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Per una clinica delle perversioni PDF

204 Pages·2000·9.014 MB·Italian
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PER UNA CLINICA DELLE PERVERSIONI Nella mia angoscia invocai il Signore, al mio Dio alzai la voce. Dal suo tempio egli udì il mio grido, la mia voce giunse alle sue orecchie. [ ... ] Con l'uomo pio tu ti mostri pio, con chi è integro tu sei integro, con il puro tu agisci da puro, con il perverso tu ti fai perverso. [ ... ] Inseguii i miei nemici e li raggiunsi, non ritornai indietro prima di averli sgominati. [ ... ) Da discordie di popolo tu mi salvasti, mi hai messo a capo di nazioni, popoli mai prima conosciuti ora mi servono, ad un cenno mi obbediscono. Dolci parole mi dicono i figli degli stranieri, i figli degli stranieri mi mentiscono, escono tremando dalle loro fortezze. Viva il Signore e benedetta la mia rocca! Sia esaltato il Dio della mia salvezza! Egli è il Dio che si fa mio vindice, che mi assoggetta i popoli, che dai miei furenti nemici mi dà scampo, che sopra i miei assalitori mi solleva, che mi libera dall'uomo violento. SI 18, 7,26-49 Introduzione 1. La perversione: un concetto clinico o un principio descrittivo? Il fatto che la distinzione fra nevrosi, psicosi e perversioni sia ormai da molto tempo tradizionale per la psicanalisi sembrerebbe doverci garanti re che il concetto clinico corrispondente alla terza di queste tre grandi categorie nosografiche sia complessivamente chiaro come quello delle prime due. Tuttavia basta poco per accorgersi che non è affatto così. Mentre in un secolo di storia della psicanalisi i concetti di nevrosi e di psicosi sono stati lungamente precisati ed articolati, quello di perversione è inve ce rimasto contraddittorio e quasi inafferrabile. Se per esempio apriamo alla voce «perversione» uno strumento diffusissimo come il Dizionario di psicanalisi di Laplanche e Pontalis (Laterza, Bari 1974), constatiamo subito che la definizione di questa parola non è affatto clinica: «Deviazio ne rispetto all'atto "sessuale nom1ale", definito come coito volto a ottene re l'orgasmo mediante penetrazione genitale, con una persona del sesso opposto». Il minimo che si possa dire di questa definizione è che il suo tenore sembra evocare il linguaggio medico o sessuologico - anzi addirit tura certi vecchi manuali per i confessori-, molto più che il modo d'espri mersi della psicanalisi; e questo resta vero anche se gli autori aggiungono poco dopo: «Più in generale, si designa come perversione l'insieme del comportamento psicosessuale che si accompagna a tali atipie nell'ottenimento del piacere sessuale». Del resto proprio quest'aggiunta fa sorgere subito degl 'interrogativi ulteriori. Per esempio, in base a quale regola queste «atipie» del comportamento sono definibili come tali (in fatti Laplanche e Pontalis ammettono che «è difficile concepire la nozio ne di perversione senza far riferimento ad una norma»), e sulla base di quale concezione generale della perversione si dà per scontato che in tutti coloro che le manifesterebbero si debba necessariamente riscontrare un ben determinato comportamento patologico, che vada anche al di là del loro manifestarsi? Una volta, quando una morale sessuale generalmente accettata con sentiva di distinguere facilmente ciò che si considerava colpevole da ciò che non veniva considerato tale, poteva sembrare facile distinguere un comportamento perverso da uno «normale». Ma la psicanalisi non può certo seguire questo metodo, dal momento che è stata prodotta da una riflessione che pretende d'essere orientata scientificamente. Ora, anche se ammettessimo che una scienza dei comportamenti esiste - anche se questo non è affatto scontato come si crede di solito -, dovremmo pur sempre chiederci che cosa può apparire anomalo o normale ad una consi derazione orientata scientificamente. Perché un atto sessuale sadico do vrebbe essere anormale ed un coito fra persone di sesso diverso (anzi «opposto» ... ) dovrebbe invece essere normale, tanto più che proprio la psicanalisi ci ha insegnato che il sadismo influenza qualunque atto, ses suale e non? In realtà basta una lettura superficiale di Freud per accorger si che egli, mentre per un verso ha dato al termine «perversione» un signi ficato clinico, per un altro lo ha usato per definire la tendenza naturale di qualunque comportamento sessuale, tanto da fare della nevrosi «la nega tiva della perversione», come suona la sua celebre formula. Laplanche e Pontalis giungono anzi a scrivere: «La sessualità detta normale non è un dato della natura umana[ .. .]