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PLURALISMO DEI VALORI, NUOVO COSTITUZIONALISMO E BILANCIAMENTI TRA LIBERTÀ E ... PDF

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PLURALISMO DEI VALORI, NUOVO COSTITUZIONALISMO E BILANCIAMENTI TRA LIBERTÀ E SICUREZZA * Mauro Barberis Universidad de Trieste** I don’t understand why the strongest nations on Earth believes that acknowledging a mistake will threaten its security (K. Al-Masri) RESUMEN. Después del 11 septiembre 2001, siempre nuevos “balances entre libertad y seguridad” están convertiendo el Estado constitucional en Estado de seguridad (Security State). Como muestran los apartados 2 y 3, la metáfora del balance, compartida por el value pluralism y el nuevo constitucionalismo post-Auschwitz, pertenece a un vocabulario que predica objectividad, pluralidad, conflicto, incommensurabilidad e indeterminación, tanto de valores éticos como de principios constitucionales. El apartado 4 analiza precisamente en esto términos los supuestos balances entre libertad, por un lado, y seguridad individual, social y nacional por el otro. El resultados parece el siguiente: restringir las libertades individuales de hecho disminuye la seguridad individual, sin aumentar en grado significativo la seguridad collectiva. Palabras clave: pluralismo de los valores, nuevo constitucionalismo, libertad, seguridad Value pluralism, new constitutionalism, and balances between liberty and security ABSTRACT. After 9/11, always new “balances between liberty and security” foreshadow the transformation of Constitutional State in a Security State. As shown in sections 2 and 3, the balance’s metaphor is common to value pluralism and new constitutionalism post-Auschwitz – both sharing a vocabulary in terms of objectivity, plurality, conflict, incommensurability, and indeterminacy, referred to ethical values and constitutional principles respectively. In section 4, finally, such a common vocabulary is used in order to analize the alleged balances between liberty, on the one hand, and individual, social and national security on the other. The results are the following: restraining individual liberties in fact weakens individual security whitout increasing at a significant extent collective secutity. Keywords: value pluralism, new constitutionalism, liberty, security * Il lavoro amplia e rielabora lezioni del Master in Global Rule of Law and Constitutional Democracy tenute a Imperia, 10.2.2016 ed è, come tale, fortemente sintetico. Molte delle questioni qui appena toccate verrano affrontate più dettagliatamente in altri lavori. ** Catedratico de Filosofia del derecho en la Universidad de Trieste, [email protected] 1. PREMESSA Almeno a partire dall’Undici Settembre, in Occidente, si parla sempre più spesso di bilanciare libertà e sicurezza, anche a rischio di trasformare Stati costituzionali in Stati di sicurezza (Security State). La metafora della bilancia fa parte di un vocabolario comune a value pluralism (cfr. § 2) e new constitutionalism (cfr. § 3): vocabolario che, predica, dei valori etici, nel primo caso, dei principi costituzionali nel secondo, caratteri come oggettività, pluralità, conflittualità, incommensurabilità e indeterminatezza. Se però si distinguono sicurezza individuale, sociale e nazionale (cfr. § 4, si giunge a questa conclusione: restringere la libertà diminuisce pure la sicurezza individuale, senza aumentare granché la sicurezza collettiva. 