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Perché non c’è la mafia in Sardegna. Le radici di una anarchia ordinata PDF

142 Pages·2007·5.254 MB·Italian
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Preview Perché non c’è la mafia in Sardegna. Le radici di una anarchia ordinata

PINO ARLACCH1 P erché non c è LA MAFIA IN SARDEGNA LE RADICI DI UNA ANARCHIA ORDINATA AM&D EDIZIONI Prima edizione © 2007 AM&D Cagliari, via Aosta, 3/5 Tel. 070/309038 • Fax 070/345037 e-mail: [email protected] Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere ejfettuate nei limiti del 13% di ciascun volume, dietro pagamento alla Siaf. del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra Siaf, Aie, Sns e Cna, Confartigianato, Casa, Claai, Coni-commercio, Confesercenti il 18 dicembre 2000. Coordinamento redazionale: Paola Delogu In copertina: Ultimi bagliori (vecchia Sardegna) di Giuseppe Magnani, 1959, olio su tela, particolare ISBN: 978-88-95462-00-4 INDICE Nota introduttiva P- 11 PARTE PRIMA RADICI CAPITOLO I Società dei ladroni e vendetta barbaricina 19 CAPITOLO II Mediterraneità 22 CAPITOLO III Pastoralismo e terre comuni 27 CAPITOLO IV Ridotta polarizzazione sociale 41 CAPITOLO V Circuiti di reciprocità 49 CAPITOLO VI Vendetta come forza della coesione 64 CAPITOLO VII Onore, vendetta e giustizia 72 “Meglio una casa senza pane che senza giustizia ” proverbio sardo “Credo che senza questo riferimento alla legge non sia possibile comprendere i Sardi, la loro religione, il loro spirito ” Salvatore Satta NOTA INTRODUTTIVA Scrivere, diceva Kafka, è una forma di preghiera. Non so se egli si riferisse alla scrittura povera delle scienze sociali, e non sono mai stato neanche sicuro, a dire il vero, di che cosa egli volesse significare con questa espressione. Forse voleva alludere alla condizione di estre­ ma vulnerabilità sofferta da chi mette sulla carta parti essenziali di se stesso. O al fatto che le narrative sono dialoghi con cose più grandi di noi, che può darsi non ci ascoltino, non esaudiscano le nostre richie­ ste, o che non esistano del tutto. Ma è a questo punto che Salvatore Satta ci avrebbe ricordato che, in ogni caso, «A Nuoro, come alla Mecca, non si arriva senza una lunga preparazione di spiriti e cose». Il fatto è che questo studio è il prodotto di uno sforzo di ri­ flessione sulla Sardegna contemporanea che mi ha impegnato negli ultimi anni e che è partito da una indagine sulla questione crimina­ le effettuata dall’Università di Sassari per conto della Regione Sar­ degna. L’analisi della criminalità sarda comporta il confronto con una corposa tradizione di ricerca sul campo, che ha coinvolto illustri scien­ ziati ed ha prodotto concetti importanti, come quello della “sottocul­ tura della violenza”. Gli studi di quell’epoca hanno stimolato, venen­ done a loro volta influenzati, l’istituzione di una Commissione Parla­ mentare sulla Criminalità in Sardegna che ha operato tra il 1969 e il 1972. Questi stessi studi hanno contribuito in qualche modo a pla­ smare le principali politiche pubbliche dell’amministrazione regiona­ le della Sardegna imperniate intorno ai Piani di Rinascita ed alla mo­ dernizzazione urbano-industriale. 12 Pino Arlacchi A quasi quaranta anni di distanza dalla pubblicazione dei risul­ tati più significativi di quella stagione scientifica, poca parte rimane utilizzabile, purtroppo, di quel patrimonio intellettuale. I lavori di Wolfgang-Ferracuti sulla violenza in Barbagia e nelle altre zone delfisola si rivelano oggi troppo angusti, troppo legati alla tradizione della criminologia ottocentesca, che vedeva delinquenza e delitti collegati a specifici gruppi sociali e tratti antropologico-cultu- rali. Il pregiudizio illuministico e modernista contro la pastorizia, i pastori e la cultura pastorale, poi, ha troppo influenzato quei paradig­ mi per poter guidare la ricerca sociale contemporanea. Nel frattempo, l’enorme sviluppo degli studi mediterranei, della storia sociale, della geografia economica, dell’antropologia sociale e giuridica, della sociologia della devianza e perfino della filosofia del diritto e della politica hanno messo a disposizione degli studiosi una strumentazione ben più ricca e potente. Non è possibile oggi affrontare l’antropologia della Sardegna senza gettare almeno uno sguardo sulla traboccante letteratura sul pastoralismo, sul Mediterraneo, sull’onore, sulla famiglia e sulla giu­ stizia. Tanto per fare qualche esempio, intorno al tema dell’egualita­ rismo pastorale è in corso un dibattito internazionale che appassiona decine di studiosi (Salzman 1999), e sull’argomento della vendetta come sentimento della giustizia vivo e “moderno” si sono già scritte varie pregevoli opere di filosofìa politica e morale. II Mediterraneo, inoltre, con la sua peculiare curvatura di uni- tà-nella-diversità, è