Pio XII e le arti: dalla tutela del patrimonio artistico italiano all’ingresso dell’arte contemporanea nei Musei Vaticani *. Micol Forti Nel prendere in considerazione i molteplici aspetti che compongono la complessa questione della politica culturale, con particolare riferimento all’ambito artistico, nel corso del pontificato di Pio XII, non è possibile prescindere dai radicali stravolgimenti politici e sociali che hanno percorso la storia italiana ed europea. La nascita dello Stato Vaticano, il rapporto con i totalitarismi, la seconda guerra mondiale, gli anni della ricostruzione, le trasformazioni profonde della società civile nel dopoguerra, i nuovi mezzi di comunicazione di massa1, hanno inciso profondamente in un contesto politico che colloca apparentemente in una posizione marginale la visione dell’opera d’arte e la questione dell’arte contemporanea in particolare. La profonda scissione maturata tra Chiesa e società sul problema della “modernità” rende estremamente delicato ma non eludibile il compito di ricostruire il ruolo attribuito all’immagine artistica, e all’immagine tout court, nel corso di quasi vent’anni di pontificato. Le importanti evoluzioni, a volte esplicite, altre da leggere in filigrana, interessano infatti anche la natura e gli obiettivi degli eventi e delle iniziative culturali, sostenute o promosse dalla Chiesa, che si inserisce a pieno titolo all’interno dell’intenso e contraddittorio dibattito storico-critico degli anni del secondo dopoguerra. Prima di entrare nel merito di tali questioni può essere utile riconsiderare brevemente, alla luce delle carte d’archivio, quanto accadde negli anni cruciali del secondo conflitto mondiale, in merito alla tutela del patrimonio archeologico, storico ed artistico italiano, quando cioè la Città del Vaticano diventa rifugio per un impressionante numero di opere d’arte. Sono note le vicende che dalla legge n. 1041 del 6 luglio 1940, voluta dal Ministero per l’Educazione Nazionale, sulla Protezione delle cose d’interesse artistico, storico, bibliografico e culturale della Nazione in caso di guerra, portano ad individuare prima nella Rocca quattrocentesca di Sassocorvaro nelle Marche, messa a disposizione dal Soprintendente Rotondi dall’ottobre del 1940, e successivamente nel seicentesco palazzo dei Principi di Carpegna, dal * Questo piccolo lavoro è stato reso possibile grazie alla collaborazione, alla competenza ed alla preziosa disponibilità di molte persone: la dott.ssa Simona Turriziani dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro; la dott.ssa Barbara Jatta della Biblioteca Apostolica Vaticana; i colleghi dei Musei Vaticani: la dott.ssa Maria Antonietta De Angelis, per le ricerche nell’Archivio Storico; la dott.ssa Rosanna Di Pinto e, in particolare, Filippo Petrignani dell’Archivio Fotografico per il corredo illustrativo del saggio; la dott.ssa Cristina Pantanella della Biblioteca dei Musei per il supporto nelle ricerche bibliografiche; le dottoresse Alessandra Uncini e Anna Maria de Strobel per lo scambio di idee. A tutti loro il mio sincero ringraziamento. Come sempre è stato imprescindibile il confronto con la Dott.ssa Francesca Boschetti, che insieme a me condivide la cura del Reparto di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Un ringraziamento particolare alla dott.ssa Gloria Raimondi per i preziosi consigli. 1 Su questi temi cfr. i vari contributi in A. Riccardi (a cura di), Pio XII, editori Laterza, Roma-Bari, 1984. febbraio 1943, i luoghi più adatti al ricovero di gran parte del patrimonio artistico nazionale2. È tuttavia a seguito dell’Armistizio e della perdita di sicurezza del territorio italiano, con le milizie allo sbando, compresi i carabinieri a cui era stato affidato il compito di custodire i preziosi depositi, che si tenta di individuare una sistemazione più sicura. Parallelamente all’ipotesi di trasferire all’estero, in territorio neutrale, le opere italiane, si apre la possibilità di un accordo tra la Santa Sede, lo Stato Italiano – rappresentato dal governo Badoglio riconosciuto dalla Santa Sede – e il Comando Tedesco3. È proprio grazie alla collaborazione del Kunstschutz, organo tedesco preposto alla difesa delle opere d’arte in grado di garantire i mezzi e le scorte necessarie, che si ottenne il buon esito degli spostamenti4. Il Vaticano non era più luogo inviolato