11 P ARTE PRIMA SVILUPPO – IDEE – METODI 12 1. Denominazione e settori della psicologia del lavoro 1.1. Premessa 13 1. DENOMINAZIONE E SETTORI DI INTERVENTO DELLA PSICOLOGIA DEL LAVORO 1.1. P REMESSA Caratteristica comune ai vari settori della psicologia è di occuparsi delle questioni relative agli esseri umani, questioni che, in genere, riguardano problemi antichi quanto l’uomo e possono interessare un insegnante per lo scarso rendimento dei suoi alunni, un genitore per l’anoressia mentale della propria figlia, un dirigente per la de- motivazione dei suoi dipendenti, ecc. Gli argomenti di cui si occupa la psicologia del lavoro riguardano i problemi dell’uomo al lavoro. L’ottica con cui questa disciplina studia i problemi del lavoratore non è quella individualista della fine del XIX secolo e dei primi de- cenni del XX; oggi essa considera il lavoratore all’interno del conte- sto psicosociale della relazione uomo-macchina-ambiente. A questo proposito, Nik Chmiel scrive: La psicologia del lavoro si occupa dei sentimenti delle persone, dei loro at- teggiamenti, delle loro condotte e dei processi sociopsicologici che le so- stengono e delle prestazioni lavorative. Ciò si verifica non in modo a- stratto, pensando all’essere umano in generale, né considerando come do- vrebbe comportarsi seguendo leggi di funzionamento stabili e ubiquitarie, bensì facendo riferimento a contesti sociali e tecnici specifici. Pertanto l’approccio usato è per natura interattivo e centrato sulla situazione sociale concreta. Si considera nello stesso tempo la persona e il suo ambiente di vita, operazionalizzando in diversi modi, facendo riferimento, cioè, ai vari 14 1. Denominazione e settori della psicologia del lavoro aspetti che caratterizzano il lavoro, all’ambiente lavorativo, alle interazioni nel gruppo di lavoro, alla struttura organizzativa, al sistema di regole socia- li e tecniche, al contesto culturale interno o esterno all’impresa, al sistema di direzione, ecc. (Chmiel, 1998, pp. 20-21) La psicologia del lavoro, quindi, può essere compresa correttamente solo all’interno del più ampio panorama delle discipline psicologi- che e sociali. Per questo, non è esclusivamente una disciplina astrat- ta o teorica; i suoi obiettivi, anzi, sono molto concreti perché tende a migliorare l’efficacia delle prestazioni lavorative, la soddisfazione delle persone nell’ambiente di lavoro, il successo di una organizza- zione, la salvaguardia della salute fisica e mentale del lavoratore, la specificazione delle priorità, ecc. Tutto ciò nell’interesse sia dei sog- getti che operano nel mondo del lavoro, sia delle organizzazioni stesse. In psicologia del lavoro si continua a fare ricerca di base e ricer- ca applicata 1, anche se, a livello internazionale, è in corso un am- pio dibattito sullo stato della teoria in psicologia del lavoro. Le criti- che a volte sono severe; affermano che spiegazione e previsione so- no insoddisfacenti, che la ricerca non offre soluzioni adeguate ai problemi di natura applicata, e così via. Si tratta delle stesse critiche rivolte alla psicologia in generale 2. Entrare in questa controversia con un atteggiamento di severa condanna o di assoluzione totale, evitando di cogliere le differenze o di individuare e circoscrivere i nodi problematici che devono es- sere affrontati e risolti da tale disciplina, è poco proficuo. 1 Si noti che questa distinzione è spesso assai criticata. Già nel 1917, nella Prefazione del «Journal of Applied Psychology», Münsterberg scriveva che lo psi- cologo ha intuito che, nel suo ambito, la vecchia distinzione tra scienza pura ed applicata sta perdendo sempre più significato, e sta iniziando a comprendere che quest’ultima non può più essere relegata a svolgere un ruolo minore. 2 Per un approfondimento di queste discussioni, si vedano, fra gli altri: J. Cu- rie, Métier du psychologue et recherche scientifique, «Psychologie et Education» 6, 4 (1982), pp. 3-14; P. Gréco, L’épistémologie de la psychologie, in J. Piaget, Logique et connaissance scientifique, Paris, Gallimar («La Pléeiade»), 1973, pp. 927-991; G.B. Vicario, Psicologia generale, Padova, Cleup, 1988, pp. 43-47. 