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Risplendi grande lucciola. Riflessioni di storia naturale PDF

170 Pages·2006·3.831 MB·Italian
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Stephen Jay Gould Risplendi grande lucciola Riflessioni di storia naturale Prefazione di Giovanni Pinna Traduzione di Libero Sosio Titolo dell’opera originale BULLY FOR BRONTOSAURUS REFLECTIONS IN NATURAL HISTORY (W.W. Norton & Company, New York-London) © Copyright 1991 by Stephen Jay Gould Traduzione dall’americano di LIBERO SOSTO © Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano Prima edizione nei “Saggi” maggio 1994 ISBN 88-07-08132-6 La presente edizione comprende le parti 6-10 dell’opera originale 1 Prefazione di Giovanni Pinna Nell’ambito delle scienze naturali nessuno studioso è oggi discusso quanto Stephen Jay Gould, paleontologo amato e odiato in quasi ugual misura da coloro che studiano l’evoluzione della vita. Amato e odiato sia per le sue idee scientifiche, che ha espresso a partire dalla metà degli anni sessanta, sia per la capacità di creare avvenimenti culturali, sia soprattutto per la tendenza a rimettere in discussione ogni teoria o ogni idea scientifica, anche quei principi ritenuti in genere acquisiti, non foss’altro che per tradizione. Questa tendenza a non dare nulla per scontato e a ridiscutere ogni idea e ogni teoria, senza curarsi delle polemiche, è evidente sia negli articoli che egli da anni pubblica periodicamente su “Natural History”, la rivista di divulgazione dell’American Museum of Natural History di New York, da cui sono tratti i capitoli che costituiscono quest’ultimo volume, sia in alcune teorie scientifiche che egli ha proposto. Fra queste, l’ipotesi degli equilibri punteggiati (o equilibri intermittenti), pubblicata per la prima volta nel 1972, assieme a Niles Eldredge paleontologo del museo di New York, è quella che ha suscitato maggior scalpore. Essa metteva infatti in discussione la tradizionale teoria dell’evoluzione, così come questa era stata interpretata a partire dagli anni quaranta da George Gaylord Simpson, da Julian Huxley, da Ernst Mayr, e da Theodosius Dobzhansky, da coloro cioè che avevano realizzato in chiave darwiniana la sintesi fra paleontologia e genetica, ritenuta per molti anni la più valida interpretazione del fenomeno evolutivo. I lavori di Gould erano dunque destinati, proprio per l’intrinseca volontà di ridiscutere gli avvenimenti e le idee, ad alimentare forti polemiche e a sollevare interminabili dispute che sarebbero state combattute a colpi di feroci articoli sulle maggiori testate scientifiche. Scorrendo le pagine di “Nature” o di “Science” è evidente l’influenza che alcune tesi di Gould hanno avuto nel dibattito sull’evoluzione, e, più in generale, sul pensiero scientifico nell’ultimo quarto di secolo. Senza entrare nel merito della solidità di queste tesi, o della validità delle polemiche che esse hanno alimentato, è indubbio che Gould ha influenzato in modo notevole, positivamente o negativamente a seconda dei diversi punti di vista, il pensiero scientifico. Oggi nessun lavoro sull’evoluzione o sull’interpretazione del passato biologico della terra può prescindere da ciò che questo paleontologo del museo di Harvard, maledettamente abile nello scrivere, ha proposto nei suoi articoli. L’innegabile abilità di Gould nel creare avvenimenti culturali richiama l’interesse del mondo scientifico su argomenti dimenticati o su problemi che, ritenuti ormai risolti, sembravano essere degni solo di un’onorata archiviazione. È evidente quanto la vocazione di Gould a una continua verifica scientifica giochi in questa capacità di creare avvenimenti culturali. Nel 1977, con la pubblicazione del volume Ontogeny and Phylogeny, purtroppo mai tradotto in italiano, Gould ripropose all’attenzione degli evoluzionisti il rapporto fra la crescita dell’individuo e l’evoluzione subita dal gruppo cui questo individuo appartiene, e risollevò il problema di quale significato tale rapporto abbia nell’ambito del processo evolutivo. Era dagli anni trenta e quaranta che nell’ambito degli studi evoluzionistici non si parlava quasi più delle connessioni fra ontogenesi e filogenesi, e mi pare interessante porre l’accento sul fatto che sia stato proprio Gould l’artefice