dal 5 novembre 1943, quando «alle ore 20,10 circa da un aereo di nazionalità sconosciuta, sono state sganciate sulla Città del Vaticano n. 5 bombe»5. Non ci sono vittime, ma vengono colpiti il palazzo del Governatorato, anche se in modo non grave, la cisterna d’acqua, il laboratorio del mosaico e soprattutto vengono distrutti i vetri di gran parte dei Musei e della Basilica di S. Pietro che il giorno successivo rimane chiusa: il papa dovrà affacciarsi più volte per rassicurare la popolazione romana raccolta in Piazza S. Pietro. Tuttavia, sulla base di quanto stabilito dal Concordato del 1929, la Città del Vaticano è territorio neutrale e inviolabile che gode dell’extraterritorialità e dell’immunità diplomatica, rimanendo di fatto una delle collocazioni più sicure e facilmente raggiungibili. È in questi stessi giorni6 che Pio XII accoglie la richiesta dello Stato Italiano e delega il Segretario di Stato, cardinale Luigi Maglione, e il prof. Bartolomeo Nogara, Direttore dei Musei Vaticani, di supervisionare l’imponente operazione. Di fatto, dopo la scomparsa nel 1944 del Segretario di Stato, la cui carica rimane vacante fino alla morte di Pio XII, sarà Mons. Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, il referente ufficiale della Santa Sede, come si evince 2 Cfr. i vari saggi e la bibliografia aggiornata contenuti in Venezia: la tutela per immagini, a cura di P. Callegari e V. Curzi, Bonomia University Press, Bologna, 2005. 3 Archivio Centrale dello Stato (=ACS), Roma, M.P.I., Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. III, 1929-60, busta n. 257, fasc. Rapporti con le autorità germaniche per la tutela delle opere d’arte; busta 258, fasc. Patrimonio artistico dell’Italia settentrionale. 4 M.M. Boi, Guerra e beni culturali. 1940-45, Giardini Editori e Stampatori, Pisa, 1986. Archivio Storico dei Musei Vaticani (=ASMV), 1921-1955. Singoli Dossier – faldone 87a: lettera di Bartolomeo Nogara del 13 giugno 1946, nella quale si ricorda il prof. Hans Gerhard Evers, già Consigliere dell’Amministrazione Militare Tedesca, il quale «si è comportato lealmente e preoccupato soltanto dal pensiero di dover salvare da ogni pericolo i monumenti storici ed artistici che sono documento insostituibile della nostra civiltà». 5 ASMV, Rapporti, 1943, dicembre. 6 Nei mesi precedenti Pio XII si interessa anche di fornire la protezione della Santa Sede agli Istituti di Cultura germanici, rumeni e ungheresi. A tale scopo fa richiedere dal Segretario di Stato a Bartolomeo Nogara una relazione tecnica dalla quale emerge l’assoluta positività dell’operazione per permettere agli Istituti di essere mantenuti nella loro integrità materiale e scientifica e per consentire agli studiosi di proseguire la loro attività. Di fatto il Vaticano offrì la sua protezione solo all’Accademia di Romania, che fu l’unica a richiederlo, dal 1 marzo 1944 al 22 febbraio 1945. Cfr. ASMV, Movimenti – Busta 91B. dalla ricca documentazione archivistica e dallo scambio quasi quotidiano con il Direttore Nogara7. Pur destinando ad altra sede un’analisi dettagliata e critica di questo materiale, è utile sottolineare i momenti principali di questo avvenimento per chiarire il clima civile del periodo e la portata dell’operazione di tutela. L’arrivo delle opere del Ministero dell’Educazione Nazionale inizia il 27 novembre 19438, seguendo una procedura standard: le casse sostano a Palazzo Venezia, più raramente a Castel Sant’Angelo, per la verifica dei sigilli e della loro integrità. Insieme alle opere di competenza del Ministero italiano e delle istituzioni statali, come il Quirinale e la Camera dei Deputati, trova posto nello Stato vaticano anche il patrimonio conservato nelle Ambasciate, negli Istituti di cultura, in quelli religiosi, nelle Biblioteche e negli Archivi, come nelle case dei privati. L’imponente mole di materiale – insieme a quello archivistico e documentario che viene trasportato negli ambienti della Biblioteca Apostolica e dell’Archivio Segreto – entra a ritmo serrato in pochi mesi fino al luglio 1944 [Fig. 1]. Ovviamente i Magazzini della Pinacoteca dei Musei possono contenere solo una minima parte delle casse, che vengono quindi distribuite nelle sale della Pinacoteca e nel Museo Egizio. Altri spazi dei Musei erano, come noto, adibiti alla raccolta di derrate alimentari o a dormitorio [Fig. 