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Opere. La nozione metafisica di partecipazione secondo s. Tommaso d'Aquino PDF

190 Pages·2005·2.38 MB·italian
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CORNELIO FABRO OPERE COMPLETE Volume 3 LA NOZIONE METAFISICA DI PARTECIPAZIONE CORNELIO FABRO LA NOZIONE METAFISICA DI PARTECIPAZIONE SECONDO S. TOMMASO D’AQUINO EDIVI Cornelio Fabro Opere Complete a cura del Progetto Culturale Cornelio Fabro, dell’Istituto del Verbo Incarnato * * * Volume 3 La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino a cura di Christian Ferraro Prima edizione: Società Editrice «Vita e Pensiero», Milano 1939. Seconda edizione: SEI, Torino 1950. Terza edizione: SEI, Torino 1963. Prima edizione nella serie delle Opere Complete: 2005 © 2005 – Editrice del Verbo Incarnato P.zza San Pietro, 2 – 00037 Segni (RM) [email protected] Proprietà intellettuale: «Provincia Italiana S. Cuore» (PP. Stimmatini) PREFAZIONE Ormai il titolo e il tema di questo volume non rappresentano più una novità assoluta, come al suo primo apparire or sono due lustri, e ciò è la miglior prova della vitalità e della trascendenza speculativa del Tomismo autentico quando sia cercato e ripensato nel suo clima originario. Si sta chiudendo ormai un secolo fecondo di ripresa del pensiero cristiano che la Chiesa ha voluto indirizzare decisamente sulle orme di S. Tommaso d’Aquino: l’urgenza della sintesi sistematica e le necessità innegabili dell’apologetica, che hanno affaticato intere generazioni di pensatori cristiani, si può ben dire ch’è stata egregiamente soddisfatta. Ora incombe un còmpito più costruttivo e universale, quello di cercare la situazione originale di un pensiero sullo sfondo storico e teoretico delle correnti in lizza al suo tempo e nella prospettiva della sua rivalutazione rispetto alle filosofie che si battagliano nel tempo nostro: perchè se nessuna filosofia è mai del tutto caduca, lo è meno di tutte quella di S. Tommaso per l’apertura illimitata dei suoi temi e una fiducia tutta sua propria nel lavoro della mente umana per la ricerca della verità. Così, una volta in possesso delle strutture principali di questo pensiero, si tratta d’individuarne la forza segreta e il principio maestro che la domina e la muove e la può rendere efficace prima e al di là della sistematizzazione dovuta a contingenze storiche o didattiche. A questo scopo dovrebbe un po’ servire il presente volume o almeno questa era e resta ancora la mia intenzione. Esso vorrebbe mostrare che la nozione di partecipazione, in cui s’incagliò il pensiero classico e alla quale per una via del tutto opposta ritornò il pensiero moderno, rappresenta nel Tomismo, sotto punti di vista diversi e convergenti, sia il problema speculativo fondamentale tanto nell’ordine della natura come in quello della grazia,| sia l’ultimo riferimento dialettico per una fondazione definitiva del problema stesso. Questa risoluzione riesce, nel Tomismo, a incorporare gli elementi perenni del Platonismo di cui si era nutrita l’epoca patristica, trasfigurandoli entro la concezione aristotelica del concreto, per poi elevarsi alla nozione cristiana di creatura. Questa seconda edizione presenta importanti aggiunte in ogni sezione e l’apparato bibliografico è quasi raddoppiato e condotto, per quel che riguardava l’argomento centrale dell’interpretazione della metafisica tomista, fino alle pubblicazioni più recenti d’indirizzo affine. Dal punto di vista storico, credo sia difficile – anche ai più ostinati difensori di un tomismo «sistematico» di struttura formalista – contestare la centralità genetica della nozione di partecipazione. Non ho abbandonato la promessa di trattare della causalità e dell’analogia in corrispondenza alla struttura dell’essere, delineata in questo volume, e mi lusingo di poter dire anch’io: addo, dum minuo! Ringrazio gli amici dell’Argentina: senza la loro cortese e generosa insistenza non avrei messo mano al lavoro di questa seconda edizione che mi auguro faccia avanzare ancora di qualche buon passo quei problemi supremi sul nostro essere che ci dànno il dolce tormento della ricerca e la fiducia dell’attesa per il Primo Principio. Sono grato anche ai critici e mi lusingo ch’essi, riaprendo queste pagine, non tardino ad accorgersi che le loro osservazioni non sono state