della rinascita dell’interesse per l’embriologia in chiave evolutiva. Egli lavora infatti in quel Museum of Comparative Anatomy di Harvard che fu fondato da Louis Agassiz, e nel quale operò anche il paleontologo neolamarckiano Alpheus Hyatt, due studiosi che sul rapporto ontogenesi-filogenesi avevano basato la loro visione del mondo biologico, pur partendo da punti di vista diametralmente opposti, poiché il primo era uno dei più accaniti avversari dell’ipotesi evoluzionista, mentre l’altro era un convinto assertore della trasformazione degli organismi nel tempo, sebbene non in termini darwiniani. Nell’attenzione che egli ha prestato al rapporto fra ontogenesi e filogenesi, come nella teoria degli equilibri punteggiati sono presenti alcuni elementi che sembrano collegare Gould a questi suoi antichi, eminenti colleghi. Egli può dunque essere considerato come l’ultimo esponente di quella 2 che è stata la più influente scuola paleontologica nordamericana: la scuola di Boston, che si oppose per tutta la seconda metà del XIX secolo alle idee darwiniane, prima con Agassiz in modo assoluto, poi sostituendo a esse, con Hyatt, un’interpretazione dell’evoluzione in chiave lamarckiana. Visti sotto questo aspetto, il pensiero scientifico di Gould e le sue idee sull’evoluzione divengono meno rivoluzionari, e anche l’ipotesi degli equilibri punteggiati, che tante discussioni ha suscitato, assume una sua coerenza storica. La pubblicazione del volume Ontogeny and Phylogeny e l’enunciazione dell’ipotesi degli equilibri punteggiati sono state avvenimenti culturali. Per quanto riguarda questa teoria, due aspetti hanno infatti influenzato notevolmente la comunità scientifica: la critica all’interpretazione neodarwiniana dell’evoluzione che, mettendo in discussione il gradualismo filetico dei neodarwinisti, ha rinnovato l’antico dibattito sulla continuità e discontinuità dell’evoluzione; e la rivalutazione della documentazione paleontologica come strumento capace, non solo di mostrare, ma anche di interpretare il fenomeno evolutivo. Darwin riteneva che l’evoluzione fosse un processo graduale e continuo, che cioè la transizione fra due specie successive avvenisse attraverso minute e graduali modificazioni. Se questo era il meccanismo di trasformazione degli organismi, teoricamente la documentazione paleontologica avrebbe dovuto mostrare queste graduali modificazioni nel tempo sotto forma di fossili rappresentanti le forme transizionali fra i taxa successivi. La realtà non era però questa. Sia ai tempi di Darwin, sia anche in seguito quando le conoscenze sugli organismi del passato erano divenute assai più ampie, la documentazione paleontologica si ostinava a fornire un’immagine del passato del tutto discontinua, come se l’evoluzione non fosse avvenuta gradualmente ma attraverso discontinuità più o meno ampie. Per giustificare la propria teoria dell’evoluzione graduale, Darwin e molti paleontologi dopo di lui sostennero perciò l’incompletezza e la frammentarietà della documentazione paleontologica. Se in tal modo si salvava da un lato la possibilità dell’evoluzione graduale, dall’altro si escludeva automaticamente la paleontologia dallo studio dei meccanismi dell’evoluzione e si rinunciava inoltre in partenza a tutti quei dati che essa, unica scienza in grado di documentare il passato, avrebbe potuto fornire. Tutta la storia della paleontologia a partire dalla metà del secolo scorso è stata dominata dal dibattito sulla completezza o incompletezza della documentazione paleontologica, e quindi dalla contrapposizione di una visione gradualista e di una visione saltazionista del processo evolutivo. Questa contrapposizione cadde attorno agli anni quaranta di questo secolo, quando la sintesi neodarwinista fece accettare quasi universalmente la visione gradualista dell’evoluzione e mise definitivamente da parte la paleontologia come scienza dell’evoluzione, in quanto la frammentarietà dei materiali su cui essa basava le proprie indagini non dava alcuna garanzia per l’interpretazione degli avvenimenti del passato. Ora, nell’elaborare l’ipotesi degli equilibri punteggiati, Gould partì proprio da una critica all’interpretazione della documentazione paleontologica data dai neodarwinisti, e, come alcuni suoi predecessori, rivalutò la