di gesso, gonfia e immobile, le foglie dei noccioli rabbrividivano al passaggio del vento. I danzatori non c'erano più, ma il potere era rimasto. E lo straniero era andato al tempio. Gli dei gridavano. Mentre Lengar e Saban correvano verso il Vecchio Tempio, il pascolo fu inghiottito dall'ombra delle nubi. Saban aveva freddo ed era spaventato; Lengar anche, ma il Popolo di Fuori

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