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"Quella materia, ond'io son fatto scriba" (Pd.X, 27) PDF

88 Pages·2014·0.5 MB·Italian
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«QUELLA MATERIA, OND’IO SON FATTO SCRIBA» (PD. X, 27):1 LA NON ORTODOSSA ORTODOSSIA DANTESCA NEI CONFRONTI DELLA SCRIPTURA PAGANORUM NELLA DIVINA COMMEDIA MARIA MAśLANKA-SORO L’ossimoro presente nel titolo di questo articolo richiede un chiari- mento: non si tratta di un gioco di parole: non si addirebbe a Dante come poeta ‘di cose’. L’epiteto ‘non ortodossa’ si riferisce al metodo ermeneutico dell’Alighieri di utilizzare le fonti classiche, in particolare quelle epiche dei maggiori poeti latini, che rimane in contrasto con quello solitamente applicato alla loro poesia nel Medioevo. Il termine ortodossia riguarda, invece, i significati sia dell’Eneide che delle Metamorfosi, le quali opere nella reinterpretazione dantesca vengono lette in chiave cristiana e da quel lato non esulano dalla generale ten- denza verificatasi in quell’epoca. Se però nel caso di Virgilio, conside- rato da Dante un ‘profeta inconsapevole’, si tratta di una riscrittura in genere integrativa o leggermente correttiva, per quanto riguarda inve- ce Ovidio, sarebbe più appropriato parlare di una contrapposizione della ‘veritiera’ versione dantesca che dovrebbe sostituire quella ‘falsa’ del poeta romano. Il «tenerorum lusor amorum» (Ovidio, Tristia IV, X, 10) è per Dante un ‘falso profeta’2 che rappresenta una realtà distorta, dovuta in particolare ai rapporti negativi tra gli individui umani e gli «dèi falsi e bugiardi» (If. I, 72). 711 Maria Maślanka-Soro Per valutare adeguatamente la novità dell’approccio dantesco, la sua ‘non ortodossia’, occorre ricordare brevemente, come vengono inter- pretate nel Medioevo romanzo le opere di Virgilio e di Ovidio, due autori che rappresentano in quell’epoca il meglio della grande lettera- tura del passato e suscitano un interesse eccezionale, testimoniato in maniera oggettiva e ‘misurabile’ attraverso il numero dei manoscritti delle loro opere, soprattutto di quelle maggiori, a partire dall’Alto Medioevo, nella cosiddetta aetas Vergiliana dei secoli VIII e IX3 e l’ae- tas Ovidiana dei secoli XII e XIII (Traube 1911: 113).4 La profonda ammirazione per l’Eneide e per le Metamorfosi come poemi epici finora insuperabili per la ricchezza di contenuti e per la maestria formale, va di pari passo con una certa diffidenza nei confronti della loro dimen- sione ideologica, in particolare di quella delle Metamorfosi. Rimane estranea alla morale cristiana la filosofia di questo perpetuum carmen, chiamato così dal suo autore (cfr. Met. I, 4) in ragione della continuità narrativachemetteinrisaltoilpassaggiofluidotraunastoriamiticaed un’altra, ma anche una calcolata ed inquietante mutevolezza e instabi- lità del mondo a cui risponde – a livello dell’elocutio – una variabilità dello stile e dei modi narrativi (Galinsky 1975: 62; 80-82). Il tema uni- ficante della onnipresente metamorfosi che viene operata nella stra- grande maggioranza dei casi da una divinità nei confronti degli esseri umani che ne rimangono vittime, comprommette l’idea cristiana del- l’uomo come simulacrum Dei. Com’è risaputo, il Medioevo offre degli strumenti abbastanza uni- versali che favoriscono la ricezione di questo e di altri poemi antichi, meno controversi dal punto di vista ideologico, come l’Eneide o la Tebaide di Stazio. Si tratta di un passe-partout ermeneutico costituito da un approccio allegorico, che in quell’epoca, la quale vi ricorre costan- temente, ha già alle spalle una lunga tradizione il cui inizio risale anco- ra al periodo ellenistico, quando veniva applicato ai poemi omerici (Curtius 1997: 212). Tale metodo interpretativo è praticato incidental- mente da Servio (IV sec.) e più sistematicamente da Fulgenzio (V/VI sec.) nei loro commenti a Virgilio. Fulgenzio nella sua opera allegori- 712 Nei confronti dellascripturapaganorum nellaDivinaCommedia co-moraleggiante, Expositio Vergilianae continentiae secundum philosophos moralis, fa spiegare l’idea dell’Eneide da Virgilio stesso, apparsogli nel sogno, il quale interpreta Enea e le