2. PLURALISMO ED ETICA Il pluralismo dei valori, si dice, è una metaetica; ma cos’è una metaetica? Qui assumerò, senza troppo argomentare, che una metaetica sia un discorso che verte sullo statuto del disaccordo in etica (o pratica)1. Il discorso metaetico presenta a sua volta un disaccordo di secondo livello – un disaccordo sui disaccordi – fra due grandi posizioni che potrebbero sbrigativamente chiamarsi cognitivismo e noncognitivismo (meta)etico. Le ragioni pro e contro tali posizioni, come sempre in metaetica, dipendono da tante opzioni (definitorie o analitiche, empiriche o di fatto, normative o valutative), da consigliare di porre il problema in limine, come una open question. Secondo il cognitivismo metaetico, da un lato, i disaccordi che si riscontrano comunemente nelle discussioni di etica normativa sarebbero legittimi (faultless)2 solo prima facie: a un livello più profondo della discussione, all things considered, il disaccordo si rivelerebbe invece illegittimo. Sempre secondo i cognitivisti, per potersi considerare autentiche questioni, e non semplici dispute verbali, i problemi etici o pratici dovrebbero sempre essere tali da ammettere almeno una soluzione (oggettiva, corretta, migliore di altre...) altrimenti, impegnarvisi equivarrebbe a partecipare a una mera contesa verbale3. 1 Si discute molto, in teoria del diritto, di disaccordi interpretativi: cfr. P. Luque Sánchez, G.B. Ratti (eds.), Acordes y desacuerdos. Cómo y por qué los juristas discrepan, Madrid, Marcial Pons, 2012. Di disaccordi etici o pratici dovrebbe discutersi a maggior ragione in metaetica. 2 La terminologia è ripresa da M. Kölbel, Faultless Disagreements, in Proceedings of the Aristotelian Society, New Series, 104, 2004, 53-73. 3 Si adotta qui la nota distinzione di Richard Hare fra livello intuitivo e critico della riflessione etica, applicata a tematiche giuridiche, fra gli altri, da Carlos Alchourrón, Eugenio Bulygin e José Juan Moreso. Secondo il noncognitivismo metaetico, d’altro lato, il disaccordo prima facie potrebbe restare perfettamente legittimo anche all things considered. Le questioni etico-normative restano aperte, cioè, proprio perché provocano disaccordi effettivi e profondi, con più risposte, almeno alcune delle quali sarebbe legittime, benché forse non tutte ugualmente legittime. È questa la ragione principale, insieme con la mutevolezza dei problemi, per cui su certe questioni è possibile discutere indefinitamente; e forse si può persino ipotizzare, à la Ludwig Wittgenstein, che non vi siano disaccordi più profondi di quelli reputati superficiali. Sospetto che il disaccordo fra cognitivismo e noncognitivismo metaetici dipenda, oltre che da diverse definizioni di «disaccordo» anche dai diversi points delle discipline interessate. Per filosofi morali o politici, ma anche per economisti o giuristi positivi, voglio dire, non avrebbe senso impegnarsi in tali imprese, prevalentemente normative, senza la prospettiva di soluzioni (inters)oggettivamente condivise: e forse non per caso molti di costoro sono cognitivisti. Che molti cultori di imprese prevalentemente conoscitive, come teorici del diritto e scienziati sociali siano noncognitivisti, invece, forse dipende anche dal fatto che per queste discipline dar conto dei disaccordi è indispensabile per dar loro soluzione. Considerazioni analoghe possono farsi per il disaccordo fra monisti e pluralisti dei valori: uno degli oggetti più discussi dell’attuale dibattito metaetico. Occorre però distinguere preliminarmente tale disaccordo da quello fra sostenitori dell’unità oppure della frammentazione del ragionamento pratico4. I sostenitori della frammentazione di tale ragionamento in morale, politico, giuridico..., come i teorici del diritto giuspositivisti, ritengono di solito i valori tanto poco rilevanti per il diritto da non meritare di chiedersi se siano plurali oppure no. Invece, chi sostiene l’unità de, o comunque la non rigidità delle partizioni interne al ragionamento pratico, ritiene importante il disaccordo fra monisti e pluralisti5. Venendo dunque a tale secondo disaccordo, direttamente rilevante per la questione dei trade offs fra libertà e sicurezza, si può dire che per i monisti, normalmente cognitivisti, vi è un valore ultimo, o un nucleo di valori ultimi, che fornisce soluzioni univoche, all things considered, ai nostri disaccordi