Il trapianto da una civiltà ad un'altra è la prova più terribile che possa affrontare l'uomo Giuseppe Prezzolini La transplantation d'une civilisation à une autre est l'épreuve la plus terrible que puisse rencontrer l' être humain Foto in copertina: Anni ’60, i bambini del collegio vanno a scuola Impaginazione Maria Bucci ilmiolibro.it - Gruppo Editoriale L’Espresso Barbara Bertolini E qui, almeno, posso parlare? Storia dell'emigrazione italiana a Ginevra I figli degli emigrati ospiti del “Regina Margherita” al Grand-Saconnex ~ Et ici, au moins, je peux parler? Histoire de l'émigration italienne à Genève Les enfants des émigrés du “Regina Margherita” au Grand-Saconnex © Copyright, luglio 2011 Tutti i diritti riservati ai sensi di legge. Sono vietate la riproduzione, totale o parziale, e la diffusione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, di questo volume senza il consenso scritto degli aventi diritto. Barbara Bertolini E qui, almeno, posso parlare? Storia dell’emigrazione italiana a Ginevra I figli degli emigrati ospiti del “Regina Margherita” al Grand-Saconnex ~ Et ici, au moins, je peux parler? Histoire de l’émigration italienne à Genève Les enfants des émigrés du “Regina Margherita” au Grand-Saconnex Italiano - Français ilmiolibro.it - Gruppo Editoriale L'Espresso E qui, almeno, posso parlare? Introduzione C’era una volta una piccola enclave italiana tra l’aeroporto di Ginevra e il comune del Grand-Saconnex brulicante di bambini che in quell’universo avevano ricostituito l’Unità d’Italia: dalla Sicilia alla Venezia Giulia, dalla Puglia al Piemonte, ogni bambino rappresentava degnamente la propria regione. Chi aveva confinato quei bambini italiani proprio lì, in Svizzera, e perché? È di questa storia, fuori dall’ordinario, che voglio raccontare. Una storia che si intreccia con quella della Congregazione delle Suore missionarie francescane di Susa che proprio nel 2005 hanno festeggiato i 100 anni del loro arrivo in una Ginevra profondamente calvinista, contraria ad accettare qualsiasi altra religione sul proprio territorio. Per mettere a fuoco i vari aspetti di questa storia, cominciando da quella degli italiani a Ginevra, ho intrapreso una vera e propria ricerca cercando di interrogare gli ex bambini, e chi li aveva in carica. Ho ten- tato di indagare su un periodo dell’emigrazione italiana che va dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’70. Ma soprattutto ho provato a par- lare dell’istituzione dell'Orphelinat “Regina Margherita” del Grand- Saconnex, dove hanno transitato tantissimi ragazzi italiani. Com’è nata questa ricerca? Nel 2004 l’Istituto “Regina Margherita”, dopo anni di infaticabile attività verso il ceto più debole, ha chiuso i battenti per mancanza di materia prima. Il glorioso “Orphelinat”, che aveva visto passare nella sua struttura centinaia di bambini dai 3 al 14 anni, sarebbe stato abbat- tuto e al suo posto sarebbe sorto un EMS, ovvero una casa per anziani di cui la società ginevrina ha gran bisogno. Due ex del collegio, Marianna Lalicata e Jean-Marc Vuillet, hanno lanciato un appello sulla stampa locale invitando, per l’ulti- mo saluto, coloro che avevano sostato in quella struttura durante la loro infanzia e adolescenza. I nostri hanno fatto le cose in grande, poiché sono riusciti a coinvolgere anche il Comune del Grand- 7 Saconnex, il Consolato italiano e, beninteso, le suore e la Missione cattolica italiana. Nel 2004 ci siamo ritrovati nel vecchio Istituto, noi, gli ex del Grand-Saconnex, a 40-50 anni di distanza. Intanto, in Italia, dove ormai vivo felicemente da più di trent’anni, si dibatteva il problema scuola-immigrati. Avevo letto sul “Corriere della Sera” un interessante articolo di Gian Antonio Stella che parlava del problema dei figli degli emigrati italiani in Svizzera cui era stato negato il diritto di rimanere con i propri genitori. Ed è lì che è scocca- ta la scintilla: anch’io avevo vissuto la stessa esperienza e potevo rac- contarla in prima persona. Anzi, a rifletterci meglio, potevo coinvolge- re gli ex del “Regina Margherita”, perché la nostra vicenda non è stata mai raccontata da nessuno: “on a fait que passer, nous n’avons pas fait l’histoire!”. Noi eravamo i figli del silenzio, quelli che non potevano parlare, quelli a cui si diceva: «Zitti, non vi fate notare!». Il titolo del libro: E qui, almeno, posso parlare? è una frase pronunciata da mio fra- tello, fuori dalla porta dell'alloggio ginevrino, dopo che i miei genitori gli avevano insistentemente ripetuto di stare zitto, perché il padrone della stanza non scoprisse la sua presenza. E qui, almeno, posso parlare? è anche l'occasione per poter rac- contare la nostra storia, la storia di figli di emigrati italiani. Durante l’incontro del 2004, infatti, avevo già cercato di raccoglie- re le testimonianze di chi mi era accanto. Avevo avuto così la possibi- lità di realizzare un giornaletto dal titolo “Le voci del silenzio”, con vari articoli, alcuni dei quali furono ripresi dalla rivista del Centenario delle Suore francescane di Ginevra. Quella non fu una ricerca vera e propria. Questa volta, invece, ho man- dato un questionario agli indirizzi che mi sono stati forniti da Marianna Lalicata, che aveva avuto la presenza di spirito di raccoglierli durante l’ul- timo incontro. Poche sono state le risposte, quelle giunte, però, sono abba- stanza significative e concordanti su alcuni punti, permettendomi di met- tere a fuoco quel periodo dell’emigrazione italiana a Ginevra a cavallo degli anni ’50-’70. Dei collegiali, solo Donato Di Donato, che ha vissuto quattro anni al Grand-Saconnex, ha scritto la sua storia completa. La narrazione si pone, a mio avviso, tra cronaca e storia, dal momen- 8 to che non sono riportate solo testimonianze dirette, ma anche la storia sintetizzata dell’emigrazione italiana a Ginevra dal Medioevo sino ai giorni nostri e, quelle, delle Suore francescane di Susa e del Collegio “Regina Margherita” del Grand- Saconnex. L’indagine, altresì, docu- menta l’impatto dei figli di emigrati italiani con la scuola elementare Affinché tutte le persone interessate possano leggerlo, ho deciso, di scri- vere il testo nelle due lingue utilizzate dagli ex convittori: italiano e francese. Credo di poter offrire, quindi, un’opera di consultazione chiara e di facile lettura, accessibile a tutti, ma anche un lavoro documentato per chi fa ricerca sull’emigrazione. 9
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