ANTONIO CARULLI SFIDUCIA E SRAGIONE Trattato teologico-politico Prefazione di Marco Fortunato La scuola di Pitagora cdirtice Patri dicatum {A.1947 fl 2015), il som111() sacerdote degli abituati al Cristia- 1USÌ111() Che la morte è 'lluoto, nulla. Non ha lasciti. La memoriap ercorre un 'llasto territorio inesi fondo, stente; in a ritrO'llare se stessa. S. ADDAMO, Le abitudini e ra ssenza Si tratta di questo: lui (a ccennando a fra Pietro) ci crede '!leramentet l Sn.oNE, L 'll'U'lltTltura d'un pO'llero cristiano INDICE L'Occidente fra apatia e philautia 9 di Marco Fortunato Ingemisco 23 Una introduzione? 25 LIBRO PRIMO (ETHICA) 27 Gerusalemme senza Atene 29 L'abitudine al cristianesimo (La sua durata eterna) 39 R.eligionskultur 87 La vita dopo la morte 99 LIBRO SECONDO (DISCIPLINA POPULORUM) 139 De 11Wtu migrantium 141 Democrazia e fanatismo 165 Distruzione e scampo dell'Europa 185 Una pedagogia per islamici 191 LIBRO TERZO (METAPHYSICA) 195 Appunti 197 Docet nihil aòsolutum nu111(Juamfaisse 201 Disposizioni non transitorie 227 Ad seipsum 229 L'Occidente fra apatia e philautia Nietzsche ha scritto che gli uomini antichi - dunque i più gi(J'{Jani, ifanciulli dell'umanità-vedevano in veglia cose straor dinarie che noi, i moderni - dunque gli uomini più vecchi-, non vediamo neppure in sogno. I.:inizio, solo l'inizio, è il momento dello charme, dell'intensità, dellèmozione, delle grandi emozioni. Ma, in Occidente, fra gli antichi rientrarono e assunsero un primato uomini molto particolari, i Greci; uomini grandi e, in un certo senso, perniciosi, in quanto destinati a smorzare, se non addirittura a spegnere, l'emozione. È vero che proprio a Nietzsche dobbiamo la "scoperta" e la massima enfatizzazione del lato oscuro, ambiguo, enigmatico, "selvaggio" e sconvol gentemente immaginifico della mente dell'antico Greco; ma, nell'essenza, i Greci furono le prime grandi, tremendamente serie, figure della ratw, quindi di una lucidità che vede. Essi furono prima di tutto dei vedenti. E, come lamenta il cristia nissimo Sestov che mugghia e quasi li maledice per questo, videro guardando dietro di sé, a un "testo" di verità e di leggi che stanno ("scritte") già prima di ogni cosa, che sono da sem pre e per sempre, mai nate e quindi immortali, insfuggibili e immodificabili. E che cosa videro, che cosa lessero i Greci? Videro-lessero, con Aristotele, che il mondo è eterno, senza inizio e senza fine, e quindi, implicitamente, che ha qualcosa di infanti!- IO L'OCCIDENTE FRA APATIA E PHIL,fUlU mente il-logico pensarlo come iniziato-creato e, come tale, magari esposto alla possibilità di an-nientarsi. Videro-lessero, soprattutto ma certo non solo con i grandi autori tragici, che il dolore e la morte sono dati naturali costitutivi e irreversi bili per tutti gli individui viventi, compresi quelli umani, e quindi, implicitamente, che ha qualcosa di bambinescamente fatuo concepire e progettare la loro eliminazione, il loro "su peramento". Videro-lessero - soprattutto ma certo non solo con i materialisti, ad esempio con Democrito, al quale non a caso Mane, cioè pur sempre un pensatore dell'evo cristiano, preferisce nella sua tesi di laurea il più "possibilista" Epicuro - che tutto accade secondo inflessibile necessità, e quindi, implicitamente, che ha qualcosa di puerilmente sbruffonesco pretendere che l'uomo, solo l'uomo, sia libero; lo videro-lessero certo non solo con i materialisti, perché l'idea dell'esistenza di Ananke, di un fato tanto invisibile quanto onnipresente e onnipotente che sovrasta anche gli dei, è patrimonio comune dell'intera Kulturgreca antica. Del resto, essa "parla" a favore della necessità contro la possibilità e della stabilità-continuità contro la variabilità-volubilità già in quanto, come si è detto, è una Kultur che si nutre di verità e di leggi. Ma la via della necessità e della permanenza è quella che conduce a Spinoza, il grandissimo "Greco risorto" nel Seicento, il quale insegna-dimostra che tutto è normale, nel senso sia più filosoficamente pregnante che più ordinario e "banale" del termine: che il mondo sia, che sia precisamente quello che è e come è, che vada come effettivamente e costantemente va, è as solutamente necessario, quindi normale. Anche se i due massimi filosofi dell'antichità greca, Platone e Aristotele, concessero che a innescare la domanda e il ragionamento filosofici sarebbe lo stupore, per il