vane. L’Editore, che in questi tempi così grami per gli studiosi, si è assunto con sollecita liberalità di dare al lavoro una veste degna, ha il merito del progresso della presente edizione. Un Saggio come questo, troppo denso e disadorno, non è fatto per il gran pubblico: esso cerca i sinceri «amici delle idee» che, appartati dal brusio delle vicende contingenti, cercano in serenità l’itinerario per le cose eterne. L’AUTORE Roma, Luglio 1949 PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE Questo lavoro ha avuto origine da una dissertazione sul tema: «Il principio di causalità», premiata dalla pontificia Acc. Rom. di S. Tommaso nel 1934. In esso, ed in modo più preciso nell’articolo: «La difesa critica del principio di causa» (Riv. di Filos. Neosc., Milano 1936), che ne riassumeva le conclusioni, mostravo come fra le varie formule proposte per ovviare alle istanze critiche, che da alcuni anni si vanno facendo circa la «perseità» od analiticità del principio di causa, la più adatta, secondo la lettera e lo spirito del Tomismo, sembra essere quella enunziata in funzione della nozione di partecipazione (S. Theol., Ia, 44, 1). La buona accoglienza che ebbero quei primi tentativi, mi hanno spinto a continuare la ricerca secondo una direzione di idee più comprensiva. Mi accorsi allora che quella nozione penetra tutta l’opera del Dottore Angelico, e, fondando l’ascensione dialettica del pensiero, ne garantisce l’oggettività in modo che, benchè originariamente platonica, la nozione di partecipazione si viene costruendo nel Tomismo in armonia agli schemi aristotelici. Questa conclusione però è affrontata soltanto in parte, cioè in quella introduttiva: si vuol mostrare soltanto che la nozione di partecipazione esprime nell’Aristotelismo tomista l’ultima ragione metafisica sulla struttura dell’ente finito (nozione di creatura), tanto nell’ordine trascendentale come predicamentale e sia nell’ambito della natura come in quello della grazia. Per questo la nozione di partecipazione viene da me considerata come l’ultimo riferimento nozionale che da un punto di vista metafisico-critico si possa fare dello sviluppo interiore del Tomismo, soprattutto nei suoi punti cruciali. E poichè la mia attenzione è stata rivolta più| ai principî che alle conclusioni, mi si scuserà se la parte sistematica è quasi sempre sottintesa od appena accennata, ed è per questa ragione che considero la mia indagine di natura «analitica» nel senso moderno, cioè kantiano, del termine. Infine intendo di dichiarare che non voglio fare direttamente opera polemica con alcuno, nè pretendo di rivoluzionare le interpretazioni correnti del Tomismo, ma al più di porgere un invito ad una familiarità più intima e prolungata dei testi nei quali spesso le questioni vengono a delinearsi con tale ampiezza e profondità quale raramente si trova anche nei più fedeli discepoli. L’autore di queste pagine si è aggiunto a questi con la stessa docilità ed umile dedizione al Maestro Comune, e sarebbe il primo a ricredersi qualora s’accorgesse d’averne travisato il pensiero. L’AUTORE Roma, Maggio 1938 AVVERTENZA ALLA TERZA EDIZIONE Questa nuova edizione è stata corretta con ogni cura dagli errori di stampa della precedente ed è stata migliorata notevolmente nei testi tomistici per i quali ora disponiamo di una sicura edizione critica (Saffrey e Pera per il Commento al De Causis, Decker per il Commento al De Trinitate di Boezio, Perrier per gli Opuscula et scripta minora, I). Fra le modifiche di terminologia mi permetto di segnalare l’espressione «riflessione intensiva» ch’è sembrata doversi preferire alla precedente «astrazione intensiva» per indicare il carattere originale della riflessione metafisica del Tomismo. Per ulteriori approfondimenti dei problemi ci permettiamo di rimandare al recente nostro Partecipazione e causalità, S.E.I., Torino 1961; ed. fr., Nauwelaerts, Paris-Louvain 1960. L’AUTORE Roma, L’Epifania del Signore del 1963 INTRODUZIONE I. IL SIGNIFICATO DEL PROBLEMA 1. – Nessun termine ha mai tanto interessato l’indagine speculativa come quello di partecipazione: si potrebbe dire quasi che i sistemi filosofici si specificano interiormente secondo l’attitudine particolare che prendono a suo riguardo, come si differenziarono la prima volta le due sintesi mature del pensiero classico: Platonismo