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Parole con parole. Poteri e limiti del linguaggio PDF

175 Pages·1995·7.314 MB·Italian
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Paolo Virno PAROLE CON PAROLE Poteri e li111iti del li11gt1aggio )rrc 11t ''11 ·1.11 1· 1 lni Saggi. Scienza e filosofi" )\I \ I~• Paolo Virna PAROLE CON PAROLE Poteri e limiti del linguaggio DONZELLI EDITORE © 1995 Donzelli editore, Roma lS.t3N 8~-7\lll9-ii9-7 ________ PAROLE CON PAROLE-------- Indice Introduzione p. VII 1. L'esempio di Feuerbach VIII 2. Il catalogo è questo IX 3. Per una critica della ragione denotativa lì.I 4. L'autore taciuto I. La «divina natura» del linguaggio 5 1. Abbàssati e sarai innalzato. I pronomi dimostrativi secondo Hegel 13 2. La coscienza che sa quel che dice 17 3. Potenza del!' omonimo 22 4. Il doppio carattere dell'enunciazione II. Nomi propri e autoriferimento 27 1. Nominalismo come experimentum crucis 29 2. «Soltanto due parole ... »: i nomi propri secondo Russell 31 3. I buoni diritti del falso 34 4. Valori di verità contro denotazione 38 5. Denotazione contro valori di verità 41 6 F~('olt~. di linguaggio e percezioD.e sensoriale 47 7. Le figure della negazione III. La prova ontologica o dei poteri della parola 52 1. L'argomento di Anselmo e la filosofia del linguaggio 61 2. Il «parlar comune» alle prese con l'esistenza 67 3. Implicazione o remissione? 71 4. Hegel e la prova: un avvocato ammazzaclienti 74 5. Excursus sul «non-altro» di Nicola Cusano V --------------- Indice _______________ 78 6. L'incarnazione del linguaggio 83 7. La comunità loquace IV. Paradossi 88 1. Epimenide il mentitore 95 2. Fuga nei metalinguaggi e appartenenza al mondo 101 3. «Io penso», un Soggetto paradossale 111 -1. l] ;crnibik non-empiriw 115 5. Piccole percezioni v. Al modo del possibile 122 I. Metropoli controfattuale 130 2. Opaco è il contesto 133 3. Afasia e modalità 138 4. L'inserzione del linguaggio nel mondo 143 5. Il possibile come sensibile non-empirico 153 6. Il paradosso della concingenza ________ PAROLE CON PAROLE-------- Introduzione 1. L'esempio di Feuerbach. Se ha a cuore le effettive condizioni in cui versano gli uomini con creti e caduchi nella società della «comunicazione generalizzata», il materialismo deve impegnarsi a fondo sul terreno logico-linguistico. La discussione su denotazione e significato, autoriferimento e meta linguaggio, nomi propri e afasia - in generale, la discussione sulla po tenza e la debolezza dei nostri discorsi - mette a punto i concetti che meglio calzano ai rapporti sociali e ai modi di essere del presente. An che quando l'analisi logica degli enunciati si involve in spassionati tec nicismi, anche allora vi si può scorgere in controluce un'idea del mon do e perfino un modello di «buona vita». Il libro si limita a muovere un passo in questa direzione. Passo solo preliminare e però inevitabile, a indicare il quale si conceda per un momento la seguente analogia: come Feuerbach identificò nella teolo gia la proiezione trasfigurata della realtà mondana, così qui si vorreb be ravvisare il profilo dell'esistenza sensibile e finita nelle più rarefatte costruzioni della filosofia del linguaggio. Approssimativa quanto magniloquente, l'analogia non è forse arbi traria. Già Hegcl parlò diffusamente di una «divina natura» del linguag gio. E «divino», il linguaggio, è rimasto sia nell'ascetismo tecnocratico delle teorie neopositiviste che nella conviviale bonomia dell'ermeneutica. Lungu tutto il secolo, la critica della metafisica tradizionaìe ~i è fatta me rito di leggere «Linguaggio» dovunque trovasse scritto «Dio», ritenendo di corroborare così un giudizioso umanesimo. Senonché, come capita a ogni secolarizzazione che si rispetti, non si è andati molto al di là di un trasloco degli stessi mobili da una stanza all'altra. Una volta ascritti al linguaggio gli attributi divini, si è solo situata diversamente la trascen denza che si voleva confutare. Con il risultato paradossale che non di ra do, per comprendere appieno una tesi recente sul funzionamento di no mi e asserzioni, conviene intcrpdLue direttamente