ebook img

Per Giovanni Pascoli nel primo centenario della morte. Atti del convegno di studi pascoliani (Verona, 21-22 marzo 2012) PDF

202 Pages·2014·6.446 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Per Giovanni Pascoli nel primo centenario della morte. Atti del convegno di studi pascoliani (Verona, 21-22 marzo 2012)

Per Giovanni Pascoli nel primo centenario dalla morte Atti del Convegno di Studi Pascoliani Verona, 21-22 marzo 2012 a cura di Nadia Ebani Edizioni ETS www.edizioniets.com Stampato con il contributo del Dipartimento di filologia, Letteratura e Linguistica dell'Università di Verona © Copyright 2013 EDIZIONI ETS Piazza Carrara, 16 19, I 56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54,1-50019 Sesto Fiorentino |Firenze] ISBN 978-884673824-0 Questo volume, come già il convegno, è dedicato alla nobilissima memoria di Guido Capovilla, insigne pascolista e incomparabile collega Premessa Il primo centenario della morte di Giovanni Pascoli è stato celebrato a Ve­ rona da una manifestazione promossa sinergicamente dall’Istituto Internazio­ nale per l’Opera e la Poesia (HOP), presieduto dal prof. Gianfranco De Bosio, dalla Biblioteca Civica, diretta dal dott. Agostino Contò e dall’Università di Verona. Dal 20 al 23 marzo 2012 si sono susseguite letture, proiezioni, docu­ mentari, incontri con poeti, un convegno. Di quest’ultimo, tenutosi nei giorni 21 e 22 marzo, si raccolgono ora in volume le relazioni, grazie al supporto eco­ nomico del Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’università veronese, cui fino a qualche mese fa afferivo. Dunque, al Dipartimento, all’intero corpo docente, alla segreteria e alle dott.sse Zanardi e Zacco, al direttore, prof. Guglielmo Bottari, va il mio più vivo ringraziamento. E ringrazio veramente di cuore i colleghi e amici, dai patriarchi degli studi pascoliani ai più giovani e valenti specialisti, per la sollecitudine con cui hanno risposto al mio invito, per l’amicizia con cui si sono intrattenuti a Verona nelle giornate del convegno e sopratutto per il portato della loro esperienza. Al dott. Nicola Catelli, che con grande sensibilità e premura mi ha affianca­ to nell’organizzazione del convegno, va la mia riconoscenza più profonda e amichevole. Nadia Ebani Mito e inconscio nel Pascoli «conviviale» Giuseppe Nava Il Mito, inteso come narrazione delle origini dell’umanità, e l’Inconscio, percepito come sedimentazione profonda dell’io, suscettibile di condizionare i comportamenti di tutta una vita, trovano il loro punto d’incontro nel proble­ ma delle origini, che assilla la fine Ottocento. Intorno a questo problema ruo­ tano le nuove scienze dell’antropologia e della psicanalisi: il Frazer del Ramo d'oro (1894) e il Freud dell’Interpretazione dei sogni (1898). Si studiano le ori­ gini della specie e le origini dell’io individuale: i loro incontri e le loro collisio­ ni. Scrive George Steiner nelle Grammatiche della creazione: «La ricerca [...] delle fonti iniziali della vita organica nella biologia molecolare ha una sua con­ troparte nell’esplorazione della psiche umana. Freud stesso preferiva il para­ gone con l’archeologia, con uno scavo metodico attraverso gli strati sovrappo­ sti della coscienza. Nel programma junghiano la psicologia del profondo cerca di andare ancora più in giù [...] Intuiamo che la preistoria della prima perso­ na singolare dell’organizzazione dell’ego, sia stata lunga e conflittuale»1. È la fine dell’antropologia poetica e filosofica, da Vico allo Schiller della Poesia ingenua e sentimentale ( 1795), a Hegel, e allo stesso Leopardi, che con­ cepiva la storia del genere umano come una successione di passaggi di fase ir­ reversibili e non comunicanti: dall’età degli eroi e dei poeti a quella dei filoso­ fi, dal bello al vero, dall’immaginazione alla ragione. Agli schemi filosofico-let- terari subentrano le scienze: l’archeologia, la linguistica comparata, la storia delle religioni, l’antropologia