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Paolo scriba di Gesù PDF

238 Pages·2009·38.877 MB·Italian
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Collana BIBLICA J.-L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l'interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia J.-L. SKA, La strada e la casa. Itinerari biblici L. MAzZINGHI, «Ho cercato e ho esplorato». Studi sul Qohelet I volti' di Giobbe. Percorsi interdisciplinari, a cura di G. MARcoNr - C. TERMINI R. MEYNET, Morto e risorto secondo le Scritture J.-L. SKA, Abramo e i suoi ospiti. Il patriarca e i credenti nel Dio unico Chiesa e mz.nisteri in Paolo a cura di G. DE V IRGil..IO C. D'ANGELO, Il libro di Rut. La forza delle donne. Commento teologico e letterario E. BORGHI, Giustizia e amore nelle Lettere di Paolo. Dall'esegesi alla cultura contemporanea G. VANHOOMISSEN, Cominciando da Mosè. Dall'Egitto alla Terra Promessa J.-L. SKA, 11 libro sigillato e zl libro aperto R. MEYNET, Leggere la Bibbia. Un'introduzione all'esegesi Y. SI.MOENS, Il libro della pienezza. I1 Canùco dei Cantici. Una lettura antropologica e teologica X. LÉON-DUFOUR, Un biblista cerca Dio J.-L. SICA, I volti insoliti di Dio. Meditazioni bibliche X. LÉON-DUFOUR, Dio si lascia cercare. Dialogo di un biblista con Jean-Maurice de Montremy A. MARCHADOUR, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa C. D'ANGELO, I.: amore del Trafitto. Discepolato e maturità cristiana F. Cocco, Sulla cattedra di Mosè. La legittimazione del potere nell'Israele post-esilico (Nm 11; 16) J.-L. SKA, Una goccia d'inchiostro. Finestre sul panorama biblico S. FAusn, Per una lettura laica della Bibbia P. BovATI, «Così parla il Signore». Studi sul profetismo biblico F. Cocco, Il sorriso di Dio. Studio esegetico della «benedizione di san Francesco» (Nm 6,24-26) U. VANNI, Intervista sull'Apocalisse. Collasso del cosmo o annuncio di un mondo nuovo? R PENNA, Paolo scriba di· Gesù Romano Penna PAOLO SCRIBA DI GESÙ Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze G.'J2009 Centro editoriale dehoniano via Nosadella 6 - 40123 Bologna EDB0 ISBN 978-88-10-22140-2 Stampa: Sograte, Città di Castello (PG) 2009 PREFAZIONE Paolo di Tarso appartiene alla serie di quelle figure geniali, tal mente gigantesche e poliedriche, che non è possibile considerarle da un solo angolo visuale. E mi riferisco tanto alle sfaccettature della sua personalità e della sua biografia quanto a quelle del suo ricco pensiero che, non essendo sistematico, travalica ogni semplificazione riduzionistica. La variegazione si accentua ancora di più, se teniamo conto non solo del Paolo storico ma anche del paolinismo che a lui si rifà e che è constatabile nelle risonanze da lui suscitate almeno nella generazione successiva. Erasmo da Rotterdam nell'Argumentum o Prefazione alla sua parafrasi della Lettera ai Romani ricorda e condivide il giudizio di Origene, secondo cui Paolo non è un ospite affabile, poiché ti fa entrare in un palazzo grandioso e te ne mostra i tesori, ma ti diso rienta fra stanze, corridoi e scalinate, al punto che non sai più da dove sei entrato e come farai a uscirne. Ha ragione perciò il grande poeta Mario Luzi quando sostiene che alla fine o lo si butta via o ci si lascia prendere. Una cosa è certa: se davvero ti lasci prendere, non lo abbandoni più! Tutti i libri su Paolo, perciò, rappresentano dei tentativi di cogliere o in sintesi l'insieme della sua indole oppure almeno alcune pieghe rappresentative del suo stile e del suo pensiero. Forse più di altri, il presente libro offre solo alcuni spunti per accostarsi a questa montagna dai molti versanti. Del resto, come ebbe a suggerire maestro Tommaso d'Aquino a un allievo che gli chiedeva un metodo di studio, la cosa migliore è entrare nella vasti- 6 Prefazione tà del mare non subito ma attraverso semplici ruscelli( ... ut per rivu los, non statim, in mare eligas introire)! Infatti sono qui raccolti alcu ni studi che dell'Apostolo illustrano perlomeno in parte quella che la Lettera agli Efesini definisce «la multiforme sapienza di Dio» (Ef 3,10) condivisa da Paolo stesso. Entrare nel suo palazzo (e la varietà delle metafore, comprese que1le della montagna e del mare, lo con ferma) rappresenta un'esperienza unica che vale la pena compiere, anche se per avventura non si riuscisse più a