ed Aristotelismo. Io vorrei applicare qui, quasi «in vivo», questo criterio esegetico al Tomismo, considerandolo nel suo sorgere e nel suo costituirsi quale sintesi speculativa, apparsa in un’epoca di maturità della cultura cristiana. La rinascita del pensiero scolastico nei tempi moderni è stata, nelle intenzioni della Chiesa, una rinascita e ripresa a fondo del pensiero tomista: ora questo fatto innegabile, anche se qualche personalità eminente ha voluto sminuirlo1, pone degli ardui problemi nel campo dell’esegesi dottrinale del Tomismo. Invero è sintomatico che con l’avvento del Tomismo si è avuta come un’inversione di polarità nella speculazione cattolica: mentre si ritiene che la speculazione patristica assimilava ed esplicitava la dottrina rivelata con lo strumento della filosofia platonica, la speculazione tomista invece sembrò staccarsi nettamente dal pensiero precedente e da quello della maggior parte dei contemporanei,| per adattare quello del «Critico delle Idee»2. Questi contemporanei, che vivevano quieti delle risorse del pensiero patristico e soprattutto di S. Agostino, persuasi d’essere i più legittimi rappresentanti del pensiero ecclesiastico fecero al Tomismo l’accoglienza più sgarbata e, forti della propria posizione, speravano d’aver presto causa vinta; ma il fatto si fu che il Tomismo, sia pur a traverso dure lotte, riuscì ad affermarsi sopra ogni altra direzione e ad essere indicato da secoli come la dottrina ufficiale della Chiesa. Tali e tante sono state le prove a traverso le quali l’Aristotelismo tomista è passato, ed insieme tali e tante sono state le dichiarazioni esplicite del magistero ecclesiastico che è da spiriti in ritardo l’attribuire tale successo a brighe diplomatiche od a mera fortuna: la prima e vera ragione non può essere trovata che nel valore intrinseco del Tomismo come sintesi cattolica, «als katholische Weltanschauung». Ed è su questo valore intrinseco della sintesi tomista che gli avversari antichi e nuovi hanno voluto puntare le armi. La posizione del problema è assai facile: Platonismo ed Aristotelismo sono in sè, a confessione dello stesso Aristotele, inconciliabili. Ora, o S. Tommaso si è limitato ad una pedissequa riproduzione dell’Aristotelismo – ed allora il suo tentativo non merita di esser preso in considerazione se non per sottoporlo alle censure ecclesiastiche – oppure S. Tommaso ha voluto fare una sintesi di elementi che si respingono a vicenda, ed allora il suo tentativo testimonia, al più, una gran buona fede speculativa, ma in sè è destinato a fallire. Alla prima interpretazione possiamo ricondurre l’atteggiamento dei primi avversari di cui il francescano Peckam, in una lettera all’Arcivescovo di Lincoln in data 1º giugno 1285, diede un piccante esempio3: «Praeterea noverit ipse, quod philosophorum studia minime reprobamus, quatenus mysteriis theologicis famulantur,| sed profanas vocum novitates, quae contra philosophicam veritatem sunt in sanctorum iniuriam citra viginti annos in altitudines theologicas introductae, abiectis et vilipensis sanctorum assertionibus evidenter. Quae sit ergo solidior et sanior doctrina, vel filiorum sancti Francisci, sanctae scilicet memoriae fratris Alexandri (Alensis) ac fratris Bonaventurae et consimilium, qui in suis tractatibus ab omni calumnia alienis sanctis et philosophis innituntur, vel illa novella quasi tota contraria, quae quidquid docet Augustinus de regulis aeternis et luce incommutabili, de potentiis animae, de rationibus seminalibus inditis materiae et consimilibus innumeris, destruit pro viribus et enervat, pugnas verborum inferens toti mundo, videant antiqui, in quibus est sapientia, videat et corrigat Deus Coeli»4. I moderni denigratori del Tomismo sono meno enfatici del Peckam e preferiscono la seconda interpretazione: il Tomismo non è in alcun modo un sistema speculativo, ma un’accozzaglia instabile di elementi, presi dagli indirizzi più contrastanti. «La vaste composition élaborée par S. Thomas d’Aquin, – asserisce P. Duhem – se montre à nous comme une marqueterie où se juxtaposent, nettement reconnaissables et distinctes les unes des autres, une multitude de pièces empruntées à toutes les philosophies du paganisme hellénique, du Christianisme patristique, de l’Islamisme et du Judaïsme. Le Thomisme n’est pas une doctrine, il est une