paleontologia, sostenendo che la documentazione fossile, seppur indubbiamente frammentaria, era tuttavia sufficientemente completa da poter fornire un’immagine reale di ciò che era avvenuto nel passato biologico. Poiché tale documentazione forniva un’immagine discontinua dell’evoluzione, egli sostenne che l’evoluzione stessa doveva essere stato un fenomeno intermittente, alternante cioè lunghi periodi di stasi e brevi periodi di produzione di nuove forme. La rivalutazione della documentazione fossile operata da Gould, ha di fatto reinserito la paleontologia fra le scienze in grado di indagare sui processi evolutivi. L’idea che essa abbia a disposizione dati sufficienti per ottenere un’immagine del passato relativamente vicina alla realtà, ha spinto in questi ultimi anni numerosi paleontologi a cercare proprio nei fossili la chiave del meccanismo della trasformazione degli organismi nel tempo. È indubbio dunque che Stephen Jay Gould rappresenta un fenomeno unico nel panorama delle scienze naturali. Ciò che di lui sorprende, al di là dell’abilità scientifica, è la capacità produttiva; non vi è infatti argomento di cui non si sia interessato, che non abbia discusso e su cui non abbia dato il proprio parere, che spesso, com’è nel suo carattere, è stato in disaccordo con l’interpretazione più tradizionale. 3 Ma vi è un altro merito che nessuno può negare a Gould, il merito, di cui peraltro egli è ben conscio, di aver contribuito a ridare una dignità culturale alla divulgazione scientifica. Credo sia noto a tutti che gli scienziati del secolo scorso non disdegnavano di diffondere il proprio pensiero fra il grande pubblico, sia usando nelle loro opere un linguaggio intelligibile a tutti, sia pubblicando veri e propri volumi divulgativi. Così, per fare solo due esempi, l’Origine delle specie fu scritta da Darwin in un linguaggio che ne permettesse la lettura anche da parte di coloro che di scienze naturali erano praticamente all’oscuro, mentre Ernst Haeckel pubblicò per il grande pubblico i volumi Storia naturale della creazione e Le meraviglie della vita, contenenti praticamente tutta la sua visione scientifica del mondo. Questa tradizione, che aveva il pregio di diffondere ampiamente le conquiste del pensiero scientifico, attraverso la parola stessa di coloro che di queste conquiste erano gli artefici, andò persa nel corso degli anni, e venne sostituita da una divulgazione scientifica di tipo giornalistico, operata per lo più da persone non direttamente inserite nei circuiti della ricerca attiva. È noto che nella prassi giornalistica fa notizia l’eccezionalità e non la normalità, l’uomo che ha morso il cane e non il contrario. Per quanto riguarda la divulgazione scientifica questa prassi è molto negativa; selezionando le notizie in senso spettacolare, si mette in luce un’immagine distorta del progresso scientifico. Classico, per fare un solo esempio, è il caso dell’estinzione dei dinosauri: poiché l’ipotesi che attribuisce la loro scomparsa agli effetti della caduta di un grande meteorite è certamente la più spettacolare (e la più semplice da raccontare), essa è anche la più diffusa giornalisticamente, ed è divenuta perciò agli occhi del pubblico anche la più credibile, nonostante che su questo argomento vi sia fra gli scienziati notevole disparità di vedute. Abbandonata dagli scienziati, la divulgazione scientifica è divenuta perciò così superficiale e parziale che l’aver scritto volumi di divulgazione scientifica è oggi quasi un segno di demerito. Ebbene, con i suoi articoli e i suoi molti libri, Gould ha invece dimostrato che è possibile rinnovare la tradizione di un contatto diretto fra lo scienziato e il pubblico, attraverso una divulgazione scientifica di alto contenuto culturale. I suoi successi editoriali hanno reso evidente che questa letteratura scientifica è anche bene accolta dai lettori che vi trovano interesse e piacere. Di questo, tutti, scienziati e pubblico, devono essergli grati. 