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Quando fare è credere. I riti sacrificali dei Romani PDF

335 Pages·2011·12.188 MB·Italian
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Storia e Società John Scheid Quando fare è credere I riti sacrificali dei Romani 9 ~--- Editori Laterza John Scheid Quando fare è credere I riti sacrificali dei Romani Traduzione di Barbara Gregori -E:ditori Laterza Titolo dell'edizione originale Quand /aire, c'est croire. Les rites sacrificiels des Romains Aubier, Paris 2005 © 2005, Edicions Flammarion, déparcment Aubier Prima edizione 2011 Proprietà letteraria riservata Gius. Lacerza & Figli Spa, Roma-Bari www.lacerza.ie Finito di scampare nel settembre 2011 SEDIT -Bari (lcaly) per conto della Gius. Lacerza & Figli Spa ISBN 978-88-420-7902-6 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. INTRODUZIONE Quando Theodor Mommsen definiva una tra le più precise descrizioni dei riti sacrificali della religione romana che ci siano pervenute come uno «sconcertante miscuglio di cose sacre e di banchetti» (curiosam con/usionem rerum sacrarum et epularum)1 , non esprimeva soltanto un malcelato anticlericalismo ma anche un consolidato giudizio di valore sulla religione romana. Secondo Mommsen e altri studiosi, come Ludwig Preller, Jean Réville o Franz Cumont2, la religione romana, votata alla rigida prescri zione rituale e all'austera osservanza del rito, non poteva essere compresa senza un richiamo al cwto mosaico, al farisaismo e al Talmud. Questo confronto tra il ritualismo degli ebrei e quello dei romani poteva basarsi sulla testimonianza di Tertulliano\ ma derivava soprattutto da una concezione diffusa che prendeva di mira le religioni ritualiste4. Questa interpretazione, peraltro, non è circoscritta all'ambito strettamente romano e concorre a elabo rare anche l'immagine della religione greca, limitata di preferen za, malgrado la testimonianza contraria delle fonti, alla mitologia letteraria e alla speculazione filosofica. Gli storici della religione romana e italica hanno del resto operato un'analoga selezione dei fatti, per concentrarsi sui cosiddetti cwti orientali e sulla filosofia, ritenuti veicoli di una nuova religiosità. 'Mommsen 1843, p. 8. 2 Mommsen 1888, II, p. 981; cfr. anche I, p. 1014; Preller 1882, pp. 127 sgg. e 142; Réville 1886, p. 144; Cumont 1929, p. 25 (i romani sono ritenuti persino più osservanti degli ebrei!). 1 Tertulliano, La prescrizione contro gli eretici, 10; cfr. anche Apologetico, 25, 12-13. 4 Per un'analisi particolareggiata di questo disprezzo nei confronti del ri tualismo cfr. Schmidt 1994. VI Introduzione È quindi attraente il tentativo di studiare con attenzione il ri tualismo dei romani, per verificare se la loro religione fosse dav vero così disprezzabile e se le loro pratiche religiose si riducessero effettivamente a una «mescolanza di cose sacre e di banchetti». Per questa indagine mi sono concentrato sul sacrificio. La scelta non è stata determinata da un mio particolare interesse per questa pratica rituale o dalla familiarità con le ricerche sul sacrificio gre co del Centre Gernet di Parigi, alle quali, vent'anni fa, partecipai come uditore esterno. Essa è stata motivata soprattutto dal fatto che tra tutti i riti praticati dai romani il sacrificio è probabilmente quello maggiormente attestato. L'abbondanza - owiamente re lativa - di documenti testimonia inoltre, per un periodo di circa cinque secoli, l'importanza del rito sacrificale nella religione ro mana. Un rito centrale dunque, relativamente ben documentato e che suscita un interesse ininterrotto presso gli antropologi. Vorrei dunque aprire, o riaprire, un certo numero di dossier per cercare di far luce, partendo dalle pratiche sacrificali, sul funzionamen to del ritualismo romano, e interrogarmi inoltre sulla natura dei riti. Si tratta di elementi significanti, costitutivi di una credenza? Oppure di elementi di un linguaggio, come pensavo quindici anni fa5, o ancora di concatenazioni di gesti prescritti, che avevano perduto ormai da lungo tempo il loro significato originario e che erano tuttavia in grado di produrre comunque un significato?6 È questo il genere di quesiti che intendo porre alle fonti, dopo averle esaminate criticamente. Infatti, come si vedrà, le testimonianze antiche, indispensabili per la ricostruzione delle pratiche sacrifi cali, sollevano fondamentali problemi di comprensione. Non si può dire che il sacrificio abbia appassionato gli studiosi di Roma antica. Senza dubbio le enciclopedie e i grandi manuali7 offrono sintesi più o meno concise dell'atto sacrificale, forniscono una