Vincenzo Romania Ruoli, identit(cid:224), interazioni Un approccio interazionista Liguori Editore Questa opera Ł protetta dalla Legge sul diritto d(cid:146)autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf). Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all(cid:146)uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione ra- diofonica o televisiva, alla registrazione analogica o digitale, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La riproduzione di questa opera, anche se parziale o in copia digitale, fatte salve le eccezioni di legge, Ł vietata senza l(cid:146)autorizzazione scritta dell(cid:146)Editore. Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ ' 2012 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Ottobre 2012 Stampato in Italia da Liguori Editore, Napoli Romania, Vincenzo : Ruoli, identit(cid:224), interazioni. Un approccio interazionista/Vincenzo Romania Relazioni Napoli : Liguori, 2012 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5888 - 2 ISSN 1972-0602 1. Metodi, pratiche, interazionismo simbolico 2. Goffman, Mead, Turner I. Titolo II. Collana III. Serie Ristampe: (cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151)(cid:151) 20 19 18 17 16 15 14 13 12 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 La carta utilizzata per la stampa di questo volume Ł inalterabile, priva di acidi, a PH neutro, conforme alle norme UNI EN ISO 9706 ∞, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili. (FSC, PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS). Introduzione I ragazzi, abbandonati alle proprie risorse, trovano compa gnia nelle bambole, fanno amicizia con i gatti e con i cani, e se necessario, creano personalità immaginarie con cui riescono a vivere alla meglio. Le persone sole, d’altro canto, stabiliscono rapporti intimi e personali con il loro ambiente fisico, fanno parlare le pietre, e trasformano i libri in fiumi che scorrono (Robert E. Park, 1927, p. 3 cit. in Rauty, 2011, p. 22). Questo libro è la naturale prosecuzione de Le cornici dell’interazione (2008). Insieme, i due testi si propongono di introdurre il lettore alla corrente so cio-psicologica dell’interazionismo simbolico. Questa tradizione teorica ed empirica, che si può far risalire ai contributi di Cooley e Mead ad inizio del ’900, è probabilmente quella che ha contributo maggiormente alla com prensione dei processi che sottendono alla comunicazione interpersonale e al comportamento sociale degli individui nella vita quotidiana. Fra la pubblicazione dei due libri sono passati quattro anni, malgrado nell’Intro duzione del primo avessi irresponsabilmente promesso che questo sarebbe stato pubblicato a distanza di un anno appena. Nel frattempo, le schede grezze di lettura hanno giaciuto sugli hard disk dei miei computer, altre se ne sono aggiunte, e con esse molte esperienze intermedie. Il ritardo non costituisce, quindi, necessariamente una disgrazia. Fra le esperienze positive che sono avvenute nel frattempo va ricordata, nel giugno 2010, l’organizzazione a Pisa di quella che probabilmente è stata la prima conferenza sull’interazionismo tenutasi in Europa, organizzata dalla Society for the Study of Symbolic Interaction, insieme al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’università di Pisa e all’AIS. La scarsa atten zione reciproca fra scienziati sociali europei e interazionismo caratterizza tutto il ’900. Se da parte americana, si può forse registrare un certo snobismo intellettuale, da parte europea si rileva soprattutto una generale amnesia rispetto al debito intellettuale che le scienze sociali hanno nei confronti dell’interazionismo. Un debito che si esprime nell’utilizzo ormai frequente di concetti di matrice interazionista, senza un suo esplicito riconoscimento. Una situazione che, se vogliamo, in Italia, è ulteriormente aggravata, a causa di una tradizione intellettuale che ha visto prevalere approcci, dal 2 Introduzione funzionalismo al marxismo, che hanno sempre privilegiato una attenzione per le strutture sociali. La conferenza ha ospitato molte lectures di importanti contributors stranie ri ed italiani e ha, fra le altre cose, permesso a un gruppo di studiosi, me compreso, di incontrarsi e riconoscersi come interazionisti italiani. La cultura organizzativa (Schein, 1984), che da sempre informa l’università italiana, rende, infatti, più facile