2], compresi i padiglioni presenti nel Cortile della Pigna che, realizzati nel 1937 per ospitare l’Esposizione della Stampa Cattolica, non erano ancora stati demoliti. Nel corso di questi mesi sono molte le richieste a cui far fronte: la preoccupazione del Soprintendente Salvatore Aurigemma per le opere conservate nel Museo Nepi, per la cui salvaguardia auspicava un intervento radiofonico del pontefice9; il controllo da parte delle Autorità Alleate del contenuto di alcune casse10; la situazione di molti palazzi storici romani, tra cui quella di palazzo Ruspoli, occupato nel 1945 dagli Alleati, per la cui tutela e integrità 7 Per le attività dei Musei Vaticani di quegli anni cfr. F. Magi, I Musei e le Gallerie Pontificie, in Triplice omaggio a Sua Santità Pio XII offerto dalle Pontificie Accademie di S. Tommaso e di Religione Cattolica di Archeologia e dei Virtuosi del Pantheon, 2 voll., Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano, 1958, pp. 117-216; C. Pietrangeli, I Musei vaticani, Edizioni Quadar, Roma, 1985, pp. 213-225. 8 ASMV, 1921-1955. Singoli Dossier – faldone 87a: i funzionari del Ministero che seguono le prime operazioni sono: Michele de Tomasso, Direttore Capo Divisione del Ministero dell’Educazione Nazionale; Giulio Carlo Argan, Ispettore Centrale del Ministero dell’Educazione Nazionale; Pietro Romanelli, Ispettore Centrale del Ministero dell’Educazione Nazionale; Guglielmo de Angelis d’Ossat, Ispettore Centrale del Ministero dell’Educazione Nazionale. Entrano nei mesi seguenti: Emilio Lavagnino, Ispettore Centrale del Ministero dell’Educazione Nazionale, l’Arch. Giorgio Rosi e il dott. Giuseppe Gregorietti. 9 ASMV, Movimenti, busta 91B, aprile 1944. 10 ASMV, Movimenti, busta 91B: i controlli avvengono il 3 e l’11 luglio 1944, rispettivamente di 12 e di 14 casse, alla presenza del prof. Silvio Grossi, restauratore del laboratorio Arazzi che sovrintese a tutte le operazioni, ed ai dottori Vannutelli e De Angelis d’Ossat in qualità di rappresentanti del Ministero. Tutte le opere furono ricollocate nelle loro casse tranne, il 3 luglio, il Ritratto di Andrea Doria in aspetto di Nettuno di Bronzino che rimase fuori dalla cassa 512 per danni causati dall’umidità, in attesa di inviarlo all’Istituto Centrale del Restauro. Montini scrive al comando americano e riferisce al Direttore Nogara11. Ovviamente non mancarono anche richieste di visite a questo insolito “museo universale”, come quella dei corrispondenti di guerra dei giornali alleati che, sotto la supervisione di Vannutelli e Lavagnino, poterono ammirare lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e la Via Crucis di Tiepolo12. Le operazioni di recupero – che si svolsero senza successive contestazioni – iniziano nell’agosto del 1944 sulla base di un accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione che si impegnò ad un ritiro graduale, il cui coordinamento venne affidato al Soprintendente ai beni Storico-artistici di Roma, Rinaldo De Rinaldis, e al Soprintendente ai Beni Archeologici, Salvatore Aurigemma, in collaborazione con soprintendenti e funzionari delle altre regioni italiane interessate. Tra le prime opere ad uscire dal Vaticano sono quelle destinate alla Mostra dei Capolavori della Pittura Europea organizzata a Palazzo Venezia, allo scopo di dare alla popolazione un segnale di ripresa delle attività civili e culturali13. Tale attività proseguì fino al mese di febbraio del 1947, seguendo una prassi analoga alle procedure di deposito: tutte le opere transitano a Palazzo Venezia per essere poi riconsegnate alle Istituzioni di competenza, già indicate nei verbali di restituzione14 [Fig. 3]. La perfetta riuscita delle operazioni è resa ancor più eccezionale dal fatto che non tutte le opere provenivano dalle loro sedi d’origine come, ad esempio, il materiale che si trovava in esposizione alla Mostra d’Oltremare a Napoli nel 194115, che fu prima ricoverato a Montecassino, poi trasportato in Vaticano e successivamente riconsegnato ai diversi Musei proprietari delle singole opere. Questo clima di partecipazione e collaborazione che si instaura tra il mondo storico-artistico italiano e la Santa Sede, grazie all’azione dei Musei Vaticani – e di Bartolomeo Nogara che svolse un ruolo fondamentale nelle scelte culturali della Santa Sede –, si caratterizza come un’operazione di politica culturale, ma non sarà seguita da un analogo interesse per le vicende legate all’arte contemporanea negli anni successivi al conflitto. 