prima facie. Per i pluralisti, invece, che spesso sono anch’essi cognitivisti, il disaccordo resta sempre possibile perché i valori, benché per certi versi oggettivi, sono pur sempre multipli, confliggenti, incommensurabili e indeterminati6. Occorre qui citare un passo di Bruno Celano, che pone già il problema del ruolo giocato dal diritto nella determinazione dei valori etici o pratici: 4 Di «unidad del razonamento práctico si parla almeno a partire da Carlos Nino; di «unity of value» parla invece l’ultimo R. Dworkin, Justice for Hedgehoods (2011), trad. it. Giustizia per ricci, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 19. 5 Devo questa distinzione a una discussione con Nicola Muffato. 6 Cfr. almeno E. Mason, Value pluralism, voce della Stanford Encyclopaedia of Philosophy, in plato/stanford/edu/entries/value-pluralism. Uso «valore» nel senso ordinario di criterio di valutazione, cioè come sostantivazione di «giudizio di valore». El derecho es necesariamente expresión de valores y principios éticos objetivos. Tarea del derecho positivo es la determinación de estos principios y valores. Pero los valores, por hipótesis objetivos, son múltiples, conflictivos, inconmensurables e indeterminados. Su determinación exige, pues, ponderación, resolución de conflictos, conmesuración de lo inconmensurable, determinación de lo indeterminado. El derecho [positivo] realiza esta determinación mediante una estructura nomodinámica (instituciones de poderes normativos)7. In altri lavori, e programmaticamente in Etica per giuristi (2006), ho presentato le tesi pluraliste (non in sé, ma già) nelle loro implicazioni per l’interpretazione costituzionale8. Qui, invece, distinguo le tesi specificamente metaetiche del value pluralism e le tesi specificamente costituzionalistiche del new constitutionalism post-Auschwitz: o, se si vuole, del c. d. neocostituzionalismo, la teoria del diritto del nuovo costituzionalismo (cfr. § 3). In particolare, nel presente paragrafo richiamo brevemente le cinque tesi pluraliste evocate dal passo di Bruno; nel successivo, invece, presento cinque tesi costituzionaliste formulate negli stessi termini: benché poi pluralisti e costituzionalisti normalmente s’ignorino fra loro. 2. 1. Valori etici oggettivi? Sull’alternativa oggettivismo/soggettivismo etico, qui assimilata a quella cognitivismo/noncognitivismo, i pluralisti non hanno una posizione comune. Mentre a Friedrich Nietzsche, Max Weber e Bernard Williams si attribuiscono forme di soggettivismo radicale, Isaiah Berlin, l’inventore del value pluralism, adotta una forma di oggettivismo etico: nella storia dell’umanità si darebbe un insieme finito di valori, spiegabili sulla base di una comune natura umana. Alla domanda se di questo insieme facciano parte i «valori» nazisti, Berlin finisce per rispondere che sì, dopotutto ne fanno parte: potremmo infatti comprendere che donne e uomini come noi, a certe condizioni, abbiano potuto condividerli9. Celano coniuga due idee analoghe: un tipo di giusnaturalismo da lui chiamato trascendentale, di ascendenza tomista, per la quale valori oggettivi ma indeterminati vengono specificati dal diritto per modum determinationis più che per modum conclusionis; la nomodinamica di Hans Kelsen, per la quale il diritto fornisce procedure e istituzioni che 7 B. Celano, Giusnaturalismo, positivismo giuridico e pluralismo etico (2005), trad. cast. Iusnaturalismo, positivismo jurídico y pluralismo ético en Id., Derecho, justicia, razones 2009, Madrid, Centro de estudios políticos y constitucionales, 2009, 150 (la traduzione, che semplifica un po’ il testo italiano, è di José Juan Moreso). 8 Cfr. almeno M. Barberis, Etica per giuristi (2006), trad. cast. Ética para juristas, Madrid, Trotta, 2008, pp. 163-197. 