diventato, soprattutto per merito dell’eredità di Fernand Braudel, un oggetto di riflessione sempre più frequentato ed interdisciplinare. Si legga al riguardo la monumentale sintesi di due studiosi inglesi, Horden e Purcell, in cui il “mare che corrompe” viene scomposto e ricomposto attraverso l’analisi di quasi 3000 lavori sul commercio, le città, le foreste, le montagne, l’agricoltura, la tecnolo­ gia, il clima, il suolo, la storia, le religioni, la cultura. Qual è la lezione — provvisoria, naturalmente, come ogni risul­ tato della conoscenza — che si può trarre da questo tumultuoso svilup- PERCHÉ NON C’È LA MAFIA IN SARDEGNA... - Nota introduttiva 13 po degli argomenti che ruotano intorno alla Sardegna? La prima che mi viene in mente è la perdita della sua eccezionalità e separatezza rispetto al resto dell’Europa meridionale. Anche se questo volume tenta di spiegare una specificità non del tutto secondaria della Sardegna rispetto a un suo frequente termine di paragone (fltalia del Sud), non può non colpire la vastità geografìco-concettuale di alcuni suoi carat­ teri costitutivi che stanno venendo in luce. Per esempio. Sardegna immutabile? Luogo dove la storia si è fermata, e il passato sembra vivere nel presente? Ma questo è quanto sostiene Braudel a proposito dell’intero Mediterraneo. Sparsi di qua e di là in tutta la sua opera si trovano innumerevoli riferimenti all’idea che la storia mediterranea è fonda­ mentalmente una storia senza tempo. I primi accenni al concetto si trovano addirittura nella prima edizione del suo capolavoro: Il Mediterraneo è una rassegna di Musei dell’Uomo ... Vi si trovano un ambiente umano, una concentrazione sociale che le invasioni più spettacolari e rumorose si sono rivelate incapa­ ci di intaccare profondamente (Braudel 1949: 298). Molti aspetti della vita mediterranea sono stati, per lui, quasi immuni al cambiamento dall’antichità classica fino ad oggi. Che si tratti della vendetta barbaricina, dell’impronta egualita­ ria delle comunità dell’Atlante marocchino o dell’ecologia dei noma­ di Tuareg, ci sono delle costanti che si ripetono regolarmente nella vicenda del Mare Nostrum. Sardegna come luogo per eccellenza di una cultura pastorale onorifica e violenta, incline all’aggressione e all’omicidio? Perché non dare uno sguardo al magistrale studio di Nisbett e Cohen, pubblicato nel 1996? Gli autori mettono insieme una matrice pastorale, la debo­ lezza dello Stato, una bassa densità demografica, un’esasperata sensi­ bilità alle offese personali ed una tendenza alla vendetta che produce un numero sproporzionato di omicidi per caratterizzare un territorio molto specifico. 14 Pino Arlacchi — Solo che non si tratta della Sardegna, e nemmeno di un conte­ sto mediterraneo. Si tratta del Sud degli Stati Uniti. Sardegna isola della vendetta arcaica? Ma la vendetta è uno dei sentimenti più universali e più attuali, e per alcuni pensatori america­ ni è addirittura l’anima stessa della giustizia, la sua ratio profonda, in contrapposizione al castello sterile di carte che è la giustizia dei codici. Secondo Robert Solomon, la giustizia è una virtù comune a tutti noi, che si radica nel profondo delle nostre emozioni, e che ha origine proprio nel desiderio di vendetta che nasce in chi ha subito un grave torto: La vendetta può essere primitiva, ma è pur sempre il nucleo concettuale della giustizia. Il senso di giustizia richiede impe­ gno, non distacco. Implica una acuta consapevolezza che qual­ cosa è stato offeso, non un astratto senso di equità. Implica il sentimento elementare della protezione del sé (includendo nel sé la propria famiglia e la propria tribù) c il bisogno di ritorsio­ ne (per mettere le cose in pari o per pareggiare le possibilità) che segna la nostra collocazione nell’universo sociale. Senza questi sentimenti, senza la capacità di sentirsi offesi o oltrag­ giati, potremmo mai possedere davvero il senso della dignità e della moralità? (Solomon 1995: 42-43). II bisogno di vendetta, allora, è parte integrante del nostro impegno nella vita. Esso non giustifica la violenza e la ritorsione senza freni, ma è uno stimolo positivo verso la ricerca della equanimità. Esso impegna l’individuo a partecipare alla costruzione dell’ordine sociale. E il contrario dell’indifferenza, dell’egoismo, del “chi se ne importa” e dell’omertà. Questa concezione contiene un nucleo importante di verità, ed ha influenzato la tesi centrale di questo volume. Il profondo senso di auto-giustizia dei sardi derivante dalla mentalità della vendetta come illustrata da Pigliarti ha impedito al potere mafioso di mettere radici nell’isola. Se la giustizia è qualcosa che ha a che fare con la stima di se stessi, essa è un fatto personale, che non può essere delegato. Né al

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