loro titanico "figlio" secentesco il contrassegno della mente adulta, e perciò davvero filosofica, è che essa non si stupisca (più); ammesso che il filosofo nasca come uno che prova stupore, la sua maturità consiste nel rimuoverlo, nel cancellarlo, L'OCCIDENTE FRA APATIA E PIIJUUIU Il nel provare e nell'insegnare a tutti gli uomini che non c'è nulla di cui sorprendersi, che non c'è alcuna ragione di stupirsi. Ma contro il processo della razionalizzazione-normaliz zazione non poteva tardare più di tanto a erompere un'insur rezione. Infatti la necessità è sì stile, ma anche costrizione. La continuità-stabilità è sì sicurezza, ma anche noia. La sobria, disincantata chiarezza della visione di un "testo" preciso e vin colante è sì una grande acquisizione epistemologico-scientifica, ma è anche un'esperienza di disperazwne, perché quel "testo" è inesorabilmente bloccato e, fra le verità definitive che esibisce, c'è quella secondo cui la vita dell'uomo è questa qua, esclude qualsiasi vera e radicale sorpresa, è e sarà sempre nella sostanza quella che è e che è sempre stata; e, malgrado quell'altro grande "Greco postumo" che fu Nietzsche si sia adoperato in ogni modo per rendercela accettabile e perfino amabile "cantando" la terribile bellezza di Physis, l'uomo sa-sente, ha sempre saputo e sentito, che essa è una vicenda amara, dolorosa, violenta, umiliante, deludente. In reazione alla grande "sistemazione" greca, dunque, qual cuno o qualcosa doveva difendere i diritti da essa conculcati della possibilità (anche della possibilità più inverosimile e folle), della rottura di continuità, dello sconvolgimento, della spe ranza, dellèmozione. Ci pensò il cristianesimo, la religione di cui, non a caso, Cioran si avvicina a scrivere testualmente che è quella che le ha sparate più grosse di ogni altra. Il cristiane simo inventò e si regge su almeno cinque dirompenti, clamo rosissimi, in-concepibili colpi di scena: la creazione del mondo dal nulla da parte di Dio; la discesa in Terra fra gli uomini di Dio in figura di uomo; la sua condanna, passione e atroce morte in croce per la salvezza dell'umanità; la fine del mondo, l'evento escatologico, contemplato soprattutto da alcuni filoni della tradizione cristiana, del suo an-nientamento o della sua ri-soluzione in un Totalmente Altro; e infine la resurrezione dei corpi di tutti quelli che nel mondo sono vissuti e l'inizio IZ L'OCCIDENTE FRA APATIA I! PHILAUTU per essi - almeno per alcuni di loro, i "migliort, o forse per tutti indistintamente - di un'interminabile vita ultraterrena toto genere diversa dalla breve vita precedente. Cinque strepitosi, dis-sennati coups de thlatre, dei quali, naturalmente, i primi tre non sono accaduti e gli ultimi due non accadranno. Cinque eventi 'Violentemente emozionanti, anche nel senso che stabilire che il mondo sia stato creato significa espropriarlo di ogni autonomia e autosussistenza pensandolo ponendolo in balia di ~alcuno che, come lo fece, cosi potrebbe anche dis-farlo; e infatti il cristianesimo con-figura e pensa anche lo scenario della sua fine. Date simili premesse, non può certo stupire che l'uomo for giato dal cristianesimo, l'h ()f11o christianus, sia un uomo costan temente allarmato, fremente, a rischio e arrischiante, proteso in avanti in attesa di qualche possibile novitas e pre-occupato in alacre preparazione di qualcosa, in primis ovviamente della "vita oltre la vita" che gli è stata promessa. Se l'uomo greco era essenzialmente un vedente che stava, in fondo, quietamente ancorato all'inalterabile destino "pre-scritto" per lui dal "testo" di verità e di leggi oggetto della sua visione retro-spetti.va, l'homo christianus è invece, come osserva Ortega y Gasset in una pagina scritta da par suo, essenzialmente un ascoltante, uno che vive con l'orecchio teso e pronto a ricevere annunci capaci di sovvertire in modo più o meno radicale l'assetto della sua vita e del mondo, quegli annunci di cui vediamo essere par ticolarmente prodigo il Dio dell'Antico Testamento. La mens cristiana è una mens febbricitante, elettrizzata, sovreccitata, una mens in definitiva giornalistica, vogliosa di scoqp, aperta alla scossa delle più eclatanti breaking news. Il calor bianco di quest'eccitabilità dev'essere stato raggiunto quando, nel primo periodo della di.tfusione e dell'affermazione del cristianesimo, gli adepti della nuova religione attendevano con