La Bottega di Eraclito JOHN KLEEVES SACRIFICI UMANI STATI UNITI: I SIGNORI DELLA GUERRA Introduzione di MARCELLO VENEZIANI © 1993 II Cerchio - Iniziative Editoriali Via Cairoli 85, Rimini (FO). Traduzione a c. di Adolfo Morganti Introduzione Controstoria del popolo eletto Non ha ancora trovato negli Stati Uniti un editore, ma il libro di John Kleeves merita l'attenzione che si riserva solita- mente ai "casi" letterari. Che un autore americano di sinistra, vicino a Noam Chomsky e all'ala radicale pubblichi un libro di critica all'americanismo e delle responsabilità storiche degli Usa, con un editore certamente antiprogressista e agli antipodi del mondo radicale, è già un piccolo evento. E che l'autore sia stato presentato all'editore da esponenti del PDS è un ulteriore, interessante groviglio. Ma insolita è sopratutto la tesi di fondo che percorre il libro: una linea curiosamente giustificazionista sia verso i tede- schi e i giapponesi, sia verso i sovietici. Siamo abituati dalla storiografia ufficiale a considerare "criminali di guerra" e comunque artefici della guerra totale, i nazisti, e in subordine i sovietici. A loro si attribuisce infatti la pratica dello sterminio, e alle loro ideologie, ai loro regimi totalitari, si fanno risalire i princi- pali obbrobri del nostro secolo. Kleeves ritiene che un posto d'onore nella classifica degli orrori spetti invece agli anglo- americani. Qual'è la loro responsabilità? In primo luogo si deve agli inglesi e agli americani l'in- troduzione della guerra totale, ovvero della guerra non limitata alle forze militari in campo ma estesa alle popolazioni civili. I bombardamenti a tappeto, lo sterminio di intere città, la guerra batteriologica, appartengono secondo Kleeves agli arsenali strategici ma anche ideologici degli angloamericani. Teorizzata negli anni venti da un italiano, Giulio Douhet, e da un americano, Billy Mitchell, la guerra totale avrebbe avuto la prima completa applicazione con la seconda guerra mondiale. Gli unici a praticarla furono per Kleeves gli inglesi e gli statunitensi; non i russi, né i tedeschi o i giapponesi. E Kleeves si addentra nei tragici bilanci delle operazioni belliche, esten- dendosi poi alle guerre del dopoguerra fino alle "bombe intel- ligenti" in Irak e allo sterminio dei bambini che sono state le prime vittime dei bombardamenti. Piuttosto severo Kleeves è anche con gli italiani a cui rimprovera la passata viltà e il presente servilismo agli Usa, che si sarebbe manifestato nel modo di condurre i bombardamenti in Irak. L'analisi di Kleeves è fondata su dati ed eventi difficil- mente cancellabili o confutabili. Si può probabilmente discutere sull'interpretazione e l'enfatizzazione di alcuni dati a danno di altri, si possono ritenere un po' azzardate alcune equiparazioni e alcuni paragoni con il nazismo (da cui esce meglio il regime di Hitler che quello americano). E si può considerare una forzatura la visione salvifica dell'Urss che avrebbe addirittura consentito alla Germania dell'Est, ponendola alla sua ombra, di scampare ad un programmato sterminio americano. Un po' azzardata è pure la tesi che il Giappone avrebbe preferito arrendersi a Stalin piuttosto che agli Usa, e proprio per impedire questo, gli americani decisero di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Ma va riconosciuto, al di là di queste interpretazioni un po' forzate, figlie di una non facilmente sradicabile mentalità radicale, che gli elementi di riflessione non mancano. Interessante è poi la tesi culturale di Kleeves, che dà origine al titolo del libro. Secondo l'autore alle origini della "guerra totale" o della guerra contro i civili, vi sarebbe una lettura puritana del Vecchio Testamento. L'idea cioè di una purificazione totale attraverso il fuoco, la distruzione delle città "peccaminose" siano esse Dresda, Tokio o Babilonia. Kleeves ricorda i nomi di battesimo dati dagli americani alle loro operazioni di guerra: Gomorra, Inferno, Babilonia e così via. E ricorda i precedenti: il primo attacco ad un accampa- mento indiano con la decimazione della popolazione è del 1634. Di incendi è poi costellata la storia americana: significativo quello di Toronto del 1813 che ricordava l'incendio purificatore appiccato da Oliver Cromwell a Wedford. Alle radici Kleeves richiama i sacrifici umani in uso tra gli ebrei, da cui gli americani avrebbero tratto anche la "super- stizione" di ritenersi popolo eletto. E a questo proposito, Kleeves si addentra a dimostrare la sotterranea traccia di razzismo verso i "popoli inferiori", sopratutto i "gialli" (siano essi i giapponesi del '45 o i vietnamiti di vent'anni dopo), che avrebbe costituito l'humus americano nei conflitti. Popoli inferiori anche perché poveri, arretrati, legati a religioni diverse, non benedetti calvinisticamente dalla luce del benessere e del capitalismo. Il rischio dell'analisi di Kleeves è quello di costituire a sua volta una demonizzazione ed una