incontrarsi fra colleghi in una conferenza internazio nale, che salutarsi in un dipartimento nel quale si occupano uffici adiacenti. Tutto ciò ha avuto soprattutto un effetto psicoterapeutico su quella decina di persone che hanno iniziato a pensarsi come i sociologi italiani d’imposta zione interazionista. Per la prima volta, al di fuori delle nostre pubblicazioni e delle cortesi gratificazioni ricevute dai nostri studenti, abbiamo capito che esiste anche un gruppo accademico che riconosce il nostro lavoro. Come in una riunione di alcolisti anonimi o di malati sessuali come quelli raccontati da Palahniuk nelle prime pagine di Soffocare (2001/2002), confrontandoci abbiamo prima condiviso le nostre esperienze negative di percepita stigma tizzazione in ambito accademico, per poi passare a progettare insieme una serie d’iniziative future, il cui auspicio personale è che servano soprattutto a dare visibilità a questa scuola di origini americane, che dopo 110 anni di storia, può contribuire ancora tanto allo sviluppo delle scienze sociali. Questo libro nasce quindi in un contesto diverso rispetto al primo, dovuto non solo al “risveglio” dell’interazionismo simbolico nel nostro Pae se ma anche a una serie di cambiamenti della tecnologia: i social networks, infatti, nell’ultimo lustro hanno raggiunto una diffusione capillare e hanno modificato profondamente le interazioni sociali. Non si può certo più pen sare all’identità senza considerare gli strumenti mediatici che definiscono la situazione (Altheide, 2000) e che permettono a ogni persona di rappre sentare sé stessa all’interno di un ambiente profondamente influenzato dalle caratteristiche tecniche delle diverse piattaforme informatiche. Va, inoltre, considerato come la presente riflessione nasca in un mutato quadro isti tuzionale. Fra gli aspetti relativamente nefandi della riforma Gelmini, c’è stata infatti anche la riorganizzazione dei dipartimenti e la contemporanea cessazione delle facoltà. Ciò ha fatto sì che studiosi appartenenti a discipline finora indebitamente separate si ritrovassero improvvisamente a dialogare allo stesso tavolo, spesso di aspetti burocratici, amministrativi, ma sovente anche di programmazione didattica e scenari futuri di ricerca. In questo qua dro d’interdisciplinarietà, più o meno imposta, esiste, quindi, a mio avviso, anche la possibilità di affermare un punto di vista sul mondo, come quello interazionista simbolico, che non rifiuta l’interdisciplinarietà ma piuttosto la promuove. I classici di questa corrente teorica sono, infatti, filosofi, sociologi, Introduzione 3 psicologi sociali e cognitivisti che hanno scritto una storia di comunicazione fra saperi scientifici che travalica ogni confine istituzionale. Anche alla luce di questi mutamenti, il libro cercherà di rispondere alla domanda classica che accompagna da sempre la riflessione interazionista sull’identità, ossia: quale rapporto intercorre fra identità sociale e identità individuale, fra appartenenza e autodeterminazione, imitazione e distinzio ne, prevedibilità e idiosincrasia? La questione è così ampia e irrisolvibile che rinuncio in anticipo a offrire qualsiasi soluzione definitiva al dilemma. Piuttosto, proverò a ricostruire il dibattito che si è sviluppato attorno a que ste questioni, concentrandomi soprattutto sul rapporto fra ruoli e identità. Trattandosi di un manuale finalizzato alla didattica, esso non includerà parti già edite nel precedente volume Le cornici dell’interazione (2008) e darà maggiore spazio all’interazionismo rispetto ad altre correnti. Altri contributi importanti, già citati nel precedente testo, verranno sol tanto richiamati con riferimenti incrociati, com’è il caso de La vita quotidiana come rappresentazione di Goffman (1959/1969). Anche per quanto riguarda la bibliografia e le biografie degli autori, se nel primo libro ho cercato di rappresentare in maniera sistematica i contributi più importanti della scuo la, in questo caso citerò solamente i riferimenti e gli autori esplicitamente richiamati nel testo. un’ultima particolarità che contraddistingue questo manuale è l’atten zione che nel capitolo 2 verrà dedicata alla teoria funzionalista. Ad essa, infatti, va riconosciuto il merito di aver costruito la terminologia che sta alla base della role theory. Considerare, poi, le differenze, o se vogliamo le oppo sizioni paradigmatiche, fra