aspiration et une tendance: il n’est pas une synthèse, mais un désir de synthèse»5. È noto che questa poco benigna asserzione del Duhem è stata ripresa in Francia, con molta astuzia e sfoggio di erudizione di seconda mano, dal ROUGIER che la precisò in questo modo: l’unica filosofia cristiana «de jure» è il Tomismo: ora l’essenza e la verità fondamentale del Tomismo sta nell’affermazione della distinzione fra essenza ed atto di essere nelle creature; ma con questa distinzione S. Tommaso si è ispirato al Neoplatonismo e si è messo in evidente contrasto con la lettera e lo spirito dell’Aristotelismo, a cui pur affermava di voler ricondurre tutto il suo sistema. Così il Tomismo si risolve, nella sua tesi principale, in un ripudio dell’Aristotelismo, e fallisce come sistema filosofico, e per questo, con la caduta del Tomismo, cade ogni speranza di una filosofia cristiana6.| Più recentemente, proprio fra noi, vi fu chi osò gettare la pietra contro il più grande spirito speculativo che abbia avuto la nostra gente, anche se quest’insulto perde molto del suo valore quando si tengono presenti le condizioni personali dell’autore, un naufrago del Modernismo e dell’Idealismo. Per G. SAITTA «il carattere della filosofia tomista non è per nulla di ordine speculativo, ma pratico: esso è essenzialmente una filosofia della teocrazia papale, ove il teocentrismo più rigoroso è piegato all’asservimento completo della coscienza di fronte alla somma autorità visibile della Chiesa». Anche per il S. il Tomismo è una filosofia mancata, e come il Duhem e il Rougier, da cui dipende, trova la ragione di questo fallimento nell’assenza di ogni originalità speculativa e nell’assurda fusione di elementi inconciliabili. Tutto il Tomismo non si riduce che ad un facile giochetto di passare dall’Aristotelismo al Platonismo quando l’Aristotelismo zoppica e resta muto: è un bisogno personale di pace interiore e non un problema reale, che S. Tommaso si è affaticato di soddisfare. «Tutta la sua attività è... dominata dall’anelito profondo di accumulare il sapere del suo tempo, di riordinarlo e di chiarirlo, perchè servisse ai fini religiosi e politici di quella teocrazia che ai suoi occhi era il fondamento stabile e visibile della religione alla quale si era votato. Invano si ricercano in lui nuove intuizioni filosofiche: il suo còmpito fu certo grandioso e cercò di assolverlo, ma esso, che riuscì a saldare comunque elementi eterogenei e in sè contrastanti, fu privo di quella luce superiore che rivela il genio filosofico. Tommaso fu il più grande sommista medievale, ma non fu per nulla un filosofo originale. Quando Aristotele non risponde o non può rispondere al suo programma religioso, egli non ha nessuna difficoltà di rivolgersi alla scuola platonico-agostiniana, e sfrutta largamente... le intuizioni dello Pseudo-Dionigi e dei Platonici e Neo-Platonici»7. Una campagna analoga di denigrazione del Tomismo, con espressioni però meno spinte, si viene compiendo anche in qualche ambiente culturale tedesco, ove si va diffondendo un certo senso di sfiducia verso il pensiero dell’Aquinate, che in questi ultimi anni ha avuto delle espressioni molto vivaci di reazione in occasione| della controversia intorno all’analiticità del principio di causa8. Secondo questi bisogna abbandonare lo spirito astratto e sistematico e ritornare allo spirito Agostiniano che è più confacente alle tendenze della cultura moderna ed alla stessa realtà. 2. – Le impugnazioni moderne del Tomismo cercano il loro punto di appoggio sul carattere di «sincretismo artificiale» a cui andrebbe ridotta la sintesi tomista: sincretismo di Platonismo ed Aristotelismo; e bisogna riconoscere che le affermazioni sopra riferite, anche se possono sembrare paradossali, a forza di essere ripetute vanno esercitando un malefico influsso anche su molti spiriti che perciò pretendono ad esser «moderati» nell’accettazione del Tomismo, i quali vogliono cioè esercitare la propria scelta e critica personale sui capisaldi stessi del sistema. Io sono persuaso che questa tendenza rivela una conoscenza molto superficiale della struttura teoretica, ed anche del «divenire» e della genesi storica del Tomismo: questo lavoro vorrebbe ovviare in qualche modo all’aspetto fondamentale di questo equivoco. 