. Si potrebbe andare perfino più in là in que sta direzione e definire la sessualità umana come "pervertita" nella sua essenza». Una sessualità «normale», infatti, per Freud, non esiste, a meno che essa non venga inserita all'interno d'una posizione soggettiva che consenta di considerarla come un elemento fra altri nel comportamento di chi ama. Anzi da questo punto di vista, lungi dall'apparire come l'effetto della degenerazione della pulsione sessuale, la perversione appariva a Freud come la dimensione stessa del pulsionale. I bambini nascono «per versi polimorfi», egli ci dice, e solo il tempo e gli effetti della crescita e dell'educazione li inducono a rimuovere le loro perversioni ( che però torneranno a manifestarsi mascherate per esempio nei sintomi nevrotici), lasciando aperta ad essi solo la strada d'un soddisfacimento sessuale ben delimitato. Da questo punto di vista il concetto di normalità appare allora come meramente negativo, e questo proprio mentre Freud evidenzia come l'amore renda di solito molto facile far riemergere in chi ama anche nel modo più «n01male» delle perversioni dimenticate o rimosse. Dal punto di vista del comportamento sessuale, quindi, nulla è anormale o normale, per lo meno se lo descriviamo tenendo conto di tutto ciò che la psicanalisi ci ha insegnato sulla sessualità. Ciò però non ha impedito agli analisti d'esprimersi sulle perversioni utilizzando dei giudizi che solo il fatto che apparissero scontati consentiva loro di non percepire come pregiudizi. Questo naturalmente non significa che non esista un problema clinico della perversione, ma solo che non sarà mai il fatto che qualcuno compia questo o quell'atto perverso (o presunto tale) a consentirci di formulare su di lui una diagnosi di perversione, perché, se ci attenessimo a questa definizione, tale diagnosi potrebbe estendersi tranquillamente all'intero genere umano. 2. Dei perversi in analisi? Il fatto è che, rispetto al concetto di perversione, la teoria freudiana - e successivamente l'intera teoria psicanalitica-si è sempre espressa a par tire da due punti di vista distinti e persino opposti, perché la parola «per versione» indicava per un verso un concetto clinico e per un altro era riferita al pulsionale in quanto tale. Questa duplicità prospettica ha contri buito a confondere la clinica delle perversioni, facendo sì che spesso gli analisti non potessero che contraddirsi. Infatti qui non si tratta affatto d'un caso d'omonimia fra concetti diversi, ma di due modiopposti d'in tenderne uno solo, tanto più che quest'uso duplice della stessa parola di pende da motivi ben precisi che, in queste pagine introduttive, vorremmo provare ad elencare. Prima di tutto dobbiamo ammettere che, mentre un nevrotico chiede d'essere aiutato a comprendere che cosa non va nella propria esistenza, e quindi si rivolge facilmente ad uno psicanalista, un perverso, invece, so litamente, non lo chiede affatto, dal momento che la sua perversione in altro non consiste che in una modalità d'appagamento del suo desiderio. Ciò ha fatto sì che l'esperienza che gli analisti si sono potuti fare delle ·perversioni.è molto ridotta, rispetto a quella che hanno delle nevrosi (ed anche delle psicosi), tanto che ci si potrebbe chiedere se i comportamenti perversi di cui eventualmente alcuni soggetti si lamentano nel corso della propria analisi bastino ad emettere su di loro una diagnosi di perversione. Infatti un soggetto può chiedere ad un analista d'aiutarlo a non godere più come gode solo quando il suo modo di godere gli appare come inaccetta bile. Ora, non si vede proprio come un soggetto davvero perverso potreb be chiedere questo, dal momento che rifiutare il proprio godimento è un tratto caratteristico d'una forma patologica che non è certo la perversio ne, dal momento che invece è proprio la nevrosi. Certo, un perverso può essere scisso - come Freud amava ripetere - rispetto al proprio godimen to, ma questo non significa di certo che possa rifiutarlo. Questo godimen