funzionalismo e interazionismo, è essenziale per comprendere fino in fondo la visione interazionista del mondo. Del resto, l’identità, anche quella scientifica, è una componente relazionale: non può esistere un Noi che si definisce senza definire anche un Loro. E, in questo caso, funzionalismo e interazionismo sono probabilmente i due paradigmi euristici più interessanti nello sviluppo moderno delle scienze sociali. In chiusura, voglio ringraziare Carolina Nuti senza cui questo libro sarebbe risultato molto più illeggibile e tutte le persone che, più o meno consapevolmente, hanno fornito il loro contributo invadendo con le loro interazioni, relazioni, incontri, prodotti culturali, scambi verbali, la mia vita. L’esperienza di un sociologo è prima di tutto quella di esplorare le vite altrui, e le forme di associazione che le e ci legano. L’oggetto di ricerca è sempre presente ai suoi occhi. ogni libro di sociologia è un incrocio di esperienze. Capitolo primo Alle origini dell’interazionismo simbolico: la relazione ego-alter È così impossibile comprendere pienamente qualsiasi essere umano, così come qualsiasi gesto o atto del suo comporta mento, com’è impossibile comprendere a pieno perché una certa rosa selvatica nasca sotto un particolare ponte, in un determinato attimo. (W.I. Thomas, , 1923, p.1, tr. mia). Quando Arthur Schnitzler scrive le vicende del Sottotenente Gusti siamo nel 1900 e da più parti in tutto il mondo occidentale, letterati, filosofi e i primi scienziati sociali si chiedono a quali mutamenti sarà sottoposta l’identità individuale, ora che lo società industriale ha raggiunto l’apice della sua affermazione come modello di sviluppo di massa, in ambito produttivo, economico, demografico ed urbanistico. La città prende vita come entità narrativa, ed irrompe come protagonista in romanzi come Mrs. Dalloway di Virginia Woolf o l’Ulisse di Joyce, in raccolte di poesie come Spleen di Baudelaire, in riflessioni filosofiche come il saggio La metropoli di Simmel o Angelus Novus di Benjamin. Nelle scienze sociali europee, dalla psicologia delle masse di Gustave Tarde alla psicanalisi di Freud, la preoccupazione principale diventa quella di comprendere come il soggetto riuscirà a reagire all’influenza della dimensione di massa sulla sua soggettività e come il mu tamento sociale potrà farsi portatore di lacerazioni identitarie. Schnitzler è una figura che per la sua importanza merita di essere col locata a metà strada fra i letterati e gli scienziati sociali. Le sue novelle e le sue opere teatrali sono, infatti, così ricche di intuizioni sull’identità da far affermare a Freud, suo concittadino viennese, di aver paura di incontrarlo per timore di vedere in lui un suo sosia. La storia che racconta in questa novella è il primo monologo interiore della storia della letteratura, o alme no il primo in un racconto divenuto famoso. È la conversazione interiore tormentata e quasi paranoica di un sottotenente, che uscendo da un teatro non reagisce all’offesa pubblica arrecatagli da un semplice fornaio e riflette sulle conseguenze sociali della sua impasse. Il suo comportamento è contrario 6 Ruoli, identità, interazioni. Un approccio interazionista a quella difesa dell’onore che la sua posizione sociale non solo consente, ma persino esige. Gustl, imbarazzato e non pronto di riflessi, non reagisce immediata mente all’offesa del fornaio e scappa fuori dall’edificio, per la vergogna. Correndo via dal guardaroba, prende il cappotto, indossa i propri panni e torna nel mondo della vita quotidiana. Lascia quindi il ruolo di spettatore della pièce teatrale, per ritornare a quello di luogotenente, con tutti gli ob blighi sociali a esso connessi. L’onore, la rispettabilità, l’immagine pubblica del soldato dell’impero, sono tutti valori collegati al suo ruolo. Valori che andrebbero ineluttabilmente compromessi allorché il fornaio rivelasse quel che è successo alla cerchia sociale che attornia Gustl. Il luogotenente affronta così la strada del tormento interiore, vagando per la Vienna notturna con un’insanabile ansia: la sua mente immagina e rende presente a sé stessa ciò che fra poco tempo, forse l’indomani stesso, penseranno di lui i suoi superiori, i suoi amici, i suoi parenti, il personale del caffè ove ogni mattina fa colazione prima di entrare in servizio. La reazione di ognuno varierà in intensità e modalità