tensione spa smodica, credendoli seriamente imminenti, nientemeno che la fine del mondo e il passaggio all'avvento del Regno dei Cieli. L'OCCIDENTE PRA APATIA E PHJUUTU 13 Ma furono certamente trascinante emozione anche la quasi bramosa disponibilità al sacrificio con cui molti cristiani dei primissimi secoli affrontarono il martirio e le ardenti sregola tezze psichiche e sensoriali di non pochi santi e mistici almeno fino al "glorioso" periodo della Controriforma. Ma tutto ciò era il cristianesimo alfinizio, che si conferma il momento elettivo dell'intensità e dell'emozione, o almeno fin quando la sua parabola rimase tutto sommato ascendente. Oggi, invece, che cos'è-che cos'è diventato il cristianesimo? Oggi in Europa - parola della quale Novalis sand l'interscam biabilità con "Cristianità" nel celebre titolo di una sua opera del 1799 - e quindi anche in Italia, che ne è del cristianesimo? O, per meglio dire, a che cosa è ridotto il cristianesimo? A un'a/Jitudine, secondo l'acuminata diagnosi che costituisce la colonna portante di questo libro per più versi urticante e "scor retto" di Carulli. L'esser cristiani è receduto al livello, che non potrebbe essere meno entusiasmante, di una spenta, anonima, rinsecchita, stracca abitudine, di un'ovvietà tanto indiscutibile e indiscussa quanto ininfluente sulla sostanza profonda (am messo e non concesso che questa esista ancora) delle vite degli europei-degl'italiani. Gli europei-gl'italiani-gli occidentali sono ormai gli abituati al cristianesimo. Va nno a messa, si accostano ai sacramenti, si sposano in chiesa (dopo essersi guardati bene dall'ottem perare alle nonne ecclesiastiche concernenti la vita sessuale pre-matrimoniale, sulla quale d'altronde il sacerdote offician te è il primo ad avere la "discrezione" di astenersi dal porre domande scomode) perché si fa così, perché si è sempre fatto così, perché così fan tutti (e tutte). Credono perché si crede. Alla domanda se credano, rispondono senza esitazioni, mec canicamente di si, magari perché una loro nonna, durante le visite domenicali che le facevano da bambini, ha "insufflato" loro, neppure con particolare insistenza, l'idea che è normale credere, senza nerwneno far seguire al verbo "credere" qualche 14 L'OCCIDENTE PRA APATIA E PHILfUT'l,f parola che specificasse e chiarisse in chi o in che cosa. E in fatti - rileva Carulli non senza una punta di disgusto - questo cristianesimo è ormai una religione senza Dio, il quale riesce ancora ad affacciarsi nelle disanimate vite degli abituati solo nei momenti in cui vi irrompe la morte con la sua lugubre maestà e serietà (non c'è dubbio che Carulli tenga conto qui della esemplare "provocazione" di Sgalambro secondo cui, se c'è, Dio non può che essere di grandissima lunga il più insa ziabile dei serial killers). L'essere, o meglio il dimtutti cristiani, finisce per tradursi in una vicendevole strizzatina d'occhio con cui i concittadini-i connazionali si riconoscono come compari, come membri complici di quell'associazione per delinquere, o più precisamente per fare e subire il male/per uccidere ed essere uccisi, che sono i viventi. Certo, a Carulli non sfugge che, se il cristianesimo man tiene un suo prestigio o - per dirla più seccamente e badando al sodo - si mantiene in piedi da duemila anni (e, secondo lui, dà l'impressione insieme rassicurante e sinistra di essere inaffondabile, di poter veleggiare ancora per chissà quante altre migliaia di anni), è essenzialmente perché promette-"assicura" una continuazione dell'esistenza dopo e nonostante la morte a quegli esseri - gli uomini - che, tanto infondatamente quanto pervicacemente, pretendono che spetti loro un destino speciale, diverso da quello di tutti gli altri (ess)enti (già il grande Rensi aveva rilevato che, se - com'è giusto - a nessuno che veda una gallina ruotare sullo spiedo viene in mente che le sia riservata - e magari sia già in corso - un'altra vita successiva a quella finita nel momento in cui le è stato tirato il collo, non si vede perché mai invece, di fronte al cadavere di un uomo, si debba pensare, anzi dare quasi per scontato, che lui goda di quel pri vilegio). Come già Savater ha scritto apertis verbis in La vita eterna, tutta l'enorme incastellatura dottrinaria della religione cristiana e tutta la sua "nomenklatura" di persone divine, an geli e santi sono state fucinate perché ce n'era bisogno come di