11 ASMV, Movimenti, busta 91B, marzo 1945. 12 ASMV, Movimenti, busta 91B, 8 luglio 1944. 13 Capolavori della pittura europea, secoli 15.-17., catalogo della mostra organizzata ed allestita dalla Divisione per i monumenti, belle arti e archivi, Regione 4, governo militare alleato, Palazzo Venezia, Roma, 1944. Una bella ricostruzione di quel periodo è nel volume di A. Lavagnino, Un inverno: 1943-1944. Testimonianze e ricordi sulle operazioni per la salvaguardia delle opere d'arte italiane durante la Seconda Guerra Mondiale, Sellerio, Palermo, 2006. 14 Per i verbali di restituzione cfr. anche il materiale conservato ACS, Roma, M.P.I., Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. III, 1929-60, busta 78, fasc. Opere d’arte messe in salvo presso il Vaticano. Restituzione agli istituti. 15 La Mostra d’Arte retrospettiva alla Triennale d’Oltremare, catalogo della mostra a cura di B. Molajoli, Edizioni della mostra d’Oltremare, Napoli, 1941. Il volume comprendeva le due sezioni espositive: Catalogo della mostra d’arte dei secoli XV-XVIII, a cura di B. Molajoli, ospitata nelle dieci sale di un padiglione annesso al settore delle Repubbliche Marinare; Catalogo della mostra d’arte dell’Ottocento, a cura di F. De Filippis, ordinata nei tre piani nell’ala destra del Palazzo dell’Arte, e collegata alla Mostra d’Arte contemporanea. Cfr. anche Arte a Napoli dal 1920 al 1945. Gli anni difficili, catalogo della mostra a cura di M. Picone Petrusa, Napoli, Maschi Angioino 28 ottobre-3 dicembre 2000, Electa, Napoli 2000. L’assenza di un materiale organico e strutturato negli scritti di Pio XII in merito alle questioni artistiche, rende necessario partire dalle considerazioni introdotte nei discorsi, nei testi ufficiali e nei messaggi radiofonici del papa, per poter adeguatamente contestualizzare le vicende culturali e il suo pensiero. Nella celebre Enciclica Mediator Dei, “Sulla Sacra Liturgia”, del 20 novembre 1947, nel paragrafo dedicato a “Le arti liturgiche”16, la posizione di papa Pacelli è immediatamente chiarita dal riferimento ai dettami dei suoi predecessori, Pio X e Pio XI. Nel discorso di inaugurazione della Pinacoteca Vaticana del 27 ottobre 1932 quest’ultimo aveva dichiarato che «il nuovo non rappresenta un vero progresso se non è almeno altrettanto bello ed altrettanto buono che l’antico, e troppo spesso questi pretesi nuovi sono sinceramente […] brutti» e ciò perché rivelano carenza nel disegno e nell’esercizio. Unica strada percorribile è ubbidire alla «legge canonica, chiaramente formulata e sancita anche nel Codice di Diritto Canonico, e cioè: che tale arte non sia ammessa nelle Nostre chiese e molto più che non sia chiamata a costruirle, a trasformarle, a decorarle, pur spalancando tutte le porte e dando il più schietto benvenuto ad ogni buono e progressivo sviluppo delle buone e venerande tradizioni»17. Il riferimento all’antico, sebbene non specificato, come modello etico; la qualità del mestiere rintracciabile nella qualità del disegno; la tradizione come strada maestra per impostare le ricerche future: sono questi i presupposti da cui si origina il pensiero di Pio XII sull’arte. Tuttavia nell’Enciclica del 1947 il pontefice sembra assumere una posizione disponibile a trovare un terreno di incontro con le sperimentazioni artistiche contemporanee – «Non si devono disprezzare e ripudiare genericamente e per partito preso le forme ed immagini recenti, più adatte ai nuovi materiali…» – auspicando un sano equilibrio tra «l’eccessivo realismo» e «l’esagerato simbolismo» di un mondo di immagini che va inevitabilmente verso la «deformazione» e il tradimento della «vera arte». Il concetto di «vera arte» si chiarirà in modo più esplicito negli anni successivi rendendo più rigide le sue posizioni teoriche e più critica la sua considerazione dell’arte del presente: «Invero non ignoriamo che in questi ultimi anni alcuni artisti, con grave offesa della pietà cristiana, hanno osato introdurre nelle chiese opere prive di qualsiasi ispirazione religiosa e in pieno 16 Pio XII, “Mediator Dei”. Lettera Enciclica ai venerabili fratelli patriarchi primati arcivescovi vescovi e agli altri ordinari aventi con l’apostolica sede pace e comunione, “Sulla Sacra Liturgia”, 20 novembre 1947. Cfr. anche M. Tantardini, In margine all’Enciclica di S. S. Pio XII sulla Sacra Liturgia, in «Arte Cristiana», anno XXXV, 1948, nn. 5-6, maggio-giugno, pp. 37-39. 