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Pericle. La democrazia ateniese alla prova di un grand’uomo PDF

307 Pages·2017·3.47 MB·Italian
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Vincent Azoulay Pericle La democrazia ateniese alla prova di un grand’uomo Elenco delle illustrazioni La genealogia di Pericle, da P. Brulé, Les femmes grecques à l’époque classique, Hachette, Paris 2001, p. 148. L’impero ateniese nel 431 a.C., da Wikipedia. Tetradramma d’argento ateniese, detto «della civetta», moneta coniata dopo il 449 a.C. 17.07 gr. Rovescio: Civetta rivolta a destra. Sylloge Nummorum Graecorum 31, The Royal Collection of Coins and Medals, Copenhagen, Danish National Museum. Tetradramma d’argento, coniato a Zancle (Messina) dai sami tra il 493 e il 489 a.C. Rovescio: prua di una nave di Samo, da P. R. Franke e M. Hirmer, La monnaie grecque, Flammarion, Paris 1966, tavola 182. L’Odeo di Pericle, ricostituzione virtuale. (Foto © The University of Warwick, Created by the THEATRON Consortium) http://www.didaskalia.net/studyarea/visual_resources/pericles3d.html. Planimetria del Partenone, disegno di M. Korrès. Le statue dell’Hephaisteion, ricostruzione di Evelyn Harrison, da E. B. Harrison, Alkamenes’ Sculptures for the Hephaïsteion: Part I, The Cult Statues, in «American Journal of Archaeology», II (1977), n. 81, pp. 137-78. Copia di un bassorilievo scolpito alla base delle statue dell’Hephaisteion. Parigi, Musée du Louvre, (foto © Hervé Lewandowski / RMN-Grand Palais). Pericle secondo il Perugino, dettaglio dell’affresco Fortezza e Temperanza, 1497. Perugia, Collegio del Cambio. Dettaglio del frontespizio della traduzione di Thomas Hobbes della Guerra del Peloponneso di Tucidide. Incisione di Thomas Cecill, 1634. Londra,Victoria and Albert Museum. (Foto del Museo). La Porta di Brandeburgo (1788-91). François-Nicolas Chifflart (1825-1901), Périclès au lit de mort de son fils (1851), olio su tela. Parigi, École nationale des Beaux-Arts. La propaganda patriottica inglese: un manifestino sull’autobus a due piani. Pubblicato da Underground Electric Railway Company Ltd, 1915. Londra Transport Museum. Prefazione Introdurre il Pericle di Vincent Azoulay Non mancano certo le biografie dedicate a Pericle, figlio di Santippo del demo di Colargo (questo il suo nome completo di cittadino dell’antica città democratica di Atene). A essere sinceri, tuttavia, non si tratta di opere eccellenti, cosí come non è eccellente neppure la piú importante fra quelle tramandate dall’Antichità, scritta da Plutarco di Cheronea circa un secolo d.C. Evidentemente qui Plutarco non ha dato il meglio di sé, il che spiega perché l’illustre romano a cui paragona il nostro ateniese sia Quinto Fabio Massimo Verrucoso, piú tardi soprannominato Cunctator, il «Temporeggiatore», l’uomo che salvò il destino della repubblica romana dopo la disastrosa disfatta contro Annibale occorsa a Canne, nel 216 a.C. Le rispettive carriere di Pericle e di Fabio in realtà non presentano analogie tali da rendere pertinente e tanto meno interessante il confronto. Che un maestro come Plutarco non sia riuscito a fare di meglio potrebbe essere la prova che scrivere una buona biografia di Pericle non fosse alla portata degli autori dell’Antichità. E dato che Plutarco ha avuto almeno il vantaggio di disporre di fonti scritte dirette, inaccessibili o non utilizzate da nessuno degli autori successivi, il compito del potenziale biografo moderno è ancora piú arduo. Ma ciò non ha impedito una serie quasi infinita di tentativi di scrivere, se non una «Vita di Pericle» nel senso letterale del termine, almeno un «Pericle, la sua vita e il suo tempo», operazione peraltro perfettamente comprensibile. L’interesse per l’epoca in cui è vissuto Pericle – dal 493 al 429 a.C. circa –, e che lo stratega ha contribuito a creare e forgiare, non sarà mai eccessivo, e la famiglia e la città che gli diedero i natali ne costituiscono l’autentico epicentro. Pericle faceva parte della stessa famiglia aristocratica, gli Alcmeonidi di Atene, a cui secondo Erodoto, padre della storiografia occidentale, apparteneva colui che avrebbe introdotto in Grecia la prima democrazia del mondo, nel biennio 508-507 a.C. Lo stratega ha conosciuto le guerre persiane del 490 (Maratona) e del biennio 480-479 (Salamina e Platea). A circa vent’anni, ha finanziato I Persiani di Eschilo – messa in scena per la prima volta nel 472 al teatro di Dioniso, ai piedi dell’Acropoli –, cioè l’opera piú antica giunta fino a noi del primo maestro ateniese della tragedia, un genere teatrale particolarmente vitale presso i greci. È stato direttamente