9 Cfr. I. Berlin, My Intellectual Path (1998), trad. cast. Mi trayectoria intellectual, in Id., Dos conceptos de libertad y otros escritos, Madrid, Alianza, 2001, pp. 123-136, dove l’autore respinge le interpretazioni relativistiche del suo pensiero, confondendo peraltro relativismo ed emotivismo. concorrono a determinare valori originariamente indeterminati10. Sia in Berlin sia in Celano fanno capolino anche altre idee: forse l’argomento wittgesteiniano contro lo scetticismo globale (anche per discordare bisogna essere d’accordo su qualcosa); certo il principio di carità interpretativa (per comprendere le credenze altrui dobbiamo postulare qualche somiglianza con le nostre)11. 2. 2. Valori etici plurali? Che i valori siano molteplici sarebbe osservazione banale, prima facie, se metaetiche diverse non rispondessero poi in modo diverso, all things considered, alla domanda su unità o pluralità dei valori. «Monismo o pluralismo», «unità o pluralità dei valori», in realtà, sono solo formule semplici per questioni terribilmente intricate, e strettamente intrecciate a quelle trattate ai punti successivi. La verità è che la stessa distinzione fra monismo e pluralismo dei valori non è affatto una classificazione in senso logico, ma una mera opposizione polare: le diverse posizioni di autori differenti, a seconda delle risposte fornite a domande ancora più varie, si collocano più o meno vicine al polo monista o al polo pluralista. Intanto, occorrerebbe distinguere valori etici o pratici e valori di altro tipo; proprio in questo consiste la distinzione fra pluralismo etico o pratico, relativo a valori morali, politici, giuridici, economici, e pluralismo o politeismo dei valori in genere (Polytheismus der Werte). In un famoso passo di Wissenschft als Beruf (1919), Weber distingue valori religiosi (sacro/profano), epistemici (vero/falso), estetici (bello/brutto), e strettamente etici (buono/cattivo)12: classificazione che il suo erede weimariano, Carl Schmitt, estende in Politische Theologie (1832) a valori economici (utile/svantaggioso) e politici (amico/nemico)13. Poi, bisognerebbe distinguere valori ultimi, o supremi o fondamentali, e valori strumentali ai primi: se anche questa distinzione, come vedremo in 3.4 parlando di principi costituzionali, non si rivelasse insospettabilmente complessa. Più in generale, e come vediamo al punto successivo, monismo e pluralismo sembrano spesso nozioni metafisiche più che metaetiche: atteggiamenti intellettuali che vengono adottati a seconda che si creda, in misura maggiore o minore, a un ordine provvidenziale e/o a un’armonia prestabilita fra i valori, oppure a processi evolutivi suscettibili di produrre solo l’aumento del disordine e/o dell’entropia 10 Cfr. in particolare B. Celano, Giustizia procedurale pura e teoria del diritto (2002), trad. cast. Justicia procedimental pura y teoría del derecho in Id., Derecho, justicia, razones, cit., pp. 23-60. 11 Cfr. l’ultimissimo Wittgenstein di Über Gewißheit – On Certainty (Oxford, Blackwell, 1969), e le note tesi di Willard Quine, D. Davidson e Richard Grandy. 12 Così M. Weber, Wissenschaft als Beruf (1919), trad. cast. La ciencia como profesión in Id., La ciencia como profesión. La política como profesión, Madrid, Espasa Calpe, 1992. 13 Così C. Schmitt, Politische Theologie (1922), trad. cast. Teología política, Madrid, Trotta, 2009. 1. 3. Valori etici confliggenti? I valori formano un kosmos, un insieme ordinato di beni, o un caos di impulsi vitali confliggenti? Una risposta semplice potrebbe essere che sia per i monisti sia per i pluralisti i conflitti sono conciliabili ma, per i secondi, a coste di scelte tragiche14. Ma le tante risposte fornite sono complicate da retoriche opposte, rispettivamente irenista o agonistica15, a loro volta ispirate da metafisiche differenti. Uso «metafisica», qui, nel senso di indebita assimilazione delle dimensioni definitoria, empirica e normativa compresenti in qualsiasi discorso: qui, definizioni di «disaccordo» solo prima facie o anche all things