to, invece, gli s'impone, tanto che egli potrà se mai solo fingere di rifiu- tarlo, o al massimo desiderare di non desiderarlo, ma questo desiderio al negativo non è mai bastato a dettare la decisione di nessuno, e tanto meno a motivare una domanda d'analisi. Naturalmente un godimento perverso può essere molto scomodo, dal momento che comporta sempre la tra sgressione d'una legge, o per lo meno d'un diffuso pregiudizio; tuttavia la scomodità del godimento perverso costituisce forse un motivo suffi ciente per chiedere un'analisi o comunque un'altra forma di terapia? Si curamente no, dal momento che nessun godimento è facile da ottenere, se non per le vie riconosciute dalla legge, mentre tutti sappiamo che in real tà, dal punto di vista del godimento, nulla fa godere di più della trasgres sione della legge stessa. Se del resto ci riferiamo ai casi di perversione più clamorosi, vale a dire a quelli nei quali la perversione diventa criminalità (ma ci sono per versioni nelle quali questo non accada?), non possiamo che constatare l'evidenza: i perversi che hanno commesso dei delitti a causa della loro perversione e che per questo sono stati condannati ad una pena da sconta re in carcere sanno benissimo che, nel caso in cui fossero lasciati liberi, tornerebbero a commetterne. Questo significa che essi deciderebbero di farlo? Questa domanda dev'essere posta, anche se rispondere ad essa non è per niente facile. Infatti, se per un verso è evidente che un atto perverso viene compiuto in una maniera che potremmo definire coatta, allo scopo d'evitare un'angoscia che il soggetto non sarebbe in grado di sopportare, per un altro non possiamo di certo servirci di questa constatazione per ritenere i soggetti perversi «incapaci d'intendere e di volere». Si tratta d'un problema che gli psichiatri e gli esperti di medicina legale non han no mai potuto risolvere altrimenti che ammettendo la colpevolezza dei comportamenti perversi. Tuttavia questa risposta, del tutto inevitabile dal punto di vista giuridico, non manca di mettere in evidenza dei problemi nella relazione fra il diritto da una parte e la morale e l'etica dall'altra. 3. La_ perversione e il soggetto suppo·sto sapere Se quindi teniamo conto di queste osservazioni, possiamo giungere a dire che un breve sguardo alla bibliografia psicanalitica su questo argo mento basta a persuadere del fatto che la psicanalisi in realtà non si èmai occupata della perversione, almeno dal punto di vista clinico, dal mo mento che i presunti perversi di cui gli analisti hanno parlato o non hanno mai chiesto un'analisi o, se lo hanno fatto, non lo hanno fanno a partire dalla loro perversione. Atro è, per esempio, il feticismo dello «scintillio sul naso» del quale si lamentava con Freud l'Uomo dei Lupi, ed altro è una vera perversione: nel primo caso si tratta senza dubbio d'un disturbo o d'un tratto perverso, ma inserito in una situazione clinica i cui punti di riferimento essenziali, rispetto ai quali il feticismo non ha che un'impor tanza rèlativa e transitoria, non sono certamente perversi; invece solo nel . secondo - vale a dire quando tutto il comportamento d'un soggetto è de terminato interamente o quasi interamente da una posizione perversa - possiamo emettere una diagnosi di perversione. Ma un soggetto che fosse davvero diagnosticabile come perverso a partire da quale posizione sog gettiva potrebbe chiedere un'analisi, ed a chi? Infatti, come ho già cercato di mostrare nel mio volume Per una clinica delle dipendenze (Angeli, Milano 1998), nella struttura perversa il posto del soggetto supposto sa pere - vale a dire quello che dovrebbe avere un analista - non può essere occupato da altri che dal soggetto stesso. Questo costituisce anzi uno dei tratti fondamentali della struttura perversa. Un perverso, quanto alla ca pacità di godere di chiunque, non può che occupare la posizione del ma estro; e basta riferirsi ai romanzi di Sade per constatare come le lunghe tiritere teoriche che di tanto in tanto intermezzano le descrizioni degli appagamenti delle «passioni» dei protagonisti non sono affatto aggiunte alla trama a cose fatte, ma ne costituiscono un elemento essenziale e de terminante. Per un perverso chiunque perverso non sia sarà solo un imbe- . cille che non sa nulla del proprio godimento e