sue vicende come simboli dell’uo- mo e delle dodici fasi della vita. Nell’Alto Medioevo il primo a fare allusione ad una interpretazione allegorica dei poeti pagani è Teodulfo, vescovo di Orléans († ca. 821). In un suo scritto (De libris quos legere solebam et qualiter fabulae poetarum a philosophis mystice pertractentur) afferma a proposito di Virgilio e Ovidio cheneilorocomponimenticisonomoltecosefrivole,masottoilfalso velosinascondetantaverità(MunkOlsen1994:53).Seguendoquesta strada e ispirandosi in parte a Fulgenzio, Bernardo Silvestre (XII sec.) nel suo commento sistematicamente allegorico ai primi sei libri dell’Eneide tratta Virgilio come poeta filosofo che insegna una verità filosofica descrivendo sub fabulosa narratione le vicende dello spirito umano posto temporaneamente in un corpo umano (Silvestris 1977: 3). Dal punto di vista allegorico l’Eneide rappresenta per Bernardo il cammino dello spirito umano che dopo varie prove raggiunge la sal- vezza. In questa interpretazione è possibile notare certe affinità con la Commedia dantesca, se consideriamo in termini generali il suo livello allegorico, che però per Dante non appare come più importante di quello letterale, in quanto l’Alighieri intende applicare al suo opus magnum la cosiddetta allegoria dei teologi (Singleton 1978: 115 sgg.). Invece il trattamento che Dante poeta riserva al poema di Virgilio è ben altro, come si spiegherà più avanti. Per quanto riguarda l’approccio allegorico ad Ovidio, si osservano due principali tendenze di cui la prima è rappresentata dalle Allegoriae super Ovidii Metamorphosin di Arnolfo d’Orléans, risalenti agli ultimi decenni del XII secolo. L’autore considera la trasformazione degli uomini come effetto della degradazione della natura umana sotto il peso del peccato: si tratterebbe quindi di una mutatio moralis. Un certo influssodiquestatendenza,maforsedovutononall’operadiArnolfo, ma ad un passo della molto più antica Consolazione della filosofia di 713 Maria Maślanka-Soro Boezio (IV, III, 50-69), dove gli uomini viziosi vengono paragonati a diversi animali, si osserva nel canto XIV del Purgatorio, e più precisa- mentenellasatiricacaratterizzazionedegliabitantidivarieregionidella Toscana (versi 40-66), che getta luce sulle loro inclinazioni peccami- nose, tradizionalmente attribuite a determinate categorie del mondo animalesco (cfr. Guthmüller 2001: 65-67). Più radicale, ma anche più fantastica sembra la seconda posizione ermeneutica, il cui esempio più noto è fornito dall’opera anonima Ovidemoralisédell’iniziodelXIVsecolo.Ilsuoautoreassumeunatteg- giamento polemico verso il mito classico, ritenuto falso e che perciò egli fa accompagnare da una glossa esplicativa contenente una verità cristiana di cui il mito sarebbe nient’altro che una contraffazione. LaindubbiacontrapposizionecheilNostroistituiscenellaCommedia tra se stesso come scriba Dei (cfr. Pd. X, 27), uno ispirato direttamente da Dio, e Virgilio, il poeta rimasto chiuso all’operato della Grazia divi- na nonostante fosse un’anima naturaliter christiana – per citare Tertulliano (Hollander 1983: 220) – è ormai riconosciuta da diversi dantisti.5Essanonècontraddettadaunaprofondaammirazioneedal- l’affetto testimoniato da Dante personaggio al poeta romano nell’arco del ‘poema sacro’ (attraverso le sue parole e pensieri), nonché nei dia- loghiconBeatriceoSordello,e,soprattutto,conStazio.Virgilioènella fictiodantesca,laqualenonvuolessereunafictio,6daunaparte‘unlam- padoforo’cheilluminal’itinerariumvitaeconalcuneintuizionidellaveri- tà rivelata non a se stesso, ma a chi lo segue; dall’altra, invece, è colui che, come tanti altri poeti classici, appartiene alle «genti antiche ne l’antico errore» (Pd. VIII, 6).7 Questa dicotomia semantica costituisce la prova di un’intrinseca contraddizione nascosta nella figura del Virgilio dantesco, che rende complesso (doppio, ma non ambiguo) l’atteggiamento dell’autore della Commedia nei confronti sia del suo maestro di stile (If. I, 85-87) che del principale intertesto classico, vale a dire dell’Eneide. Egli non la cristianizza ricorrendo meccanicamente allo strumento ermeneutico dell’allegoria, ma nondimeno rimane 714 Nei