1.2. Denominazione 15 1.2. D ENOMINAZIONE Nonostante il secolo di vita della disciplina, l’espressione psicologia del lavoro è relativamente recente, perché è venuta a sostituire, al- meno nei Paesi europei, quella di psicologia industriale, che appar- ve per la prima volta nel 1904 in un articolo di Bryan come un errore tipografico al posto di psicologia individuale. Poiché in tale pub- blicazione si parlava della possibilità di rafforzare le potenzialità dei telegrafisti nella trasmissione e ricezione dei messaggi in codice Mor- se, l’errore venne in parte accettato. L’espressione psicologia del lavoro 3 è perfettamente giustificata se si concepisce il lavoro eseguito dall’uomo come un comporta- mento. L’accostamento dei termini lavoro e comportamento ha in- dotto molti autori a preferire questa denominazione a quella di psi- cologia industriale, anche perché quest’ultima, sul piano formale, forse non è ben indovinata. Infatti non è la psicologia che possiede il carattere industriale, ma il suo oggetto: il lavoro. In effetti, nel mondo anglosassone, poiché la dizione psicologia industriale può essere intesa con un significato troppo restrittivo, cioè riferita ad una sola forma di lavoro, quella svolta nell’industria, ci si sforza di indicare il campo da essa ricoperto. Così, Tiffin e McCormick (19725) scrivono che nel loro libro intendono usare l’espressione «psicologia industriale» in un senso molto più ampio, includendovi tutti gli a- spetti della produzione e dell’uso dei beni e dei pubblici servizi del- l’economia. Praticamente includeremo dunque il comportamento umano in tutti i set- tori dell’«attività industriale», che comprende la fabbricazione, il trasporto, le comunicazioni, l’agricoltura, l’estrazione dei minerali, i servizi pubblici di ogni genere, le istituzioni, il commercio, l’amministrazione dello Stato (compreso il servizio militare) e altri. Inoltre vorremmo includere il com- portamento umano nell’uso di questi beni e servizi, in altre parole il com- portamento delle persone quando agiscono come consumatori di beni e di servizi. (Tiffin - McCormick, 19725, p. 11) 3 In Italia, in un convegno tenutosi a Firenze nel 1951, Marzi propose di u- tilizzare la dizione psicologia del lavoro in luogo di psicologia industriale. 16 1. Denominazione e settori della psicologia del lavoro Intorno agli anni ’50 del secolo XX, per indicare la psicologia del la- voro, nella letteratura anglosassone entrò sempre più frequentemente in uso l’espressione occupational psychology, che negli Stati Uniti era riferita soltanto allo studio dell’orientamento professionale, men- tre in Inghilterra ad una psicologia che, oltre al lavoro industriale e all’orientamento professionale, si occupava anche di altri aspetti della vita lavorativa. A partire dagli anni ’60, nei paesi di lingua inglese andò sempre più diffondendosi l’espressione Work and Organizational Psycholo- gy, che indica sia la tradizionale psicologia del lavoro sia la prorom- pente attività di studio sulle organizzazioni. In Italia ed in Francia, invece, l’espressione psicologia delle organizzazioni indica gli a- spetti specifici del mondo dell’organizzazione, sebbene molti di essi siano studiati anche in psicologia del lavoro. La differenziazione tra psicologia del lavoro e psicologia delle organizzazioni ha origine dall’approccio adottato dagli studiosi. A questo proposito, Depolo e Sarchielli scrivono: Uno sviluppo della psicologia del lavoro centrato su un approccio clinico- medico-ergonomico non si integra dunque facilmente con ciò che chia- miamo oggi psicologia dell’organizzazione. Dove questo tipo di sviluppo si è verificato (come in Italia o in Francia), i due campi si stanno sviluppan- do con una certa autonomia reciproca; laddove invece questa tradizione medico-ergonomica è stata meno forte (come negli Stati Uniti), l’integra- zione tra psicologia del lavoro e psicologia organizzativa è assai più netta e dà luogo, per l’appunto, alla Work and Organizational Psychology. (Depo- lo - Sarchielli, 1991, p. 15) 1.3. AREE D’INTERVENTO DELLA PSICOLOGIA DEL LAVORO Delineare i tratti essenziali delle diverse aree di studio e di interven- to della psicologia del lavoro non è cosa semplice; il motivo della difficoltà sta nella quantità di problemi connessi e nelle differenti posizioni legate alla diversità delle teorie accolte. Qui di seguito presentiamo schematicamente le aree storiche più rinomate. 