perciò un analista, uno psicoterapeuta o uno psichiatra non sarà, nella migliore delle ipotesi, al tro che un vile che non ha il coraggio di godere come potrebbe, se avesse la forza di riconoscere il proprio desiderio. Come si vede, siamo proprio agli antipodi di quel pregiudizio transferale nevrotico senza il quale la psicanalisi non avrebbe mai potuto sorgere. È del resto da notare che la perversione, grazie a questa sua certezza quanto al godimento, è ad un passo dalla stessa teoria analitica, che ha troppo spesso tanto insistito sull'importanza del godimento, per di più assumendolo a prescindere da ogni riferimento all'amore, che ha finito per assomigliare a sua volta ad una teoria perversa. Infatti, che non ci sia altro godimento che quello derivante dall'appagamento d'una pulsione è un principio comune sia alla perversione, sia alla psicanalisi, sia a qua lunque altra riflessione che voglia considerare il godimento isolandolo da ogni sua relazione con la legge e la morale, vale a dire con l'amore. 4. La psicanalisi e le perversioni Del resto che un perverso non possa supporre che nessuno ne sappia più di lui sul suo modo di godere - vale a dire sulla sua «realtà psichica», come si esprimerebbe un analista - si deduce immediatamente dal fatto che, per supporlo, bisogna necessariamente da una parte essere in una posizione di continuo inappagamento o sofferenza, come accade nelle nevrosi, e dall'altra potersi fidare di qualcuno più che di se stessi. Eviden temente, entrambe le cose sono del tutto impossibili nella perversione, se ci atteniamo a quel poco che può emergere, quanto alla sua genesi, dalla letteratura psicanalitica. Ne deriva la curiosa conseguenza che i casi di perversione di cui parlano gli psicanalisti nei loro scritti sono solitamente dei casi ... di nevrosi, come si può constatare facilmente se ci si affida ad un criterio diagnostico strutturale e non semplicemente descrittivo. Del resto può capitare addirittura che dei soggetti perversi chiedano un'anali si, ma senza parlare affatto della propria perversione, e solo per intorremperla bruscamente quando tale problema emerge. Da questo punto dì vista possiamo quindi concludere che gli scritti psicanalitici sulle perversioni vertono solitamente su dei casi di nevrosi all'interno dei quali sono inserite delle problematiche perverse. Questo tuttavia non ha impedito ai teorici del passato di porre dei punti fermi anche sulla clinica delle perversioni (vi ritorneremo). Ma tutti gli scritti psicanalitici che pretendano d'esprimersi sulle perversioni o sono zeppi d'un moralismo che una volta si sarebbe potuto definire parrocchiale (mentre oggi anche i parroci sono solitamente più tolleranti) o testimoni no del fascino che la posizione perversa esercita indiscutibilmente anche sugli analisti. Inutile dire che gli unici testi psicanalitici utilizzabili sulla perversione sono proprio questi ultimi, anche se a questo punto non pos sono più essere definiti scritti psicanalitici, ma scritti perversi, struttural mente più simili, nonostante le apparenze, ai romanzi di Sade o di Masoch che ai testi di Freud o di Lacan. E certo il minimo che si possa dire è che tutto ciò non giova di certo al prestigio della psicanalisi, tanto più che subire il fascino della perversione può indurre facilmente, nelle analisi, a mancare totalmente i punti clinicamente decisivi. S. Una clinica senza divano Fortunatamente in questo panorama poco confortante non mancano delle eccezioni. Ad esempio il recente libro di Marinella Malacrea intito lato Trauma e riparazione. La cura nell'abuso sessuale dell'infanzia (Cor tina, Milano 1998), anche se non parla affatto di perversione-almeno in :Q1odo esplicito: nel testo non compare nemmeno questo termine-, ma solo dell'abuso sessuale - ed esclusivamente a proposito dei casi, pur troppo per niente rari, in cui esso avvieneenfamille-contiene delle indi cazioni attorno alla personalità degli abusanti che si adattano benissimo a qualunque personalità perversa, tanto che, come vedremo più avanti, non potremo considerare tali abusi che come casi evidenti di perversione. Si tratta infatti di adulti che spesso hanno a loro volta subìto degli abusi sessuali nella loro infanzia, che non sono minimamente in grado di svol gere la funzione paterna - e comunque