uscirne. ROMANO PENNA 1. LE LETTERE PAOLINE IN RAPPORTO AI QUATTRO VANGELI: UN ANNUNCIO CHE È UNA PERSONA Paolo, che scrive prima degli evangelisti, non narra gli episodi specifici della vita di Gesù, ma si sofferma sulla sua croce e risurre zione: eventi dietro ai quali c'è una figura concreta. Per chi crede essi hanno una valenza redentrice e liberatoria. La classificazione canonica degli scritti neotestamentari è tale che, premettendo i quattro vangeli all'epistolario paolino, suggerisce purtroppo la falsa impressione che i primi siano anteriori al secondo. In realtà, ciò che sta prima di Paolo è solo la figura storica di Gesù, che appunto è anteriore all'apostolo. Dal punto di vista cronologico le lettere paoline (almeno quelle comunemente considerate autenti che, cioè Rm, 1-2Cor, Gal, Fil, lTs, Fm) sono tutte anteriori alla ste sura dei quattro vangeli. Nel canone quindi bisognerebbe semmai invertire la successione cronologica degli scritti. Almeno è necessa rio puntualizzare bene le cose. 1. STORIA E RACCONTO La falsa impressione suaccennata non dipende solo dal fatto materiale della precedenza dei vangeli sulle lettere paoline, ma anche da un altro presupposto di tipo formale ben più grave. Certo si dà per scontato che i quattro evangelisti non abbiano scritto prima di Paolo, • «Un annuncio che è una persona», in Vita Pastorale 90(2002)12, 106-108. 8 Capitolo 1 sicuramente non al tempo della vita terrena di Gesù, ma neanche immediatamente dopo la Pasqua; quindi la redazione attuale dei loro scritti, a prescindere da possibili variazioni della loro datazione pre cisa, è pacificamente posta nella seconda metà del I secolo. Ma a volte si pensa o si suppone, e questa è la concezione tradi zionale diventata oggi quella di tipo fondamentalista, che la narrazio ne degli evangelisti coincida esattamente con l'effettività dei dati nar rati, tale da giustificare comunque la precedenza canonica dei loro libretti. Si opera cioè un appiattimento del racconto su ciò che è rac contato, fino a farli coincidere. Sicché nella lettura dei vangeli si pro cede come se tutto ciò che viene narrato corrispondesse letteralmen te a ciò che è avvenuto. Questa concezione è certamente acritica, ma occorre dire in più che è errata. Come hanno dimostrato gli studi del XX secolo, i racconti che costituiscono la materia dei vangeli scritti sono stati oggetto, nei primi decenni, di una trasmissione orale o al massimo di alcuni tentativi parziali di scrittura non sempre identifica bili. Inoltre, studi più recenti sui metodi della storiografia e sulla nar ratologia hanno fatto vedere tutta la distanza ermeneutica che inter corre tra l'avvenimento e la sua relazione scritta (e viceversa). Una recente monografia inglese (ma di autore svedese e pubbli cata in Germania: S. BYRSKOG, Story as History -History as Story. The Gospel Tradition in the Context of Ancient Oral History, [WUNT 123], Ti.ibingen 2000) mette in luce fin dal titolo quanto siano intima mente intrecciati il livello degli accadimenti storici e quello della loro trasposizione nello scritto. Assunto fondamentale dello studio è che non solo ciò che viene raccontato ma anche il testo stesso del racconto ha una sua storicità che in qualche modo lo relativizza, per cui ogni narrazione è sempre inseparabilmente connessa con una dimensione storica sua propria. Perciò non va mai dimenticato che il lettore di una storia viene a contatto in primo luogo non con degli accadimenti ma con il loro racconto, in concreto con il loro narratore; infatti, i codici semantici di un testo sono perlopiù situati nella sua cultura di origine, prima che nel testo stesso. Di conseguenza va anche precisato che, se è vero che la storia è percepibile solo attraverso il suo racconto, questo a sua volta rischia di venire semplicemente identificato con la storia stessa quasi ne Le lettere paoline in rapport'? ai quattro vangeli 9 fosse una fotocopia, mentre ne è ben separato da una serie di fatto ri appartenenti alla soggettività dello storiografo. Detto all'inglese, story e history vanno tenute ben distinte, poiché l'una comporta ine vitabilmente un'interpretazione dell'altra. Sicché l'unicità della history può ben essere trasmessa da una molteplicità di stories; anzi, paradossalmente, più racconti ci sono e meglio è, poiché se ce ne fosse uno solo ci sarebbe