di espressione, ma la sua identità, ne è certo, ne uscirà inevitabilmente compromessa: tutti lo vorranno disconfermare nel ruolo di luogotenente. Come può, allora, un uomo impegnato in un ruolo così visibile a livello pubblico e così legato all’apparenza rimediare ad una così palese perdita pubblica di onore, senza che la sua identità di ruolo e quella del suo eser cito ne escano compromesse? Come può cancellare l’onta pubblica di un tale affronto? Le soluzioni che gli si prospettano in mente sono due: il duello o il suicidio. Vagando, valuta i pro e i contro di entrambe ed alla fine opta per la seconda soluzione. A questo punto il suo destino è segnato: restano solo da decidere le modalità, i tempi e gli spazi più adatti per realizzare il suo proposito. Gustl decide, alla fine, che il suicidio sarebbe avvenuto all’indo mani alle sette. Nel frattempo, mentre compie questo piano di riflessione interiore, finisce, quasi involontariamente, all’interno del Prater. Senza farsi notare troppo da chi transita nel parco, per mantenere fino all’ultimo un profilo sociale di rispettabilità, si apparta e si addormenta, sino a che l’alba non lo viene a svegliare. Non sono ancora giunte le sette, decide perciò di recarsi al caffè anche quella mattina, alla solita ora. Sparire, non rispettando la consuetudine routinaria del suo agire, getterebbe, infatti, una cattiva luce sul suo operato, negando le normali apparenze di chi, come lui, ogni mattina si reca al caffè. Sente di dover rispettare, sino all’ultimo momento, la dimensione abitudi naria e rispettabile del suo Sé sociale. Alle origini dell’interazionismo simbolico: la relazione ego-alter 7 Entrando nel caffè, il cameriere gli si avvicina e gli narra qualcosa. Gli chiede se ha saputo di quanto accaduto nella notte: il fornaio — il medesimo che aveva offeso Gustl — è morto di crepacuore, poco dopo essere rincasato. La notizia è sconvolgente e i suoi risvolti sono chiari: colui che lo ha poco prima offeso in pubblico porterà con sé nella tomba il segreto dell’episodio e nessuno scoprirà l’irreparabile disonore arrecato al luogotenente. La re putazione del militare è perciò salva: come in ogni buona rappresentazione teatrale o sociale, nulla accade se non c’è un pubblico che vi assiste. Gustl gioisce dentro sé, vorrebbe esternarlo, ma non può poiché deve mantenere il giusto contegno che la divisa che ancora porta addosso prevede. Ma ciò che conta è che il suo destino abbia mutato decisamente rotta: il suicidio non si rende più necessario, sarebbe una mancanza di coraggio. Tutto tornerà a essere com’è sempre stato: nascosta l’onta, finito il dramma. 1.1. Il Sé come specchio Questa novella di Schnitzler è forse la migliore esemplificazione della me tafora del Sé come specchio, introdotta negli stessi anni da Charles Horton Cooley (Ann Arbor, Michigan, 1864-1929), sociologo statunitense il cui contributo, unitamente all’opera successiva di Mead, pone le basi per lo sviluppo della scuola interazionista. Cooley ha soprattutto il merito di aver traghettato nelle scienze sociali le intuizioni filosofiche proprie del pragma tismo di Dewey e di aver favorito la diffusione e la sistematizzazione delle intuizioni di William James. Egli ha inoltre un ruolo istituzionale importante nella storia della sociologia, poiché è uno dei cofondatori, a Chicago, della American Sociologica^ Association. In opere come Natura umana e ordine sociale (1902) e L’organizzazione sociale (1909/1963), il pensatore americano è preoccupato di comprendere le radici del patto sociale e le forme attraverso cui le istanze individuali convergano nelle diverse forme dell’associazione sociale. A differenza di quanto fanno alcuni sociologi suoi contemporanei che, come Durkheim (1895), sono stati spinti da un forte anti-psicologismo e hanno creduto che i fatti sociali s’im pongano all’individuo; e a differenza ancora di chi, come Freud, ha visto le origini del Sé in processi di sviluppo prettamente interni all’ambito familiare, Cooley cerca, pur con le ingenuità del contesto nel quale opera, di conciliare lo sviluppo dell’identità individuale con l’interazione sociale ed interpersona le del soggetto, nei gruppi nei quali si va ad inserire come membro. Rompe, insomma, l’opposizione fra individuo e società, affermando, analogamente a Simmel, che “l’io e la società nascono insieme” (Cooley 1909/1963, 8).