una funzione di guida educativa nei confronti dei propri figli ( o dei figli di parenti ed amici) - e che trova no del tutto naturale utilizzare sessualmente gli oggetti che sono più facil mente disponibili: appunto i corpi di quei figli o di quei bambini che sono legati loro da una relazione di stretta amicizia o parentela, e che proprio per questo non possono difendersi dalle loro profferte, dal momento che gli adulti non hanno nessun bisogno di guadagnarsene i favori. A ben vedere, del resto, la differenza fra un abuso sessuale familiare ed uno che non lo è non è molta. Un bambino occupa comunque una posizione filia le, tanto che negare questo fatto, assoggettandolo a delle attenzioni ses suali che nelle società moderne non sono certamente mediate da nessuno scopo educativo ( come può forse accadere ancora e certamente accadeva un tempo in organismi sociali organizzati iniziaticamente, in cui la pede rastia ha o almeno aveva una funzione educativa ben precisa), significa sempre negare e misconoscere la funzione dell'unica legge davvero uni versale, perché adottata in ogni società: la proibizione dell'incesto. Ciò non significa che i soggetti perversi - o i genitori che abusano dei figli - non conoscano questa legge. Ma essi, pur conoscoscendola, la misconoscono, comportandosi non solo come se essa non esistesse, ma giungendo persino a teorizzare i vantaggi straordinari della sua inosser vanza. Come non vedere che siamo davvero vicinissimi alle tirate libertarie che Sade metteva in bocca ai suoi protagonisti? 6. Gli psicanalisti e la perversione Già altrove (Sull'uno III, Il dire e l'indicibile nel «Fedro», Panda, Padova 1997, pp. 16-20) ho proposto, come una prima approssimazione alla definizione del concetto di perversione, di riferirlo ad un uso illegale della legge. Naturalmente adottare questa prospettiva comporta alcune conseguenze per niente trascurabili, perché essa costringe a separare il concetto di perversione da quello di sessualità, con l'effetto immediato che questo implica: l'impossibilità di partire dalla descrizione del com portamento sessuale quando si deve emettere una diagnosi di perversio ne. In altri termini, se si accetta questa prospettiva, si deve anche ammet tere che si può essere perversi senza compiere nessuno di quegli atti ses suali che solitamente sono ritenuti tali, e che invece se ne possono com piere senza poter venire definiti in questo modo. Questa tesi - che formulata così può sembrare la semplice enunciazione d'un paradosso-sarà affrontata e motivata più avanti. Ma fin d'ora vor rei attenuare l'impressione di paradossalità che essa avrà potuto produrre nel lettore, prima di tutto richiamandomi a quanto afferma Freud neiTre saggi, a proposito della capacità dell'amore di far cadere la rimozione di molti fantasmi perversi ( osservazione che certamente non significa che l'amore renda perversi coloro che amano) e in secondo luogo notando che ci sono certamente comportamenti non immediatamente sessuali che sono altrettanto ( e forse più gravemente) perversi dei comportamenti ses suali (non è escluso, per esempio, che la psicanalisi stessa abbia adottato una propria perversione, particolarmente diffusa fra molti analisti: quella dell'adesività istituzionale). Come vedremo meglio in seguito, una parola come «perversione», a causa della sua origine e del suo significato, evoca immediatamente complesse questioni di carattere etico, morale e giuridi co, e perciò si presta pochissimo ad essere usata come uno strumento indifferente di designazione scientifica. L'implicita contraddizione che abbiamo già segnalato nella letteratura psicanalitica su questo argomento dipende appunto da tale insormontabile difficoltà. In ogni caso si aprono qui due strade che vanno tenute separate, perché la loro confusione pro duce l'annullamento d'ogni concettualizzazione clinica della perversio ne: da una parte quella che porta a tentare d'isolare la perversione come un concetto clinico e nosografico, quindi come una struttura patologica complessiva; dall'altra quella che descrive alcuni comportamenti, che non possono venire definiti perversi se non facendo riferimento ad una conce zione morale «realistica», secondo la quale sarebbe perverso - vale a dire

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