terminologia, talvolta un'interpretazione, ma nell'insieme il 'Scheid 1990, pp. 658-63; 669-76. Non ritorno sull'inutilità del modello cristiano per la comprensione del sacrificio antico, poiché da tempo è stato definitivamente dimostrato il carattere specifico e non universale di quel modello. Cfr. Detienne 1979, pp. 24-35; Valeri 1985, pp. 62-70; Beli 1997, pp. 111-14, che offre un'eccellente rassegna di tutte le teorie del rito. 7 Marquardt 1886, voi. I, pp. 203-27; Wissowa 1912, pp. 409-32; Latte 1960, pp. 386-92; Beard 1998, voi. II, pp. 148-65. Introdu1.ione VII loro approccio resta superficiale. Le descrizioni non sono suffi cientemente precise e non risolvono i numerosi problemi concreti posti dalle fonti, quali il significato dei termini tecnici e la conca tenazione delle sequenze rituali, insomma tutto ciò che concerne la critica dei diversi tipi di testimonianze e la ricostruzione dei realia sacrificali. Più di vent'anni fa, un complesso di ricerche stÙ sacrificio nel mondo greco8 rinnovava radicalmente il metodo d'indagine e, partendo da un'approfondita analisi delle fonti, proponeva nu merose interpretazioni. La prima e fondamentale consisteva nel rifiuto della teoria del sacrificio di Hubert9 e di Mauss, che si basava sul modello del sacrificio cristiano come categoria univer sale del sacrificio10 Il sacrificio veniva inoltre studiato come una • pratica concreta, come un rito alimentare. Messe in relazione con il mito di Prometeo, le azioni sacrificali in Omero e in Esiodo sembravano stabilire una distinzione e una gerarchia tra mortali e immortali11 Un altro modello interpretativo faceva riferimento • alla negazione della violenza sacrificale, riallacciandosi al rifiuto del sacrificio negli ambienti pitagorici12 Sempre a Parigi, alcuni • membri del gruppo di studio che si raccoglieva intorno a Jean Pierre Vernante a Marcel Detienne, in particolare Charles Mala moud e Michel Cartry13 iniziavano a indagare altre tipologie del , sacrificio. L'indagine comparativa condotta nel 1983 e pubblicata nel 1988 da Cristiano Grottanelli e Nicola Parise14 ha rappresen tato di fatto l'ultima iniziativa organizzata dagli antichisti su que sto tema, ed è stato necessario attendere il 2006 per vedere riap earire un lavoro collettivo dedicato al sacrificio nel mondo antico. E appunto in tale contesto che vorrei collocare le mie riflessioni. Influenzato da queste indagini, avevo infatti proseguito a Roma le ricerche iniziate dai miei colleghi grecisti: il lavoro si è protratto 8 Detienne 1979. 9 Hubert 1899. 10 Detienne 1979, pp. 24-35. 11 Vernant 1979. 12 Durand 1979; Vernant 1980. 1' Malamoud 1976; i lavori del gruppo animato da Cartry sono stati pun tualmente pubblicati sulla rivista «Systèmes de pensée en Afrique noire», 1976, 1; 1978,2; 1979,2; 1981,4; 1984, 7. 14 Grottanelli 1988. VIII Introduzione dal 1980 al 1987, e da allora ho lasciato decantare l'argomento senza tuttavia smettere di pensarci. Nel 1997, con l'amico Jesper Svenbro, ho deciso di riprendere le ricerche dal punto in cui tutti noi le avevamo lasciate interrotte all'epoca del colloquio organiz zato a Siena da Cristiano Grottanelli e Nicola Parise. Abbiamo quindi organizzato insieme un seminario sugli stessi temi, e gran parte delle riflessioni raccolte in questo volume sono state esposte e discusse di fronte ai nostri affezionati ascoltatori del mercole dì. Nello stesso periodo, Stella Georgoudi, Renée Koch-Piettre e Francis Schmidt decisero di organizzare una tavola rotonda, sempre con l'intento di riprendere l'indagine provvisoriamente interrotta intorno al 1983. L'incontro ha avuto luogo nel giugno 2001 e i suoi atti sono stati pubblicati15 Parallelamente alle nostre riflessioni di antichisti, gli antropo logi continuavano a lavorare sul rito16 giungendo a risultati molto , interessanti per la nostra indagine. Si può dire che le ricerche più recenti si colleghino ad alcune conclusioni alle quali eravamo per venuti negli anni Ottanta, correggendole e rafforzandole. Quelle più interessanti per il nostro progetto riguardano la relazione tra il rito e il senso del rito, nonché la distinzione tra celebrazione e interpretazione, che sono caratteristiche del sacrificio antico. È dunque sotto la spinta di queste riflessioni innovatrici che questo libro ha trovato la sua versione definitiva. Ho deciso di selezionare quattro dossier. L'abbondanza e la precisione delle fonti hanno costituito il primo criterio di scelta. Negli ultimi venticinque anni ho capito che è impossibile ana lizzare un rito - e una religione ritualista - se non si hanno a disposizione descrizioni particolareggiate