17 Allocuzione di Sua Santità Pio XI in occasione dell’inaugurazione della nuova Pinacoteca Vaticana, “Abbiamo poco”, 27 ottobre 1932. I capitoli del Diritto Canonico che sanciscono la natura, i caratteri e il fine dell’arte cristiana sono in particolare i nn. 1161, 485, 1178. Cfr. C. Costantini – G. Costantini, Fede ed Arte, manuale per gli artisti, 3 voll., Tumminelli, Roma, 1945; C. Costantini, L’Istruzione del S. Offizio sull’arte sacra, Pontificia Commissione d’Arte Sacra, Roma, 1952; testo nel quale sono ampliate e specificate le riflessioni già espresse in Id., Arte Sacra e Novecentismo, Libreria Francesco Ferrari, Roma, 1935. contrasto anche con le giuste regole dell’arte. Essi cercano di giustificare questo deplorevole modo di agire con argomenti speciosi, che pretendono far derivare dalla natura e dall’indole stessa dell’arte. Vanno, infatti, dicendo che l’ispirazione artistica è libera, che non è lecito sottoporla a leggi e norme estranee all’arte […]. Con tali argomenti viene sollevata una questione senza dubbio grave e difficile, che riguarda qualsiasi manifestazione d’arte e ogni artista; questione che non può essere risolta con argomenti tratti dall’arte e dall’estetica, ma che invece dev’essere esaminata alla luce del supremo principio del fine ultimo, regola sacra e inviolabile di ogni uomo e di ogni azione umana. L’uomo, infatti, dice ordine al suo fine ultimo – che è Dio – in forza di una legge assoluta e necessaria fondata sulla infinita perfezione della natura divina […]. L’uomo, perciò, destinato per natura sua a raggiungere questo fine supremo, nel suo operare deve conformarsi al divino archetipo […]. Pertanto anche l’arte e le opere artistiche devono essere giudicate in base alla loro conformità con il fine ultimo dell’uomo […]. Ciò che vale per ogni opera d’arte, è chiaro che deve applicarsi anche nei riguardi dell’arte sacra e religiosa»18. La lunga citazione è tratta dall’Enciclica dedicata alla musica sacra del 1955, successiva all’Anno Santo del 1950 che fu occasione, come vedremo, di numerose e diversificate iniziative culturali. In particolare, nel discorso rivolto quell’anno al I Congresso Internazionale degli Artisti Cattolici, Pio XII introduce due condizioni necessarie affinché l’arte realizzi il suo fine comunicativo, difficilmente raggiungibile dalla sola parola «sia scritta che parlata, con la sua precisione analitica insufficientemente colorita». La prima è il «valore espressivo», cioè artistico in senso proprio, in cui la forma e il suo contenuto sembrano svincolati da qualunque sudditanza con gli aspetti razionali, discorsivi, logici: «[…] dal momento ch’essa ha bisogno d’essere spiegata in linguaggio verbale, perde il proprio valore significativo»19. La seconda condizione riguarda il coinvolgimento dei sensi e dunque il potere dell’arte di incidere sullo spettatore; anch’essi, parte integrante del percepire e del comprendere dell’uomo, «lungi dall’appesantire l’anima e dall’inchiodarla alla terra, le servano viceversa di ali per elevarsi, dalle piccolezze e meschinità del momento, verso l’esterno, verso il vero, il solo centro in cui si opera l’unione, in cui si attua l’unità, verso Dio»20. Forza espressiva, autonomia linguistica, capacità di coinvolgere e trascinare i sensi oltre la materia e il sensibile, indirizzati verso il fine dell’unità con il divino. Nel 1952, nel discorso indirizzato agli organizzatori della VI Quadriennale romana, il pontefice parla di una «intrinseca 18 Pio XII, Lettera Enciclica, “Musicae sacrae disciplina”, 25 dicembre 1955. 19 L’augusta parola del S. Padre ai partecipanti al I Congresso Internazionale degli Artisti Cattolici, pubblicato in «Arte Cristiana», 1950, anno XXXVII, nn. 9-10, settembre-ottobre, pp. 68-70, p. 69. 