1.3. Aree d’intervento della psicologia del lavoro 17 1.3.1. La selezione La prima in ordine di tempo, e grazie alla quale si è venuta de- finendo anche l’immagine dello psicologo del lavoro, è quella della selezione del personale. Si tratta di un’attività di lavoro e di ricerca inerente alla gestione delle risorse umane che ha sempre goduto di un certo credito presso il mondo imprenditoriale. Ha stimolato lo sviluppo di metodi assai sofisticati di selezione, spesso divenuti ber- saglio di critiche e oggetto di discussioni scientifiche, politiche, deon- tologiche che hanno contribuito a definirne i limiti sia sul piano teo- rico che su quello operativo. La selezione comporta un’operazione decisionale che presup- pone un accertamento qualitativo sugli aspiranti a un mestiere o a una professione. Tali decisioni si basano su fattori sia soggettivi che oggettivi. I fattori soggettivi sono legati al candidato: l’interesse, le inclinazioni, le attitudini e il prestigio sociale; sono caratterizzati dalla predilezione per una determinata attività professionale e dalla sua rilevanza sociale, a prescindere dagli aspetti economici che ne possono derivare. I fattori obiettivi sono la sicurezza sociale, le pos- sibilità economiche e di carriera: salario, stipendio, opportunità di a- vanzamento. Dal punto di vista di una organizzazione, la selezione costituisce un momento di rilievo in quanto mira a individuare le persone me- glio qualificate e più produttive (selezione dei migliori) e a elimina- re di conseguenza le inadatte (selezione negativa); dal punto di vista dei candidati, la selezione offre l’opportunità e le indicazioni per orientarsi verso l’occupazione più soddisfacente, più gratificante e meglio adatta alle loro caratteristiche di personalità. Il processo di selezione deve essere preceduto da un’attenta job analysis, che permetterà di delineare le caratteristiche, le abilità e le conoscenze che un nuovo assunto deve avere per essere considera- to idoneo a svolgere un determinato tipo di lavoro (costruzione del profilo del candidato ideale). Nel primo stadio di selezione si effet- tua lo screening dei curricula ricevuti, valutando l’idoneità dei sog- getti sulla base del profilo precedentemente stabilito. La fase succes- siva consiste nell’adottare i metodi più efficaci per individuare le persone da inserire nell’organizzazione. Generalmente gli strumenti utilizzati sono di due tipi: i test e le interviste. 18 1. Denominazione e settori della psicologia del lavoro I test consentono di ottenere dati che permettono una buona ca- pacità di previsione circa il comportamento lavorativo futuro. Devo- no, però, soddisfare determinate condizioni di validità e affidabilità 4. Fino ad alcuni decenni fa, in alcune aziende era presente la figura del testista, ossia di colui che si occupava esclusivamente della scel- ta, applicazione e valutazione dei test psicologici. Questo ruolo oggi è scomparso, anche se l’applicazione dei test richiede operatori com- petenti, specializzati e abilitati. Per la selezione, attualmente si fa sempre più ricorso alla tecnica degli Assessment Centre (A.C.), il cui scopo è di capire che cosa le persone sono in grado di fare e come potranno poi affrontare il la- voro. L’A.C. è un setting consigliato soprattutto quando si vuole se- lezionare candidati destinati a posti dirigenziali; le persone parteci- pano a gruppi di discussione (role playing, discussione di casi, ecc.); svolgono, quindi, delle esercitazioni che presentano una forte ana- logia con quanto dovrà essere realizzato nel contesto lavorativo. In questo contesto entra con tutta la sua rilevanza il metodo delle inter- viste, che ha lo scopo di integrare, approfondire e ampliare le infor- mazioni sul candidato raccolte con gli altri strumenti. 1.3.2. L’orientamento professionale È il secondo settore che si è sviluppato, come il precedente, già agli inizi della psicologia del lavoro. Ne fanno fede i primi congressi di psicotecnica dedicati all’orientamento e le numerose pubblicazioni focalizzate sul rapporto tra attitudini e riuscita professionale. All’ini- zio del ’900 furono i paesi industrializzati, in particolare Stati Uniti, Inghilterra e Francia, a prendere in considerazione l’orientamento come problema di interesse collettivo finalizzato a indirizzare i gio- vani nella scelta di un lavoro che fosse nello stesso tempo rispon- dente alle loro attitudini e produttivo per il sistema economico. In tale contesto, sia la fisiologia che la psicologia elaborarono strumen- 4 Per validità si intende che il test misuri realmente ciò che si vuole misurare, mentre l’affidabilità riguarda la coerenza interna, il grado di concordanza tra due misure distinte e la stabilità di tale misura nel tempo o nell’ambito di popolazioni differenti. 