confronti dellascripturapaganorum nellaDivinaCommedia attento ai germidella verità ivi nascostiche lui, come un vates cristiano (sulla scia di san Giovanni, l’autore dell’Apocalisse, al quale più di una volta viene paragonato nella Commedia), illumina proprio con quella luce che mancò a Virgilio. Se nel Convivio l’Alighieri sembra in parte discostarsi dall’interpretazione affermatasi sulla scia di Fulgenzio e di Bernardo Silvestre,8 è però solo nella «poesia forte»9 del poema sacro che essa viene completamente superata. Egli vi ricorre direttamente all’originale virgiliano, trattato da lui come historia10 che tuttavia ha bisognodiessererivista ereintegratanelsensoprovvidenziale, scono- sciutodalpoetaromanoacausadellasuachiusuraall’agiredellaGrazia divina. La questione in che cosa consiste questa chiusura e la menzio- nata significativamente nel Canto I dell’Inferno ‘ribellione’ di Virgilio («perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge», v. 125), è stata più volte analiz- zata dagli studiosi, con un approdo a convincenti ipotesi e conclusio- ni11 e non è il caso di ritornarvi in questa sede. I modi dell’assimilazione dell’Eneide nel poema dantesco sono, com’èrisaputo,piuttostonumerosi;essispazianodacitazionidiretteo indirette,calchiverbali,semplicireminiscenze,attraversoleallusionila cuiindividuazionerichiedeunapproccioermeneuticoparticolare,fino ad una più o meno palese revisione e reinterpretazione di passi o epi- sodivirgiliani,semanticamenteespessoanchestilisticamentepiùcom- plessi,dove è sottintesoil discorso emulativoe non unicamente imita- tivo e che coinvolgono la sfera ideologica legata alla contrapposizione più o meno implicita della cultura classica a quella cristiana. Nel pre- sentearticolomisoffermeròsolosuquestiultimi.Diversistudiaffron- tano, specialmente negli anni recenti, il problema della riscrittura dan- tesca dell’Eneide e delle Metamorfosi. Non prescindendo dalle ipotesi ivi avanzate, cercherò di mostrare su necessariamente pochi esempi, come alla base della reinterpretazione dantesca di alcuni episodi miti- ci virgiliani o ovidiani sta spesso il falso rapporto tra il divino e l’uma- no, inaccettabile per Dante come poeta cristiano. Ne consegue, a quanto pare, la convinzione dell’incompletezza o addirittura della dis- 715 Maria Maślanka-Soro torsione dei significati dei detti episodi che necessitano pertanto da parte del Sommo Poeta di essere corretti o trasformati. Una delle tecniche retorico-semantiche più interessanti, perché più originali, non riscontrati in altre opere letterarie dell’epoca, sarebbe quellachemettel’ipotestovirgilianoel’ipertestodantescoinrapporto tipologico(ofigurale)nelsensocheilsecondosisovrapponealprimo, lo integra e lo invera. Un tale procedimento ‘non scritto’ è basato su quellochenelcontestobiblicolaparoladiCristo(NuovoTestamento) instaura con la parola dei profeti (Antico Testamento).12 Dante auto- re, scoprendo il vero o più ampio significato degli episodi virgiliani ne dà una lettura definitiva. Il classico esempio di tale procedimento riscontriamo nell’episodio dell’incontro di Dante e Virgilio con il poetaStazionellaquintacornicepurgatoriale,analizzatoinquestapro- spettiva da alcuni dantisti. Rispondendo alla domanda del Mantovano, relativa alla propria conversione dal vizio di prodigalità, egli riconosce il debito morale nei confronti di Virgilio-lampadoforo (come prima aveva riconosciuto il debito poetico); il suo pentimento, secondo Dante autore, avvenne grazie alla lettura di un passo proveniente dal III libro dell’Eneide (56-57), dove il narratore esprime il proprio sde- gno sulla vicenda di Polidoro, il giovane figlio di Priamo, ucciso dal cognato Polinestore per avidità. Per giustificare la conversione di Stazio dal suddetto vizio, Dante autore intende restituire il ‘vero’ valore al passo virgiliano che origina- riamente esprimeva un’aspra critica della colpa opposta, cioè dell’ava- rizia, tramite l’esclamazione: «Quid non mortalia pectora cogis, / auri sacrafames!»(«Acosanonspingiicuoridegliuomini,maledettafame dell’oro?»). Nella traduzione dello Stazio dantesco – «Perché13 non reggitu,osacrafame/del’oro,l’appetitode’mortali?»