criminalizzazione degli americani. E' salutare leggere un'interpretazione diversa e controcorrente, finalmente non allineata all'ossequio che di solito si riserva ai winners, i vincitori. Ma sottile e pericoloso è il confine tra una lettura libera, fuori dai canoni del conformismo ed una lettura "ideologica" animata da un odio quasi "antropologico" per il proprio Paese. Kleeves, mi sembra riesca a non varcare quel sottile confine, ma spesso s'intrattiene sul limen. La sua diagnosi da un verso poggia su avvenimenti storici non falsificabili, anche se spesso lasciati in sordina; e dall'altro verso incontra interpretazioni di più alto profilo. Come quella di Cari Schmitt, ad esempio, che sopratutto nel Nomos della terra, disegnava un analogo bacino culturale, morale e storico alla"guerra totale" introdotta nei nostri anni. Dove il nemico non è l'antagonista da combattere sul campo ma l'incarnazione del Male Assoluto da sradicare e da sterminare, per far trionfare il Bene Assoluto in una guerra ultima e definitiva. Il piano di lettura schmittiano, naturalmente è più alto; ma John Kleeves sembra confermarlo traendo materiali ed esempi dalla "fisica" degli avvenimenti. Accadimenti da non dimenti- care, e non certo per riaprire rancori, e processi di Norimberga a rovescio, ma per amor di verità e per costruire il senso del presente su un sano e critico senso storico dominato dal realismo più che dalla fiction. Marcello Veneziani Parte prima L'invenzione della guerra totale Con la seconda guerra mondiale fece ingresso nella storia il concetto, e quindi la pratica, della guerra totale. Prima di allora le guerre erano combattute essenzialmente fra eserciti: quello fra i due che sconfiggeva sul campo l'altro vinceva la guerra; le relative popolazioni civili soffrivano la loro parte di privazioni, ma non erano di norma direttamente coinvolte nel conflitto. Alcune nazioni protagoniste della se- conda guerra mondiale condussero invece la propria guerra con un criterio diverso: il loro esercito, oltre che combattere, ed anzi in molti casi invece di combattere l'esercito avversario, combatté anche contro la popolazione del paese avverso, decimandola per mezzo di bombardamenti aerei condotti con bombe esplosive e incendiarie sulle città nelle quali questa si trovava concentrata. La novità consisteva nel cercare di vincere la guerra con un ricatto di questo genere: se non ti arrendi, o se il tuo esercito non si arrende, allora massacro la tua popolazione civile - uomini, donne, bambini indiscriminatamente - e continuerò eventualmente a farlo sino a che non ne rimarrà niente ed a questo punto il tuo esercito - che sino a quel momento potrà anche essere rimasto perfettamente intatto - non avrà più nes- suno per cui combattere. Questo è il concetto di fondo della guerra totale. Ad aver introdotto questo concetto (e la relativa pratica) nel corso della seconda guerra mondiale furono gli statunitensi e gli inglesi. Molti pensano che siano stati i tedeschi a farlo, per via delle colossali perdite che causarono alle popolazioni civili avversarie nell'Europa Orientale. Inoltre, nel corso della seconda guerra mondiale i tedeschi eseguirono grandi stragi di civili nei loro campi di concentramento: pare si tratti di sei milioni di slavi, zingari e altri popoli, e, pare, sei milioni di ebrei. Ma nel caso dei tedeschi si trattò di una faccenda diversa: essi non compirono quelle stragi allo scopo di vincere la guerra, o perché pensassero che queste li avrebbero aiutati a vincerla. Quelle stragi non avevano alcun nesso con le loro operazioni militari, nemmeno quando furono compiute nel corso delle stesse; anzi, quelle stragi, sia quando compiute nel corso di operazioni militari che al di fuori di esse, furono sempre d'intralcio a queste ultime, sottraendovi ingenti risorse umane e materiali. Per i tedeschi quelle stragi non facevano parte di una strategia mili- tare, come invece avviene nel caso della guerra totale. I tedeschi insomma condussero quella guerra secondo standard storici consolidati, in fin dei conti con onore; fu al di fuori di essa che si macchiarono di colpe, che furono comunque di origine ideologica e politica, non militare. Quando anch'essi ricorsero al sistema della guerra totale, bombardando ad esempio Coventry e Londra, fu a titolo di ritorsione nei confronti della guerra totale scatenata contro di loro da americani e inglesi, e solo dopo averli ripetutamente invitati a rinunciare a queste pratiche: i tedeschi si decisero infatti a bombardare le città inglesi solo dopo che questi (con l'appoggio degli americani) avevano cominciato a bombardare sistematicamente le loro; essi però non erano attrezzati per questo tipo di guerra e così la loro ritorsione non poté essere realmente efficace. Chi invece durante la seconda guerra mondiale usò le stragi di massa di popolazioni civili a scopi militari, adoperandole cioè come un metodo pari agli altri per cercare di vincere la guerra,