1) Nel lavoro si suppone che il Tomismo è essenzialmente un Aristote-lismo: su questo punto, per chi ha familiarità del testo tomista e conosce la genesi storica del sistema e le prime polemiche, non è più lecito dubitare. 2) Ma non si tratta di una ripetizione servile, nell’ambiente medievale, di un puro aristotelismo «storico», quale poteva esser presente all’Aristotele degli ultimi anni: il Tomismo è essenzialmente un Aristotelismo «speculativo», che si è venuto, cioè, costruendo per uno sviluppo «ab intra» (si badi bene) della virtualità dei principî, e di alcuni principî fondamentali particolarmente, posti dallo Stagirita. 3) In questo «sviluppo» dell’Aristotelismo S. Tommaso giunge all’assimilazione, non obbligata o fittizia, ma naturale per lui e reale del midollo speculativo, cioè dell’aspetto perenne, del Platonismo che è fatto convivere assieme all’Aristotelismo e, quello che più conta anche se può sorprendere, che questo fondo speculativo neoplatonico si sostiene quasi sempre nel Tomismo per principî aristotelici.| È questo midollo che mi è parso possa essere individuato nella nozione tomista di partecipazione. La nozione platonica di partecipazione serviva per esprimere una concezione del reale, che S. Tommaso non poteva ammettere e non ha mai ammessa. Pertanto viene spontanea la suggestione: se questa nozione riappare nel Tomismo, ciò non può essere se non a traverso profonde modificazioni e, d’altra parte, la penetrazione di questa nozione nell’Aristotelismo-tomista deve anche aver influito sui lineamenti dello stesso Aristotelismo. L’interpretazione che qui si crede fondata è quindi al tutto opposta, in questa parte, a quella degli autori sopra citati e collima con quella del FOREST: «Saint Thomas ne se contentera pas de juxtaposer l’une et l’autre explication (platonica ed aristotelica), mais il essaiera de montrer comment, en se plaçant à un point de vue supérieur, et en comprenant toutes les exigences de la “consideratio ipsius esse universalis”, il est possible de les accorder. Tout se passe comme si la philosophie platonicienne de la participation ne pouvait être sauvegardée que dans une philosophie aristotélicienne de l’expérience et du réel»9. Il nucleo centrale della controversia viene ad essere così la «nozione tomista di partecipazione», la quale per gli avversari è la condanna, per noi invece è la salvezza del Tomismo, che deve a quella nozione l’aver raggiunto una sintesi di valore superiore a quella delle fonti. Lo scopo della presente analisi vorrebbe essere quello di una presa di posizione oggettiva rispetto a quelle esagerazioni esegetiche. Io ho intrapreso la mia non lieve fatica nella persuasione che sia possibile una ricostruzione e difesa a fondo, sia teoretica come storica, del Tomismo a partire dalla nozione tomista di partecipazione. Ma bisogna per questo mettere in chiaro il contenuto esatto di questa nozione. La nozione di partecipazione per molti tomisti sembra quasi un’importazione sospetta sulla quale è meglio passar sopra, od almeno presenta un contenuto del tutto superfluo per l’Aristotelismo di S. Tommaso, che si regge da solo con i suoi propri principî: d’accordo! ma si tratta appunto di sapere quale sia il contenuto dottrinale di questi principî. Ora bisogna risolversi a riconoscere, almeno come «status quae|stionis» l’assennatezza di questa osservazione del BAEUMKER: «Ist so die thomistische Philosophie viel stärker von platonischen Elementen durchdrungen, als man bei dem Führer der aristotelischen Bewegung erwarten möchte, so ist es natürlich, dass dort, wo der traditionelle Augustinismus stärkere Macht behalt auch Platos Einfluss noch weit mehr sich geltend macht»10. Di questi elementi senza dubbio il primo e più importante è la nozione di partecipazione e valeva la pena almeno tentare di passare dalle affermazioni generali ad uno studio più particolare e diretto, fatto quasi in «vivo» circa l’armatura metafisica del Tomismo. Un primo frutto di questa nostra fatica sarà quello di dissipare molti preconcetti o vedute superficiali sull’argomento, come quella del GRÜNWALD che taccia la quarta via, che si fonda sulla nozione di partecipazione, come infetta di idealismo: «Es unterliegt keinem Zweifel, daß wir es hier mit einem rein abstrakt begrifflichen Beweisverfahren zu tun haben, das in idealistischer Art aus bloßen Begriffen auf die Möglichkeit