dei miti e dei riti, la psicologia del profondo, che tutte sembrano concordare sulla sopravvivenza dell’antico nell’uomo moder­ no: una sopravvivenza che lo condiziona dall’interno nelle pulsioni e nei com­ portamenti, così come il bambino sopravvive nell’uomo e interferisce con la sua evoluzione adulta sotto forma di disturbi comportamentali, ritardi emotivi e vere e proprie regressioni. Scrive ancora George Steiner in Grammatiche del­ la creazione·. «L’autismo e la schizofrenia, come li conosciamo adesso, sono forse i vestigi di quell’evoluzione incerta, le tracce d’un inizio complesso - co­ me le radiazioni di fondo nella cosmologia»2. A un modello formale in sé concluso, proposto all’ammirazione e all’imita­ zione dei posteri, com’era nella tradizione classicistica fino a Carducci, suben­ tra nella modernità la centralità del rapporto tra le opere del passato e il sog­ getto che le interpreta. Quelle opere non sono più valori assoluti e atemporali, ma riacquistano senso in rapporto con i bisogni e i valori del soggetto inter- 1 Steiner, Grammatiche della creazione y Milano, Garzanti, 2003, p. 17. Ih/dcm. 10 Giuseppe Nava pretante. Non si tratta però di una pura soggettivazione dell’antico, ma della consapevolezza della distanza che intercorre ormai tra l’antico e noi: distanza che richiede una forte rimotivazione di quel mondo nella sua fruizione con­ temporanea. Scrive Renato Serra: «Io non ho il senso schietto, immediato, di­ retto del greco», e così motiva questa sua affermazione: «Dico che oggi il valo­ re morale della Grecia nella nostra cultura è profondamente cambiato: e se da qualche anno pare che la Grecia sia tornata di moda, questo non è già un ri­ torno, e neanche una continuazione: è un fatto nuovo»5. Per Pascoli non si tratta né di fruizione decorativa in senso liberty né di docta aemulatio in senso classicistico. Il mito corrisponde a una struttura archetipica dell’umano, e la sua tecnica narrativa al tempo circolare dell’eterna ripetizione, in sé perfetta e rassicurante, ma sempre più irrecuperabile nella modernità. Nei Poemi conviviali, - ma anche nei Primi poemetti, in particolare nel ciclo di Rigo e Rosa, come risulta evidente dagli abbozzi pubblicati nell’edizione cri­ tica di Francesca Nassi4, che ricollegano quel ciclo all’immagine omerica di Nausicaa, e al tema giovanile della «Reginella» -, Pascoli mira a rappresentare la fondazione nei classici greci delle strutture portanti della nostra psiche, co­ me egli la traguarda attraverso la sua esperienza. Le appercezioni originarie del dolore, della morte, dell’eros inibito costituiscono la materia prima di opere come La cetra d’Achille, Anticlo, i Poemi di Ale e i Poemi di Psyche. Nella Cetra d'Achille l’eroe omerico, spogliato dei suoi tratti epici, è colto nell’«ultima not­ te», tra sogni e voci di morte, mentre suona la cetra per consolarsi del suo de­ stino con l’esercizio della poesia. È quell’Achille che Pascoli antologizzerà in Fior da fiore come «l’eroe del dolore», e di cui farà «l’eroe del dovere» nell’o­ monima poesia di Odi e inni, riprendendo uno spunto platonico: «Così Ome­ ro, in tempi feroci, a noi presenta nel più feroce degli eroi, cioè nel più vero e poetico, in Achille, un tipo di tal perfezione morale, che potè servire di model­ lo a Socrate, quando preferiva al male la morte»5. In tal modo Achille diventa nell’immaginario pascoliano una figura di sublimazione, in cui può riconoscer­ si l’io poetante. In Anticlo l’interdizione dell’eros si rovescia in sete di sangue: il divieto di Ulisse ad Anticlo di rispondere alla voce di Elena, che imita quella della sua donna lontana, scatena in lui una furia crudele: «gli nereggiava di grande ira il cuore; / e per tutto egli uccise, arse, distrusse»6. Quanto ai Poemi di Ate, sono dedicati ai miti morali di delitto e castigo, con i tre personaggi di Mecisteo omicida, della cortigiana infanticida Myrrhine e di Glauco reo di aver fatto morire di dolore la madre: tre luttuose fantasie di colpa e punizione in cui vengono in primo piano non la scelta morale, ma oscure pulsioni di ne­ gazione della vita fin dentro le sue stesse fonti, il rapporto madrefiglio prima e dopo la nascita. Infine nei Poemi di Psyche l’io poetante tende a risarcire col ' R. Serra, Intorno al modo di leggere i Greci, in Id., Scritti, a cura Ui G. De Robertis e A.Grilli, Firenze, Le Monnier, 1938, II, pp. 468-470. A G. Pascoli. Primi poemetti, a cura di Francesca Nassi, Bologna. Patron. 