il rischio tutt'altro che infondato che la history finisse per essere compressa in una sola ermeneutica, perden do così la sua originaria sfaccettatura semantica. Tutto questo, applicato ai vangeli, vuol dire che ogni evangelista trasmette per conto suo una certa immagine di Gesù diversa da quel la degli altri. E se la Chiesa dei primi secoli ha accettato come cano nici quattro vangeli invece di uno solo, pur accollandosi la difficoltà di far coincidere i diversi ritratti da loro delineati, la sua è stata un'operazione culturale di prim'ordine, anzi modernissima. Forse i lettori sanno dell'ipotesi avanzata una trentina di anni fa a proposito di un manoscritto greco trovato nelle grotte di Qumran e databile agli inizi degli anni 50 del I secolo, che alcuni studiosi hanno voluto identificare a ogni costo con il Vangelo di Marco. La maggior parte dei qumranisti e dei papirologi ha giustamente rifiu tato questa supposizione, sicché il Vangelo di Marco, pur ritenuto il più antico dei quattro, continua a essere datato tra la fine degli anni 60 e gli inizi dei 70 (anche se non bisogna dimenticare che in ogni caso esso ha avuto una sua preistoria in altri tentativi parziali, per duti, di mettere per iscritto la storia di Gesù). 2. LA BUONA NOTIZIA Agli inizi degli anni 50 appartengono invece le lettere autenti che dell'apostolo Paolo, nelle quali troviamo impiegato 28 volte il termine «evangelo» (sulle 76 dell'intero Nuovo Testamento e sulle 60 de.ll'epistolario paolino nel suo insieme). In questo stadio il ter mine non ha affatto un significato di scrittura o libresco, che pren èTerà piede soltanto a partire dalla seconda metà del II secolo con s. Giustino. La parola infatti è di origine greca (anzi, semplice traslitterazio ne, non traduzione, del greco euangelion) e significa letteralmente 10 Capitolo 1 «buona notizia, lieto annuncio», recato sia in seguito a una vittoria, militare o agonistica, sia per il verificarsi di una qualche circostanza favorevole. In quanto tale appartiene per natura sua a un evento di comunicazione orale. Altrettanto per natura sua, la buona notizia fa riferimento essenzialmente a qualche fatto. Una teoria filosofica o scientifica e tanto più un comando non possono mai essere oggetto di un evangelo, nel senso che sono sem pre falsificabili e non toccano da vicino la mia vita. Tanto meno sarà una «buona notizia» l'imposizione di un comando, sia pur lodevole, con il quale un'altra persona volesse piegarmi al suo volere. Più prossimo al significato di «evangelo» sarebbe invece l'annuncio di una scoperta medica che riguardasse la sconfitta di una grave malat tia; ma in questo caso bisogna riconoscere che la bontà della scoper ta resterebbe intatta anche se non si conoscesse il suo scopritore, tanto che un buon farmaco agisce comunque indipendentemente da chi lo ha inventato. L'evangelo invece ha due caratteristiche specifiche ed esclusive che lo differenziano: la prima è che esso non ha a che fare con una teoria o un precetto astratti e impersonali ma con accadimenti stori ci concreti, vissuti; la seconda è che a questi accadimenti è assoluta mente vincolata una persona ben precisa, quella di Gesù di Nazaret. Sicché il vantaggio che mi può derivare da quei fatti sarebbe sempli cemente inesistente se io pretendessi di staccarlo da chi ne è stato il protagonista. Solo con l'associazione dei due fattori l'evangelo diventa davvero una notizia che fa piacere ascoltare, perché mi inte ressa, riguarda me. In effetti la «buona notizia» è tale perché Gesù e solo lui ha fatto qualcosa in favore mio, e continua a esercitare il suo effetto se io mantengo la comunione con lui. L'apostolo Paolo evidenzia il significato dell'evangelo opponen dolo non a una teoria filosofica o scientifica, ma alla Legge e alle opere da essa comandate. Nessun altro al tempo delle origini cristia ne ha condotto una tale riflessione; e che a farla sia stato un ebreo di formazione farisaica la dice lunga sulla novità e verità della sua impresa ermeneutica.All'origine c'è il fatto che egli è stato saldamen te «afferrato da Cristo Gesù» (Fil 3,12), sicché il paragone che ne risulta tra lui e la Legge (che pur era stata il motivo della sua prece dente vita religiosa) non regge affatto il confronto. La Legge infatti,

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