schließt, und zwar mit einer überraschenden Offenheit und Schroffheit wie wir sie nur in der Frühscholastik antrafen»11. Quello che preme di mettere in vista è la vera fisionomia della nozione tomista di partecipazione, nella quale, se viene conservato il nucleo platonico originario, vi si versa però molta acqua nel vino, onde non sia più permesso fare delle sviste sostanziali e credere ingenuamente che la nozione tomista non sia che una pura riproduzione di quella platonico-agostiniana, come insinuava il Baeumker e più chiaramente A. LANG. «Offenbar haben wir es mit einer etwas freien Reproduktion der platonisch-augustinischen Gottesbeweises zu tun; die Welt des Werdens ist ein schwaches Abbild einer höheren Seinswelt! Das ist ein platonisch- augustinischer Gedanke. Nur schade dass Thomas diesen schönen Gottesbeweis nicht ausführlicher entwickelt hat, sonst hätte man nicht behaupten können, dass der noëtische Gottesbeweis in der Glanzperiod der mittelalterlichen Scholastik in Vergessenheit geraten ist, sonst hätte man nicht von einem Gegensatze zwischen Augustin und Thomas reden können»12. Possiamo fin d’ora osservare che S. Tommaso ha sviluppato| con ogni ampiezza la nozione di partecipazione, ma che è un grosso abbaglio confondere la quarta via di S. Tommaso con la prova noetica di S. Agostino; intorno alla dibattuta questione circa una concordanza o dissenso fra S. Agostino e S. Tommaso, la cosa è meno semplice di quanto la supponga il Lang, come tenteremo di mostrare a più riprese nel corso di questo lavoro. 3. – Quale sia stato l’esatto pensiero della tradizione tomista su questa faccenda, io non sono in grado di dirlo, perchè ancora non ho potuto conoscerlo in tutto il suo sviluppo. Gli indizi, che possono apparire da una lettura ordinaria dei Commentatori più celebri, fanno congetturare che, spesso sotto la pressione della polemica, ci si è occupati di dare alle dottrine sviluppi di ordine sistematico e analitico in questo e quel punto conteso fra Tomisti e Antitomisti o fra gli stessi Tomisti, più che preoccuparsi di risalire ai principî originari che comandano dall’interno lo sviluppo della sintesi. Questo eccessivo sviluppo analitico delle dottrine ha portato non solo alla produzione di tutta una letteratura davvero troppo rigogliosa e abbondante, perchè pretenda di arrestare l’attenzione dello studioso moderno che, assillato dalla brevità del tempo e delle moltiplicate esigenze dei problemi, a stento può convincersi di ripassare, almeno una volta, a traverso le complicate gallerie e gli anfratti tortuosi di tante minuzie. Ma ciò anche rivela una concezione quasi intemporale dei problemi dello spirito, quasi che questi non fossero in alcun modo opera umana, soggetti quindi, come tutte le altre opere umane, a delle condizioni reali – vorrei dire fenomenali – di sviluppo, in una parola, soggetti a quella contingenza radicale che penetra ogni manifestazione degli esseri immersi nel tempo. Per questo l’antitesi: Platonismo o Aristotelismo, cioè il fatto più saliente nella storia dei problemi speculativi, che pur resta ancor così viva, malgrado il noto ottimismo esegetico, nei testi tomisti, non viene mai in primo piano nell’attenzione dei Commentatori, che accettano bene spesso, una volta per sempre, essere il Tomismo, nella sua struttura speculativa, un Aristotelismo che ha subìto al più qualche lieve ritocco qua e là. Con la rinascita del pensiero tomista nella seconda metà del secolo passato, quest’ambiente, che da tempo stagnava in soverchia quiete, ha presentato dei movimenti e degli indirizzi molto interessanti, anche se si deve riconoscere che i risultati reali tardano ancora ad imporsi. Il fatto si spiega anche perchè le interpretazioni nuove| proposte si riducono spesso a qualche felice intuizione, sprizzata da una particolare considerazione di questo o quell’aspetto, ma che poi non è riuscita a concentrarsi in un criterio esegetico di valore generale. Non è sufficiente l’affermare la persistenza nel Tomismo di una buona dose di Platonismo, bisogna ancora mostrare in qual modo e per quali principî essa sia stata resa possibile. Fra i primi, molti anni fa, VINCENZO LILLA aveva in un primo tempo sostenuto che S. Tommaso non era stato filosofo se non quanto bisognava esserlo per un teologo: quanto poi all’indole reale della sua filosofia