associato al programma di costruzione dell’Acropoli e ha visto l’edificazione del Partenone (447-432). Ha frequentato i grandi intellettuali dell’epoca, ateniesi e stranieri. La sua vita privata – visse con una greca straniera con cui non poteva sposarsi ufficialmente in virtú di una legge da lui stesso introdotta – è stata oggetto di uno scandalo a cui i commediografi hanno attinto a piene mani. Infine, per quanto riguarda la posterità, Pericle ha lasciato un’impressione profonda – ed estremamente positiva – sul principale erede di Erodoto in quanto storico della «grande storia», Tucidide di Atene (455-400 circa), al punto che quest’ultimo giunse quasi a soprannominarlo Re non incoronato di Atene e a concepire la sua storia della guerra del Peloponneso (455-400?) attraverso il prisma dell’adesione o della non adesione degli ateniesi alle misure e alle strategie tanto strenuamente difese da Pericle –, quali, in ogni caso, Tucidide le ha interpretate e ce le presenta. È Tucidide che ha posto al biografo Plutarco il suo problema piú arduo ed è di nuovo lui che ha elaborato la problematica di cui si appropria Vincent Azoulay in quest’opera innovatrice e ambiziosa, alla quale giustamente è stato attribuito di recente un prestigioso premio1. Per Plutarco fu infatti davvero difficile conciliare il Pericle di Tucidide, l’impassibile uomo di stato, con il Pericle godereccio, bohémien e scandaloso evocato da altre fonti del V secolo a.C., tra cui le commedie e le arringhe giudiziarie. Tra i numerosi obiettivi perseguiti da Azoulay, quello non certo meno importante è il tentativo di decostruire l’immagine di Pericle oggi dominante tra gli storici e nella letteratura popolare, cioè quella di un catalizzatore del cambiamento, di un «grand’uomo», simbolo di Atene e della sua «età dell’oro»2. Mi sia quindi consentito di iniziare questa breve prefazione analizzando l’idea di un Pericle eroe secolare, un Pericle che sarebbe stato la versione greca e antica del Luigi XIV di Voltaire: ci fu davvero un «secolo di Pericle»? Dalla lettura di Azoulay si apprende con sorpresa che quest’idea in realtà è recente, addirittura successiva all’epoca di Voltaire. L’espressione risale all’Anti-Machiavelli del futuro Federico il Grande, scritto nel 1739, pubblicato anonimo l’anno successivo ad Amsterdam e divulgato con entusiasmo dallo stesso Voltaire. Come sottolinea assai efficacemente Azoulay, questa concezione si diffuse soltanto molto piú tardi, arricchendosi di un contenuto piú o meno fondato. È certamente un merito storiografico dell’autore l’aver dimostrato la fragilità delle fondamenta di tale costruzione intellettuale e ideologica. La qualità principale di quest’opera pregevole è quella di essere problematica e storiografica insieme. Invece di limitarsi a raccontare «come erano» la vita e l’epoca di Pericle, Azoulay struttura la sua «odissea biografica» intorno a una serie di problemi, piú o meno organizzati in senso cronologico. Esordisce (capitolo primo) mostrando – primo problema – in che modo il giovane Pericle ha fatto i conti con la sua famiglia d’origine, illustre, ma di dubbia reputazione: appartenente al lignaggio materno degli Alcmeonidi, era alla mercé di una maledizione ancestrale che durava da un secolo e mezzo; da parte di padre aveva ereditato un conflitto lacerante con la famiglia anch’essa aristocratica di Milziade di Maratona. Il secondo problema di Pericle (capitoli secondo e terzo) ha a che fare con le basi militari e retoriche del suo potere politico – e con quanto il «potere» significava, o poteva significare, nella democrazia in cui si era trasformata Atene, in parte, ma non solo, grazie a Pericle. Il terzo problema (capitolo quarto) riguarda la potenza e la ricchezza della città di Atene quali si esprimevano a livello interno ed esterno: in altri termini, in che misura Pericle è stato responsabile dell’imperialismo ateniese? In che modo e fino a che punto lo straordinario reddito di Atene (straordinario in base ai criteri dell’epoca) ha lubrificato l’ingranaggio della democrazia (capitolo quinto)? Il quarto problema affrontato da Azoulay è quello dei rapporti, non tanto tra sfera pubblica e privata, quanto tra la sfera personale e quella comunitaria: il capitolo sesto esamina con acume le interazioni di Pericle con familiari e amici, il settimo evoca la sua carriera «erotica» poco convenzionale e costellata da scandali, e l’ottavo analizza il suo rapporto con gli dèi della polis («città-stato») dell’Atene democratica. Gli ultimi tre capitoli hanno un contenuto e un impianto piú esplicitamente storiografici. Come sostiene l’autore all’inizio