1 2 Damiano Oberoffer Le suggestioni della tavola Storie e ricette di pietanze e personaggi 3 Damiano Oberoffer Le suggestioni della tavola Storie e ricette di pietanze e personaggi Copyright © 2016 In copertina: particolare da “Déjeuner de chasse”, Jean-François de Troy, 1737 (Museo del Louvre, Parigi) 4 PREFAZIONE “La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura.” Claude Levi Strauss Quando al termine della scuola alberghiera, negli anni ’60, incominciammo a lavorare nei grandi alberghi europei, eravamo dotati di un’ampia conoscenza enogastronomica, che ci permetteva di spiegare ai clienti, senza alcuna esitazione, a seconda del nome che aveva il piatto nelle principali lingue, la preparazione dello stesso, che metodicamente veniva prodotto nel medesimo modo in tutte le cucine del globo. Oggi, nelle scuole alberghiere d’Italia, si continuano a insegnare (o almeno spero) le composizioni e gli ingredienti dei piatti della cucina classica, regionale e internazionale, ma nel frattempo sono cambiati, e di molto, i piatti proposti dai vari menu, offrendo al posto dei classici - che tutti amavano e conoscevano - preparazioni dettate spesso dalla fantasia dei cuochi, che cambia al variare del livello del ristorante, della locazione, delle mode e così via, in alcuni casi spiazzando i clienti e rendendo pressoché inutilizzabile il bagaglio enogastronomico acquisito nei cinque anni di scuola, rimettendo tutto costantemente in discussione. Le cucine di un tempo si classificavano semplicemente in: regionale, nazionale, internazionale; oggi, in seguito appunto agli innumerevoli cambiamenti, potremmo così suddividerle (per difetto): in base alla provenienza (del territorio, regionale, nazionale, etnica, classica, del mercato, fusion), in base alle mode (nouvelle, molecolare, sifone, creativa, destrutturata, ecc.), in base alla religione (kosher, ecc.), in base a uno stile salutare (kusminiana, vegana, vegetariana, macrobiotica, eubiotica, ecc.). 5 Uno dei motivi principali di tutta questa evoluzione? I cuochi in passato, in generale, avevano una bassa scolarizzazione, oggi sono usciti dalle cucine, si presentano in media più preparati sui prodotti del mondo e le tecniche di cottura, usano e mescolano facilmente le loro conoscenze, creando e ricreando i loro personali piatti (alcune volte divergenti dai gusti preferiti dai clienti), spesso partendo da ricette già codificate da altri per poi apportare le loro modifiche, più o meno interessanti. Per quanto concerne i clienti, potremmo dire che in passato chi andava al ristorante era in genere una persona con una buona cultura, per cui leggere Saint Germain sul menu faceva tornare subito alla mente una pietanza a base di piselli. Guardiamo i menu che ci propongono oggigiorno: i nomi classici se ne sono andati e al loro posto ci sono interminabili elenchi di ingredienti per descrivere le “innovative” pietanze. Il ristorante, oggi, è infatti alla portata di tutti: per chiunque sia in grado di leggere, e pagare… Di fronte a certe moderne descrizioni (in taluni casi al limite dell’assurdo e del ridicolo), comunque, anche una persona di ampia cultura potrebbe rimanere spaesata, diciamocelo! E’ come mettere a confronto un dipinto di Michelangelo e una tela cubista: per non fare brutta figura e apparire ignorante, anch’io direi che entrambe le opere sono bellissime e hanno un enorme valore, anche se la seconda, da uomo comune, faccio fatica a comprenderla… Un altro importante problema, a parer mio, che ha causato il proliferare dei vari stili di cucina e di piatti più o meno creativi, è l’impossibilità di pregustare ciò che si ordina, non potendo quindi immaginare in precedenza che quello che ci verrà servito è proprio ciò che desideriamo, dal momento che spesso è frutto della fantasia di chi cucina, con la conseguente incapacità di giudicare se quel determinato piatto è preparato in modo adeguato oppure no, dal momento che abbiamo sempre meno mezzi di paragone. Non fraintendetemi, è giusta la ricerca di nuovi sapori e accostamenti, anche Escoffier a suo tempo fu un innovatore: 6 ma ricordiamoci di non esagerare, e soprattutto di non smarrire il nostro patrimonio culinario distratti dalla bramosa ricerca del nuovo a tutti i costi. La vera