considered, osservazioni empiriche sul fact of pluralism (John Rawls), attitudini normative ireniste o agonistiche. Come notava già Max Weber, che si diano disaccordi o autentici conflitti, più o meno estesi secondo le epoche e le culture, è certo un fatto empirico importante: non decisivo, però, per la validità di una tesi metaetica16. Almeno altrettanto decisivo è se i disaccordi siano definiti solo come prima facie o anche all things considered, e se possano quindi intendersi come mere tensioni, riassorbite a un livello di riflessione più profondo, o come conflitti irriducibili. Infine, è importante anche la dimensione normativa o valutativa: nell’etica antica, tipica di società face to face e chiuse verso l’esterno, l’armonia era il valore prevalente; nell’etica moderna, invece, prevale l’idea machiavelliana della produttività del conflitto. 2. 4. Valori etici incommensurabili? Fittamente intrecciata con la questione precedente è il problema della commensurabilità o incommensurabilità dei valori, oscillante fra economia, dalla quale «valore» (Wert) proviene, e filosofia morale17. Il monismo dei valori sosterrebbe la commensurabilità dei valori, i quali troverebbero una misura comune nel loro valore supremo, sia esso consequenzialista, come l’utilità, o deontologico, come la dignità umana; la scelta del valore rilevante, comunque, sarebbe razionale, basata su ragioni. Il pluralismo dei valori, invece, sosterrebbe l’incommensurabilità dei valori; in mancanza di un valore supremo, 14 Cfr. B. Williams, Liberalism and Loss, en M. Lilla, R. Dworkin, R. B. Silvers (eds.), The Legay de Isaiah Berlin, New York, New York Review of Books, 2001, pp. 91-104: ma già, in termini giuridici, G. Calabresi, P. Bobbit, Tragic Choices, New York, Norton, 1978. 15 Cfr. il primo capitolo della Tesi dottorale in Filosofia del diritto e bioetica giuridica, inedita, di Mauricio Maldonado Muñoz, intitolata Derechos y conflictos. Conflictivismo y anti-conflictivismo en los derechos fundamentales (Genova, XXIX ciclo). 16 Cfr. M. Weber, Der Sinn der “Wertfreiheit” der soziologischen und ökonomischn Wissenschaften (1917), trad. it. L significato della “avalutatività” delle scienze sociologiche ed economiche, in Id., Il metodo delle scienze storico-sociali, Mondadori, Milano, 1958, 326: «Su queste questioni non si arriva a niente attraverso constatazioni di fatto». Poco prima, 325, l’autore negava che il disaccordo fosse una prova decisiva a favore del soggettivismo etico. 17 Cfr. almeno i lavori raccolti in R. Chang (ed.), Incommensurability, Incomparability, and Practical Reason, Harvard U. P., Cambridge (Mass.), 1997; un quadro chiaro più aggiornato si trova nella voce Incommensurable Values (2016), di Nien-hê Hsieh, in plato.stanford.edu/entries/incommensurables- values. atto a fungere da misura comune, la scelta del valore rilevante sarebbe radicale, ossia senza ragioni18. In realtà, anche pluralisti come Berlin e Celano, in base al principio di carità interpretativa, sembrano ritenere inintelligibile un’idea dell’incommensurabilità come alterità assoluta fra valori, oggetto solo di scelta radicale. Persino fra valori eterogenei come verità, giustizia o bellezza, ove occorra, si può scegliere razionalmente: magari usando come ragioni o criteri di scelta altri valori reputati supremi, come utilità o dignità. Il primo problema, però, è che tale scelta sarà sempre contestuale, relativa e particolare, dunque inetta a produrre gerarchie assiologiche stabili: qui, i pluralisti concordano con relativisti e particolaristi. Il secondo problema è che non solo i valori in conflitto, ma anche quelli invocati per dirimerlo, si presentano come radicalmente indeterminati. 2. 