del decimo, «Ecco il primo grande merito della ricerca storiografica: affrancarsi dagli automatismi del pensiero e convincersi che anche le tradizioni hanno una loro storia». Il capitolo nono esamina nel dettaglio la concezione di cui Platone fu il principale sostenitore, secondo la quale Pericle, lungi dal corrispondere al modello di perfetto statista di Tucidide, era non solo un demagogo consumato, ma anche il corruttore immorale e persino vile del popolo ateniese. Come ci dimostra Vincent Azoulay, si tratta di una visione permeata di snobismo e di sentimenti antidemocratici, mai sorretta da una valutazione storica oggettiva o da un giudizio razionale. Ma è anche una visione che ha impedito di innalzare Pericle al rango e alla statuto di «grand’uomo», al quale potrà accedere soltanto al termine di un lungo e complicato processo, che Azoulay elegantemente scompone nei capitoli decimo (XV e XVI secolo) e undicesimo (XVIII e XIX secolo). Per Machiavelli e Bodin, per esempio, Pericle rappresentava l’incarnazione dell’instabilità democratica; secondo Montaigne, era il modello del retore superficiale; e fino alla Rivoluzione francese, e per molto tempo ancora, sarà condannato all’invisibilità ideologica e storiografica. Immensa è la distanza con il glorioso conquistatore Alessandro, l’audace comandante Cimone o il saggio legislatore Solone. Eppure, come abbiamo accennato, intorno al 1730 fece per la prima volta la sua comparsa l’espressione «il secolo di Pericle» o, come dice Azoulay, nacque il «mito» pericleo. La pionieristica opera di storia dell’arte «antica» di J.-J. Winckelmann, Storia dell’arte dell’antichità (1764), individua il periodo classico «pericleo» dell’Atene e della Grecia del V secolo nel quale, a parere dell’autore, le condizioni politiche, sociali e intellettuali permisero di stimolare una creazione estetica ateniese di valore imperituro. Ma fu poi probabilmente il politico e storico inglese George Grote, con la sua History of Greece in dodici volumi (1845-1856, soprattutto il tomo VI, capitolo XLVII), a trasformare la storia di Atene e della democrazia (quasi parlamentare) ateniese nel racconto canonico dell’Illuminismo occidentale, attribuendole un ruolo che fino ad allora era stato ricoperto dalla città rivale di Sparta – che non poté avvalersi del fervido sostegno che gli offrirono i reazionari e i nazionalisti di ogni specie, da William Mitford alla fine del XVIII secolo alle scuole dell’élite nazista e ai burattini universitari di Hitler nel XX secolo, passando per i pedagoghi del Corpo reale dei cadetti prussiani alla fine del XIX3. Un lungo epilogo è consacrato al problema del «grand’uomo» o dell’eroe al centro di eventi. Non mi sembra il caso di guastarvi la sorpresa rivelando il punto di vista di Azoulay, ma senza remore sostengo che il suo Pericle non assomiglia affatto a quello di Evelyn Abbott, autrice, nella collana «Heroes of the Nation», di Pericles and the Golden Age of Athens (G. P. Putnam’s Sons, New York - London 1891), e neppure a quello di Tucidide. Posso anche aggiungere che lo stesso epilogo, come del resto tutto il libro, è scritto con chiarezza magistrale e dimostra una finezza interpretativa di notevole profondità. PAUL CARTLEDGE Ringraziamenti. Prima di iniziare, vorrei esprimere la mia gratitudine a Maurice Sartre che, con il suo travolgente entusiasmo, mi ha convinto a intraprendere quest’avventura, e il cui sostegno costante mi ha permesso di non smarrire la strada. La mia riconoscenza va anche agli studenti di Marne-la-Vallée che sono stati i primi a percorrere con me questi sentieri nell’universo pericleo, nelle grigie mattinate di Bois de l’Etang: le loro reazioni mi hanno spesso aiutato ad affinare e chiarire le ipotesi e gli approfondimenti. Vorrei anche ringraziare tutti quanti hanno avuto la pazienza e la gentilezza di rileggere le prime bozze del libro, evitandomi trabocchetti storici, ortografici o logici – in particolare Marie-Christine Chainais, Pascal Payen e Jerôme Wilgaux, delle cui competenze ho fatto tesoro. Una menzione speciale va a coloro che non hanno mai smesso di sopportarmi e supportarmi: Paulin Ismard, che ha seguito passo passo i miei tentativi esitanti e ha svolto con amicizia il ruolo di specchio critico; Christophe Brun che, con il suo solito umorismo e la sua obiettività, è riuscito a mettere in discussione molte certezze acquisite una volta per tutte. Infine, nulla sarebbe stato possibile senza Cécile, che mi ha accompagnato durante la gestazione di questo Pericle. Grazie a lei ho trovato le chiavi del padre.

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