4 Pleni sunt coeli et terra gloria eius. Hosanna in excelsis 5 Parte prima Sottosopra 1. Risplendi, grande lucciola I piccoli fraintendimenti sono spesso un pungolo per conseguire grandi intuizioni o la vittoria. Per un piccolo errore con importanti conseguenze, Laurel e Hardy si trovarono nei guai con la proprietà della fabbrica di giocattoli, nel film March of the Wooden Soldiers, e furono licenziati per aver costruito cento soldati alti sei piedi (un metro e ottanta) mentre Santa Claus ne aveva ordinato seicento alti un piede (trenta centimetri). Ma in seguito i “soldatini” alti un metro e ottanta salvarono Toyland dall’invasione di Barnaby e dei suoi babau. Negli insetti olometaboli - quelli che subiscono una metamorfosi completa, passando per i tre stadi di larva, pupa e insetto perfetto - le cellule che formeranno i tessuti adulti sono già presenti nel corpo delle larve come chiazze isolate chiamate dischi imaginali. Per molti anni io considerai quest’espressione una fra le più strane di tutta la biologia, poiché intesi sempre “imaginali” nel senso di “immaginari” e pensavo che mi si volesse far intendere che questo sostrato della forma matura in realtà non esistesse. Quando appresi la vera origine di questo termine, mi resi conto che non solo lo avevo frainteso ma ne avevo dato un’interpretazione assolutamente ottusa. Scoprii anche che il mio errore mi aveva insegnato qualcosa di interessante - sui modi di guardare il mondo, e non sui fatti di natura di per sé - e perciò lo giudicai un errore fruttuoso. Era stato lo stesso Linneo, il padre della tassonomia, a coniare i termini per le varie fasi dello sviluppo degli insetti. Egli aveva designato col nome di larva il primo stadio dello sviluppo dell’insetto, l’embrione libero appena uscito dall’uovo tutto dedito a nutrirsi (il bruco di una falena o la larva vermiforme della mosca), e aveva chiamato l’insetto sessualmente maturo “imago” (imagine [immagine]); di qui il disco imaginale per i precursori di tessuti adulti all’interno della larva. Le etimologie di questi termini mi aiutarono a capire: una larva è una maschera; un’imago è l’imagine o forma essenziale di una specie. Linneo, in altri termini, considerò lo sviluppo di insetti come un progresso verso il pieno compimento della loro forma. Il primo stadio è solo di preparazione; esso nasconde la rappresentazione vera e completa di una specie. La forma finale rappresenta l’essenza materializzata del pidocchio, del tripide o della mosca. I dischi imaginali - sia per l’etimologia sia per il concetto - sono parti di una realtà superiore nascosta all’interno dell’imperfezione iniziale: qui non c’è alcun segno di finzione. La maggior parte degli impedimenti alla comprensione scientifica sono blocchi al livello dei concetti, non lacune al livello dei fatti. Gli ostacoli più difficili da superare sono le tendenze che sfuggono al nostro controllo cosciente per il fatto di sembrare così ovviamente, così ineluttabilmente giuste. Noi conosciamo nel modo migliore noi stessi e tendiamo a interpretare in relazione a noi stessi gli altri organismi: a vedere riflesse in essi la nostra costituzione e le nostre organizzazioni sociali. (Per quasi due millenni Aristotele e i suoi successori chiamarono re la grande ape che guida lo sciame.) Pochi aspetti dell’esistenza umana sono più fondamentali del ciclo vitale di crescita e sviluppo. Nonostante tutti gli aspetti meravigliosi dell’infanzia e dell’adolescenza, noi in Occidente abbiamo sempre considerato i nostri ragazzi come degli adulti sottosviluppati e imperfetti: più piccoli, più deboli e più ignoranti. L’età adulta è un traguardo: l’infanzia e l’adolescenza sono un cammino verso l’alto. È naturale, quindi, che noi interpretiamo anche i cicli di vita di altri 6 organismi come un cammino lineare da una potenzialità imperfetta a una realizzazione finale: dalla creatura piccola e mal formata che si sviluppa all’inizio da un uovo all’organismo grande e maturo che produrrà l’uovo della generazione seguente. Altrettanto ovvio, in particolare, è che le larve di insetti ci appaiano come forme giovanili imperfette e le imagini come adulti realizzati! L’etimologia di Linneo incarna questa interpretazione tradizionale imposta dalla vita umana allo sviluppo degli insetti. Quando poi combiniamo questa dubbia comparazione dei cicli vitali dell’uomo e degli insetti con la nostra tendenza più generale a considerare sequenze dello sviluppo con gradini sulla scala del progresso (un pregiudizio che ha ostacolato la nostra comprensione dell’evoluzione ancor più che quella dell’embriologia), le larve