5. Valori etici indeterminati? Fra monismo e pluralismo, in effetti, vi è un’ultima differenza, fra determinatezza e indeterminatezza dei valori. Monisti e pluralisti possono concordare sull’oggettività dei valori, ma discordano sulla loro determinazione. Per i primi, i valori sono determinati, almeno all things considered, ossia una volta interpretati, specificati e bilanciati; per il pluralismo, invece, essi restano sempre ndeterminati, richiedendo interpretazioni, specificazioni e bilanciamenti sempre nuovi. Nella teoria della giustizia liberal, da Rawls a Dworkin, si parla di concetti comuni e di diverse concezioni: nel caso dei valori, peraltro si tratta piuttosto di un vocabolario comune, e di diverse definizioni o interpretazioni. Vi sono valori oggettivi solo nel senso che esiste un vocabolario valutativo comune, una sorta di menu condiviso sul quale esiste una sorta di consenso per intersezione: nessuno si azzarderebbe a negare che libertà, eguaglianza o utilità siano cose buone. Il disaccordo inizia quando si interpreta tale vocabolario, e s’istituiscono gerarchie assiologiche fra i significati. Ed è qui che, per Celano, diventa indispensabile il diritto positivo. Poco importa, per lui, che fra diritto e morale vi sia quel rapporto di necessità concettuale su cui discutono tormentosamente, dopo Herbert Hart, giusnaturalismi e giuspositivismi da lui chiamati definitori, perché dipendono solo da diverse definizioni di «diritto» e «morale». Importa molto di più, invece, che fra diritto e morale vi sia un rapporto di necessità strumentale, tecnica: a proposito del quale Celano passa dal giusnaturalismo trascendentale a una sorta di un giuspositivismo normativo19. Qui non è il diritto ad aver bisogno 18 Sull’opposizione fra scelta razionale e radicale cfr. J. Gray, Isaiah Berlin (1995), trad. cast. Isaiah Berlin, Valencia, Alfons el Magnànim, 1996, e Id., Two Faces of Liberalism (2000), trad. cast. Las dos caras del liberalismo, Barcelona, Paidós, 2001. 19 Ad esempio B. Celano, Rule of law y particularismo ético, en P. Luque (ed.), Particularismo. Ensayos de filosofía del derecho y filosofía moral, Marcial Pons, Madrid, 2015, pp. 151-186, lascia sullo sfondo il giusnaturalismo trascendentale e sviluppa un giuspositivismo normativo forse ispirato alla tesi di J. Waldron, The Irrelevance of Moral Objectivity, in R. P. George (ed.), Natural Law Theory. dell’etica, ma l’opposto: è l’etica a necessitare del diritto per la propria determinazione, oltre che per avere conseguenze pratiche. Sempre qui, peraltro, affiora una complicazione importante. Per Celano i valori etici hanno sempre trovato una determinazione nel diritto: fra diritto senz’altra qualificazione e diritto dello Stato costituzionale, prodotto dal nuovo costituzionalismo impostosi dopo la seconda guerra mondiale, vi sono solo differenze quantitative. Come vediamo nella prossima sezione, invece, una differenza c’è. 3. PLURALISMO E DIRITTO In Occidente, anche per ragioni storiche – la priorità cronologica del diritto (romano) sulla religione (cristiana)20 – s’è sviluppata la seguente divisione del lavoro: l’etica fissa i valori ultimi, ma è il diritto che li determina. Quest’opera di determinazione è stata affidata per millenni a giuristi e giudici (Stato giurisdizionale), poi, dopo la Rivoluzione francese, al legislatore democratico (Stato legislativo), infine, dopo Auschwitz, a costituenti, legislatori e giudici, anche costituzionali (Stato costituzionale). Il nuovo costituzionalismo è l’insieme delle istituzioni di quest’ultima forma di Stato, e non va confuso con il c. d. (neo)costituzionalismo, la teoria del diritto del nuovo costituzionalismo21. Sulla novità del new constitutionalism si possono avere opinioni diverse: Rafa Escudero, ad esempio, ne ha mostrato importanti precedenti storici22; anche Celano sembra diffidare della retorica neocostituzionalista. Nuovi, peraltro, sono il consenso sui diritti realizzatosi dopo Auschwitz, quando anche cristiani e socialisti sono andati convergendo con la tradizione liberale, e la trasformazione delle dichiarazioni dei diritti in documenti