non bisognava, secondo lui, lasciarsi ingannare dalle apparenze, poichè se il metodo e il formulario è certamente aristotelico, non lo è però l’intima ispirazione, che è essenzialmente platonica, non diversamente da quella del suo maestro S. Agostino. In un’opera successiva il Lilla attenuò le sue affermazioni, inclinando verso un’interpretazione sintetica del Tomismo, secondo la quale esso rappresentò nel secolo XIII, e nella cultura cattolica in genere, una concezione originale nella quale erano stati salvati, perchè innestati sull’armatura della metafisica aristotelica, i principî più profondi del Platonismo13. La tesi del Lilla, che era suffragata da alcune acute analisi delle dottrine tomiste sull’unione sostanziale fra l’anima intellettiva ed il corpo e sulla natura dell’intelletto agente, rimase quasi completamente dimenticata14. Compariva invece, quasi nello stesso tempo, il saggio teoretico di Mons. VESPIGNANI, Dell’esemplarismo divino secondo i principî scientifici dell’Aquinate, lavoro dottissimo che mostra una rara familiarità con le opere dell’Angelico e che su alcuni punti ci pare abbia ricostruito in modo fermo ed esauriente la posizione esatta dei problemi; ma dato il campo di esame ristretto scelto dall’autore che come il Lilla si era fermato al problema della conoscenza, ed anche per la soverchia preoccupazione polemica, questo saggio eccellente non raggiunse le proporzioni di un’interpretazione di valore generale15.| A distanza di molti anni dai lavori precedenti, appariva la tesi del DURANTEL sullo Pseudo-Dionigi, nella quale con una geniale e spesso irruente disamina di testi o dottrine, estesa a tutta l’opera di S. Tommaso, si avanzava l’interpretazione inquietante di un «Tomismo dionisiano» in opposizione a quello aristotelico tradizionale16. A parte l’esagerazione della tesi, il lavoro del Durantel si avvantaggiava delle risorse del metodo storico ed aveva portato alla luce degli elementi di indiscutibile valore, i quali integrati con quelli che avrebbero dovuto dare ricerche analoghe sulle altre fonti del Tomismo, avrebbero portato il problema sul terreno concreto della soluzione che contemperasse gli eccessi di ambedue le direzioni: aristotelica e platonica. Ma anche nell’ambiente strettamente tomista si sentiva il bisogno di una visuale ampia e sufficiente a conciliare dei dati di fatto che ormai apparivano innegabili. Ancor prima della tesi del Durantel, il celebre Teologo Friburgese N. DEL PRADO aveva fatto largo posto nella sua opera capitale: «De Veritate Philosophiae Christianae»17 alla nozione di partecipazione; ivi sono state trattate «ex professo» tutte le implicazioni dottrinali della nozione, però quasi esclusivamente «in via iudicii», e senz’alcun riferimento alle condizioni storiche dei problemi, intorno alle quali, del resto, si sapeva allora ben poco, poichè si era quasi all’inizio delle ricerche. Profondamente ispirata, anzi dominata più di ogni altra, dalla nozione di partecipazione, è la sintesi recente di un altro Teologo Friburgese, il P. HORVATH18, che ha posto decisamente la nostra nozione alla radice del sistema tomista; anche questa felice ricostruzione è stata interamente orientata verso il problema epistemologico, e ciò, almeno per qualche aspetto, è stato un po’ a scapito sia della chiarezza dell’esposizione, sia dell’impostazione metafisica definitiva dei problemi generali circa la struttura dell’essere finito che è soltanto qua e là brevemente accennata. Ma, comunque sia,| questi due Autori sono stati gli ispiratori di questa mia elementare ricerca ed hanno influito decisamente su tutto l’orientamento che un po’ alla volta è venuto prendendo il mio studio di S. Tommaso. Molti altri ancora, in questi ultimi anni, hanno mostrato in qualche occasione la propria simpatia verso l’interpretazione «sintetica» nel senso sopra chiarito. Il P. MARC nel suo saggio su «L’idée de l’être chez St. Thomas et dans la scolastique postérieure» faceva gravitare la nozione tomista dell’essere attorno alla nozione di partecipazione, dalla quale attinge il vigore per la sua ascesa dialettica. La nozione tomista di ente, in virtù della sua dualità di essenza e di esse può tradurre l’immobilità e la mobilità delle cose, adeguarsi alla realtà e spingere il pensiero verso l’ultimo termine che è Infinito in