degli insetti sembrano condannate a essere facilmente sottovalutate in conseguenza di una quantità di preconcetti: etimologici, concettuali e particolaristici. Se ci volgiamo a considerare due importanti opere di divulgazione scientifica, pubblicate cinque anni dopo l’Origine delle specie di Darwin - una sui cicli di vita in generale e l’altra sugli insetti - possiamo farci una buona idea di questi preconcetti tradizionali. Jean-Louis-Armand de Quatrefages de Bréau, grande studioso francese di quel leader economico fra le larve di insetti che è il baco da seta, scrisse nella Métamorphose de l’homme et des animaux inférieurs (1864) che “le larve [...] sono sempre esseri incompleti; esse sono veri primi abbozzi, che diventano sempre più perfetti a ogni fase di sviluppo”. An Introduction to Entomology, del rettore di Barham, William Kirby, e di William Spence, si aggiudica il primo premio fra le opere britanniche di divulgazione scientifica per celebrità, per longevità (la sua prima edizione apparve nel 1815), e per la sua prosa, che è nel più prezioso stile fiorito tradizionale nelle opere sulla natura, qual è messo in ridicolo per esempio nell’Ulisse di James Joyce: “Ponete mente ai meandri di qualche rivoletto gorgogliante (purling rill) nel suo murmure cammino, ventilato dai più gentili zefiri benché cimentato dai sassosi impedimenti, fino alle acque tumultuose del ceruleo reame di Nettuno...”. A cui Mr Dedalus risponde: “Per l’agonia del Cristo, non è cosa da farti rodere il culo (wouldn’t it give you a heartburn on your arse)?”1 Per questo (fra le altre cose), l’Ulisse fu un tempo bandito dagli Stati Uniti per oscenità, anche se io escluderei quel purling rill piuttosto che un heartburn in qualsiasi parte dell’anatomia. Nella loro prima edizione postdarwiniana (1863), Kirby e Spence non fanno mistero della loro preferenza per imagini ben formate e del loro disgusto per le larve: Quell’instancabile piccola mosca, ospite non invitato alla vostra tavola, il cui fine palato sceglie i vostri cibi migliori, distendendo la sua proboscide fino a lambire una goccia di vino, e volando poi gaiamente per prendere un boccone più consistente da una pera o una pesca; che ora volteggia con le sue compagne in aria, ora striglia con grazia le sue ali chiuse con i suoi piedi sottili, solo l’altro giorno era un verme disgustoso, senza ali, senza zampe, senza occhi, che si avvoltolava compiaciuto in una massa di escrementi. L’adulto, scrivono Kirby e Spence, si chiama imagine “perché, essendosi tolto la maschera [larva] e avendo gettato le fasce [il bozzolo pupale o crisalide], non essendo più mascherato [larva] o confinato [pupa], o sotto ogni altra forma imperfetto, è diventato ora un vero rappresentante o imagine della sua specie”. Il peso della metafora diventa incommensurabilmente più gravoso per le larve quando Kirby e Spence ripropongono ancora una volta la più antica fra tutte le analogie degli insetti, propria di un’epoca di cristianesimo dominante: quella del ciclo di vita di una farfalla col passaggio di un’anima dalla sua prima vita nell’imperfetta prigione di un corpo umano (il bruco) alla morte e chiusura nel sepolcro (la crisalide pupale), all’alata libertà della resurrezione (imagine, o farfalla). Questa similitudine risale al grande biologo olandese Jan Swammerdam,2 che era figlio del 1 James Joyce, Ulisse, tr. it. di G. de Angelis, Oscar Mondadori, Milano 1973, p. 116. [N.d.T.]. 2 In realtà è molto anteriore. Nel Purgatorio, X, 124-125, Dante scrive: “Non v’accorgete voi che noi siam vermi / Nati a formar l’angelica farfalla [...]?” E già Agostino, nel Tractatus in Johannis evangelium, I, 13, aveva scritto: “Tutti gli uomini, che nascono dalla carne, che cosa sono se non vermi? E da vermi Dio li trasforma in angeli” [N.d.T.]. 