il prototipo teologico. VII ----------Virno, Parole con parole ---------- Il punto d'onore del pensiero critico sta nell'esibire il carattere radi calmente finito della parola umana. Questo significa, tra l'altro, valo rizzare gli aspetti non linguistici della nostra appartenenza al mondo, restituendo autonomia e rilevanza a ciò che resta opaco a ogni enuncia zione. Sia chiaro: non si tratta certo di indulgere al culto grottesco del silenzio e dell'ineffabile, officiato da chi cerca nella diradazione della trama discorsiva un riparo dalla volgarità dei tempi, ovvero una bocca ta di «autenticità». Al contrario, solo q111n<lo f., 1~wdi11ionc linguistica è completamente dispiegata, pervasiva e senza smagliature, se ne può avvertire il limite. Solo allora è possibile prospettare un sensualismo di secondo grado, del tutto privo di ingenuità, non premessa ma punto di arrivo, risultato potente anziché lamentosa petizione di principio. La «divina natura» della parola è beffardamente avallata dai rappor ti sociali vigenti. Dacché il moderno processo di produzione incorpora l' «agire comunicativo» come un lievito irrinunciabile, il linguaggio sembra davvero un Ens peifectissimum. L'espropriazione cui è sogget to va di pari passo con l'apparente sua onnipotenza. L'ermeneutica e la filosofia analitica riflettono questa apparenza, e la rassodano. Presen tando come un ideale della ragione ciò che è già realizzato in forma di dominio, i fautori di una «comunità illimitata della comunicazione» si mettono a loro agio nel!' ordine sociale esistente. Viceversa, la «svolta linguistica» del materialismo produce una dissonanza proprio perché consiste innanzitutto nella rivendicazione dei limiti del linguaggio. 2. Il catalogo è questo. Il libro si occupa di argomenti disparati. Per citarne alcuni: l'im portanza cruciale attribuita dalla metafisica ai nomi propri, cioè ai ter mini che dovrebbero designare un oggetto individuale salvaguardan done la singolarità; la prova ontologica dell'esistenza di Dio in quanto modello insigne della presunta sutura tra parole e cose; il paradosso del mentitore come crocevia presso cui convergono i problemi imp!i .:,;t; ;11 ut;ni Ju1ULaLioue e queììi tipici cielbutonfenmento; splendon e miserie della soggettività identificata con l'autoriflessione pura; l'ana logia, anzi la stretta parentela, tra una specifica forma di afasia e la mo dalità del possibile; lo statuto logico di quel simultaneo poter-essere e poter-non-essere che chiamiamo contingenza. Il libro non è, però, una rassegna di questioni canoniche, né un va gabondaggio da rabdomante. Esso persegue un'intenzione sistematica: la scelta e la successione dei diversi temi è 1Tiustific-~t~ nnic:imente u VIII ------------Introduzione------------ dall'esposizione di un certo numero di tesi teoriche tra loro concate nate. Tesi volte a radicalizzare la comprensione e la critica della conce zione denotativa del linguaggio, nonché a tracciare le linee portanti di una possibile alternativa. I primi tre capitoli dovrebbero allestire la scena e orientare lo sguardo, eseguendo una sorta di diagnosi; agli ulti mi due spetta un compito costruttivo, ovvero l'onere di proporre una costellazione concettuale non scontata. 3. Per una critica della ragione denotativa. La concezione denotativa del linguaggio ha un lato triviale e uno sublime. Il primo coincide con l'idea che vi sia una corrispondenza trasparente ed esaustiva tra nomi e oggetti, asserzioni e fatti, linguag gio e mondo. Il secondo è costituito dai misteri gloriosi dell'autorife rimento, cioè dall'immagine di un linguaggio infinitamente presuppo sto a se stesso, inattingibile e trascendente, dotato insomma di un'in dole sovraumana. Gli innumerevoli «confutatori» della concezione denotativa si so no limitati per lo più a brandirne il lato sublime contro quello triviale, senza avvedersi della ferrea complicità che li unisce. Si tratta invece di cogliere in flagrante la connessione tra i due aspetti, riconoscendo in ciascuno il fondamento dell'altro. Le peripezie e i circoli viziosi cui sembra condannato il linguaggio allorché è chiamato