atto. Poichè: «S’il est l’orientation des essences vers l’existence, il est de plus la participation de celle-ci par celles-là: ce qui veut dire qui il implique l’opposition du participant et du participé qui lui-même ne participe pas, de ce qui est second et de ce qui est premier, de ce qui n’est pas et de ce qui est ce qu’il est par essence, c’est-à-dire de ce qui est et de ce qui n’est pas par soi»19. Un confratello del P. Marc, il P. BREMOND, che è un sincero «amico delle Idee», ha cercato di mostrare prima direttamente in un articolo: «La synthèse thomiste de l’Acte et de l’Idée», e poi indirettamente nel saggio un po’ tumultuoso: «Le Dilemme Aristotélicien» quanto il Tomismo s’avvantaggi, nella sua struttura speculativa, rispetto al pensiero personale di Aristotele, e riprendendo un’espressione del grande platonista A. E. Taylor conchiudeva: «Je suis convaincu que le système cohérent est celui de S. Thomas: synthèse et synthèse nouvelle plus cohérente de celui d’Aristote et dont le vrai nom est Thomisme»20. Forse ispirato dal Bremond, ultimamente anche il Filosofo Lovaniense L. DE RAEYMAEKER nella conclusione alla II ed. della sua «Metaphysica Generalis» ha posto la nozione di partecipazione a fondamento di tutta la metafisica tomista, per via dei due principî che essa fonda: a) «actum non limitari nisi per potentiam correspondentem», b) «ens limitatum esse creatum»21. Nella recente sua presentazione dei problemi della metafi|sica22, il De R. ha dato alla nozione della partecipazione uno sviluppo continuo ch’è un indice sicuro del rinnovamento speculativo a cui il ritorno alle dottrine autentiche di S. Tommaso ci richiama. Notevole pregio della sintesi del De R. è anche la vigile attenzione ch’egli porta alle filosofie contemporanee che mostrino affinità o convergenza verso quest’idea tomista finora tanto obliata (p. es. Max Scheler, L. Lavelle, G. Marcel, Le Senne, ecc.). 4. – Nel medesimo anno in cui si pubblicava la II ed. della metafisica latina del De R. appariva la prima tesi dedicata alla nozione tomista di partecipazione e dovuta a un predicatore protestante23: la ricerca è limitata al problema della conoscenza con particolare riguardo alla teoria agostiniana della «luce» ch’ebbe tanta fortuna nel sec. XIII, ma di cui S. Tommaso fece un uso molto sobrio. Il lavoro è condotto con rigoroso metodo scientifico: precede un sostanziale compendio delle Fonti della nozione tomista (pp. 1-5), da cui l’A. prende i termini e il senso della partecipazione nel campo dell’essere e del conoscere (pp. 5-11) aggiungendo brevi indicazioni sull’applicazione della partecipazione nell’ordine soprannaturale (pp. 12-13). Il problema del conoscere viene esaminato tanto nell’ordine della natura come in quello della grazia con accenni rapidi, ma abbastanza sicuri perchè l’Autore conosce la recente letteratura cattolica: lo studio, ch’è piuttosto una sobria indicazione di testi, ha il merito d’aver sentito con sicuro criterio l’orientamento di un’interpretazione delle dottrine tomiste che prima era rimasta quasi completamente nell’ombra e ci si deve rammaricare soltanto che l’Autore non ci abbia dato, con lo stesso metodo, l’analisi dell’ente come tale, nelle sue espansioni principali sia nell’ordine predicamentale come trascendentale. Un avvicinamento originale alla nozione tomista della partecipazione in funzione della problematica moderna, quale finora nessuno aveva tentato, è stato fatto quasi contemporaneamente| da due filosofi tedeschi, Gustav Siewerth e Max Müller, che sembra si muovano in un identico ambiente culturale: persuasi della esigenza critica del pensiero moderno ed insieme profondamente convinti della consistenza metafisica della concezione tomista dell’essere, essi hanno cercato e tentato di elaborare tutto il problema del rapporto fra finito e infinito in funzione di un accordo superiore e anche di un’integrazione fra i due punti di vista che di solito si credono contrastanti. Il Siewerth, che qualifica il Tomismo come «sistema dell’identità»24, non incontra il problema della partecipazione che di sbieco, trattando il problema della «contrazione e divisione dell’essere» (pp. 115-129): la «partecipazione» costituisce veramente quella «mediazione» nello strutturarsi e nel divenire del finito.

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