originalità, oramai, è merce rara, riservata solo ai Grandi. Come tutte le cose, anche la cucina rappresenta il tempo che si sta vivendo: un momento del mondo questo, potremmo dire, in preda al caos e alla schizofrenia. Vi auguro una buona lettura, che possa servirvi per mettere alcuni punti. Ernesto Alberti Violetti 7 8 INTRODUZIONE DELL’AUTORE “Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, di tutti i Paesi e di tutti i giorni; può associarsi a tutti gli altri piaceri, e resta ultimo a consolarci della loro perdita.” Jean Anthelme Brillat-Savarin Potremmo battezzarla “confusion”, la cucina del giorno d’oggi. Un cocktail di tradizioni, sapori, colori, tecniche di cottura e preparazioni più o meno innovative, contaminazioni di vario genere, fantasia… Un arricchimento, certo, ma in alcuni casi potrebbe assomigliare più a uno smarrimento, il rischio della perdita di un’identità, che in un mondo globalizzato ha comunque senso di esistere. Le lasagne di crespelle, l’amatriciana di mare, la carbonara di verdure che appaiono su alcuni menù di certi ristoranti, rispecchiano la strada culinaria già tracciata e in costante evoluzione; necessaria e legittima, sia chiaro. Ma in tutto questo rimaneggiamento continuo delle ricette, non si rischia fors’anche di rimaneggiare la storia, l’identità di un popolo? La millefoglie è una torta creata dal famoso chef francese Marie Antoine Carême, ma il termine viene oggi usato anche per descrivere un piatto composto da strati di verdure o, peggio, di carni. Il carpaccio è stato realizzato per la prima volta negli anni ’50 del ‘900 da Giuseppe Cipriani, dell’Harry’s Bar di Venezia, in occasione di una mostra pittorica sull’artista Vittore Carpaccio, dedicando la preparazione (rigorosamente a base di manzo) al pittore stesso. Tuttavia troviamo in abbondanza in molti locali o su libri carpacci di polpo, di salmone, di cervo e così via, come se l’originale termine carpaccio, dato da Cipriani, significasse necessariamente una fetta di qualsiasi pesce o carne molto sottile. Il che, sappiamo, non è vero. Sono i cuochi succedutisi negli anni ad averne usato e abusato il nome, senza pagarne 9 per giunta i diritti d’autore… La domanda, qui, sorge spontanea: è corretto, eticamente e storicamente, prendere in prestito denominazioni di alcuni piatti o tagli di carni o preparazioni specifiche, per applicarli ad altre e nuove creazioni, magari per donargli quell’enfasi, quella nomea già conosciuta e utile solo a incrementarne la vendibilità? I favorevoli e i contrari si dividono continuamente. A mio modesto parere il rispetto delle ricette classiche e tipiche va mantenuto: la violenza, soprattutto di alcuni, è sempre da esorcizzare. Rispettare una ricetta, l’ortografia con cui si scrive sulla lista delle vivande, ovvero modificarla solo “quanto basta” per mantenerla in linea con i gusti e le mode che cambiano, significa infatti rispettare chi ci ha preceduti, chi l’ha pensata e realizzata per la prima volta, chi o cosa le ha permesso di svilupparsi. Vuol dire tutelare la nostra storia - che è già ieri - le materie prime e le lavorazioni andate affinandosi nel tempo. Questo libro vuole provare a mettere un po’ di ordine nel racconto di oltre duecento fra le più note pietanze della cucina regionale italiana, francese e internazionale. Per tentare di ristabilire un sincero e naturale rapporto con le loro origini, spesso impregnate di leggenda, ma non per questo poco credibili o autentiche. La verità in tasca non ce l’ha nessuno. Lo scrivente non è uno storico, né vuole apparirne una pallida imitazione. Ciò che rappresenta quest’opera - una fra tante - è il semplice tentativo di suggestionare e di stimolare la nostra sana curiosità intorno alla storia dei piatti che amiamo degustare o cucinare o rivisitare consapevolmente. Perché apprendere l’origine delle ricette, o presunta tale, le basi dell’evoluzione storica della cucina, le impronte che hanno dato a questa arte numerosi personaggi del passato, oltre a farci vivere un’esperienza e accrescere le nostre conoscenze, può aiutare a incrementare in noi proprio la consapevolezza dell’inestimabile valore di ciò che mangiamo, di ciò che serviamo. Damiano Oberoffer 10
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