20 Idem, p. 70. ‘affinità’ dell’arte con la religione, che fa gli artisti in qualche modo interpreti delle infinite perfezioni di Dio […]. La funzione di ogni arte sta infatti nell’infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l’uomo è immerso, […] e nell’aprire come una finestra al suo spirito anelante verso l’infinito». Dunque anche la bellezza «non può prescindere da Dio […]. Non si dà […] nella vita, così nell’arte […] l’esclusivamente ‘umano’ […] non tentate vanamente di dare l’umano senza il divino, né la natura senza il Creatore; armonizzate invece il finito con l’infinito, il temporale con l’eterno, l’uomo con Dio, e voi darete così la verità dell’arte, la vera arte»21. L’opera d’arte e il suo complesso percorso creativo, temi che stanno interessando tanta parte del dibattito artistico ed estetico di quegli anni, coinvolgendo anche il mondo cattolico, si distaccano progressivamente e coerentemente nel pensiero di papa Pacelli, da qualunque implicazione specificamente artistica, storica e individuale. La soggettività del processo di ricerca e di sperimentazione, il rapporto con la propria storia, con la memoria del passato e con la necessità di rispondere autonomamente e coraggiosamente alle diverse esigenze del presente, il delicato aspetto della libertà dell’artista, sono tutti aspetti ricondotti al servizio della Fede, origine e fine di ogni elemento formale o contenutistico. È evidente come la spaccatura con la modernità non trova né può trovare in questo momento un terreno di confronto e di dialogo. E la sostanziale incomunicabilità tra le posizioni della Chiesa e il dibattito artistico contemporaneo, appare ancora più chiara se confrontata con l’interesse del pontefice verso i nuovi mezzi di comunicazione di massa, e verso un nuovo valore dell’immagine, quali strumenti inediti e imprescindibili di educazione e di propaganda. L’uso consapevole e strategico di massaggi radiofonici e di interventi televisivi; i discorsi e gli incontri con il mondo del cinema; le approfondite riflessioni su questo nuovo strumento in grado di raggiungere una vastità di pubblico che supera i limiti fino ad allora imposti dagli arcaici mezzi di comunicazione: sono testimonianze che costituiscono un importante materiale per verificare la lucida valutazione del ruolo imprescindibile del mondo visivo nella cultura contemporanea. Nel messaggio pronunciato in occasione del primo collegamento televisivo tra Inghilterra, Olanda, Belgio, Danimarca, Francia, Germania e Italia, Pio XII sottolinea il divario incolmabile tra il potere della radio e quello della televisione – cioè dell’immagine nei confronti della parola: «Senza dubbio era già possibile mediante la radio di portare fin nelle vostre dimore parole […]. Ma chi non è bramoso di un contatto immediato? […] un discorso […] diviene 21 Il Discorso del S. Padre agli organizzatori ed espositori della VI Quadriennale Romana, pubblicato in «Arte Cristiana», 1952, anno XL, n. 5, maggio 1952, pp. 75-77. anche più vivo e commovente, quando la prossimità dell’oratore permette di cogliere sul volto le più lievi sfumature dei […] sentimenti e d’imprimere nella memoria i lineamenti di lui»22. L’immagine prodotta dai mezzi tecnologici offre la possibilità di riconsiderare i problemi relativi alla verità della rappresentazione, al suo rapporto con il contenuto e con le possibili amplificazioni di significato, nonché di sfruttare esclusive potenzialità di convincimento, e non solo di coinvolgimento, dello spettatore. Non sono trascorsi molti anni dalle riflessioni di Walter Benjamin o di Erwin Panofsky23 sul potere del cinema, sui suoi meccanismi iconografici e compositivi, sulla sua possibilità di essere o meno una nuova forma d’arte e soprattutto sul suo potere di abbattere tutti i vincoli che caratterizzavano, ma anche limitavano, l’opera d’arte «alta». Nei due lunghi discorsi pronunciati nei mesi di giungo e di ottobre del 195524 al mondo della cinematografia, il papa vuole fissare non solo i principi generali grazie ai quali stabilire i temi affrontabili o evitabili anche attraverso l’analisi delle diverse tipologie filmiche, ma arriva fino alla valutazione dei tipi umani25, espressi attraverso il trucco e la recitazione, delle atmosfere, dei toni, del ruolo dell’attore, entrando quindi nel merito di un linguaggio che «è diventato conscio dei propri legittimi (cioè esclusivi) limiti e possibilità»26, accettandone di fatto i caratteri e intuendo la necessità di controllo, rimanendo così distante da forme di attacco o di censura nei confronti del mezzo in sé. Nello stesso momento, dunque, in cui accoglie il cinema e la televisione tra le forme più alte della comunicazione visiva, pronuncia quelle parole che vincolano la creazione