giuridici, applicabili da giudici sia costituzionali sia ordinari23. Peraltro, rispetto alla determinazione dei valori, il nuovo costituzionalismo presenta questa complicazione, che ricorre a principi e argomenti non meno indeterminati di quelli etici. Sinché i principi fossero solo la formultazione costituzionale di valori etici, e la c. d. interpretazione costituzionale si risolvesse nel bilanciamento, la più comune forma di argomentazione etica, il nuovo costituzionalismo sarebbe solo un inciampo nel processo di determinazione dei valori. Per fortuna le nuove costituzioni rigide sono di solito anche garantite, ossia applicate da Corti supreme o Contemporary Essays, Oxford, Clarendon, 1992, 158-187: l’oggettività metaetica fa poca differenza per il diritto. 20 Cfr. M. Barberis, Libertà religiosa, in «Ragion pratica», 40/1, 2013, 175-189. 21 La distinzione, già operata da P. Comanducci, Constitución y teoría del derecho, México, Fontamara, 2007, viene tracciata in questi termini in M. Barberis, Stato costituzionale, Modena, Mucchi, 2013. 22 Cfr. R. Escudero, Las huellas del neoconstitucionalismo. Democracia, participación y justicia social en la Constitución española de 1931, inedito. 23 Cfr. R. Cubeddu, Dai diritti naturali ai diritti umani, in F. Sciacca (a cura di), La libertà in Occidente, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2011, pp. 9-39, e molti lavori di Michel Troper, a partire dai saggi raccolti in Id., La théorie du droit, le droit, l’État, Paris, Puf, 2001. costituzionali, le quali tendono ad adottare tecniche argomentative più rigorose del mero bilanciamento, come i test di proporzionalità che lo controllano (cfr. qui 4.3.3). Anche dei principi del new constitutionalism, peraltro, restano predicabili i caratteri attribuiti ai valori dal value pluralism: oggettività, pluralità, conflitto, incommensurabilità, indeterminatezza. 3. 1. Principi giuridici oggettivi? Le costituzioni e le dichiarazioni dei diritti si presentano come tavole dei valori: si pensi alla Carta di Nizza (2001) e alla sua sistematica «per valori». La giurisprudenza costituzionale e internazionale, però, usa tali carte meno nel senso della Magna Charta (1215), che del francese «(à la) carte»: come un menu cui attingere principi espliciti, formulati nel documento, ma anche impliciti, ricostruiti dagli stessi interpreti. Si pensi alla privacy, nel senso attribuito all’espressione dalla Corte suprema statunitense in Roe vs. Wade (1973), o alla laicità, eretta a principio supremo della Corte costituzionale italiana solo nella sentenza 203 del 1989, cinque anni dopo il nuovo Concordato fra Stato e Chiesa. Nella famosa sentenza Luth (1958) del Tribunale costituzionale tedesco, d’altra parte, questo menu di principi viene caratterizzato come «ordine oggettivo di valori». Ma che significa, qui, «ordine oggettivo»24? Credo almeno due cose. Intanto, non si tratta più di documenti morali o politici, come gran parte delle dichiarazioni dei diritti pre-Auschwitz, ma di autentiche norme giuridiche: regole o principi regolativi applicabili, anche prima che il legislatore le attui, da giudici non solo costituzionali ma anche ordinari (per i principi direttivi, però, cfr. § 4). Oggettività minima e prima facie, si direbbe: ma, almeno ove la giurisprudenza costituzionale pervenga a gerarchie stabili, anche all things considered. Poi, come vedremo fra poco (3.4), i principi costituiscono un ordine nel senso che sarebbero indivisibili, come nel Preambolo della Carta di Nizza: «L’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, libertà e solidarietà». La Corte costituzionale italiana nella sentenza 85/2013, afferma a sua volta: «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca [...] La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”»25. Qui, si direbbe, l’opposizione metaetica fra monismo e pluralismo viene superata sulla base dell’idea giuridica di interpretazione sistematica. 