delle procedure rituali. A Roma questo tipo di documenti esiste: si tratta dei resoconti di alcuni collegi sacerdotali. Lacunose, mutile e spesso anche trop po ellittiche, le iscrizioni che hanno conservato questi protocolli costituiscono la sola fonte che evochi con una certa precisione le pratiche sacrificali ufficiali dei romani. La precisione di questi 15 Georgoudi 2006. Mi limito a indicare i lavori di Catherine Beli (1992, 1997) e di Caroline Humphrey eJames Laidlaw (1994). Introduzione IX testi permette di organizzare una massa di dati che troviamo per altro, isolati e sparsi, nei dizionari antichi, nei glossatori, negli sto rici o nei poeti. Inquadrate in una struttura affidabile e puntuale, molte di queste notazioni ritrovano un significato. Alcuni testi letterari, purtroppo eccezionali, come le prescrizioni sacrificali di Catone il Censore, offrono un'informazione di pari qualità, ma pongono anch'essi problemi di comprensione. Il nucleo centrale di questo libro consiste nei documenti relativi ai sacrifici compiuti dai fratelli arvali, a quelli celebrati durante i Giochi secolari e nella tenuta di Catone il Censore. Intorno a queste ricerche, ho condotto due indagini complementari sui sacrifici funebri, che si avvalgono di un complesso di fonti disperse ma coerenti, consen tendo, insieme con i testi catoniani, di estendere l'indagine ai riti privati. Il libro si conclude evocando alcuni problemi posti dalle pratiche sacrificali: il rapporto con i banchetti e gli eventuali le gami esistenti tra la terminologia sociale in uso presso i romani e il retroscena sacrificale. Non ho voluto addentrarmi in dossier meno ricchi. L'espe rienza prova che, rispetto ai risultati ottenuti analizzando i pro tocolli sacerdotali o i precetti di Catone, le conclusioni sarebbero state deludenti e piene di punti interrogativi. Per questa ragione preferisco alcuni casi tipici, fondati su basi ampie e controllabili, piuttosto che un inventario superficiale di dati isolati. Ho escluso da questa indagine anche le poche interpretazioni del sacrificio presenti in alcuni miti. Simili interpretazioni e giustificazioni rap presentanto certo un prolungamento del sacrificio ma non fanno propriamente parte dei riti sacrificali e delle nozioni necessarie per poterli eseguire. Invece io intendo indagare proprio i gesti e i riti, per capire che cosa fosse un sacrificio romano, che cosa fosse un rito romano. Nessun equivoco dunque: questo libro non è un manuale sul sacrificio. Esso tenta piuttosto di esporre una riflessione sui prin cipali gesti del sacrificio e sul loro significato letterale, che per metteva di memorizzarli e di ripeterli. Soltanto queste azioni, o meglio la loro ricostruzione, hanno rilievo nel quadro del presente lavoro, il cui fine ultimo è la comprensione di una religione del rito. In questa prospettiva, intendo studiare la logica di una simile religione, che, come hanno mostrato Caroline Humphrey eJames X Introduzione Laidlaw a proposito di un rito dei jaina17 risulta largamente auto , noma rispetto alle speculazioni erudite e filosofiche che possono innestarsi sul culto. Dedico questo libro alla memoria di Yvonne Verdier. La de dica non rappresenta soltanto un omaggio alla sua opera, ma è legata anche a ragioni precise. Più o meno un anno prima della sua tragica scomparsa nel 1989, i primi elementi di questo lavo ro erano stati presentati, nel suo appartamento di rue d' Assas, a un gruppo di colleghi e di amici che lavoravano insieme sul «di sprezzo del rito»18 Durante la stesura di questo volume non ho • potuto fare a meno di pensare a quel gruppo e alle appassionate discussioni-generalmente prolungate da simposi - che abbiamo avuto insieme e che hanno ampiamente contribuito a chiarire le mie idee e a fugare i miei pregiudizi. La dedica a Yvonne Verdier esprime questa gratitudine. Desidero anche ringraziare Jean-Claude Schmidt per la sua paziente comprensione. Continuamente interrotta, la scrittura di questi studi ha progredito con una lentezza che avrebbe scorag giato i più. Non posso citare tutti coloro che hanno ascoltato, letto e criticato le mie riflessioni e le versioni successive di queste ricerche: i miei studenti, i miei colleghi francesi e stranieri. A tutti esprimo la mia gratitudine per ciò che mi hanno dato. 17 Humphrey 1994. 18 I risultati di queste ricerche, delle quali conservo un vivo ricordo, sono stati pubblicati nel 1994 sotto il titolo Oubli et remémoration des rites. Histoire d'une répugnance, in «Archives de sciences sociales des religions» (cfr. Schmidt 1994).

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