artistica riducendone profondamente la libera espressione creativa. L’opera d’arte, intesa nella sua forma tradizionale scultorea, pittorica e architettonica, è un’attività umana difficilmente indirizzabile rispetto ad uno strumento tecnologico, per quanto potente. La sua «aura», l’hic et nunc, che Benjamin aveva individuato quale caratteristica imprescindibile e distintiva dell’unicità dell’opera d’arte, messa in discussione proprio dalla 22 Radiomessaggio di Sua Santità Pio XII agli spettatori della televisione collegata per la prima volta con l’Inghilterra, l’Olanda, il Belgio, la Danimarca, la Francia, la Germania e l’Italia, “Non è forse”, 6 giungo 1954. 23 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), Einaudi, Torino, 2000; E. Panofsky, Stile e tecnica del cinema (1947), ripubblicato in Tre saggi sullo stile, a cura di I. Lavin, Electa, Milano, 1996, pp. 91-120. 24 Allocuzione di Sua Santità Pio XII ai cultori dell’attività cinematografica convenuti a Roma, “Ci torna sommamente”, 21 giungo 1955; Allocuzione di Sua Santità Pio XII agli operatori cinematografici che hanno partecipato al Congresso Internazionale svoltosi a Roma, “Nel dare”, 28 ottobre 1955. Ma in quello stesso anno vedi anche Radiomessaggio di Sua Santità Pio XII ai partecipanti al Congresso Internazionale delle Comunicazioni nel sessantesimo anniversario della scoperta della telegrafia da parte di Guglielmo Marconi svoltosi a Genova, “con la più viva”, 11 ottobre 1955; Allocuzione di Sua Santità Pio XII ai partecipanti all’Assemblea Generale dell'Unione Europea di Radiodiffusione svoltasi a Roma, “en vous souhaitant”, 21 ottobre 1955. 25 Un interessante parallelo potrebbe proporsi con l’attenzione prestata ad esempio allo sport e agli sportivi come possibili modelli di una vita cristianamente condotta, in cui umiltà, dedizione e coraggio si sposano in un perfetto equilibrio. Esemplare il caso di Gino Bartali: cfr. S. Pivato, Miti e modelli educativi: Gino Bartali, in A. Riccardi (a cura di), Pio XII…, cit., pp. 335-345. 26 E. Panofsky, Stile e tecnica…, cit., p. 104. possibilità tecnologica di riprodurre e di moltiplicare l’immagine, è il fulcro della sua individualità e irriducibilità a guidato strumento di educazione. Recuperando l’imponente materiale teorico che ha i suoi cardini nel II Concilio di Nicea27 e nel Concilio di Trento, fino alla letteratura artistica post-vasariana tra XVI e XVII secolo, si afferma la priorità del contenuto rispetto alla forma, entrambi comunque imperfette frammentazioni del contenuto e della forma divini; l’unica potenzialità di esistenza e di riscatto per l’opera d’arte risiede nel recuperarne il carattere funzionale. Difficile, in questa sede, dare conto delle infinite implicazioni che coinvolgono la riflessione artistica tra ‘800 e ‘900: dalla trasformazione del rapporto con la committenza, compresa quella ecclesiastica, e del mercato artistico al confronto con nuovi orizzonti linguistici, dalla libertà della creazione alla dilatazione dei mezzi formali, fino all’astrazione, dal confronto con il dramma dei due conflitti mondiali e delle dittature alle persecuzioni culturali e ideologiche, senza dimenticare il costante riferimento all’arte sacra e alle sue potenzialità di rinnovamento rispetto a cui molti artisti tentano un difficile e autentico confronto. Le riflessioni di Pio XII rimangono esterne anche al dibattito tra figura e astrazione, che pure coinvolge quella parte del mondo ecclesiastico più interessato alle nuove sperimentazioni artistiche. Nel 1951 la rivista «Arte Cristiana»28, fondata agli inizi del Novecento da Mons. Celso Costantini, dedica un intero numero al dibattito sull’arte astratta pubblicando, tra gli altri, un ampio contributo di Padre Régamey promotore in quegli anni, anche dalle pagine della rivista «Art Sacré», del rinnovamento della ricerca artistica attraverso la sperimentazione di nuove forme e dei loro portati semantici, e sostenitore di artisti come Matisse, Le Corbusier, Léger, Chagall, Rouault. La querelle sûr l’art sacré, la cui origine in Francia risale agli anni Novanta dell’Ottocento, diviene per la Chiesa di Roma una vera «questio», più volte rilevata nelle riflessioni di Celso e Giovanni Costantini, che in quegli anni sono tra le figure guida in merito ai problemi dell’arte sacra. L’apertura a diversi orizzonti