a dar conto di sé medesimo, hanno radice nella relazione che, secondo la tradizione metafisica, esso intrattiene con il mondo: prensile stare-per, accurato rispecchiamento. Il regresso all'infinito dei metalinguaggi è la nemesi, o la pena di contrappasso, dell'arroganza denotativa. Per converso, la pretesa del nome proprio di aderire come una epidermide al suo refe rente singolare ha per modello il rapporto della parola con se stessa. Il concetto di una «corrispondenza biunivoca» tra linguaggio e mondo trae origine dall'esperienza dell'autoriferimento. Contrapporre l'aura spiritu;ile che circonda il «discorso sul discorso>> al!' efficientismo del rispecchiamento reterenziale è una spacconata, destinata a impedire la comprensione dell'uno e dell'altro. In secondo luogo, si pone la questione di quale sia il significato (anche esistenziale) dei paradossi che insorgono nell'autoriferimento. Nel libro si argomenta a più riprese, da differenti angoli visuali, la tesi seguente: nell'immagine metafisica di un linguaggio presupposto al linguaggio trapela indirettamente, con sembianze improprie, il caratte rt> rrel;mimrt> e ;mggir::ihi1e delh nostn 1rp::irtenenz::i '.l un contesto IX ----------Virno, Parole con parole ---------- sensibile, a un mondo non-linguistico. Proprio quando sembra alle prese unicamente con sé medesimo, ormai esonerato dal rapporto con enti e fatti, il linguaggio adombra il mondo in quanto ambito pragma tico-vitale che sopravanza ogni enunciazione e mai vi «corrisponde». Nel quadro della concezione denotativa, l'eterogeneità del sensibile al discorso può manifestarsi soltanto come perenne anteriorità della pa rola rispetto alla parola; la prevalenza del contesto materiale soltanto come interminabile fuga all'indietro dei metalinguaggi. In base a questa tesi, ciò verso cui regredisce senza esito il linguag gio che parla di sé (ma anche, in modo pressoché identico, il Soggetto che si pensa), è la vita sensibile. Di quest'ultima, pertanto, la metafisica offre una rappresentazione perspicace solo quando non vi bada più, dedicandosi piuttosto all'autoriflessione pura o «dialogo dell'anima con se stessa». (Un unico esempio: in Kant, anziché nelle lezioni di antropologia, conviene cercare la silhouette della vita sensibile negli eterei «paralogismi della ragion pura», là dove l'Io autoriflessivo tenta invano di determinare il proprio modo di essere o, per così dire, di adocchiare la propria nuca). Certo, una volta espressa in forma di spi rale autoreferenziale, l'appartenenza al mondo non-linguistico non solo è dissimulata, ma trapassa addirittura nel suo contrario, risolven dosi nell'apparente onnipotenza del linguaggio. Tuttavia, fallirebbe all'istante una critica che misconoscesse l'effettiva paradossalità dell'esistenza materiale pur di evitarne la metafisica trasfigurazione. Non vi è nulla di lineare nel pensiero della condizione sensibile. Al contrario, proprio e soltanto lì si addensano perpetui circoli ed enig matiche antinomie. Occorre revocare, dunque, l'iniziale analogia con l'impresa di Feuerbach: la consueta attività ginnico-teatrale del mate rialismo prestigiatorio - «capovolgere», «rimettere sui piedi», «sma scherare» - è decisamente fuori luogo. Su questo sfondo si staglia l'impegno maggiore. Ciò che veramente importa è mettere in luce, con piglio costruttivo, una relazione del lin guaggio con il mondo sensibile radicalmente alternativa a quella po stulata dalla concezione denotativa, ma anche, a un tempo, una rela zione dcl linguaggio con sé medesimo esente dal regresso all'infinito. I due obiettivi sono strettamente correlati. Solo mostrando che le nostre enunciazioni, lungi dal «corrispondere» ad alcunché, si inscrivono in un soverchiante contesto materiale a sua volta mai enunciabile, si può prospettare un autoriferimento non enfatico, anzi dimesso, ma capace di adempimento. I paradossi del presupposto (linguaggio che precede se stesso) vanno riformulati come paradossi del contesto (inserzione del linguaggio nel mondo). A delineare positivamente questi ultimi X

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