7 razionalismo cartesiano ma anche, nel suo cuore, un mistico religioso, il quale scoprì per primo le ali rudimentali di una farfalla ripiegate negli ultimi stadi dei bruchi. Swammerdam scrisse, verso la fine del Seicento: “Questo processo è formato in modo così notevole nelle farfalle, che noi vediamo in esso la resurrezione raffigurata sotto i nostri occhi, ed esemplificata in modo da poter essere esaminata dalle nostre mani”. Kirby e Spence portarono solo un po’ più avanti questa immagine: Vedere un bruco che si muove lentamente sul terreno nutrendosi dei tipi di cibo più ordinario e che poi, quando [...] il lavoro assegnatogli è terminato, passa in uno stato intermedio di morte apparente, durante il quale si avvolge in una sorta di sudario e si rinchiude in una bara, e viene per lo più sepolto sotto terra [...] e poi, quando sono risvegliati dal calore dei raggi solari, emergono dal sepolcro, si spogliano delle loro vesti [...], escono come una sposa dalla sua camera - vederli, dico, adorni della loro gloria nuziale, preparati a godere di una nuova e più elevata condizione di vita in cui tutti i loro poteri sono sviluppati ed essi sono pervenuti alla perfezione della loro natura [...], colui che assiste a questa scena interessante non può fare a meno di vedere in essa una vivace rappresentazione dell’uomo nel suo triplice stato di esistenza [...]. La farfalla, che rappresenta l’anima, si prepara nella larva al suo futuro stato di gloria [...]; essa passerà poi al suo stato di riposo nella pupa, che è il suo Ade; e infine, quando assume l’imagine, erompe con i suoi nuovi poteri e la sua bellezza alla sua gloria finale e al regno dell’amore. Ma dobbiamo seguire questa tradizione e vedere nelle larve solo semplici annunciatrici di cose migliori? Tutti i cicli di vita devono essere concettualizzati come vie di progresso che conducono a una forma adulta? Gli adulti umani controllano i mezzi di comunicazione di massa del mondo, e la limitazione di questo potere a uno stadio del nostro ciclo vitale ci impone una visione miope delle cose. Io sarei felice di contrastare questo pregiudizio (come hanno fatto molti) sottolineando la creatività e l’importanza specifica dell’infanzia umana, ma in questo saggio devo occuparmi di insetti. Ammetterò che il nostro pregiudizio tradizionale si applica a creature che, in un certo senso, sono simili a noi stessi. Il nostro corpo cresce e si trasforma continuamente. Un adulto umano è una versione ingrandita del bambino; la nostra forma adulta conserva gli stessi organi, un po’ modificati nella forma e spesso molto accresciuti. (Anche molti insetti dal ciclo di vita semplice, a sviluppo eterometabolico, cioè con metamorfosi incompleta, crescono di continuo. In questo saggio mi occuperò però di quegli insetti che passano per l’intero ciclo degli stadi classici della metamorfosi completa: uovo, larva, pupa e imagine.) Ma come possiamo applicare questa idea preconcetta della via verso l’alto a cicli di vita complessi di altre creature? In che senso il polipo di un cnidario (il phylum dei coralli e loro affini) è più - o meno - della medusa che si forma per gemmazione dal suo corpo? Uno stadio si nutre e cresce; l’altro si accoppia e depone uova. Essi compiono funzioni diverse ed egualmente necessarie. Che cos’altro si può dire? Le larve e le imagini degli insetti presentano la stessa suddivisione: le larve mangiano e le imagini si riproducono. Inoltre, le larve non diventano imagini per aumento e complicazione di parti. I tessuti delle larve, invece, vengono smessi e distrutti durante lo stadio pupale, quando l’imagine si sviluppa in gran parte da piccole aggregazioni di cellule - i dischi imaginali citati all’inizio di questo saggio - che risiedevano, senza differenziarsi, all’interno della larva. I tessuti larvali degeneranti sono spesso usati come mezzo di coltura per la crescita dell’imagine all’interno della pupa. Larva e imagine sono due forme diverse e distinte, e non semplicemente un prima evanescente contrapposto a un poi completo. Persino Kirby e Spence percepirono questa vera distinzione fra oggetti egualmente ben adattati alla nutrizione e alla riproduzione, anche se seppellirono ben presto questa presa di coscienza in una cascata di metafore sul progresso e sulla resurrezione: Se doveste [...] confrontare la conformazione interna del bruco con quella della farfalla, assistereste a mutamenti ancor più straordinari. Nel primo trovereste alcune migliaia di muscoli, che nella seconda sono sostituiti da altri, di una forma e struttura del tutto diverse. Il corpo del bruco è occupato quasi per intero da un apparato digerente molto capiente. Nella farfalla esso si è trasformato in un viscere 8

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