formali, fino all’adesione ai linguaggi astratti, capaci di veicolare una spiritualità autonoma e una «contemplazione pura»29 rispetto a qualunque soggetto precedentemente determinato dell’opera, viene identificato come un atteggiamento pericoloso, ma soprattutto dichiaratamente non ortodosso. Così i lavori di Matisse per la Chapelle du Rosaire a Saint-Paul-de-Vence, o quelli per le Chiese di Plateau d’Assy e di Audincourt, che raccolgono i grandi nomi dell’arte contemporanea 27 Sulla straordinaria intuizione dei sostenitori dell’immagine di giustificare il diritto all’invisibile cfr. la raffinata lettura di J. Kristeva, Visions capitales, catalogo della mostra, Paris, Musée du Louvre, 27 aprile – 27 luglio 1998. 28 «Arte Cristiana», 1951, anno XXXVIII, nn. 7-10, luglio-ottobre: il numero monografico era composto, tra gli altri, dei contributi di: E. Tea, Storia dell’arte astratta, pp. 75-78; P.R. Régamey, Dibattito sull’arte non-figurativa, pp. 81- 90; M. Campo, Riflessioni sull’arte astratta, pp. 91-101. 29 Cfr. P.R. Régamey, Dibattito sull’arte non-figurativa…, cit., p. 83. francese, sono criticati sulle pagine di «Arte Cristiana» negli anni immediatamente successivi30. Tuttavia l’importanza del numero dedicato all’arte sacra astratta risiede nel tentativo di ricondurre il dibattito all’interno delle questioni più propriamente artistiche. È senz’altro vero, come afferma Padre Régamey, che il pontefice non ha mai condannato esplicitamente l’arte astratta e che i valori messi in evidenza nell’Enciclica del 1947 erano condivisibili ed applicabili anche alle forme aniconiche. Ma come si è visto le riflessioni successive non sostennnero la prospettiva promossa dal versante francese. Anche il fronte più pienamente ortodosso della cultura cattolica sottolineava i pericoli insiti nella svalutazione della creazione artistica. Nel catalogo della mostra sull’Arte Liturgica tedesca contemporanea, esposizione dedicata nel 1956 dallo Stato tedesco a Pio XII e realizzata nel Palazzo Lateranense [Fig. 4]31, il testo del teologo e filosofo Romano Guardini, entra nel merito del valore dell’immagine distinguendo radicalmente le sempre citate posizioni del Concilio di Trento da quelle odierne. In particolare mette in guardia dal considerare il contenuto un punto di appoggio, necessario e sufficiente, per l’accettazione di qualunque opera d’arte, assumendo «carattere del puro rischio fiduciario, anzi del paradosso»32. L’immagine non deve insegnare o educare, ha viceversa potere di rivelazione, di manifestazione epifanica dell’invisibile, e solo un grande artista, guidato dalla cultura, dall’intelligenza, dalla sensibilità creativa e dall’immaginazione, potrà dar voce a questo mistero. Tuttavia in questi stessi anni il dibattito intorno ad una “ortodossia” dell’immagine, coinvolge anche la cultura artistica italiana. Il Manifesto del realismo del 1946, gli interventi di Giulio Carlo Argan Sull’arte astratta e la “risposta” di Togliatti del 1948, sono solo alcuni esempi di una lacerante disputa in cui si tenta di definire in modo univoco la natura dell’arte del presente33. È all’interno di questo contesto che vedono la luce le iniziative culturali promosse nel corso del pontificato: il concorso per le Porte di San Pietro, le celebrazioni per l’Anno Santo, l’apertura di nuove sale di arte contemporanea all’interno delle collezioni dei Musei Vaticani. L’organizzazione del concorso per la realizzazione delle nuove porte di San Pietro, resa possibile grazie al lascito testamentario del principe Giorgio Wittelsbach di Baviera, aveva tutte le 30 Cfr. Redactor, Introduzione, «Arte Cristiana», 1952, anno XL, nn. 10-11, ottobre-novembre, pp. 149-155; V. Vigorelli, La lezione di Vence, «Arte Cristiana», 1954, anno XLII, n. 2, febbraio, pp. 33-38. 31 Arte liturgica in Germania, 1945-1955, catalogo della mostra, Roma, Palazzo Pontificio Lateranense, 1 marzo – 18 aprile 1956, Schnell & Steiner, Monaco, 1956. 32 R. Guardini, L’immagine religiosa e il Dio invisibile, in Arte liturgica in Germania…, cit., pp. 13-25, p. 14. 33 Per una nutrita raccolta di documenti cfr. P. Barocchi, Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti, polemiche, documenti, vol. III**, Tra Neorealismo ed anni novanta, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1922.
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