2011, p. 338 e sgg. 1 G. Pascoli, Il fanaidlinn, XI. in Id., Prose, a cura di Aujiusto Vicinelli, Milano. Mondadori, 1971, I, p. 31. 6 Cì. Pascoli, Anticlo, HI, 45-46, in Id., Poemi conviviali, a cura di Giuseppe Nava, Torino. Einau- di. 2008, p. 78. Mito e inconscio nel Pascali «conviviale 11 ricorso al mito la ferita immedicabile della morte: nella favola apuleiana di Amore e Psyche, recuperata nella sua valenza misterica e neoplatonica, e nella scena delle ultime ore di Socrate in carcere, sulla scorta del Fedone e di altri dialoghi platonici, Pascoli s’interroga ansiosamente sulla sorte dell’uomo dopo la morte, in una ricerca mai conclusa. Da un lato infatti il poema di Psyche, ri­ masto incompiuto il viaggio iniziatico della protagonista per troppa paura della morte, si chiude con l’angosciosa domanda: «O Psyche! O Psyche! Dove sei?», e il prospettarsi della possibilità d’una metamorfosi panteistica. Dall’al­ tro, nella Civetta, il sollevarsi in cielo, libero, dell’uccello notturno, in concomi­ tanza con la morte di Socrate - trasparente simbologia della sorte dell’anima in Platone - è accompagnato dal saluto augurale: «Con fortuna buona!». Nel Sonno di Odisseo, in cui Ulisse, immerso nel sonno, non rivede la patria tanto desiderata, che gli passa accanto inosservata, centrale è il tema, moder­ nissimo, dell’assenza del soggetto da una realtà sentita come da lui inafferrabi­ le e irreparabilmente «altra», tema reso con lo schema del «falso movimento», dell ’«immoto andare», già sperimentato nel Vischio. Ulisse, «tuffato il cuore [...] nel sonno», non vede i luoghi dell’isola né ode le voci che ne provengo­ no, come se la sua vita scorresse a lato della realtà senza mai coglierla. Sotto questo aspetto il Sonno di Odisseo richiama Alexandros, il poema della volontà eroica sospinta dal mito, che scopre con doloroso sgomento di affacciarsi sul nulla: «O squillo acuto, o spirito possente, / che passi in alto e gridi, che ti se­ gua! / ma questo è il Fine, è l’Oceano, il Niente... / e il canto passa ed oltre noi dilegua -»7. Qui il senso di vanità investe non solo la realtà, ma il mito stesso, che il poeta ha cercato come balsamo alla sua ferita: di conseguenza il recupero della Ring-Komposition non restituisce un senso alla realtà, si rivela solo un lenitivo passeggero, come lo è la poesia, e l’arte in genere, rispetto al «male di vivere». Il mito si scopre irrimediabilmente «vuoto». Ancora più mo­ derno, sempre nella direzione della scoperta del «mito vuoto», è il più lungo e complesso dei Poemi conviviali, l!ultimo viaggio, dove è posta esplicitamente la domanda identitaria che non ottiene risposta, in termini sorprendentemente analoghi al pirandelliano, e coevo, Il fu Mattia Pascal (1904). Alle Sirene, verso le quali è risospinto nel suo ripercorrere all’indietro le tappe della sua vita, e del poema che ne è il doppio narrativo, in un incrocio di racconto e di dimen­ sione metaletteraria, Odisseo pone ripetutamente la domanda di fondo sulla propria identità, perché accetta come inevitabile la morte ma vuol sapere il senso della propria vita, senza peraltro ricevere una risposta: «‘Solo mi resta un attimo. Vi prego! / Ditemi almeno chi sono io! chi ero!’ // E tra i due sco­ gli si spezzò la nave»8. Se L’ultimo viaggio sembra anticipare in un certo qual modo Pirandello, I vecchi di Ceo, costruito sul tema della senilità come appres­ samento alla morte, come metafora dell’impossibilità di un’adesione «natura­ le» alla vita, consuona con lo Svevo del romanzo omonimo. Se poi dall’incubo ossessivo della fine dell’esistenza individuale passiamo a quello apocalittico della fine del mondo, che turba i sonni della belle Epoque, Ci. Pascoli, Alexandras, IV, 7-10, in Id., Poemi conviviali, cit., pp. 323-324. (ì. Pascoli, llultìmo viaggio, XXIII, 53*55, in Id., Poemi conviviali, cit., p. 173. Giuseppe Nava come simbolo di un’inquietudine profonda e diffusa sulla possibilità di durata di quella società di fronte ai conflitti tra imperialismi aU’estemo e all’inasprirsi della lotta di classe all’interno, troviamo Gog e Magog, su cui Pascoli scrive al De Bosis in una lettera dell’l 1 gennaio 1895: «Il titolo è Gog e Magog; il sog­ getto, due leggende sui Tartari fuse insieme; l’intenzione, un triste presenti­ mento sull’avvenire dell’umanità»9. E infatti il poema si chiude con la visione delle tribù di Gog e Magog, che s’avventano fameliche e belluine sul mondo civilizzato: dalle angosce della condizione umana in quanto necessariamente finita agli incubi d’un inconscio collettivo, che teme una prossima catastrofe della società circostante. All’interno dell’angoscia esistenziale per la condizio­ ne umana trova luogo, più specificamente, il destino di solitudine e di erranza del poeta, quale è raffigurato nel Cieco di Chio, in cui si dice, sulla scia di un passo omerico10, che al «cantor» «diede / la Musa un bene e, Deliàs, un ma­ le»; la gioia del canto e il dolore della solitudine. In questo senso le figure del­ l’aedo, del pellegrino, del mendico, del cieco, e persino dell’ebreo errante, fre­ quenti nella poesia e nelle carte del Pascoli, sono tutte proiezioni dell’io poe­ tante, all’insegna dell’orfanezza, dell’esilio dalla terra natia, del disagio econo­ mico e psicologico, della deprivazione della bellezza femminile. Non si può non rilevare la singolare convergenza del Pascoli «conviviale» con la visione pessimistica della Grecità di Nietzsche. Scrive Nietzsche nellaNascila della tra­ gedia (1974): «Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli dovè porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici»11. Nel complesso, le tre componenti della Grecità per Pascoli sono l’omerica, la platonica e la misterica. La prima, che ingloba anche Esiodo e i poeti lirici, come Saffo e Alceo, è una vera e propria riscoperta dell’arcaico come fonda­ mento della poesia di tutti i tempi. La seconda, mediata anche dalla lettura del­ le opere del filosofo spiritualista Francesco Acri, poggia sul dualismo invisibile / visibile, mondo delle essenze / mondo delle cose, dovere / realtà, ed ha una componente metaletteraria, - particolarmente evidente in Sileno, dove Pascoli riprende la concezione platonica dell’arte come forma ideale potenzialmente implicita nella materia, che lo scultore reca in atto -, ed una morale, come in Poemi di Psyche II, dove ci si interroga sulla sorte dell’anima in una specie di mimesi del Fedone platonico. Infine la terza risulta diffusa un po’ in tutti i Poe­ mi conviviali, con particolare riguardo ai Poemi di Psyche, come suggestione dei riti iniziatici, peraltro presente anche nei Carmina, e predominio dell ’inte­ resse per l’elemento dionisiaco della grecità rispetto all’apollineo, per seguire la celebre distinzione di Nietzsche: una grecità turbata e inquieta, ormai lonta­ na dai modelli di serenità, di decoro e di perfezione formale neoclassici. 9 G. Pascoli - A. De Bosis. O(fgio, a cura di M.L. Ghelli, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. 29. 10 Odissea, Vili. 62-64: «Intanto l’araldo arrivò guidando il gradito cantore, / che la musa amò molto, ma un bene e un male gli dava: / degli occhi lo fece privo e gli donò il dolce canto» (versione di Rosa Calzecchi Onesti, Torino. Einaudi, 1982). 11 F. Nietzsche, lai nasata della tragedia, Milano, Adelphi, 1978. p. 32.

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.