(Pg.XXII,40- 41)–ilsensodelleparolevirgilianevienetrasformatoe‘cristianizzato’ con l’obiettivo di ampliarne il significato e farne la critica sia dell’ava- rizia che della prodigalità, cioè dei due estremi che si oppongono ad un giusto desiderio di ricchezza. Dante autore sfrutta, infatti, la poli- 716 Nei confronti dellascripturapaganorum nellaDivinaCommedia semia presente per un lettore medievale nei termini «sacra» e «cogis»: il primo, oltre all’accezione negativa del latino classico (‘esecrata’) aveva anche quella positiva (‘santa’), la sola ammessa nel latino della Chiesa. Il verbo «cogis» poteva essere inteso sia come ‘spingi’ che come ‘reggi’. Quindi lo Stazio dantesco – ma in realtà Dante autore – si presenta qui come quello che è in grado di scoprire verità nascoste nella poesia di Virgilio, cioè il suo senso più completo. Diversi altri esempi, come quello più avanti nello stesso canto – dove la riscrittura dantesca interessa la presunta profezia della quarta egloga di Virgilio – sembrano confermare la diffusa tendenza di fare della Commedia una Eneide ‘migliorata’ in una certa polemica con il suo autore. Questa polemica assume a volte un tono più forte essendo legata ad una più radicale correzione dell’ipotesto. In genere questo procedimentovieneapplicatoallefabulosaenarrationesdiOvidio:laloro rievocazione polemica spesso coincide con la creazione – da parte di Danteautore–deinuovimitiedeglidiventaunveroepropriomythma- ker (cfr. Hawkins 1991: 23). Per quanto riguarda l’ipotesto virgiliano, un caso emblematico sarebbe quello del personaggio di Rifeo a cui l’Eneide concede pochi versi, dove lo vediamo combattere coraggiosamente accanto ad Enea nell’ultima disperata difesa contro i Greci e perdervi la vita. Il com- mento virgiliano pone l’accento sul suo eccezionale valore morale che rimane in contrasto con l’ingiusta sorte riservatagli dagli dei: [...]caditetRipheus,iustissimusunus quifuitinTeucriseservantissimusaequi (disalitervisum)[...](Aen.II,426-428).14 Dante,invece,nefa,com’ènoto,unesempioestremodellagiustizia collocandolasuaanimanelcielodiGioveaccantoaglispiritigiustidei famosi personaggi biblici e storici, come David, Esechia, Traiano, Costantino,GuglielmoilBonoedaltre«lucibenedette»(Pd.XX,146). Con questa sorprendente correzione del suo ipotesto Dante raggiun- ge più obiettivi: prima di tutto assume una chiara posizione nel dibat- 717 Maria Maślanka-Soro tito(chedovevaesserevivonellasuaepoca)sullapossibilesalvezzadei pagani,spostandoilproblemadalmisterodellagiustiziadiDioaquel- lo della Sua grazia (Paratore 1968b: 724): «Chicrederebbegiùnelmondoerrante, cheRifëoTroianoinquestotondo fosselaquintadelelucisante? Oraconosceassaidiquelche’lmondo vedernonpuòdeladivinagrazia, benchesuavistanondiscernailfondo» (Pd.XX,67-72). Inoltre, ed è ciò che qui ci interessa maggiormente, egli si oppone alla concezione antica della divinità che nei confronti degli uomini rimane indifferente ai loro meriti. Al tempo stesso risponde al pessi- mismo di Virgilio che riconosce nella morte di Rifeo – con la consta- tazione «dis aliter visum» – una decisione avversa degli dei, noncuran- ti della giustizia e della bontà dei mortali, con l’ottimismo basato sulla certezzadellafalsitàdiuntalerapportotradivinoeumano.Nonsidis- costapoitantodalladottrinadellasalvezza,scorgendonell’aperturadi Rifeo all’agire della Grazia divina (contrapposta implicitamente alla chiusura del suo autore) il modo di conoscere e praticare le tre virtù teologali «che li fur per battesmo»:15 «perche,digraziaingrazia,Dioliaperse l’occhioalanostraredenzionfutura; ond’eicredetteinquella,enonsofferse daindiilpuzzopiùdelpaganesmo; eriprendienelegentiperverse. Quelletredonnelifurperbattesmo chetuvedestidaladestrarota, dinanzialbattezzarpiùd’unmillesmo» (Pd.XX,122-129). L’inaspettato sviluppo di una storia conosciuta unicamente dall’Eneide, illustra bene la strategia dantesca di sfruttare le potenziali- tà figurative dei miti antichi riscrivendoli in un modo tale che a pieno 718 Nei confronti dellascripturapaganorum nellaDivinaCommedia titolo possano prefigurare una realtà nuova. Come osserva acutamen- te Picone, «La comedìa cristiana diventa