24 Un’altra risposta, ma compatibile con quelle qui fornite, in R. Alexy, Theorie der Grundrechte (1994), trad. it. Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, Il Mulino, 2012, 555-559: l’oggettivazione dei principi avviene per astrazione, rendendoli sempre più indeterminati. 25 La parte fra virgolette semplici è una (auto-)citazione dalla decisione 264/2012, anch’essa reperibile su www.cortecostituzionale.it. Cfr. anche M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, sempre in www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni/seminari/RI_Cartabia_Ro ma2013.pdf, 9-10. 3. 2. Principi giuridici differenti? Apparentemente, l’alternativa fra monismo e pluralismo dei valori si ripropone a seconda che i diversi documenti costituzionali adottino uno o più principi supremi. Sotto questo profilo, il Grundgesetz (1949) tedesco (1949) e la Carta di Nizza sembrerebbero adottare il principio fondamentale della dignità umana: se poi la sistematica per valori della seconda non finisse per metterli tutti sullo stesso piano. Come sempre in campo giuridico, d’altra parte, a essere decisiva non è tanto la formulazione (qui, costituzionale) quanto la giurisprudenza che la interpreta: e anche le giurisprudenze costituzionali sembrano collocarsi in posizioni intermedie rispetto al continuum monismo-pluralismo. Una prospettiva più monista sembra quella dignitaria (dignitarian) attribuita da Susan Glendon alle corti europee, che privilegierebbero il principio della dignità umana usandolo come criterio di soluzione dei conflitti fra diritti. Più pluralista, invece, sembra la prospettiva libertaria (libertarian) attribuita da Glendon alle corti nordamericane: una pluralità di diritti di libertà viene opposta alla legislazione come un insieme di limiti più o meno assoluti26. Sfrenatamente pluralista potrebbe poi apparire la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana ricostruita da Pietro Faraguna: sempre nuovi principi supremi, espliciti o impliciti, sono opposti come limiti tanto alla revisione costituzionale quanto alle fonti europee27. La stessa sentenza citata in 3.1, dopo aver affermato che i diritti costituzionali fondamentali si integrano fra loro, insiste che «non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri [...] Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona». Questa argomentazione coniuga una cripto-citazione, di tipo pluralista, dalla Tyrannei der Werte (1960) denunciata da Carl Schmitt (cfr. 3.4), con un appello monista alla dignità umana come fonte di tutti gli altri diritti. 3. 3. Principi giuridici confliggenti? I giuristi sono sempre stati schizofrenicamente divisi fra una teoria coerentista (il sistema giuridico sarebbe per definizione coerente) e una pratica conflittivista (i criteri di soluzione delle antinomie presuppongono l’esistenza di antinomie). Anche tale divisione può forse riassorbirsi ricorrendo alla distinzione impiegata sin dall’inizio: prima facie, il diritto è antinomico, all things considered, ossia dopo la sua sistemazione da parte dei giuristi, diventa un sistema giuridico più 26 Così M. A. Glendon, Rights Babel. Thoughts on Approaching 5oth Anniversary of the Universale Declaration of Human Rights, in «Gregorianum», 79, 4, 1998, pp. 611-624; cfr. anche C. M. McCrudden, Human Dignity and Judicial Interpretation of Human Rights, in «The European Journal of International Law», 19, 4, 2008, pp. 655-724. 27 Cfr. P. Faraguna, Ai confini della costituzione. Principi supremi e identità costituzionale, Milano, Angeli, 2015.

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pluralism y el nuevo constitucionalismo post-Auschwitz, pertenece a common to value pluralism and new constitutionalism post-Auschwitz The Dark Side of Counter-Terrorism: Arcana Imperii and Salus Reipublicae,. (2015
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