1.3. Aree d’intervento della psicologia del lavoro 19 ti e conoscenze partendo dall’assunzione contenuta nel motto «l’uo- mo giusto al posto giusto» (Lave, 1929); pertanto, la funzione del- l’orientamento non è solo quella di tener conto del bisogno dell’in- dividuo di realizzarsi nel lavoro, ma anche di ottenere maggiori pro- fitti impiegando in modo più razionale e produttivo la forza lavoro. Nata convenzionalmente nel 1909 con la pubblicazione del vo- lume di Parsons Choosing a vocation, l’area dell’orientamento pro- fessionale e scolastico ha avuto numerosi cultori tra i primi psicologi del lavoro italiani. Da ricordare, fra gli altri, Guido Della Valle 5 che studiò il rapporto tra attitudini e riuscita professionale. Analogo in- teresse per questo terreno di ricerca e di applicazione si manifestò pure in altri Paesi europei. Così nel 1920 Edouard Claparède e Leon Walther fondavano a Ginevra il Consiglio Internazionale di Psicotec- nologia, successivamente denominato Association International de Psychotecnique. Un primo fondamento scientifico dell’orientamento professiona- le è dato dalla psicofisiologia (Ancona, 1960), in cui si ricercano le coincidenze tra le attitudini dell’individuo e i requisiti professionali necessari per svolgere uno specifico lavoro. Questa fase, definita diagnostico attitudinale 6, si sviluppò dopo l’introduzione dei meto- di dell’analisi fattoriale, che portarono alla costruzione di batterie at- titudinali multiple, mediante le quali era possibile individuare, clas- sificare e definire le diverse capacità. Verso gli anni ’30, la fase diagnostico-attitudinale fu progressiva- mente sostituita da quella caratterologico-affettiva, che poneva l’ac- cento sul concetto di interesse, considerato come variabile psicolo- gica fondamentale per l’adattamento dell’uomo al lavoro. Il concetto di attitudine fu messo in crisi dai risultati di alcune ricerche empiri- che sul rendimento lavorativo che evidenziarono come la riuscita la- vorativa fosse migliore nelle persone con più alto grado di interesse a parità di attitudini. Un interesse elevato, inoltre, è in grado di com- pensare l’eventuale mancanza di specifiche attitudini. Il concetto di interesse fu oggetto di discussioni volte tutte a de- finirlo in modo più concreto e valido da un punto di vista operativo (importante il contributo dato dai metodi psicometrici). Tra gli stru- 5 G. Della Valle, Le leggi del lavoro mentale, Torino, Paravia, 1910. 6 Fra i tanti studiosi, ricordiamo Viglietti (1981). 20 1. Denominazione e settori della psicologia del lavoro menti messi a punto per determinare gli interessi ricordiamo l’inven- tario degli interessi professionali Vocational Interest Blank di Strong (1943), e il Kuder Preference Vocational di Kuder (1954-1956), che prendono in esame aree generali di attività in modo da classificare gli interessi in categorie 7. In seguito, l’orientamento non fu più inteso come momento a sé stante, ma come processo che avrebbe avuto più significato se inse- rito all’interno della dinamica della personalità. A questo proposito, Pombeni scrive: La filosofia dell’uomo giusto al posto giusto che aveva caratterizzato la fase psicoattitudinale e psicometrica lascia il posto all’idea che il lavoro deve soddisfare i bisogni dell’uomo; sarà il presupposto concettuale che caratte- rizzerà tutta la fase clinica o dinamica dell’orientamento (1945-60) e che troverà nella psicoanalisi il più grosso contributo scientifico. (Pombeni, 1990) In questa fase va inserito il contributo di Gemelli, che fu un entusia- sta promotore dell’orientamento nel nostro Paese. Gemelli indicò come fattore fondamentale dell’orientamento le inclinazioni e non gli interessi, poiché le inclinazioni costituiscono l’espressione dei bisogni profondi della personalità umana, e non può esserci riuscita professionale senza la corrispondenza tra lavoro svolto e inclinazio- ni (Gemelli, 1960). L’interesse indica una preferenza globale per una professione, mentre l’inclinazione una disposizione specifica verso un ambito più vasto di attività; l’interesse è originato da fattori ester- ni alla personalità del soggetto (ad esempio il contesto ambientale), mentre l’inclinazione trova la propria motivazione nei meccanismi inconsci; gli interessi si manifestano in fase adolescenziale e posso- no variare nel tempo, mentre le inclinazioni sono espressione tipica della maturità della persona e, quindi, sono più stabili. Per rilevare le inclinazioni è necessario ricorrere ai colloqui clinici o a reattivi proiettivi. Gli anni ’70 segnano un ulteriore salto di qualità, forse anche sotto la spinta dell’evoluzione del sistema economico-produttivo (processo di deindustrializzazione, avvento di nuove tecnologie). In 7 Si ricorda che questi due test, sebbene siano abbastanza datati, sono anco- ra oggi sottoposti a ricerche, miglioramenti e revisioni.
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