Una volta io scrissi: « (Quello che ho fatto non m’interessa più, solo quello che ancora non ho fatto m’interessa». Su questo punto non ho cambiato. Ma oltre che non interessarmi più, quello che ho già fatto mi faceva paura. Su questo punto ho cambiato. Perché avevo paura ? Solitamente è per una ragione morale che noi abbiamo paura di guardarci dietro le spalle. Per non essere colpiti d ’immobilità. Per non essere mutati anche noi, come la moglie di Lot, in una statua di sale.
Ma non per questa ragione io...
Era piuttosto un effetto di giovinezza. Era la fretta di avanzare. Era il timore che il mio viaggio potesse essere ritardato. Era l’ansia di andare sempre più lontano... Era la paura soprattutto, come alcuni pochi e fuggevoli tentativi di « retrovisione » mi avevano avvertito, che quello che io avevo già fatto mi deludesse, mi facesse un effetto sconfortante, mi riapparisse come un piccolo mostro che io avevo lasciato dietro a me. Come qualcosa da correggere, o da rifare, o addirittura da cancellare. Come un «peccato ». Ma pochi mesi sono, sollecitato a ristampare La Casa Ispirata e Angelica o la notte di Maggio, io per un po’ rimasi in forse, poi lentamente e con molta ritrosia voltai la testa, infine tornai a posare gli occhi su quei lontani libri scritti uno nel 1925, l’altro nel 1927 e, perché non dirlo ? la paura si dissipò... Volete proprio la verità? In luogo della delusione paventata, ebbi una felice sorpresa.
Quale segno più sicuro che la condizione del mio viaggio è mutata ? Finora io navigavo mari difficili e navigavo con fatica, con ansia. È questo il prezzo della giovinezza. Poi, a poco a poco, mi sono lasciato indietro « le funeste Simplègadi », come dico in un punto della Tragedia dell’infanzia, ho doppiato i capi perigliosi, e ora avanzo in un mare molto più vasto sì, ma più tranquillo assieme e più sicuro. È questo il compenso che si riceve sulla soglia della vecchiezza. Ed è un compenso generoso. Ora soltanto comincia per noi la « vera » felicità. La felicità conquistata. La felicità meritata. Quella felicità che noi possiamo assaporare con la coscienza del diritto acquisito e senza pentimenti.
Allora, voltandoci a guardare il nostro passato, e senza più la brama di sempre nuove scoperte da fare, senza più l’ansia di sempre nuove conquiste da compiere, senza più l’assillo di sempre nuove mète da raggiungere, e soprattutto perché ora noi sappiamo che mète da raggiungere né quaggiù ci sono né altrove - con animo più pacato, con umore più spassionato, con occhio più calmo e più giusto noi ci voltiamo a guardare il nostro passato e ci accorgiamo con sorpresa, ci accorgiamo con gioia che dietro a noi, e quasi senza che ce ne avvedessimo, in forma di tante foreste e di tanti giardini, noi abbiamo lasciato un’opera.
Che importa morire'? Ormai noi abbiamo il sapore in bocca dell’immortalità.