cosi l’inveramento della tragedìa classica» (Picone 2002b: 319). Una problematica affine, legata alla concezione antica della divinità, contrapposta a quella cristiana, riaffiora esplicitamente nel canto VI del Purgatorio con l’allusione al mito virgiliano di Palinuro, ma già gli esempi delle anime antipurgatoriali riscontrate dal protagonista nei canti precedenti, che pur essendosi pentite solo al momento della mortevennerosalvatedallamisericordiadivina(daquesta«faccia»16di Dio, come dice lo spirito di Manfredi nel Canto III del Purgatorio, rim- proverando ai suoi persecutori ecclesiastici di non aver saputo leggere l’aspetto misericordioso di Dio e di aver dato per scontato la sua con- dannaeterna),sonotuttilegati,anchetramitel’elementoacquaticoeil suo ruolo nella sorte postuma del corpo (cfr. Cioffi 1992: 187-192), con l’episodio virgiliano di Palinuro. Il timoniere della nave di Enea, estremamente vigilante e attento durante la navigazione a non lasciar- si sorprendere da qualche intemperie voluta dal fato, diffidente nei confronti delle divinità marine, alla fine è costretto a cedere al dio del sonno che lo spinge in mezzo alle onde; riuscito, dopo tre giorni, a giungere a nuoto ad una terra sconosciuta, egli viene ucciso dai suoi abitanti.IlraccontodellasuatristestoriaadEneachestavisitandol’al- dilà,terminaconunapreghierarivoltaall’eroetroianoditornareindie- tro per seppellirlo (il che appare come impossibile, in quanto Enea è impedito dal proprio destino che lo spinge a proseguire nella ricerca della patria perduta) oppure di soccorrerlo nell’oltrepassare lo Stige per poter godere di una pace assieme ad altre ombre non destinate al Tartaro. La preghiera di quest’ombra infelice, che a causa dell’inadem- pimento nei suoi confronti del rito della sepoltura non può, secondo le credenze antiche, trovare la pace, si incontra però con un’aspra rea- zione della Sibilla, la quale avvertendolo di non mostrarsi empio, rico- nosce l’inesorabilità della volontà divina, impossibile da mutare: 719 Maria Maślanka-Soro «Undehaec,oPalinure,tibitamdiracupido? tuStygiasinhumatusaquasamnemqueseverum Eumenidumaspiciesripamveiniussusadibis? desinefatadeumflectisperareprecando» (Aen.VI,373-376).17 Dante autore fa confrontare in maniera allusiva a Dante personag- gio la dura risposta della Sibilla con la dottrina cristiana dei suffragi, cioè delle preghiere dei vivi per le anime purgatoriali con cui è possi- bile ottenere la riduzione del tempo della pena:18 [...]«Elparchetuminieghi, olucemia,espressoinalcuntesto chedecretodelcielorazionpieghi; equestagentepregapurdiquesto: sarebbedunquelorospemevana, ononm’è’ldettotuobenmanifesto?» (Pg.VI,28-33). La strategia di affidare la soluzione di questo problema al perso- naggio di Virgilio nel canto VI del Purgatorio, può essere letta come prova (l’ennesima nella Commedia) della perfetta conoscenza da parte della guida di Dante personaggio della dottrina cristiana solo post mor- tem, e quindi per lui troppo tardi ai fini della propria salvezza. In que- sto potrebbe consistere il personale contrappasso di Virgilio che nella concezione dantesca è dotato più degli altri delle intuizioni di questo genere, a cui rimase sordo durante l’esistenza terrena. D’altra parte la domandaformulataneiversi31-33potrebbeessereinterpretataanche come espressione dell’ironia di Dante che aspetta dall’autore romano la giustificazione di alcune idee riguardanti l’oltretomba per cui egli poteva godere della fama di un poeta-vates. Il Virgilio dantesco pur non negando la verità delle sue precedenti affermazioni – come gli accade, invece, l’unica volta nella Commedia, nel momento in cui spiega le origini di Mantova (If. XX, 55 e sgg.)19 con l’obiettivo di liberare la sua patria da ogni sospetto dei legami con 720

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nella poesia di Virgilio, cioè il suo senso più completo. Diversi altri esempi ALIGHIERI, D. (1999a): Convivio, a cura di G. Inglese, Milano, BUR. BERTINI MALGARINI, P. (1989): «Linguaggio medico e anatomico nelle GIORDANO DA PISA (1974): Quaresimale Fiorentino 1305-1306, a cura di.
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